ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  della
legge della Provincia autonoma di  Bolzano  25  luglio  1978,  n.  33
(Modifiche al testo unico delle  leggi  provinciali  sull'ordinamento
dei masi chiusi, approvato con decreto del  Presidente  della  Giunta
Provinciale 7 febbraio  1962,  n.  8,  e  alla  legge  provinciale  9
novembre 1974, n.  22),  riprodotto  dall'art.  18  del  decreto  del
Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre  1978,  n.
32  (Approvazione  del  testo  unificato  delle   leggi   provinciali
sull'ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall'art. 3  della
legge della Provincia autonoma di Bolzano  24  febbraio  1993,  n.  5
(Modifica delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi  e
della  legge  provinciale  20  febbraio  1970,  n.  4,  e  successive
modifiche ed integrazioni, sull'assistenza creditizia ai  coltivatori
diretti assuntori di masi chiusi), promosso dal  Tribunale  ordinario
di Bolzano nel procedimento vertente tra A.R. e M.L.,  con  ordinanza
del 17 maggio 2016, iscritta al n. 256 del registro ordinanze 2016  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  51,  prima
serie speciale, dell'anno 2016. 
    Udito nella camera di consiglio del 21  giugno  2017  il  Giudice
relatore Aldo Carosi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di un giudizio per la determinazione dell'assuntore
del maso chiuso e del prezzo di assunzione - ai  sensi  dell'art.  22
della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001,  n.
17 (Legge sui masi chiusi) - il Tribunale  ordinario  di  Bolzano  ha
sollevato,  in   riferimento   all'art.   3,   primo   comma,   della
Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5
della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33
(Modifiche al testo unico delle  leggi  provinciali  sull'ordinamento
dei masi chiusi, approvato con decreto del  Presidente  della  Giunta
Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla L.P. 9  novembre  1974,  n.
22), trasfuso nell'art. 18 del decreto del  Presidente  della  Giunta
Provinciale di Bolzano 28 dicembre  1978,  n.  32  (Approvazione  del
testo unificato delle leggi  provinciali  sull'ordinamento  dei  masi
chiusi), come modificato dall'art.  3  della  legge  della  Provincia
autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993,  n.  5  (Modifica  delle  leggi
provinciali  sull'ordinamento  dei  masi   chiusi   e   della   legge
provinciale 20  febbraio  1970,  n.  4,  e  successive  modifiche  ed
integrazioni,  sull'assistenza  creditizia  ai  coltivatori   diretti
assuntori di masi chiusi), nella parte  in  cui  prevede  che  tra  i
chiamati alla successione nello stesso  grado  ai  maschi  spetta  la
preferenza nei confronti delle femmine. 
    1.1.- Il rimettente, investito del ricorso di A.R.,  premette  in
fatto che l'originario proprietario  del  maso  chiuso  «Sarganthof»,
sito in Novacella/Varna (BZ), era deceduto ab intestato il 12  agosto
2001, lasciando due figli naturali: la ricorrente A.R.,  nata  il  26
luglio 1979, e M.L., nato  il  21  gennaio  1995;  che,  in  base  ai
certificati ereditari del  2  febbraio  2005,  i  figli  erano  stati
intavolati quali proprietari per la meta' indivisa del maso;  che  la
ricorrente aveva interesse ad essere dichiarata assuntrice del  maso;
che al momento dell'apertura della successione vigeva l'art.  18  del
d.P.G.P. n. 32 del 1978, che riproduceva l'art. 5 della  legge  prov.
Bolzano n. 33 del 1978,  in  base  al  quale,  tra  i  chiamati  alla
successione nello stesso grado,  la  preferenza  spettava  ai  maschi
rispetto alle femmine, mentre tra gli appartenenti allo stesso  sesso
era preferito il piu' anziano; che tale norma  era  stata  sostituita
con la legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, entrata in  vigore  il  26
dicembre 2001; che,  secondo  la  ricorrente,  la  norma  previgente,
applicabile al caso di specie,  era  costituzionalmente  illegittima,
essendo discriminatoria nei confronti delle donne; che la  ricorrente
esponeva di aver trascorso gran parte della  sua  vita  sul  maso  in
questione,  mentre  il  fratello  unilaterale  vi   aveva   trascorso
solamente quattro anni; che la ricorrente fin da giovane riteneva  di
poter assumere il maso, essendo la persona  piu'  idonea  e  di  aver
studiato giurisprudenza mantenendosi da sola. 
