ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto a seguito della richiesta di rinvio a  giudizio  della  Procura
della Repubblica presso il Tribunale  ordinario  di  Perugia  del  16
luglio 2015, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri,  con
ricorso notificato il 12-17 ottobre 2016, depositato  in  cancelleria
il 9 novembre 2016 ed iscritto al n. 3  del  registro  conflitti  tra
poteri 2015, fase di merito. 
    Udito nell'udienza pubblica del 4 luglio 2017 il Giudice relatore
Franco Modugno; 
    udito l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 31 agosto 2015, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  ha  promosso  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato, per violazione degli artt. 1,  5,  52,  94  e  95
della Costituzione, in relazione agli artt. 1, comma 1, lettere b)  e
c), 39, 40 (che ha sostituito l'art.  202  del  codice  di  procedura
penale)  e  41  della  legge  3  agosto  2007,  n.  124  (Sistema  di
informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del
segreto), nei confronti della  Procura  della  Repubblica  presso  il
Tribunale ordinario di Perugia, in relazione alla richiesta di rinvio
a giudizio degli imputati Nicolo' Pollari e Pio Pompa per il reato di
peculato aggravato continuato, di cui al  capo  A)  dell'imputazione,
formulata nell'ambito del procedimento penale n. 02/15 R.G. Dib. e n.
5970/09  R.G.  P.M.,  pendente  davanti   al   Giudice   dell'udienza
preliminare del medesimo Tribunale. 
    1.1.- Il ricorrente riferisce che  la  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale ordinario di Perugia aveva proceduto ad  indagini
preliminari nei confronti di  Nicolo'  Pollari,  gia'  direttore  del
Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI)  dal  15
ottobre 2001, e di Pio Pompa, consulente dal novembre 2001  e  quindi
dipendente del medesimo Servizio dal dicembre 2004 al dicembre  2006,
quale direttore di sezione addetto all'ufficio del direttore. In base
all'ipotesi  accusatoria,  i   due   indagati   si   sarebbero   resi
responsabili, in concorso tra loro, del delitto di peculato aggravato
continuato (artt. 314, 81, secondo comma, 61, numero  2,  e  110  del
codice penale), per  essersi  appropriati  ed  aver  fatto  uso,  tra
l'estate del 2001 e il luglio del 2006, di somme e di risorse umane e
materiali del  SISMI,  utilizzandoli  per  scopi  estranei  a  quelli
istituzionali del Servizio. In particolare, il Pompa -  su  richiesta
o, comunque sia, con l'approvazione  del  Pollari  -  avrebbe  svolto
attivita' dirette  a  raccogliere  ed  elaborare  informazioni  sulle
opinioni  politiche,  i  contatti  e  le  iniziative  di  magistrati,
funzionari dello Stato, giornalisti e parlamentari,  di  associazioni
di magistrati, anche europei, di giornalisti, di  parlamentari  e  di
movimenti sindacali,  acquisendo,  tra  l'altro,  informazioni  sulle
indagini in corso presso la Procura della Repubblica di Milano per il
sequestro di Abu Omar a mezzo del giornalista Renato Farina, al quale
sarebbe  stato  versato  un  compenso  di  almeno  30.000  euro;  con
l'aggravante di aver agito al fine di commettere o di far  commettere
a  terzi  diffamazioni,  calunnie  e  abusi  di   ufficio   (capo   A
dell'imputazione). 
    Ai medesimi Pollari e Pompa  era  contestato,  inoltre,  di  aver
preso cognizione, nelle  suindicate  qualita',  della  corrispondenza
elettronica circolante all'interno della lista chiusa dei destinatari
delle comunicazioni  dell'associazione  MEDEL  (Magistrats  europeens
pour la democratie et les libertes), commettendo,  in  tal  modo,  il
reato di violazione di  corrispondenza  aggravata  continuata  (artt.
616, primo comma, 81, secondo comma, 61, numero 9, e 110 cod.  pen.);
fatto accertato in Roma il 5 luglio 2006 (capo B dell'imputazione). 
    Entrambi  gli  indagati,  con   memorie   depositate   in   vista
dell'interrogatorio di cui all'art.  415-bis,  comma  3,  cod.  proc.
pen., avevano eccepito che, per difendersi dalle accuse  loro  mosse,
avrebbero dovuto rivelare notizie coperte da  segreto  di  Stato,  in
quanto inerenti agli «interna corporis» del SISMI. 
    A fronte di cio', il pubblico ministero, con note del 27  ottobre
e del 19 novembre 2009, aveva chiesto al Presidente del Consiglio dei
ministri, ai sensi dell'art. 41 della  legge  n.  124  del  2007,  di
confermare l'esistenza  del  segreto  di  Stato  riguardo  a  quattro
circostanze, ritenute essenziali per la definizione del procedimento. 
    Con note del  3  e  del  22  dicembre  2009,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri aveva confermato il segreto di Stato in ordine
a tutti i punti indicati dal pubblico ministero  e,  in  particolare,
con riguardo a «modi e forme dirette e indirette di finanziamento per
la gestione da parte di Pio Pompa  della  sede  [del]  SISMI  di  via
Nazionale, 230 in Roma, allorche' il Servizio era diretto da  Nicolo'
Pollari», e quanto  a  «modi  e  forme  di  retribuzione,  diretta  o
indiretta, di Pio Pompa e Jenny Tontodimamma, collaboratori  prima  e
dipendenti poi del SISMI, diretto da Nicolo' Pollari». 
    A seguito della richiesta di  rinvio  a  giudizio  formulata  dal
pubblico ministero il  29  dicembre  2009,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Perugia  aveva  sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  nei  confronti  del
Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alle predette note
del 3 e del 22 dicembre 2009, di conferma del segreto di Stato. 
    Il conflitto era stato deciso dalla Corte con sentenza n. 40  del
2012, nel senso della  spettanza  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri del potere di emettere le note in questione. 
