ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
1, lettera c), e 8, comma 1, lettera a), del decreto  legislativo  31
dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in  materia  di
incandidabilita' e di divieto di  ricoprire  cariche  elettive  e  di
Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non
colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della  legge  6  novembre
2012, n. 190),  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di  Napoli,  nel
procedimento vertente tra C. I. e il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ed altro, con ordinanza del 22 luglio 2016, iscritta  al  n.
21 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  F.  T.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  26  settembre  2017  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    udito l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 luglio 2016, il Tribunale  ordinario  di
Napoli,  prima  sezione  civile,  ha  sollevato  due   questioni   di
legittimita' costituzionale: a) la prima con riferimento all'art.  8,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235
(Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita'  e  di
divieto di ricoprire cariche elettive  e  di  Governo  conseguenti  a
sentenze definitive di condanna per  delitti  non  colposi,  a  norma
dell'articolo 1, comma 63, della legge  6  novembre  2012,  n.  190),
«perche',  in  violazione  degli  artt.   76   e   77   della   Carta
Costituzionale, dispone la sospensione dalla carica  del  consigliere
regionale [...] a seguito di condanna non definitiva cosi'  eccedendo
i limiti della delega conferita dall'art. 1 comma 64 lett.  m)  della
legge 190 del 6.12 [recte: 6 novembre]  2012»;  b)  la  seconda,  con
riferimento all'«art. 7, comma 1, lett. c) Legge 190/12 [recte:  art.
7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n.  235  del  2012]  in  relazione
all'art. 8 comma 1 lett. a) del D.Lgs. 235/12 perche' - in violazione
degli artt. 3,  51,  76  e  77  della  Costituzione  ed  in  evidente
disparita' di trattamento - prevede solo per gli eletti al  Consiglio
regionale la  sospensione  dalla  carica  in  caso  di  condanna  con
sentenza non  definitiva  a  differenza  di  quanto  previsto  per  i
parlamentari per i quali non e' prevista alcuna sospensione». 
    L'art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012 ha ad oggetto la «Sospensione
e decadenza di diritto per incandidabilita' alle cariche regionali» e
statuisce, al comma 1, che «[s]ono sospesi di diritto  dalle  cariche
indicate all'articolo 7, comma 1: a) coloro che hanno  riportato  una
condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo  7,
comma 1, lettere a), b) e c); [...]». 
    L'art. 7 (intitolato «Incandidabilita' alle elezioni  regionali»)
dispone, al  comma  1,  che  «[n]on  possono  essere  candidati  alle
elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire  le  cariche  di
presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale,
amministratore e componente degli organi  comunque  denominati  delle
unita' sanitarie locali: [...] c) coloro che hanno riportato condanna
definitiva  per  i  delitti,  consumati  o  tentati,  previsti  dagli
articoli  314,  316,  316-bis,  316-ter,  317,  318,  319,   319-ter,
319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326,  331,
secondo comma, 334, 346-bis del codice penale». 
    Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso  di
un giudizio promosso - ai sensi dell'art. 22 del decreto  legislativo
1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n.  69)  -  avanti  al  giudice  civile  da  un
consigliere della Regione Campania contro la Presidenza del Consiglio
dei ministri, a seguito del decreto del Presidente del Consiglio  dei
ministri 5 maggio 2016. In tale giudizio sono intervenuti il sig.  F.
T. (nominato consigliere regionale supplente del  ricorrente)  ed  il
pubblico ministero presso il  Tribunale  di  Napoli.  Nel  corso  del
giudizio il ricorrente ha sollecitato un provvedimento  cautelare  ai
sensi dell'art. 700 del codice  di  procedura  civile,  chiedendo  la
sospensione del d.P.C.m. del 5 maggio 2016 e il conseguente reintegro
del  ricorrente  nella  carica  di  consigliere   regionale,   previa
eventuale rimessione alla Corte  costituzionale  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012. 
    Con l'ordinanza di rimessione, che prende in esame sia la domanda
di merito che quella cautelare, il Tribunale di Napoli ha disposto la
sospensione degli effetti  del  d.P.C.m.  del  5  maggio  2016  e  ha
sollevato le questioni sopra indicate. In relazione  alla  rilevanza,
il giudice a quo osserva che «il ricorrente e'  stato  condannato  in
primo grado ad anni sei di reclusione  per  i  reati  previsti  dagli
articoli 110, 81 cpv, 476 cpv, 479, 61 n. 2 e 314 c.p.». 