    Previa disapplicazione del citato art. 18 del d.P.G.P. n. 32  del
1978, ovvero  previa  declaratoria  di  incostituzionalita'  di  tale
norma, la ricorrente ha chiesto di essere dichiarata  assuntrice  del
maso «Sarganthof», e di fissarsi il prezzo di detta assunzione. 
    Costituitosi  in  giudizio,  il  convenuto  ha  chiesto,  in  via
riconvenzionale,  previo  rigetto  dell'istanza  di  declaratoria  di
incostituzionalita' della  norma  citata,  di  accertare  il  proprio
diritto di assunzione del maso, affermando di avere vissuto sul  maso
insieme alla madre ed al padre, dal febbraio 1997 fino a  poco  prima
della morte di costui; che era desiderio del  padre  designarlo  come
assuntore del maso; di aver conseguito il diploma alla scuola agraria
finalizzato alla conduzione di un'azienda agricola. 
    1.2.- Ai fini della rilevanza, il Tribunale rimettente espone  di
dover  applicare  il   diritto   sostanziale   vigente   al   momento
dell'apertura della successione, in virtu' degli artt. 10 e 11  delle
disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non
ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa  disposizione.  Tale
principio risulta, peraltro, codificato  nel  diritto  internazionale
privato dall'art. 46, comma 1, della legge 31  maggio  1995,  n.  218
(Riforma del sistema italiano  di  diritto  internazionale  privato),
secondo cui le successioni per causa di  morte  sono  regolate  dalla
legge  nazionale  del  de  cuius  al  momento  della  morte,  nonche'
dall'art. 23 delle medesime disposizioni  sulla  legge  in  generale,
collocato nel Capo II intitolato «Dell'applicazione  della  legge  in
generale». 
    In tal senso  si  era  gia'  espressa  precedentemente  anche  la
giurisprudenza  di  legittimita',  che  ha  ritenuto  applicarsi   la
normativa vigente alla data di apertura della  successione  anche  se
successivamente modificata (ex multis, Corte di  cassazione,  sezione
seconda  civile,  sentenza  16  aprile  1981,  n.  2305;   Corte   di
cassazione, sezione terza civile, sentenza 2 aprile 1992, n. 4012). 
    Nella fattispecie in esame, J.L. e' deceduto ab intestato  il  12
agosto 2001 a Salorno (BZ), e quindi pochi mesi prima dell'entrata in
vigore della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, con  apertura  della
successione legittima in favore dei suoi due unici eredi, vale a dire
i figli, parti in causa nel giudizio a quo.  Alla  data  di  apertura
della successione era, dunque, in vigore l'art. 5 della  legge  prov.
Bolzano n. 33 del 1978, trasfuso nell'art. 18 del d.P.G.P. n. 32  del
1978, come modificato dall'art. 3 della legge prov. Bolzano n. 5  del
1993, che, per la parte  che  qui  interessa,  dispone  che:  «Tra  i
chiamati alla successione nello stesso  grado  ai  maschi  spetta  la
preferenza nei confronti delle femmine.  Tra  gli  appartenenti  allo
stesso sesso e' preferito il piu' anziano». 
    Il Tribunale rimettente espone che dalle prove assunte e'  emerso
che nessuno dei due figli e' cresciuto nel maso e, poiche' entrambi i
chiamati alla successione rivestono  lo  stesso  grado,  quali  figli
naturali  del  de  cuius,  la  legge  provinciale  citata  imporrebbe
l'applicazione del criterio  basato  sulla  preferenza  accordata  al
sesso maschile. 
    1.3.- In punto di non  manifesta  infondatezza,  l'art.  5  della
legge prov. n. 33 del 1978, riprodotto nell'art. 18 del  d.P.G.P.  n.
32 del 1978, nella parte in cui accorda la preferenza, tra i chiamati
alla successione nello stesso grado, ai maschi rispetto alle femmine,
si porrebbe in contrasto con l'art. 3, primo comma,  Cost.,  violando
il principio di pari dignita' sociale e di eguaglianza dei  cittadini
innanzi alla legge,  senza  distinzione  di  sesso.  Per  i  chiamati
all'assunzione del maso, difatti, tale norma prevede un  criterio  di
preferenza  basato  esclusivamente  sul  sesso,  operando   in   modo
irragionevole una discriminazione in danno delle donne. 