    Con sentenza  del  1°  febbraio  2013,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare aveva dichiarato, quindi, il non luogo  a  procedere  nei
confronti  degli  imputati  in  ordine  al  reato  di  peculato,  per
l'esistenza del segreto di Stato, e in ordine al reato di  violazione
di corrispondenza, perche' estinto per prescrizione. 
    In  accoglimento  del  ricorso  proposto  dal  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale ordinario di Perugia e dal Procuratore
generale  presso  la  Corte  d'appello  di  Perugia,  la   Corte   di
cassazione, con sentenza 13 novembre 2014-13 gennaio 2015,  n.  1198,
aveva  annullato  con  rinvio  la   decisione,   limitatamente   alla
statuizione  relativa  al  delitto  di  peculato.   Il   giudice   di
legittimita' aveva censurato, in specie, la mancanza, nella  sentenza
impugnata, di qualsiasi delucidazione in ordine alle ragioni  per  le
quali, ai fini dell'accertamento del predetto  delitto,  non  sarebbe
stata  sufficiente  la  dimostrazione  dell'origine  pubblica   delle
risorse impiegate in attivita' non  istituzionali:  origine  pubblica
che sembrava  essere  stata  riconosciuta  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare. 
    Tornato il processo davanti a  quest'ultimo,  l'imputato  Nicolo'
Pollari aveva ulteriormente opposto l'esistenza del segreto di  Stato
in ordine ai seguenti fatti e temi di prova: 
    «a) Se la sede di via Nazionale a Roma fosse una sede del SISMI o
di altro soggetto pubblico o privato: se fosse finanziata con risorse
"pubbliche" ovvero con risorse "non pubbliche" e da quale soggetto; 
    b) se la sede di Via Nazionale  a  Roma  fosse  finanziata  dallo
Stato o da altro ente pubblico italiano o straniero; 
    c) se la sede di Via Nazionale a  Roma  fosse  finanziata  da  un
soggetto italiano privato o straniero; 
    d) sulla funzione della sede  di  Via  Nazionale  a  Roma,  sulle
persone che  li'  operavano  e  la  usavano  e  sulle  attivita'  ivi
espletate; 
    e) se la sede di Via Nazionale a Roma fosse  una  sede  operativa
del SISMI oppure fosse una sede operativa di altri soggetti  italiani
o stranieri ovvero di privati; 
    f) se, dunque, la sede di Via Nazionale  a  Roma  sia  mai  stata
finanziata con erogazioni iscritte nel bilancio dello Stato  o  altro
ente pubblico o in qualche modo riconducibile a tali bilanci; 
    g) se, inoltre, la sede di via Nazionale a  Roma  fosse  un  sito
riferibile a privati o a soggetti stranieri, finanziato  con  risorse
private o straniere; 
    h) se le somme asseritamente erogate da Pompa Pio a Farina Renato
fossero di origine pubblica o privata o  connesse  ad  operazioni  di
intelligence autorizzate dal Governo; 
    i) il nome del soggetto, persona fisica o giuridica,  pubblica  o
privata, erogatore e titolare delle somme  asseritamente  versate  al
Farina,  nonche'  il  nome  di  colui  che  avrebbe  amministrato   e
concretamente  disposto  di  tali  somme  e  infine  chi  possa  aver
materialmente consegnate al Farina e chi sia il  destinatario  finale
di tali somme; 
    j) se tali somme siano state prelevate dal bilancio dello  Stato,
di altro ente pubblico o dello stesso  SISMI,  ovvero  provengano  da
soggetti terzi diversi o da soggetti estranei alla P.A.; 
    k) se tali somme siano state erogate  e  pagate  da  un  soggetto
italiano o straniero; 
    l) sulla finalita' sottesa a tali erogazioni e  sul  beneficiario
delle relative somme; 
    m) se  tali  erogazioni  siano  state  effettuate,  a  titolo  di
rimborso spese, in relazione a specifiche operazioni autorizzate  dal
Governo in cui sia stato in alcun modo coinvolto  Renato  Farina:  su
chi possa aver interessato, al riguardo, il Farina e sulle ragioni di
tale interessamento verso la sua persona; 
    n) sulla natura e sull'oggetto di tali operazioni.  Sugli  Organi
che le avevano richieste, disposte e/o autorizzate; 
    o) se tali operazioni attenessero  ad  accertamenti  ed  indagini
relativi alla cattura e/o all'omicidio di ostaggi italiani in Iraq od
al reperimento  di  documentazione  da  produrre,  in  proposito,  ad
Autorita'   italiane   competenti.   Se   tali   operazioni   inoltre
riguardassero il  periodo  in  cui  sono  state  condotte  operazioni
politico/militari in Iraq ed in riferimento  alla  presenza  italiana
e/o di italiani in quel paese, al tempo della  c.d.  "seconda  guerra
del golfo"». 
    Il Giudice dell'udienza preliminare, con nota del 4 maggio  2015,
aveva quindi informato il Presidente del Consiglio dei ministri della
nuova opposizione del segreto di Stato, chiedendo la  conferma  della
sua esistenza. 
    In risposta  all'interpello,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, con nota del 4 giugno 2015, aveva rappresentato che i fatti
e i temi di prova in esso indicati risultavano «compresi nella  sfera
di efficacia  di  segreti  di  Stato  gia'  vigenti,  in  ragione  di
determinazioni di apposizione o di conferma adottate in  passato  dai
[suoi] predecessori». 
    Cio' nonostante, nel corso dell'udienza preliminare del 16 luglio
2015, il pubblico ministero aveva concluso insistendo nel chiedere il
rinvio a giudizio degli imputati per  il  delitto  di  peculato,  sul
presupposto della  piena  utilizzabilita'  degli  elementi  di  prova
presenti  in  atti  (documenti  e  prove  dichiarative),  dai   quali
risulterebbe un rapporto diretto tra il Pompa e il Pollari in  ordine
all'attivita' svolta  da  quest'ultimo  mediante  l'utilizzazione  di
risorse umane, finanziarie e materiali del SISMI (e, in  particolare,
della sede di Via Nazionale, che si  asserisce  gestita  dal  Pompa).