    1.1.- Quanto alla prima questione, il rimettente ricorda  che  la
legge  delega  prevede,  tra   i   criteri   direttivi,   quello   di
«disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto  dalle
cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna
per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento
della carica» (art. 1, comma 64, lettera m, della  legge  6  novembre
2012,  n.  190,  recante  «Disposizioni  per  la  prevenzione  e   la
repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'  nella   pubblica
amministrazione»): tale norma sarebbe  violata  dal  citato  art.  8,
comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 235 del  2012,  che  contempla  la
sospensione dalla carica in  caso  di  condanna  non  definitiva.  Il
Tribunale di Napoli ricorda la  giurisprudenza  costituzionale  sulla
sindacabilita' del decreto legislativo e sui rapporti tra esso  e  la
legge delega e richiama un'ordinanza della Corte d'appello  di  Bari,
secondo  la  quale  non  si  potrebbe  andare  contro  il  «chiaro  e
inequivoco  dettato»  del  criterio  direttivo,  ne'  questo  sarebbe
«illogico», in quanto  dai  lavori  preparatori  della  legge  delega
emergerebbe che il comma 64, lettera m),  riferisce  «la  sospensione
alle cariche elettive e la  decadenza  a  quelle  non  elettive».  Al
Governo «non era consentito [...] di regolare la fattispecie in  modo
inconfutabilmente creativo, secondo una  logica  diversa,  certamente
condivisibile e piu' aderente allo scopo generale  che  si  intendeva
perseguire, ma ben al  di  la'  del  mandato  conferito  dalla  legge
delega». 
    1.2.- Con la seconda questione il rimettente censura il fatto che
la sospensione dalla  carica  e'  prevista  solo  per  i  consiglieri
regionali,  «mentre   nessuna   sospensione   e'   prevista   per   i
parlamentari». Sarebbero violati gli artt. 3, 51, 76 e  77  Cost.  Il
giudice a quo nega la possibilita' di argomentare, «per sostenere  la
razionalita' della scelta legislativa, che le  cariche  in  questione
sono differenti», in  quanto  non  vi  sarebbe  «ragione  alcuna  per
trattare  piu'  severamente  gli  organi  locali  rispetto  a  quelli
nazionali laddove si consideri che anche gli organi  regionali  hanno
funzioni legislative addirittura  esclusive  in  alcuni  ambiti».  Vi
sarebbe, quindi,  «una  evidente  e  palese,  nonche'  ingiustificata
disparita' di trattamento degli eletti». Ne' sarebbe utile  invocare,
nel senso del rigetto, la sentenza della Corte costituzionale n.  407
del  1992,  che  ha  dichiarato  infondata  analoga   questione   con
riferimento alla legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme  in  materia  di
elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali): il rimettente
dubita della «diretta applicabilita' della sentenza in quanto oggetto
dello scrutinio della Corte era una normativa diversa  da  quella  da
applicare al presente giudizio», e osserva poi «che si trattava di un
giudizio promosso in  via  principale  dalla  Provincia  autonoma  di
Trento  per  cui  il  raffronto  ha  riguardato   principalmente   le
competenze  e  le  prerogative  delle  cariche  elettive  provinciali
rispetto a quelle statali nonche'  il  pericolo  delle  infiltrazioni
della criminalita' organizzata». Ad avviso del giudice  a  quo,  «non
sussiste una piena omogeneita' tra le cariche elettive provinciali  e
quelle  regionali  attesa  la  competenza   legislativa   di   grande
importanza  (e  prevista  dalla  Costituzione)  attribuita  a  queste
ultime». 
    2.- Nel  giudizio  costituzionale  si  e'  costituito,  con  atto
depositato il 7 marzo 2017, l'interveniente nel giudizio a quo, F. T.
La parte privata afferma che le questioni sollevate dal Tribunale  di
Napoli sarebbero «identiche» a quelle  decise  dalla  sentenza  della
Corte costituzionale n. 276 del 2016, che ha dichiarato infondata  la
questione di eccesso di delega relativa  all'art.  8,  comma  1,  del
d.lgs. n. 235 del 2012 e una censura  di  disparita'  di  trattamento
rispetto ai parlamentari, concernente la medesima norma legislativa. 
    2.1.- Davanti alla Corte costituzionale e' poi  intervenuto,  con
atto depositato il 21 marzo 2017, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  tramite  l'Avvocatura   generale   dello   Stato.   Questa
eccepisce, in primo luogo, l'inammissibilita' delle questioni perche'
il giudice a quo non avrebbe indicato in modo preciso la  fattispecie
alla quale le norme censurate andrebbero applicate,  con  conseguente
insufficienza della motivazione sulla rilevanza. 
    Nel  merito,  l'Avvocatura  osserva  che,  dopo  l'ordinanza   di
rimessione, la Corte costituzionale ha pronunciato la sentenza n. 276
del 2016, che ha respinto «questioni di  tenore  testuale  analogo  e
concernenti fattispecie del tutto sovrapponibili a quella in  esame»,
con riferimento all'art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012:  le  questioni
sollevate dal Tribunale di Napoli sarebbero, dunque, inammissibili  o
manifestamente infondate. 