    Ne'  sarebbe  possibile,  secondo  il  rimettente,  operare   una
interpretazione costituzionalmente  conforme  di  tale  disposizione,
risultando «chiarissima ed univoca»  nel  preferire  l'uomo  rispetto
alla donna, a parita' di vincolo di parentela con il de cuius. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Bolzano dubita  della  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   della
Costituzione, dell'art. 5 della legge  della  Provincia  autonoma  di
Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico  delle  leggi
provinciali sull'ordinamento dei masi chiusi, approvato  con  decreto
del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla
legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22),  riprodotto  dall'art.  18
del decreto del Presidente della Giunta  Provinciale  di  Bolzano  28
dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo  unificato  delle  leggi
provinciali  sull'ordinamento  dei  masi  chiusi),  come   modificato
dall'art. 3 della  legge  della  Provincia  autonoma  di  Bolzano  24
febbraio   1993,   n.   5   (Modifica   delle    leggi    provinciali
sull'ordinamento  dei  masi  chiusi  e  della  legge  provinciale  20
febbraio  1970,  n.  4,  e  successive  modifiche  ed   integrazioni,
sull'assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori  di  masi
chiusi), nella  parte  in  cui  prevede  che,  tra  i  chiamati  alla
successione nello stesso grado, ai maschi spetta  la  preferenza  nei
confronti delle femmine. 
    1.1.- Secondo il rimettente, l'art. 5 della legge  prov.  Bolzano
n. 33 del 1978, riprodotto dall'art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del  1978,
nella parte in  cui  accorda  la  preferenza,  tra  i  chiamati  alla
successione nello stesso grado, ai maschi rispetto alle  femmine,  si
porrebbe in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost., che  sancisce
il principio di pari dignita' sociale e di eguaglianza dei  cittadini
innanzi alla legge, senza distinzione di sesso. 
    Per i chiamati all'assunzione del maso la disposizione  censurata
prevederebbe un criterio di preferenza  basato  sul  sesso,  operando
cosi' una discriminazione irragionevole in  danno  delle  donne.  Non
sarebbe,    peraltro,    possibile     operare     un'interpretazione
costituzionalmente  conforme   di   tale   disposizione,   risultando
«chiarissima ed univoca» nel preferire l'uomo rispetto alla donna,  a
parita' di vincolo di parentela con il de cuius. 
    2.- In punto di rilevanza,  il  Tribunale  rimettente  espone  di
dover  applicare  il   diritto   sostanziale   vigente   al   momento
dell'apertura della successione - nel caso in esame il 12 agosto 2001
- in virtu' degli artt. 10 e 11 delle  disposizioni  sulla  legge  in
generale, che prevedono che una norma  non  ha  effetto  retroattivo,
salvo contraria espressa disposizione. Tale  principio  risulterebbe,
peraltro, codificato nell'art. 46, comma 1,  della  legge  31  maggio
1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto  internazionale
privato), che ha sostituito l'art. 23 delle disposizioni sulla  legge
in generale. Sarebbe quindi inapplicabile la successiva  legge  della
Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi
chiusi),  che  ha  abrogato  la  preferenza  in   discussione,   alle
successioni apertesi in epoca anteriore alla sua entrata  in  vigore,
come quella del giudizio a quo: sia in base al principio generale  di
irretroattivita' della legge (art. 11 delle preleggi), sia in base al
fatto che, venendo in rilievo un'ipotesi di successione  legittima  a
causa di morte,  al  fine  di  stabilire  la  disciplina  applicabile
bisogna fare riferimento a quella vigente al momento della morte  del
de cuius, perche' la  successione  mortis  causa,  per  il  principio
tempus regit actum, e' disciplinata dalle norme operanti  al  momento
dell'apertura della successione  (ex  multis,  Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, sentenza 25 maggio 2009, n. 12060;  Corte  di
cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25  settembre  1998,  n.
9636; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 11 maggio
2005, n. 9849; Corte di cassazione, sezione seconda civile,  sentenza
13 aprile 2006, n. 8655). 
    L'assunto e' condivisibile in ragione dell'applicabilita' al caso
di specie della norma impugnata  -  ancorche'  abrogata  dalla  legge
prov. Bolzano  n.  17  del  2001  -  in  quanto  vigente  al  momento
dell'apertura della successione. 
    3.-  Per  inquadrare  la  peculiare  fattispecie  in   esame   e'
necessario un breve excursus storico-normativo riguardante l'istituto
del maso chiuso e la sua introduzione nell'ordinamento italiano. 