Alla luce della trascrizione della fonoregistrazione dell'udienza, la
tesi del pubblico ministero si baserebbe sull'assunto che il rapporto
in questione non sarebbe affatto coperto da segreto di Stato. 
    1.2- Ad avviso del ricorrente, la richiesta di rinvio a  giudizio
degli imputati risulterebbe lesiva delle attribuzioni  costituzionali
del Presidente del Consiglio dei ministri in materia  di  tutela  del
segreto di Stato. 
    Il conflitto sarebbe  senz'altro  ammissibile  sotto  il  profilo
soggettivo,   dovendo   reputarsi   pacifiche,   alla   luce    della
giurisprudenza  costituzionale,  sia  la  legittimazione  attiva  del
ricorrente,  quale  potere  dello  Stato  abilitato  a  difendere  la
predetta sfera di attribuzioni; sia la legittimazione  passiva  della
Procura della Repubblica presso il Tribunale  ordinario  di  Perugia,
quale organo competente a manifestare definitivamente la volonta' del
potere  cui  appartiene,  in  quanto  direttamente  investito   delle
funzioni previste dall'art. 112 Cost., e dunque gravato  dell'obbligo
di esercitare l'azione penale e le attivita'  di  indagine  a  questa
finalizzate. 
    Egualmente indubbia risulterebbe l'ammissibilita'  del  conflitto
sotto il profilo oggettivo. Il  ricorso  sarebbe  volto,  infatti,  a
salvaguardare  l'integrita'  delle  attribuzioni  costituzionali  del
Presidente del Consiglio dei ministri  nell'esercizio  dell'attivita'
politica volta alla tutela della sicurezza dello Stato, concretatasi,
nella specie, nella conferma del segreto di Stato su tutti i fatti  e
temi  di  prova  indicati  nell'atto  di   interpello   del   Giudice
dell'udienza preliminare: attribuzioni che risulterebbero lese  dalla
richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico  ministero,  in
quanto basata sull'utilizzazione di  elementi  di  prova  coperti  da
segreto. 
    Quanto  al  merito,  il  ricorrente  rammenta   come   la   Corte
costituzionale abbia costantemente fondato, fin dalla sentenza n.  86
del 1977, la legittimita' costituzionale dell'istituto del segreto di
Stato  sulla  sua  preordinazione  alla  tutela  dei  supremi  valori
dell'esistenza,   dell'integrita'   e   dell'essenza   dello    Stato
democratico: valori posti al vertice di quelli cui  poggia  la  salus
rei publicae e, dunque, idonei a giustificare la resistenza  di  tale
presidio  rispetto  ad  altri   interessi,   pur   costituzionalmente
tutelati,  quali  quelli  connessi   all'esercizio   della   funzione
giurisdizionale. 
    Nella medesima fondamentale sentenza dianzi citata, la  Corte  ha
individuato, altresi', nel Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
quale organo responsabile della  politica  generale  del  Governo  ai
sensi dell'art. 95 Cost., il titolare  del  potere  di  segretazione:
potere di natura squisitamente politica, il  cui  esercizio  soggiace
all'esclusivo controllo del Parlamento, dinanzi al quale  il  Governo
e' politicamente responsabile (art. 94 Cost.). 
    Il Parlamento italiano, dapprima con la legge 24 ottobre 1977, n.
801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni  e  la
sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e, quindi, con la  legge
n.  124  del  2007,  ha  disciplinato  la  materia  facendo  puntuale
applicazione delle indicazioni della Corte. 
    In particolare, l'art. 1, comma 1, lettere b) e c),  della  legge
n. 124 del 2007, demanda al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
l'apposizione e la tutela  del  segreto  di  Stato,  nonche'  la  sua
conferma. L'art. 39 delimita l'area degli atti, dei documenti,  delle
notizie e delle attivita' coperti da segreto. Il successivo art.  40,
sostituendo l'art. 202 cod. proc.  pen.,  disciplina  la  tutela  del
segreto  sul  versante  processuale  penale,  imponendo  ai  pubblici
ufficiali, ai  pubblici  impiegati  e  agli  incaricati  di  pubblico
servizio di astenersi dal deporre su  fatti  coperti  da  segreto  di
Stato (comma 1); facendo obbligo  all'autorita'  giudiziaria  dinanzi
alla quale venga opposto, da parte di un  testimone,  un  segreto  di
Stato  di  informarne  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
sospendendo ogni  iniziativa  volta  all'acquisizione  della  notizia
oggetto  del  segreto  (comma  2);  regolando  la   procedura   volta
all'acquisizione della conferma del segreto e  le  conseguenze  della
conferma, nel senso di prevedere che, laddove la conoscenza di quanto
coperto dal segreto sia essenziale per la definizione  del  processo,
il giudice deve dichiarare non doversi procedere per l'esistenza  del
segreto di Stato, e consentendo comunque all'autorita' giudiziaria di
procedere in base ad elementi autonomi dagli atti, documenti  e  cose
coperti da segreto (commi 3, 4, 5 e 6). 
    L'art. 41 vieta, a sua volta, ai pubblici ufficiali, ai  pubblici
impiegati e agli incaricati di pubblico servizio di riferire riguardo
a  fatti  coperti  dal  segreto   di   Stato,   ribadendo   l'obbligo
dell'autorita' giudiziaria, dinanzi  alla  quale,  nel  corso  di  un
processo penale, sia opposto il segreto di Stato,  di  informarne  il
Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1), e regolando in  modo
similare la richiesta di conferma e le conseguenze  di  quest'ultima,
in particolare quanto all'inibizione, per l'autorita' giudiziaria, di
acquisire e utilizzare, anche indirettamente, le notizie  coperte  da
segreto (commi 3, 5 e 6). 
    Alla  luce  di  tale  quadro  normativo,  l'illegittimita'  della
richiesta  di  rinvio  a  giudizio  formulata  dalla  Procura   della
Repubblica di Perugia risulterebbe evidente. 
