ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  58,  comma
2, anche «in relazione  al  comma  1»,  del  decreto  legislativo  31
dicembre 1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n.  413),  promosso  dalla  Commissione  tributaria
regionale della Campania, nel procedimento vertente tra  l'Agente  di
riscossione Equitalia Sud spa e A. E., con  ordinanza  del  6  maggio
2016, iscritta al n. 245 del registro  ordinanze  2016  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  49,  prima   serie
speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  luglio  2017  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La  Commissione  tributaria  regionale  della  Campania,  con
ordinanza  iscritta  al  n.  245  del  registro  ordinanze  2016,  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  58,
comma  2,  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
«sia in se' che in relazione al comma 1 di essa norma,  per  divisato
contrasto»  con  gli  artt.  3,  24  e  117,   primo   comma,   della
Costituzione, «nonche' con criteri di razionalita' e con  i  principi
generali dell'ordinamento». 
    1.1.- Il giudice rimettente espone che la Commissione  tributaria
provinciale di Napoli aveva accolto un ricorso  proposto  avverso  il
preavviso  di  fermo  amministrativo   relativo   ad   un'autovettura
inviatogli da Equitalia Sud spa per conto dell'Agenzia delle  entrate
di Napoli e del Comune di Napoli, relativamente a dieci  cartelle  di
pagamento per tributi TARSU, IVA, IRPEF, IRAP ed altro  dal  2005  al
2011, il tutto per un importo complessivo di euro 61.022,72. La parte
ricorrente aveva dedotto l'omessa notifica delle cartelle  richiamate
nel  preavviso  e  la  decadenza  dal  diritto  a   quelle   esazioni
tributarie,  nonche'  la  necessita'  di  usare  la  detta  auto  per
accompagnare il figlio minore portatore di grave handicap.  L'Agenzia
delle entrate di Napoli ed il Comune di Napoli  si  erano  costituiti
deducendo la loro estraneita' alla lite, in quanto la notifica  delle
cartelle riguardava esclusivamente Equitalia Sud spa, e quest'ultima,
costituitasi anch'essa, aveva contestato ogni avversa  deduzione.  La
Commissione tributaria provinciale di  Napoli,  previamente  ritenuto
impugnabile il preavviso di fermo, lo aveva  annullato  rilevando  la
mancata prova documentale  della  notifica  delle  cartelle  ad  esso
prodromiche, pur rigettando la  domanda  di  annullamento  di  queste
ultime e quella di declaratoria di decadenza. 
    Avverso tale sentenza -  prosegue  l'ordinanza  di  rimessione  -
aveva proposto appello Equitalia Sud spa,  producendo  documentazione
relativa alla notifica delle suddette cartelle e comunque  sostenendo
l'erroneita'  della  decisione  impugnata  per   inammissibilita'   e
infondatezza della domanda di annullamento del  preavviso  di  fermo,
nonche'  per  difetto  di  prova  circa  la  dedotta  necessita'  del
contribuente di accompagnare con l'autovettura in oggetto  il  figlio
minore portatore di handicap. 
    1.2.- A parere del giudice rimettente - stante la rilevanza della
questione, in quanto strettamente  funzionale  alla  decisione  sulla
legittimita' della produzione  in  appello  della  prova  documentale
della notifica delle cartelle prodromiche al preavviso  di  fermo  in
oggetto, pur se tale  prova  era  nella  disponibilita'  della  parte
producente gia' in primo grado - l'art. 58, comma 2,  del  d.lgs.  n.
546 del 1992 sarebbe costituzionalmente illegittimo «sia in  se'  che
in relazione al comma 1 della stessa norma», in  quanto  «sembra  far
salva indiscriminatamente la possibilita' di  produzione  in  secondo
grado di nuovi documenti». 
    Il giudice a  quo  rammenta  che  della  norma  impugnata  si  e'
costantemente registrata una rigida  interpretazione  letterale,  che
avalla la legittimita' della produzione di nuovi documenti in appello
pur quando essi, come nella specie, gia' all'epoca  del  giudizio  di
primo grado siano in possesso della parte, la quale per mera  inerzia
non li ha prodotti. 