    3.1. - Il "maso chiuso" trae origine da  antichissime  tradizioni
diffuse nelle zone  alpine  orientali,  regolate  dalla  legislazione
austriaca fino alla legge della  Provincia  autonoma  di  Bolzano  29
marzo 1954, n. 1 (Ordinamento dei masi di chiusi nella  Provincia  di
Bolzano),  emanata  in  virtu'  dell'attribuzione  statutaria   della
potesta'  legislativa  (esclusiva   o   primaria)   in   materia   di
«ordinamento  dei  "masi  chiusi"»  (art.  11,  n.  8,  della   legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante «Statuto speciale  per
il Trentino-Alto Adige»; e successivamente art. 8, n.  8,  d.P.R.  31
agosto 1972, n. 670, recante  «Approvazione  del  testo  unico  delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige»). 
    Detto istituto fu «[i]ntrodotto  in  Alto  Adige  fin  dai  primi
secoli del  Medio  Evo  in  corrispondenza  ad  antiche  consuetudini
germaniche, si affermo' nel tempo  e  formo'  oggetto,  verso  l'eta'
moderna,  di  disciplina  legislativa  formale,  quale  quella  delle
Patenti imperiali dell'11 agosto 1770 e del 9 ottobre  1795,  di  una
legge dell'Impero del 1° aprile 1889 che attribui' alla  legislazione
provinciale il compito di disciplinare  la  materia,  e  della  legge
provinciale del 12  giugno  1900,  n.  47,  "concernente  i  rapporti
giuridici speciali dei masi chiusi valevole per la Contea principesca
del Tirolo". Dopo che il territorio  dell'Alto  Adige  entro'  a  far
parte del territorio italiano,  l'istituto  rimase  in  vita  fino  a
quando con R.D. del 4 novembre 1928, n. 2325  fu  estesa  alle  nuove
Provincie la legislazione nazionale. Senonche',  anche  dopo  il  suo
disconoscimento legale, la popolazione dell'Alto  Adige  continuo'  a
dimostrarsi attaccata all'istituto.  E  non  mancarono  apprezzamenti
favorevoli che anche  giuristi  particolarmente  esperti  in  diritto
agrario espressero in riguardo  ad  esso,  considerandolo  utile  dal
punto di vista economico, per la remora che  pone  allo  smembramento
dei fondi, e dal punto di vista sociale, per l'apporto che puo'  dare
al mantenimento della compagine familiare e  alla  esistenza  di  una
sana  classe  rurale.  E'  interessante  rilevare  che  gia'  durante
l'impero della legislazione austriaca,  nonostante  l'abrogazione  di
ogni norma speciale in materia di fondi rustici  appoderati  disposta
con  la  legge  austriaca   27   giugno   1868,   l'istituto   resto'
eccezionalmente in vigore nel Tirolo. Ma fu essenzialmente per andare
incontro alle aspirazioni  chiaramente  manifestate  dagli  esponenti
della popolazione alto-atesina in riguardo al riconoscimento  formale
dell'antico istituto, che il legislatore costituzionale si indusse  a
dettare il disposto del n.  9  dell'art.  11  dello  Statuto  per  il
Trentino-Aldo Adige, col quale attribui' alla Provincia  la  facolta'
di emanare norme legislative "per le seguenti  materie  [...]  n.  9:
ordinamento  delle  minime  unita'  culturali,  anche  agli   effetti
dell'art. 847 del Codice civile;  ordinamento  dei  "masi  chiusi"  e
delle comunita' familiari rette da antichi statuti  e  consuetudini"»
(sentenza n. 4 del 1956). 
    In sintesi, prima dell'accesso nel nostro ordinamento,  il  "maso
chiuso" e' stato disciplinato dalla legge 12 giugno 1900, n. 47 della
Contea Principesca del Tirolo; successivamente fu abolito  con  regio
decreto 4 novembre 1928, n.  2325  (Disposizioni  per  l'unificazione
legislativa  nei  territori  annessi  al  Regno),  che  estese  anche
all'Alto Adige la legislazione italiana (sopravvivendo  peraltro,  di
fatto, nelle abitudini di vita delle popolazioni altoatesine); infine
fu reintrodotto ad opera dello statuto speciale per il  Trentino-Alto
Adige. 
    Il susseguirsi di alcune modifiche legislative  dopo  il  formale
ripristino ha reso necessaria l'emanazione del decreto del Presidente
della Giunta provinciale 7 febbraio  1962,  n.  8  (Approvazione  del
testo unico delle leggi provinciali sull'ordinamento dei masi  chiusi
nella Provincia di Bolzano), attraverso la procedura di cui  all'art.