    Il segreto di Stato opposto dall'imputato Pollari ha  infatti  ad
oggetto, tra l'altro, la funzione della  sede  di  via  Nazionale  in
Roma, le persone che vi operavano o la usavano  e  le  attivita'  ivi
espletate. Avendo il Presidente del Consiglio dei ministri confermato
l'esistenza del segreto su tutte le circostanze indicate nel predetto
atto di interpello, apparirebbe  chiara  l'infondatezza  dell'assunto
del pubblico ministero, secondo il quale il rapporto diretto tra  gli
imputati Pollari e  Pompa,  riguardo  alle  attivita'  che  il  Pompa
avrebbe compiuto utilizzando risorse del SISMI - e,  in  particolare,
la  sede  di  via  Nazionale  -  non  sarebbe  coperto  da   segreto:
trattandosi, al contrario, di circostanza  agevolmente  riconducibile
al tema di prova di cui alla lettera f) dell'atto di interpello. 
    L'utilizzazione, da parte del pubblico ministero, degli  elementi
di prova concernenti il suddetto rapporto si risolverebbe, quindi, in
una    inammissibile    sostituzione    dell'autorita'    giudiziaria
all'autorita' politica nella  concreta  determinazione  di  cio'  che
costituisce oggetto del segreto di Stato in  relazione  alla  vicenda
processuale in questione, ponendosi, altresi',  in  aperto  contrasto
con il ricordato  divieto  di  acquisizione  e  utilizzazione,  anche
indiretta, delle notizie coperte dal segreto, sancito  dall'art.  41,
comma 5, della legge n. 124 del 2007. 
    Il ricorrente chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che  non
spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale  ordinario
di Perugia chiedere il rinvio a giudizio degli imputati per il  reato
di peculato aggravato continuato, di cui al capo A) dell'imputazione,
sulla base degli elementi di prova presenti in  atti  concernenti  il
rapporto diretto tra  gli  imputati  Pollari  e  Pompa  in  relazione
all'attivita'  ascritta  a  quest'ultimo,  e,  conseguentemente,   di
annullare detta richiesta. 
    2.- Il ricorso e' stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza n.
217 del 2016 e  poi  novamente  depositato  dall'Avvocatura  generale
dello Stato presso la cancelleria della Corte,  con  la  prova  della
rituale notifica, il 9 novembre 2016. 
    La Procura della Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario  di
Perugia non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   proposto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti  della
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Perugia, in
relazione alla richiesta di rinvio a giudizio degli imputati  Nicolo'
Pollari e Pio Pompa per il reato di peculato aggravato continuato, di
cui  al  capo  A)   dell'imputazione,   formulata   nell'ambito   del
procedimento penale n. 02/15  R.G.  Dib.  e  n.  5970/09  R.G.  P.M.,
pendente davanti al Giudice  dell'udienza  preliminare  del  medesimo
Tribunale. 
    2.-  Giova  preliminarmente   riepilogare,   nei   suoi   termini
essenziali, la vicenda che ha dato origine al conflitto, quale emerge
dalle  deduzioni  e  dalle  produzioni  documentali  del  ricorrente,
nonche' dalla  ricostruzione  gia'  operata  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 40 del 2012, richiamata dal ricorrente stesso. 
    Alla base della vicenda vi e' la perquisizione e  il  conseguente
sequestro di documenti, effettuati il 5 luglio 2006  su  disposizione
della Procura della  Repubblica  presso  il  Tribunale  ordinario  di
Milano nell'ambito delle indagini relative al sequestro di persona in
danno di Osama Mustafa Nasr (alias Abu Omar), presso uno  stabile  di
Via Nazionale in Roma, individuato come una sede del Servizio per  le
informazioni e la sicurezza militare (SISMI). 
    La  perquisizione  portava  alla  scoperta  di  un'attivita'   di
raccolta e di elaborazione  di  informazioni  sulle  iniziative,  sui
contatti e sugli  orientamenti  politici  di  magistrati,  funzionari
statali, giornalisti e  parlamentari,  nonche'  sulle  iniziative  di
movimenti  sindacali  e  associazioni  di  magistrati,   finalizzata,
secondo gli inquirenti,  a  consentire  campagne  di  discredito  nei
confronti  di  soggetti  considerati  "ostili"  alla  maggioranza  di
governo dell'epoca. 
    Su tale presupposto,  la  Procura  della  Repubblica  di  Perugia
procedeva ad indagini preliminari nei confronti dell'ex direttore del
SISMI Nicolo' Pollari e  di  Pio  Pompa,  gia'  collaboratore  e  poi
dipendente del Servizio, identificato come gestore della sede di  Via
Nazionale, in relazione a due ipotesi di reato. 
    Agli indagati veniva addebitato, in primo luogo,  il  delitto  di
peculato aggravato continuato, per essersi avvalsi, in  concorso  tra
loro, di somme e di risorse umane e materiali  del  SISMI  per  scopi
estranei a  quelli  istituzionali  del  Servizio,  quale  l'anzidetta
attivita' di  "dossieraggio",  acquisendo  anche  informazioni  sulle
indagini in corso a  Milano  sul  sequestro  Abu  Omar  a  mezzo  del
giornalista Renato Farina, dietro versamento di un compenso di almeno
30.000 euro. 
    Ai due indagati era contestato, altresi', il reato di  violazione
di corrispondenza aggravata continuata, per aver preso cognizione, in
concorso  tra  loro,   della   corrispondenza   informatica   interna
all'associazione Magistrats  europeens  pour  la  democratie  et  les
libertes (MEDEL). 
    In sede di  interrogatorio,  entrambi  gli  indagati  opponevano,
tuttavia, che, per difendersi compiutamente dalle accuse loro  mosse,
avrebbero dovuto rivelare notizie coperte da  segreto  di  Stato,  in
quanto inerenti agli «interna corporis» del Servizio. 