    La  norma  impugnata,  a  parere  della  Commissione   tributaria
regionale, finirebbe  col  vanificare  il  rispetto  del  diritto  di
difesa. 
    Una produzione documentale nuova in appello (possibile  in  primo
grado e non  avvenuta  per  mera  inerzia  della  parte  interessata)
potrebbe  artatamente  impedire  alla  controparte   processuale   la
proposizione di motivi aggiunti in primo grado e quindi condurre alla
perdita di un  grado  di  giudizio,  con  chiara  compromissione  del
diritto consacrato nell'art. 24 Cost. 
    La Commissione tributaria regionale della Campania -  evidenziato
come, nel giudizio a quo, la prova  della  notifica  al  contribuente
delle cartelle prodromiche al  preavviso  di  fermo  in  oggetto  ben
potrebbe essere acquisita nel secondo grado, pur non avendo Equitalia
Sud spa provato la sussistenza di  caso  fortuito  o  forza  maggiore
impeditivi di tale produzione in  primo  grado  -  rileva  come  cio'
comporterebbe  il  superamento  della   perenzione   cristallizzatasi
davanti  alla  Commissione   tributaria   provinciale   per   mancata
produzione di tali documenti nel termine previsto  dall'art.  32  del
d.lgs. n. 546 del 1992, la quale resterebbe, quindi, sempre  sanabile
davanti  alla   Commissione   tributaria   regionale   (al   massimo,
subordinatamente al rispetto del termine dei venti  giorni  anteriori
alla prima udienza in appello), peraltro operando, tale sanatoria, in
modo del tutto incondizionato, senza cioe' alcun limite legato ad  un
previo giudizio di eventuale indispensabilita' dell'acquisizione. 
    Da  tali  argomentazioni  il  giudice  a  quo  desume  anche   la
violazione  dell'art.  3  Cost.,  derivante   dalla   disparita'   di
trattamento delle parti a favore di quella facultata a  produrre  per
la prima volta in appello documenti gia' in suo  possesso  nel  grado
anteriore ed in danno della controparte. 
    Alla luce delle medesime motivazioni sarebbe infine  ravvisabile,
«altresi', quasi a mo' di corollario, la non  manifesta  infondatezza
della stessa questione di costituzionalita'  rispetto  all'art.  117,
co. 1, Cost. e, per esso, rispetto  ai  vincoli  derivanti,  a  tacer
d'altro, dall'art. 6 CEDU, che sancisce il  diritto  ad  un  processo
equo». 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  non
fondata. 
    2.1.- Innanzitutto, si profilerebbe un difetto di  rilevanza,  in
quanto l'eventuale declaratoria di  incostituzionalita'  della  norma
censurata non potrebbe incidere sull'esito del giudizio a quo. E cio'
alla luce del  principio  (affermato  dalla  Corte  di  cassazione  a
sezioni unite, con sentenza 7 novembre 2011,  n.  15144)  secondo  il
quale il mutamento della propria precedente  interpretazione  di  una
norma processuale da parte del giudice della nomofilachia,  il  quale
porti a ritenere esistente, in danno di una parte del  giudizio,  una
decadenza od una preclusione prima escluse, non puo'  comportare  una
decadenza non esistente nella previgente giurisprudenza. 
    A parere dell'Avvocatura, tale principio, ispirato  dall'esigenza
di  tutelare  l'affidamento  delle   parti   rispetto   alle   regole
processuali,   elaborato   dalla    giurisprudenza    per    impedire
l'applicazione in peius di una  nuova  giurisprudenza  nel  senso  di
escluderne la retroattivita', andrebbe,  a  fortiori,  applicato  per
tutelare l'affidamento in una chiara disposizione  di  legge,  quale,
appunto, l'art. 58, comma 2, del d.lgs.  n.  546  del  1992  e  nella
facolta', in essa sancita, di produzione di documenti  per  la  prima
volta in appello. 
    Ulteriore profilo di inammissibilita' deriverebbe dall'assenza di
soluzioni costituzionalmente obbligate in un ambito  -  quello  delle
norme  processuali  -  connotato  da   ampia   discrezionalita'   del
legislatore. Infatti, la questione  impingerebbe  nell'individuazione
del momento del giudizio oltre il quale alle  parti  e'  impedito  il
deposito di documenti,  frutto  di  una  valutazione  necessariamente
rimessa alla discrezionalita' del legislatore. 