38 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 dicembre  1959,
n. 10 (Norme modificatrici, interpretative ed integrative delle leggi
provinciali 29.3.1954, n. 1 e 2.9.1954,  n.  2  contenenti  le  norme
fondamentali sull'ordinamento dei masi chiusi). 
    A seguito delle ulteriori modifiche introdotte dalla legge  della
Provincia autonoma di Bolzano 9 novembre 1974,  n.  22  (Emendamenti,
integrazione ed ulteriore finanziamento  alla  legge  provinciale  20
febbraio 1970, n.  4  -  Provvedimenti  di  assistenza  creditizia  a
coltivatori diretti assuntori di masi chiusi)  e  dalla  legge  prov.
Bolzano n. 33 del  1978  fu  poi  compilato  un  nuovo  testo  unico,
approvato con d.P.G.P. n. 32 del 1978. 
    Nuove modifiche furono apportate dalle leggi provinciali 26 marzo
1982, n. 10 (Modifica del testo  unificato  delle  leggi  provinciali
sull'ordinamento   dei   masi   chiusi,   della   legge   provinciale
sull'assistenza creditizia per assuntori di masi chiusi e della legge
provinciale  sull'amministrazione  dei  beni  di  uso  civico)  e  24
febbraio   1993,   n.   5   (Modifica   delle    leggi    provinciali
sull'ordinamento  dei  masi  chiusi  e  della  legge  provinciale  20
febbraio  1970,  n.  4,  e  successive  modifiche  ed   integrazioni,
sull'assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori  di  masi
chiusi). 
    Oggi l'istituto e' disciplinato dalla legge prov. Bolzano  n.  17
del 2001, che ne ha mantenuto la struttura ed i principi  ispiratori,
rivisitandolo in piu' punti, ed in particolare -  per  quel  che  qui
interessa - rimodulando i criteri di successione  ed  assunzione  del
maso. In tale contesto e' stata eliminata la prevalenza  della  linea
maschile su quella femminile. 
    3.2.-  Dall'illustrata  evoluzione  normativa  si  evince  che  i
caratteri originari e pregnanti dell'istituto, che ne giustificano la
conservazione attraverso una peculiare disciplina, sono le  modalita'
di gestione, intestate ad una comunita' familiare e  ad  una  azienda
agricola autosufficiente, ed  un  regime  giuridico  funzionale  alla
conservazione di dette modalita', costituito dall'indivisibilita' del
maso e dalla  sua  destinazione  familiare,  realizzata  mediante  un
particolare sistema successorio, volto a designare un solo  assuntore
(Anerbe), il  quale  diviene  debitore  della  massa  ereditaria  per
l'ammontare del valore del maso. 
    In definitiva, l'analisi delle norme succedutesi nel  tempo  fino
alla vigente legge provinciale n. 17 del 2001 consente  di  affermare
la persistenza del nucleo funzionale dell'istituto  del  maso  chiuso
consistente nell'indivisibilita' del fondo, nella sua connessione con
la compagine familiare e nella "assunzione" del fondo stesso da parte
di un unico soggetto, cui un sistema particolare - anche relativo  al
procedimento di assegnazione e di determinazione del valore del fondo
nel caso di pluralita' di eredi - permette di perpetuare e  garantire
nel maso stesso il perseguimento delle finalita' economiche e sociali
proprie dell'istituto. 
    Al contrario, alcune modalita' normative poste originariamente  a
corredo del peculiare istituto sono state progressivamente  superate:
tra queste va senz'altro ricordata la regola di devoluzione del  maso
chiuso per successione a causa di morte in vigore fino  al  2001,  la
quale  seguiva  i   criteri   della   prelazione   maschile   e   del
maggiorascato, dal momento che il fondo veniva attribuito, allo scopo
di evitarne il frazionamento, ad un unico erede, con prevalenza della
linea maschile su quella femminile. L'art. 18 del d.P.G.P. n. 32  del
1978, come successivamente abrogato dalla l. prov. Bolzano n. 17  del
2001, prevedeva per la successione legittima il seguente  ordine:  l)
discendenti del de cuius ed a questi equiparati che siano cresciuti o
che crescono e  risiedono  nel  maso;·2)  discendenti  delle  persone
indicate al punto l; 3) il coniuge; 4) gli ascendenti; 5) i  fratelli
e le sorelle; 6) i discendenti di fratelli e sorelle;  7)  i  parenti
piu' prossimi non oltre il sesto grado. 