    Di fronte a cio', il pubblico ministero  chiedeva  al  Presidente
del Consiglio dei ministri, ai  sensi  dell'art.  41  della  legge  3
agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la  sicurezza  della
Repubblica e nuova disciplina del segreto), di confermare l'esistenza
del  segreto  di  Stato  riguardo  a  quattro  circostanze,  la   cui
conoscenza  era  ritenuta   essenziale   per   la   definizione   del
procedimento:  conferma  che  interveniva  -  nei  termini   che   si
accenneranno subito appresso - con note del 3 e 22 dicembre 2009. 
    Ritenendo che gli elementi acquisiti e  non  coperti  da  segreto
fossero idonei, comunque sia, a sostenere l'accusa  in  giudizio,  il
pubblico ministero formulava,  il  29  dicembre  2009,  richiesta  di
rinvio a giudizio degli imputati. 
    Investito della richiesta, il  Giudice  dell'udienza  preliminare
del  Tribunale  ordinario   di   Perugia   sollevava   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alle  predette  note
di conferma del segreto: conflitto che veniva deciso da questa  Corte
con la sentenza  n.  40  del  2012,  nel  senso  della  spettanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri del potere di emetterle. 
    Nell'occasione,  questa  Corte  escludeva,   tra   l'altro,   che
costituisse  motivo  di  illegittimita'  degli  atti   censurati   il
denunciato difetto di sintonia  tra  il  tenore  della  conferma  del
segreto e quello dell'atto di interpello: vale a dire il fatto che  -
di fronte alla richiesta di confermare il segreto di  Stato  riguardo
al "se" il SISMI  avesse  finanziato  la  sede  di  Via  Nazionale  e
retribuito il Pompa e altra persona - il Presidente del Consiglio dei
ministri avesse confermato invece il segreto in relazione a  «modi  e
forme» dei finanziamenti e delle retribuzioni.  Posto,  infatti,  che
l'interpello, per i termini in cui era formulato, appariva riferibile
tanto all'esistenza dei finanziamenti e  delle  retribuzioni,  quanto
alle relative modalita', la circostanza che  il  Capo  dell'esecutivo
avesse confermato il segreto «sul  quomodo,  e  non  anche  sull'an»,
comportava semplicemente «che solo in  rapporto  al  primo  operi  lo
"sbarramento" all'esercizio  dei  poteri  dell'autorita'  giudiziaria
conseguente alla conferma». 
    Di  seguito  alla  pronuncia  di   questa   Corte,   il   Giudice
dell'udienza  preliminare,  con  sentenza  del  1°   febbraio   2013,
dichiarava il non luogo a procedere nei confronti degli  imputati  in
ordine al reato di peculato, per l'esistenza del segreto di Stato,  e
in ordine al reato di violazione di corrispondenza,  perche'  estinto
per prescrizione. 
    In accoglimento del ricorso proposto dal pubblico  ministero,  la
sentenza veniva,  tuttavia,  annullata  con  rinvio  dalla  Corte  di
cassazione limitatamente alla statuizione relativa al peculato (sesta
sezione penale, sentenza 13 novembre 2014-13 gennaio 2015, n.  1198),
non avendo essa chiarito perche', ai fini dell'accertamento  di  tale
delitto, non sarebbe bastata la dimostrazione  dell'origine  pubblica
delle   risorse   impiegate   dagli   imputati   in   attivita'   non
istituzionali, ma sarebbe occorsa la prova delle modalita' della loro
erogazione. 
    Tornato il processo davanti al Giudice dell'udienza  preliminare,
il Pollari chiedeva di essere sottoposto ad esame e,  in  tale  sede,
tornava ad opporre il segreto di Stato  su  una  ulteriore  serie  di
fatti e di temi di prova,  attinenti  alla  stessa  riferibilita'  al
SISMI, ovvero ad altro soggetto, anche  straniero  o  privato,  della
sede di Via Nazionale  e,  correlativamente,  alla  natura  pubblica,
privata o estera dei relativi finanziamenti, nonche' alla provenienza
delle somme erogate al Farina e alle  finalita'  di  tale  erogazione
(riguardo alla quale veniva prospettato un possibile collegamento con
operazioni inerenti alla cattura e all'uccisione di ostaggi  italiani
in Medio Oriente). 
    Il Giudice informava, quindi, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri della nuova opposizione del segreto di Stato,  chiedendo  la
conferma della sua esistenza. 
    Con nota del 4 giugno  2015,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri   rispondeva   all'interpello    in    senso    affermativo,
rappresentando che i fatti  e  i  temi  di  prova  in  esso  indicati
risultavano «compresi nella sfera di efficacia di  segreti  di  Stato
gia' vigenti, in  ragione  di  determinazioni  di  apposizione  o  di
conferma adottate in passato dai [suoi] predecessori» (determinazioni
elencate nell'atto). 
    Alla successiva  udienza  preliminare  del  16  luglio  2015,  il
pubblico ministero,  rassegnando  le  proprie  conclusioni  ai  sensi
dell'art. 421 cod. proc. pen., insisteva, nondimeno, nel chiedere  il
rinvio a giudizio degli imputati per il delitto  di  peculato  (unica
imputazione  rimasta).  Il  rappresentante  della   pubblica   accusa
assumeva, in particolare, a sostegno della sua richiesta, che sarebbe
risultato «pacifico», alla luce  degli  elementi  acquisiti,  e  «non
assolutamente coperto da segreto», il «rapporto diretto» tra il Pompa
e il direttore del SISMI Nicolo' Pollari: rapporto dal quale  avrebbe
potuto desumersi la riferibilita' al secondo delle  attivita'  svolte
dal primo. 
    3.- E' qui  che  si  innesta  l'odierno  conflitto.  Con  ricorso
depositato il  31  agosto  2015,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri impugnava la «richiesta di rinvio a giudizio» della  Procura
della  Repubblica  di  Perugia,  ritenendola  lesiva  delle   proprie
attribuzioni in materia di tutela del segreto di Stato:  attribuzioni
desumibili - secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte  -
dagli artt. 1, 5, 52, 94 e  95  della  Costituzione,  e  regolate,  a
livello di legislazione ordinaria, da varie disposizioni della  legge
n. 124 del 2007 (in particolare, dai suoi artt. 1, comma 1, lettere b
e c, 39, 40 - che ha sostituito l'art. 202 del  codice  di  procedura
penale - e 41). Cio', in quanto detta richiesta risulterebbe  fondata
sull'utilizzazione di elementi di prova relativi  a  temi  ricompresi
fra quelli sui quali era stato ritualmente opposto  e  confermato  il
segreto di Stato. 