    2.2.-  Quanto  al  merito,  L'Avvocatura  deduce   la   manifesta
infondatezza della questione. 
    Non  sarebbe,   infatti,   ravvisabile   alcuna   disparita'   di
trattamento tra le  parti  processuali,  posto  che  la  facolta'  di
produrre documenti prevista dalla norma censurata  e'  attribuita  ad
entrambe. 
    Inoltre  non  potrebbe  ritenersi  irragionevole  la  scelta  del
legislatore  di  consentire  che  un'attivita'   probatoria   rimasta
preclusa nel giudizio di primo grado sia esperita in  appello.  Tanto
avrebbe  gia'  affermato  questa  Corte,  dichiarando  manifestamente
infondata la censura di violazione dell'art. 3 Cost.  per  l'asserita
intrinseca  irragionevolezza  della  disciplina  per  cui,  nel  rito
ordinario, scaduti i termini concessi  ai  sensi  dell'art.  184  del
codice di procedura civile, nuove  produzioni  documentali  non  sono
piu' possibili in primo grado - se  non  ove  ricorrano  gli  estremi
della rimessione in termini ex art. 184-bis cod. proc. civ. -  mentre
sarebbero ammissibili in appello (e' richiamata  l'ordinanza  n.  401
del 2000). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria  regionale  della  Campania  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 58, comma 2, del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30  dicembre  1991,  n.  413),  «sia  in  se'  che  in
relazione al comma 1  di  essa  norma»,  il  quale  prevede  che  nel
giudizio di appello «[e'] fatta salva  la  facolta'  delle  parti  di
produrre nuovi documenti». 
    1.1.- La disposizione violerebbe gli artt. 3,  24  e  117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  nonche'
«criteri   di   razionalita'   e   [...]    i    principi    generali
dell'ordinamento». 
    Secondo il rimettente, la facolta' di produrre per la prima volta
in appello documenti gia' nella disponibilita' della parte nel  grado
anteriore genererebbe una disparita' di trattamento tra le parti  del
giudizio. 
    Essa,  inoltre,  impedirebbe  artatamente  alla  controparte   la
proposizione di motivi aggiunti in primo grado e  quindi  condurrebbe
alla perdita, da parte di quest'ultima, di un grado di giudizio,  con
chiara compromissione del diritto consacrato nell'art. 24 Cost. 
    Sussisterebbe inoltre la violazione dell'art. 117,  primo  comma,
Cost., in riferimento all'art. 6 della CEDU. 
    2.-  In  via  preliminare,  va  affermata  l'inammissibilita'  di
quest'ultima censura per difetto di motivazione sulla  non  manifesta
infondatezza. 
    Il rimettente si limita ad  affermare  che  dalle  argomentazioni
sviluppate con riferimento agli altri parametri  «discende  altresi',
quasi a mo' di corollario la non manifesta infondatezza della  stessa
questione di costituzionalita' rispetto all'art. 117 co. 1  Cost.  e,
per esso, rispetto ai vincoli derivanti, a tacer d'altro, dall'art. 6
CEDU, che sancisce il diritto ad un processo equo». 
    2.1.- Conclusione analoga nel  senso  dell'inammissibilita'  vale
per la censura basata sulla violazione di «criteri di razionalita'» e
non meglio precisati «principi generali dell'ordinamento». 
    Manca infatti l'indicazione dei parametri costituzionali  violati
e, comunque, qualsiasi argomentazione a supporto della censura. 
    3.- Sempre  in  via  preliminare,  va  esaminata  l'eccezione  di
inammissibilita' per difetto di rilevanza  formulata  dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    Secondo la difesa erariale, una pronuncia di  accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale non  potrebbe  mai  produrre
effetti nel giudizio a quo. E cio' alla luce del principio  elaborato
dalla Cassazione, secondo il quale va  esclusa  l'operativita'  della
preclusione  derivante  dal  nuovo  indirizzo  giurisprudenziale  nei
confronti  della  parte  che  abbia   confidato   nella   consolidata
precedente interpretazione di una norma processuale. 