    La prevalenza della linea maschile era  affermata  esplicitamente
riguardo alla  successione  legittima  dall'art.  18,  comma  2,  che
stabiliva la preferenza tra i chiamati a favore  dei  maschi  e,  con
riferimento alla successione  per  rappresentazione,  dal  successivo
comma 6, in base al quale  «i  discendenti  di  figli  premorti  sono
preferiti ai discendenti di figlie premorte». 
    Successivamente, la novella del 2001  ha  previsto,  in  caso  di
successione ab intestato, che gli eredi legittimi possono trovare  un
accordo sulla designazione dell'unico assuntore  e/o  sul  prezzo  di
assunzione (artt. 14, primo comma, e 20, primo comma); in mancanza di
accordo, l'unico assuntore e' determinato dall'autorita' giudiziaria.
Non e'  piu'  riconosciuta  alcuna  preferenza  alla  linea  maschile
rispetto a quella femminile. La preferenza  e'  invece  accordata  ai
coeredi che crescono o sono cresciuti nel maso, e,  tra  di  essi,  a
coloro che nei due anni antecedenti  all'apertura  della  successione
hanno partecipato abitualmente alla conduzione  e  alla  coltivazione
del maso, e, tra di essi, a coloro che sono in possesso di un diploma
di una scuola  professionale  ad  indirizzo  agrario  o  di  economia
domestica riconosciuta dallo Stato o dalla Provincia, o  di  un'altra
adeguata  formazione  riconosciuta  dalla  Provincia  con  l'apposito
regolamento di esecuzione della Giunta provinciale  di  cui  all'art.
49, secondo comma, della legge prov.  Bolzano  n.  17  del  2001.  E'
inoltre previsto, come  criterio  residuale,  rispetto  ad  ulteriori
regole preferenziali, che l'autorita' giudiziaria, sentiti i  coeredi
e la commissione locale per i masi chiusi, scelga colui che  dimostri
di possedere i migliori requisiti per la diretta conduzione del  maso
chiuso (art. 14, secondo comma). 
    4.-  Alla  luce  del  descritto   contesto   normativo,   occorre
verificare se l'art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, oggi
abrogato dalla sopravvenuta legge n. 17 del 2001, ma applicabile alla
fattispecie  del  giudizio  a  quo  in  quanto  vigente  al   momento
dell'apertura della successione, sia in contrasto con l'art. 3, primo
comma, Cost., nella parte in cui prevede  che  tra  i  chiamati  alla
successione nello stesso grado, ai maschi spetta  la  preferenza  nei
confronti delle femmine. 
    4.1.- La questione e' fondata. 
    Questa Corte non ignora che, con propria precedente pronunzia  n.
40 del 1957, in relazione a questioni sostanzialmente analoghe aventi
ad oggetto gli allora vigenti artt. 16 e 18 della legge prov. Bolzano
n. 1 del 1954, fu ritenuto che il contestato criterio  di  preferenza
non collidesse con i principi  generali  dell'ordinamento  giuridico,
stabiliti nel codice civile in materia  di  successione  legittima  e
divisione  ereditaria  e  richiamati  dall'art.  11   dello   statuto
speciale, adottato con la legge cost. n.  5  del  1948,  ne'  con  il
principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost. 
    Detta pronuncia seguiva la linea  interpretativa  gia'  tracciata
dalla precedente sentenza n. 4 del 1956, secondo cui  il  legislatore
costituzionale  ritenne  di  introdurre  nell'ordinamento   nazionale
questo  istituto  perche'  fortemente  espressivo  della   tradizione
sudtirolese. Tale istituto, non trovando «precedenti nell'ordinamento
italiano,  non  puo'  qualificarsi  ne'  rivivere  se  non   con   le
caratteristiche sue proprie derivanti dalla tradizione e dal  diritto
vigente fino alla emanazione di quel R.D. 4 novembre 1928,  n.  2325,
sopra citato, in base al quale esso istituto cesso' [temporaneamente]
di avere formalmente vita» (sentenza n. 4 del 1956). 