    4.- Come dedotto e  documentato  anche  dall'Avvocatura  generale
dello Stato in udienza  pubblica,  successivamente  al  deposito  del
ricorso il processo penale a carico del Pollari e del Pompa ha  avuto
ulteriori sviluppi. 
    Con sentenza del 16 settembre 2015 (depositata  il  successivo  9
ottobre),  il  Giudice  dell'udienza  preliminare,  disattendendo  la
richiesta di rinvio a giudizio, ha infatti dichiarato il non luogo  a
procedere nei confronti degli imputati. 
    Il  Giudice  perugino  ha  ritenuto,  in  specie,  che  i   fatti
contestati a questi ultimi a  titolo  di  peculato  dovessero  essere
distinti in tre gruppi: quelli inerenti  al  reperimento  di  notizie
dalle cosiddette «fonti aperte»; quelli relativi  al  reperimento  di
notizie da informatori dietro  erogazione  di  compensi  imprecisati;
quello concernente il pagamento di 30.000 euro al Farina. I fatti dei
primi due gruppi sono stati riqualificati come delitti  di  abuso  di
ufficio e in relazione ad essi il Giudice dell'udienza preliminare ha
dichiarato non doversi procedere nei  confronti  degli  imputati  per
essere il reato  estinto  per  prescrizione.  Con  riguardo,  invece,
all'episodio  relativo  al  versamento  di  somme  al  Farina,  ferma
restando la sua qualificazione come delitto di peculato,  il  Giudice
ha dichiarato non doversi procedere per l'esistenza  del  segreto  di
Stato, ritenendo che quest'ultimo osti - non gia' alla sostenibilita'
dell'accusa in giudizio - ma  all'esercizio  del  diritto  di  difesa
degli imputati in ordine al tema  probatorio  della  provenienza  dei
fondi erogati. 
    Il pubblico ministero ha proposto ricorso per  cassazione  contro
la sentenza, ma ha poi rinunciato all'impugnazione.  Di  conseguenza,
la  Corte  di  cassazione  ha  dichiarato  inammissibile  il  ricorso
(sezione seconda penale, sentenza 17  maggio-29  settembre  2016,  n.
40814), rendendo  cosi'  definitiva  la  pronuncia  di  non  luogo  a
procedere. 
    5.-  Le  circostanze  ora  riferite  -   come   sostenuto   anche
dall'Avvocatura generale  dello  Stato  in  udienza  pubblica  -  non
determinano la cessazione della materia del contendere. 
    Questa Corte ha gia' avuto modo di rilevare,  infatti,  che,  nei
conflitti di  attribuzione,  la  dichiarazione  di  cessazione  della
materia del contendere si impone solo quando l'atto impugnato risulti
annullato con efficacia ex tunc, facendo implicitamente venir meno le
affermazioni di  competenza  "fonti"  del  conflitto  e  privando  il
ricorrente dell'interesse ad ottenere una decisione sull'appartenenza
del potere contestato, laddove invece il semplice  esaurimento  degli
effetti dell'atto impugnato non basta  a  far  cessare  il  dibattito
circa la spettanza del potere (sentenza n. 150 del 1981). 
    Piu' in generale, si e'  rilevato,  poi,  che  «il  giudizio  per
conflitto e' diretto a definire l'ambito delle sfere di  attribuzione
dei poteri confliggenti al momento della sua insorgenza, restando  di
regola insensibile agli sviluppi  successivi  delle  vicende  che  al
conflitto abbiano dato origine» (sentenza n. 106 del 2009). 
    Nella specie, risulta peraltro dirimente  gia'  il  solo  rilievo
che, per due dei tre gruppi  di  fatti  raccolti  sotto  il  capo  di
imputazione  relativo  al  peculato,  il  proscioglimento  e'   stato
pronunciato per prescrizione, e non gia' per l'esistenza del  segreto
di Stato. Ma, anche con riguardo all'ultimo fatto, v'e' da  osservare
che la pronuncia di non luogo a procedere promana da  un  organo  (il
giudice   dell'udienza   preliminare)   distinto    -    sul    piano
dell'articolazione dei poteri dello Stato - da  quello  (il  pubblico
ministero) che avrebbe  adottato  l'atto  lesivo  delle  attribuzioni
costituzionali del ricorrente, e non ne implica la rimozione. 
    6.- Cio' posto, il ricorso e' tuttavia inammissibile. 
    Nella parte conclusiva dell'atto introduttivo  del  giudizio,  il
ricorrente  indica,  come  oggetto  tanto   della   richiesta   della
dichiarazione di non spettanza, quanto di quella di annullamento,  la
«richiesta di rinvio a giudizio». 
    In senso proprio e tecnico, detta formula evoca l'atto tipico  di
esercizio dell'azione penale, posto in essere dal pubblico  ministero
a chiusura delle indagini preliminari, ai sensi degli artt. 405 e 416
cod. proc. pen. Nel caso di specie, peraltro, tale atto rimonta al 29
dicembre 2009: dunque, a data anteriore di quasi sei anni rispetto  a
quella di introduzione del presente giudizio (31 agosto 2015). 
    La  circostanza  non  sarebbe,  di  per  se',  preclusiva   della
proposizione del ricorso. Il conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello Stato non e', infatti, soggetto  ad  alcun  termine  perentorio
(sentenza n. 116 del  2003):  ne',  d'altra  parte,  il  lungo  tempo
trascorso puo' essere assunto, di per se', come dato rivelatore della
carenza dell'interesse a ricorrere (sentenze n. 58 del 2004 e n.  263
del 2003). 