    3.1.- Il ragionamento pone sullo stesso  piano  il  mutamento  di
orientamento    giurisprudenziale    e     la     declaratoria     di
incostituzionalita'   di   una   norma    e    ne    fa    conseguire
l'irretroattivita' delle pronunce di  incostituzionalita'  aventi  ad
oggetto norme di carattere processuale. Cio' e' in evidente contrasto
con la fisionomia  del  controllo  di  costituzionalita',  risultante
dagli artt. 136 Cost. e 30 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
caratterizzato   dall'efficacia   retroattiva   delle   pronunce   di
legittimita' costituzionale e fisiologicamente destinato ad  incidere
sul giudizio principale. 
    4.- Nel merito, non  e'  fondata  la  censura  di  disparita'  di
trattamento tra le parti  del  giudizio,  sostenuta  sulla  base  del
presunto «sbilanciamento a favore di quella facultata a produrre  per
la prima volta in appello documenti gia' in suo  possesso  nel  grado
anteriore». 
    Sul  punto  e'  sufficiente  rilevare  che   tale   facolta'   e'
riconosciuta  ad  entrambe  le  parti  del  giudizio,  cosicche'  non
sussistono le ragioni del lamentato «sbilanciamento». 
    5.-  Ai  fini  dell'esame  dell'altra   censura,   e'   opportuno
premettere che questa Corte ha piu' volte chiarito che non esiste  un
principio costituzionale di necessaria uniformita' tra i diversi tipi
di processo (ex plurimis sentenze n. 165 e n. 18 del 2000, n. 82  del
1996; ordinanza n.  217  del  2000),  e,  piu'  specificatamente,  un
principio di uniformita' del processo tributario e di  quello  civile
(tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2002, n.  330  e
n. 329 del 2000, n. 8 del 1999). 
    Quanto alla  disciplina  dei  singoli  istituti  processuali,  e'
riconosciuta un'ampia discrezionalita'  del  legislatore  nella  loro
conformazione (ex plurimis, sentenze n. 94 del 2017, n. 121 e  n.  44
del 2016), fermo restando, naturalmente, il  limite  della  manifesta
irragionevolezza di una disciplina che  comporti  un'ingiustificabile
compressione del diritto di agire (sentenze n. 121 e n. 44 del  2016,
n. 335 del 2004). 
    Con particolare riferimento all'art. 24 Cost.,  questa  Corte  ha
costantemente ritenuto che esso non impone l'assoluta uniformita' dei
modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale: cio' che conta e'  che
non vengano imposti oneri tali o  non  vengano  prescritte  modalita'
tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio  del
diritto di difesa o lo  svolgimento  dell'attivita'  processuale  (ex
plurimis, sentenze n. 121 e n. 44 del  2016;  ordinanza  n.  386  del
2004). 
    5.1.-  Ebbene,  nella  specie  non   vi   e'   una   compressione
dell'esercizio del diritto di difesa nei sensi indicati. 
    La previsione che un'attivita' probatoria, rimasta  preclusa  nel
giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non  e'  di
per se' irragionevole, poiche' «il regime delle preclusioni  in  tema
di attivita' probatoria (come la produzione di un documento)  mira  a
scongiurare che i tempi della sua effettuazione  siano  procrastinati
per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilita'
in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore
sulla base di una  scelta  discrezionale,  come  tale  insindacabile»
(ordinanza n. 401 del 2000). 
    5.2.- Non sussiste, infine, la dedotta  violazione  dell'art.  24
Cost.  per  la  perdita  di  un  grado  di   giudizio:   e'   infatti
giurisprudenza pacifica di questa Corte che la  garanzia  del  doppio
grado non gode, di per se', di copertura costituzionale  (ex  multis,
sentenza n. 243 del 2014; ordinanze n. 42 del 2014, n. 190 del  2013,
n. 410 del 2007 e n. 84 del 2003). 
    6.- Le argomentazioni svolte conducono ad una  pronuncia  di  non
fondatezza della questione sollevata.