    In tale contesto si ebbe ad  affermare  che  «le  esigenze  della
migliore produzione e gli  scopi  di  natura  familiare,  di  cui  il
legislatore costituzionale,  con  il  maso  chiuso,  ha  permesso  il
riconoscimento  e  la  tutela  per  soddisfare   le   istanze   della
popolazione  alto-atesina»,  giustificavano  la  preferenza  per   il
primogenito maschio prevista dagli artt. 16 e  18  dell'allora  legge
provinciale vigente. Cio' «sulla base di una presunzione tratta da un
fatto normale se non costante» secondo cui l'assuntore preferito puo'
conoscere dell'azienda familiare «meglio di altri  il  piu'  efficace
sistema di conduzione e puo' avere un maggiore attaccamento al  fondo
avito» (sentenza n. 40 del 1957). 
    E sono proprio tali conclusioni in tema  di  preferenza  maschile
che in questa sede devono essere superate. 
    La fattispecie all'esame di  questa  Corte  si  inquadra  in  una
particolare ipotesi normativa in cui e' l'assetto giuridico a doversi
conformare a quello sociale e alla sua evoluzione,  anche  alla  luce
delle evidenze storiche che registrano il fallimento  del  precedente
tentativo del legislatore statale del 1928 di trasformare  il  regime
giuridico dei masi con un atto di imperio.  L'evoluzione  dell'antica
usanza   sudtirolese   in    un    peculiare    istituto    giuridico
dell'ordinamento italiano trova la sua corrispondenza nei  perduranti
bisogni ed esigenze di una collettivita' locale che si e'  attribuita
tali regole ab immemorabili. 
    D'altronde, la recezione  del  maso  chiuso  attraverso  il  piu'
elevato  livello  normativo  del   nostro   ordinamento   (la   legge
costituzionale)  costituisce  fenomeno  emblematico  del   pluralismo
economico, sociale e giuridico che permea  la  Carta  costituzionale,
tanto piu' significativo in quanto di questo istituto prestatuale  e'
stata  piu'  volte  messa  in  dubbio  la   compatibilita'   rispetto
all'ordinamento civile italiano, con il  quale  tuttavia  convive  da
sempre nel limitato ambito territoriale della sua operativita'. 
    Cio' non toglie che  l'ordinamento  del  maso  chiuso  non  possa
contenere specifiche regole che nel tempo acquistano  un  significato
diverso in virtu' della  interpretazione  evolutiva,  la  quale  puo'
condurre - come nel caso in esame - ad una loro  diversa  valutazione
di compatibilita' con i parametri costituzionali. 
    Proprio la persistenza dell'istituto ne comporta una  evoluzione,
nel cui ambito alcuni rami possono divenire -  come  la  disposizione
impugnata  -  incompatibili   con   l'ordinamento   nazionale   e   -
conseguentemente - suscettibili di recisione senza che il maso chiuso
sia scalfito nella sua identita' continuativa e durevole. 
    Sotto tale profilo va,  peraltro,  osservato  come  sia  costante
l'orientamento di questa Corte nel senso che la  tutela  accordata  a
particolari istituti come il maso  chiuso  non  giustifica  qualsiasi
deroga ai principi dell'ordinamento,  ma  soltanto  quelle  che  sono
funzionali alla  conservazione  dell'istituto  nelle  sue  essenziali
finalita' e specificita' (sentenze n. 173 del 2010, n. 340 del  1996,
n. 40 e n. 5 del 1957, n. 4 del 1956, nonche', sia pure a  contrario,
n. 691 del 1988) e che comunque non comportano la lesione di principi
fondamentali dell'ordinamento costituzionale, quale  la  parita'  tra
uomo e donna. 
    4.2.- In tale  prospettiva,  l'orientamento  risalente  non  puo'
essere oggi condiviso alla luce del principio di parita' tra  uomo  e
donna, il quale assume primazia indefettibile nella valutazione degli
interessi di rango costituzionale sottesi  all'esame  della  presente
questione. 
    L'evoluzione sociale e normativa intervenuta dopo  la  richiamata
sentenza  n.  40  del  1957  e'  inequivocabile,  cosi'  da  ritenere
irreversibilmente superata l'applicazione del maggiorascato e -  quel
che qui piu' interessa - della prelazione maschile  alla  successione
nell'assunzione del maso chiuso, la quale risulta quindi in contrasto
con l'art. 3 Cost. 
    Dette regole, non a caso abrogate dalla legge provinciale  n.  17
del 2001, fanno capo ad un contesto inattuale nel quale, all'esigenza
obiettiva di mantenere indiviso il  fondo,  si  associava  una  ormai
superata concezione patriarcale della famiglia come entita' bisognosa
della formale investitura di un capo del  gruppo  parentale  (in  tal
senso, sentenza n.  505  del  1988).  La  desuetudine  della  visione
patriarcale  della  famiglia  e  del  principio  del   maggiorascato,
l'evoluzione normativa in materia di parita' tra uomo e  donna  -  si
possono citare, tra le piu' importanti, le leggi 9 febbraio 1963,  n.