    Plurimi elementi rivelano, tuttavia, come il conflitto  in  esame
si rivolga, non contro l'originario  atto  di  esercizio  dell'azione
penale,  ma  contro  l'"insistenza"  del  pubblico  ministero   nella
richiesta  di  rinvio  a  giudizio  in  sede  di  precisazione  delle
conclusioni   nell'udienza   preliminare   del   16   luglio    2015,
immediatamente a valle della quale si  colloca  la  proposizione  del
ricorso. 
    Milita  in  questa   direzione,   anzitutto,   lo   stesso   dato
cronologico, rapportato allo sviluppo della vicenda  processuale.  La
richiesta di rinvio  a  giudizio  del  29  dicembre  2009  non  venne
all'epoca impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri con  lo
strumento del conflitto. Fu, al contrario - come si  e'  visto  -  il
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Perugia a
sollevare conflitto di attribuzione nei suoi confronti, in  relazione
alle note di conferma del segreto di Stato del 3 e 22 dicembre  2009:
conflitto risolto da questa Corte con la sentenza n. 40  del  2012  a
favore del Presidente del Consiglio  dei  ministri.  Quest'ultimo  ha
proposto l'odierno conflitto solo dopo  che,  nel  2015,  tornato  il
processo  davanti  al  Giudice  dell'udienza  preliminare  a  seguito
dell'annullamento  con  rinvio  della  Corte  di  cassazione,  si  e'
innescata una nuova sequenza di opposizione e conferma del segreto di
Stato, non "recepita", in tesi, dal pubblico ministero nel  formulare
le sue conclusioni nella (nuova) udienza preliminare. 
    Significativa appare, altresi', la circostanza che  la  richiesta
di rinvio a giudizio del 2009 non e' stata prodotta  dal  ricorrente.
Figura, invece, tra gli atti  allegati  al  ricorso  la  trascrizione
della fonoregistrazione dell'udienza preliminare del 16 luglio  2015,
recante  le  conclusioni  prese  in  tale  occasione   dal   pubblico
ministero. 
    Decisivo risulta, in ogni caso, il  tenore  delle  doglianze.  Il
ricorrente  si  duole,  in  effetti,  del  fatto  che,   nell'udienza
preliminare  in  questione,  il  pubblico  ministero  abbia  concluso
insistendo nel chiedere il rinvio  a  giudizio  degli  imputati  «sul
presupposto della  piena  utilizzabilita'  degli  elementi  di  prova
presenti  in  atti  (documenti  e  prove  dichiarative)   dai   quali
risulterebbe un rapporto diretto tra l'imputato  Pompa  e  l'imputato
Pollari in ordine  all'attivita'  svolta  da  quest'ultimo,  mediante
l'utilizzazione di risorse umane, finanziarie e materiali  del  SISMI
(in particolare della sede di via  Nazionale,  asseritamente  gestita
dallo  stesso  imputato  Pompa)»:   rapporto   che   -   secondo   il
rappresentante della pubblica accusa - non sarebbe coperto da segreto
di Stato. Ad avviso del ricorrente, la tesi  del  pubblico  ministero
sarebbe del tutto infondata, essendo il suddetto rapporto agevolmente
riconducibile al tema di prova di cui alla  lettera  f)  [recte:  d)]
dell'atto di interpello che ha dato luogo alla conferma  del  segreto
da parte del Presidente del Consiglio dei ministri con la citata nota
del 4 giugno 2015: tema concernente la funzione  della  sede  di  Via
Nazionale, le attivita' in essa svolte e le persone che vi operavano. 
    Appare evidente come una simile censura non sia  riferibile  alla
richiesta di rinvio a giudizio, tecnicamente intesa, del 29  dicembre
2009, anteriore di cinque anni e mezzo al predetto atto  di  conferma
del segreto. All'epoca, il solo atto  di  conferma  del  segreto  era
quello espresso dalle note del 3 e 22 dicembre 2009, gia'  scrutinato
da questa Corte con la sentenza n. 40 del 2012 e, per  quanto  si  e'
visto, di diverso tenore. 
    7.- E' in questa prospettiva che  il  ricorso  si  palesa  dunque
carente dei requisiti  di  ammissibilita'  tanto  soggettivo,  quanto
oggettivo. 
    Questa Corte ha riconosciuto,  con  giurisprudenza  costante,  al
pubblico ministero la natura di potere  dello  Stato  -  legittimato,
come tale, ad essere parte (attiva o  passiva)  di  un  conflitto  di
attribuzione   -   in   quanto   (e   solo   in   quanto)   investito
dell'attribuzione,     costituzionalmente     garantita,     inerente
all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112  Cost.),  cui
si connette la titolarita' diretta ed  esclusiva  delle  indagini  ad
esso finalizzate (ex plurimis, sentenze n. 1 del 2013, n. 88 e n.  87
del 2012; ordinanze n. 218 del 2012, n. 241 e n. 104 del 2011, n. 276
del 2008 e n. 124 del 2007). Funzione con riferimento alla  quale  il
pubblico  ministero,  organo  non  giurisdizionale,  deve   ritenersi
competente  a  dichiarare  definitivamente,  in  posizione  di  piena
indipendenza, la volonta' del potere giudiziario cui appartiene, come
richiesto dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme  sulla
costituzione  e  sul  funzionamento   della   Corte   costituzionale)
(sentenze n. 420 del 1995, n. 464, n. 463 e n. 462 del 1993). 
    In quest'ottica, la Corte ha ritenuto senz'altro  ammissibile  il
conflitto di attribuzione proposto contro il pubblico  ministero  sia
in relazione agli atti tipici di esercizio dell'azione penale - quali
la richiesta di rinvio a giudizio (sentenze n. 88 del 2012 e  n.  410
del 1998) o la richiesta di giudizio immediato (sentenza  n.  87  del
2012)  -  o  alla  decisione  di  non   esercitarla   (richiesta   di
archiviazione: sentenza n. 487  del  2000);  sia  in  relazione  alle
attivita' investigative compiute dall'organo dell'accusa  nella  fase
delle indagini preliminari (sentenze n. 1 del 2013, n. 88 e n. 87 del
2012; ordinanza n. 232  del  2003).  E  cio'  anche  in  rapporto  ad
esigenze di difesa del segreto di Stato (sentenze n. 106 del 2009, n.
487 del 2000, n. 410 e n. 110 del 1998). 
    Il discorso  e',  pero',  diverso  con  riguardo  agli  atti  del
pubblico ministero  successivi  all'esercizio  dell'azione  penale  e
interni al processo  con  essa  promosso  (quale,  nella  specie,  la
formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare). 
    Con riguardo a giudizi  in  via  incidentale,  questa  Corte  ha,
infatti, ripetutamente escluso che simili attivita' ricadano sotto il
cono della previsione dell'art. 112 Cost. (sentenze n. 460 del 1995 e
n. 178 del 1991; ordinanza n.  312  del  2000),  non  potendo  essere
configurate   come   proiezione   necessaria   del    principio    di
obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione  penale  (con  particolare
riguardo alle impugnazioni, ex plurimis, sentenze n. 242 del 2009, n.
298 del 2008, n. 26 del 2007 e n. 280 del 1995).  Conclusione  a  cui
sostegno militano anche i lavori preparatori della Costituzione,  dai
quali  «risulta  che  la   costituzionalizzazione   dell'obbligo   di
esercitare l'azione penale fu trattata sotto i tre seguenti  profili:
rapporti del pubblico ministero con il potere esecutivo  nel  momento
iniziale dell'azione penale; possibilita' di  prevedere  eccezioni  a
tale obbligo nel senso di possibili sospensioni  o  ritardi  nel  suo
esercizio; controllo  del  giudice  sui  possibili  casi  di  mancata
attivazione del pubblico ministero nei confronti di  una  determinata
notitia criminis.  Tutti  argomenti  attinenti  al  momento  iniziale
dell'azione penale, senza il minimo, neanche  implicito,  riferimento
ai momenti successivi» (sentenza n. 280 del 1995). 
    Per  quanto  specificamente  attiene  al  caso   in   esame,   la
formulazione  delle  conclusioni  nell'udienza  preliminare  e'  atto
espressivo, non dell'attribuzione costituzionale  prevista  dall'art.
112 Cost., ma delle  tesi  dell'organo  dell'accusa  in  ordine  alla
regiudicanda (nella specie, riguardo al  fatto  che,  anche  dopo  la
nuova opposizione del segreto di Stato da parte di uno degli imputati
e la sua conferma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri,
sussistessero i presupposti per il rinvio  a  giudizio);  tesi,  come
tali, carenti anche del connotato  dell'idoneita'  lesiva,  che  pure
condiziona, sul piano oggettivo, l'ammissibilita' del  conflitto  tra
poteri (ex plurimis, sentenza n. 463 del 1993; ordinanze n.  121  del
2011, n. 120 del 2009 e n. 398 del 1999). 
    D'altra parte, se anche le  conclusioni  del  pubblico  ministero
fossero a favore dell'accusato, cio' non equivarrebbe  certamente  ad
una rinuncia all'azione penale esercitata  (che  e'  irretrattabile),
ne' le conclusioni vincolerebbero il giudice. 
    Sulla base di considerazioni similari, mutatis  mutandis,  questa
Corte ha, del resto, gia' dichiarato inammissibile, con  sentenza  n.
163 del 2001, il conflitto tra enti proposto da una Regione, a tutela
della garanzia dell'insindacabilita' di un suo consigliere  ai  sensi
dell'art. 122, quarto comma, Cost.,  nei  confronti  di  un  atto  di
impugnazione del pubblico ministero (nella specie,  l'appello  contro
una  sentenza  assolutoria).  Il  conflitto   e'   stato   dichiarato
inammissibile per difetto del requisito oggettivo,  avendo  la  Corte
rilevato che il suddetto atto  di  appello  «e'  privo  di  qualsiasi
portata "esterna" rispetto allo specifico alveo processuale in cui si
iscrive; esso esprime soltanto l'esercizio del diritto di reclamo che
l'ordinamento assicura, "nel" e "per" il processo, a tutte le  parti,
pubbliche o private che siano. L'impugnazione, infatti, qualunque sia
il soggetto legittimato a proporla,  ha  come  termine  oggettivo  di
riferimento,  non  la  posizione  delle  parti  in  quanto  tali,  ma
unicamente  la  statuizione  giurisdizionale  avverso  la  quale   si
reclama. Sicche', e' la statuizione in se' - e non  certo  l'atto  di
gravame - ad essere se mai potenzialmente  suscettibile  di  assumere
quella rilevanza esterna al processo, idonea a  perturbare  la  sfera
delle attribuzioni costituzionalmente  riservate  ad  enti  o  poteri
dello Stato».  Si  e'  ritenuta,  peraltro,  significativa  anche  la
circostanza che la «Corte - mentre ha ritenuto il pubblico  ministero
legittimato a sollevare conflitto  di  attribuzione  quale  "potere",
allorche' venga in discorso  l'indipendenza  nell'espletamento  delle
proprie attribuzioni  finalizzate  all'obbligatorio  esercizio  della
azione penale  [...]  -  ha  escluso  che  "il  potere  del  pubblico
ministero di proporre appello avverso la  sentenza  di  primo  grado"
possa ritenersi "riconducibile  all'obbligo  di  esercitare  l'azione
penale"» (sentenza n. 163 del 2001). 
    Quanto affermato in relazione all'appello della  pubblica  accusa
(che e' atto che condiziona direttamente, comunque  sia,  la  vicenda
processuale, impedendo il passaggio in giudicato  della  sentenza  di
primo grado), non puo' non valere, a fortiori,  per  la  precisazione
delle conclusioni in sede di udienza preliminare (che non ha  nemmeno
quell'effetto). 
    8.- Alla luce delle considerazioni che precedono, il conflitto va
dichiarato, dunque, inammissibile.