66 (Ammissione della donna ai pubblici uffici ed  alle  professioni);
19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia) e 9 dicembre
1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro) - hanno dunque profondamente mutato sia il  contesto  sociale
che quello giuridico di riferimento. 
    4.3.- D'altronde, gia' in passato, relativamente a  questioni  di
minore rilevanza della presente,  questa  Corte  aveva  ritenuto,  in
alcuni casi, compatibili e, in altri, viziate e non piu'  rispondenti
alla ratio originaria, alcune norme che, rispettivamente, erano state
introdotte o facevano parte dell'ordinamento del maso chiuso. 
    Cosi', per quanto riguarda l'introduzione di nuove norme, ebbe  a
dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale  -
sollevata in riferimento all'art.  8,  numero  8),  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del
testo  unico  delle  leggi  costituzionali  concernenti  lo   statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige) - dell'art. 35, comma  2,  della
legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per  la  delegificazione
di norme e per la semplificazione di  procedimenti  amministrativi  -
Legge di semplificazione 1999), come sostituito dall'art.  22,  comma
1, della legge 29 luglio 2003,  n.  229  (Interventi  in  materia  di
qualita' della regolazione, riassetto  normativo  e  codificazione  -
Legge di semplificazione 2001), che  inseriva  l'obbligatorieta'  del
tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 46 della legge 3 maggio
1982, n.  203  (Norme  sui  contratti  agrari),  per  chi  intendesse
proporre in giudizio una domanda relativa  all'ordinamento  dei  masi
chiusi. 
    In quella sede fu precisato «che la peculiare  dilatazione  della
competenza legislativa provinciale  trova  esclusiva  giustificazione
nella  circostanza  che  essa  sia  funzionale  "alla   conservazione
dell'istituto  nelle  sue  essenziali   finalita'   e   specificita'"
(sentenza n. 340 del 1996) [cosicche']  ogni  qualvolta  la  predetta
finalita' non sia riscontrabile, da un lato, riemergono gli  ordinari
impedimenti alla  competenza  legislativa  primaria  della  Provincia
autonoma  in  materia  di  diritto  privato  e  di  esercizio   della
giurisdizione (sentenza n. 405 del 2006) e, dall'altro, la competenza
nelle predette  materie  del  legislatore  statale,  simmetricamente,
conserva l'abituale estensione»,  per  cui,  applicando  «i  suddetti
principi anche alla fattispecie ora all'esame  di  questa  Corte,  si
rileva che la disposizione oggetto di censura [...] non opera alcuna,
sia  pur  marginale,  trasformazione  della  disciplina   sostanziale
dell'istituto  stesso  rispetto  ai  suoi  contenuti  fissati   nella
tradizione giuridica»; pertanto «gli ambiti di competenza legislativa
provinciale risultano, per come  sopra  dimostrato,  inviolati  dalla
norma censurata» (sentenza n. 173 del 2010). 
    Per  quanto  concerne   la   sopravvenuta   non   conformita'   a
Costituzione,  fu  dichiarata  l'illegittimita'  -   in   riferimento
all'art. 3 Cost. - dell'art. 30 della legge prov. Bolzano  n.  1  del
1954,  nella  parte  in  cui  non  prevedeva  che  pure  in  caso  di
trasferimento  coattivo  del  maso  chiuso  in  un  procedimento   di
esecuzione  forzata  l'assuntore  e'  tenuto  a  versare  alla  massa
ereditaria, per la  divisione  suppletoria,  l'eccedenza  del  ricavo
dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di  assunzione.
In  quella  sede  e'  stato  chiarito,  tra  l'altro,  che  la  norma
scrutinata, se  era  in  origine  giustificata  da  una  ratio  legis
orientata  a  coniugare  una  misura  di  equita'  con   una   misura
sanzionatoria  del  comportamento  dell'assuntore,   non   era   piu'
assistita da «una giustificazione sostanziale che valga a legittimare
la disparita' di trattamento dei coeredi al cospetto del principio di
eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.» (sentenza n. 505 del 1988). 
    5.- L'art. 5  della  legge  prov.  Bolzano  n.  33  del  1978  va
dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte  in
cui prevedeva che, tra  i  chiamati  alla  successione  nello  stesso
grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.