    2.2.-  Il  28  luglio  2017  F.  T.  ha  depositato  una  memoria
integrativa nella quale, oltre a ribadire gli  argomenti  gia'  spesi
nell'atto di costituzione, riferisce che il Tribunale di Napoli,  con
ordinanza del 7 luglio 2017, ha accolto  un  reclamo  proposto  dallo
stesso F. T., revocando la sospensione  del  d.P.C.m.  del  5  maggio
2016, disposta con la  precedente  ordinanza  di  rimessione  del  22
luglio 2016: cio' in quanto la sopravvenuta sentenza n. 276 del  2016
della Corte costituzionale (che, secondo il Tribunale di  Napoli,  ha
respinto questioni identiche a quelle oggetto del presente giudizio),
pur non vincolando la Corte stessa, preluderebbe ad un rigetto  anche
delle questioni sollevate  con  l'ordinanza  del  22  luglio  2016  e
giustificherebbe, dunque, una rivalutazione del requisito  del  fumus
boni juris, nel senso indicato dal reclamante. 
    2.3.- Il 5 settembre 2017 l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha
depositato  una  memoria  integrativa,  nella  quale  ribadisce   gli
argomenti   svolti    nell'atto    di    intervento    e    eccepisce
l'inammissibilita'   della   seconda   questione    (disparita'    di
trattamento) in relazione agli artt. 76 e 77 Cost., la cui violazione
non sarebbe motivata dal rimettente. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Napoli  solleva  due  questioni  di
legittimita' costituzionale: a) la prima con riferimento all'art.  8,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235
(Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita'  e  di
divieto di ricoprire cariche elettive  e  di  Governo  conseguenti  a
sentenze definitive di condanna per  delitti  non  colposi,  a  norma
dell'articolo 1, comma 63, della legge  6  novembre  2012,  n.  190),
«perche',  in  violazione  degli  artt.   76   e   77   della   Carta
Costituzionale, dispone la sospensione dalla carica  del  consigliere
regionale [...] a seguito di condanna non definitiva cosi'  eccedendo
i limiti della delega conferita dall'art. 1 comma 64 lett.  m)  della
Legge n. 190 del 6.12 [recte: 6 novembre] 2012»; b) la  seconda,  con
riferimento all'«art. 7, comma 1, lett. c) Legge 190/12 [recte:  art.
7, comma 1, lettera c), del d.lgs. n.  235  del  2012]  in  relazione
all'art. 8 comma 1 lett. a) del D.Lgs. 235/12 perche' - in violazione
degli artt. 3,  51,  76  e  77  della  Costituzione  ed  in  evidente
disparita' di trattamento - prevede solo per gli eletti al  Consiglio
regionale la  sospensione  dalla  carica  in  caso  di  condanna  con
sentenza non  definitiva  a  differenza  di  quanto  previsto  per  i
parlamentari per i quali non e' prevista alcuna sospensione». 
    L'art. 8, comma 1, del d.lgs.  n.  235  del  2012  statuisce  che
«[s]ono sospesi di diritto dalle  cariche  indicate  all'articolo  7,
comma 1: a) coloro che hanno riportato una  condanna  non  definitiva
per uno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 1, lettere a),  b)
e c) [...]». 
    L'art. 7 (intitolato «Incandidabilita' alle elezioni  regionali»)
dispone, al  comma  1,  che  «[n]on  possono  essere  candidati  alle
elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire  le  cariche  di
presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale,
amministratore e componente degli organi  comunque  denominati  delle
unita' sanitarie locali: [...] c) coloro che hanno riportato condanna
definitiva  per  i  delitti,  consumati  o  tentati,  previsti  dagli
articoli  314,  316,  316-bis,  316-ter,  317,  318,  319,   319-ter,
319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326,  331,
secondo comma, 334, 346-bis del codice penale». 
    2.- In via preliminare, occorre soffermarsi sulle  due  eccezioni
di inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura generale  dello  Stato.
Secondo la difesa erariale, il giudice a quo non avrebbe indicato  in
modo preciso la fattispecie alla quale le norme censurate  andrebbero
applicate: di conseguenza sarebbe insufficiente la motivazione  sulla
rilevanza. 
    Tale  eccezione  risulta  infondata.  Il  rimettente,  oltre   ad
indicare il provvedimento di sospensione dalla carica di consigliere,
impugnato nel giudizio a quo, precisa che  il  consigliere  regionale
sospeso «e' stato condannato in primo grado ad anni sei di reclusione
per i reati previsti dagli artt. 110, 81 cpv, 476 cpv, 479, 61 n. 2 e
314 c.p.». L'art. 314 del codice  penale  punisce  il  peculato,  che
rientra fra i reati menzionati dall'art. 7, comma 1, lettera c),  del
d.lgs. n. 235 del 2012 ai  fini  dell'incandidabilita'  e  -  tramite
rinvio a questa disposizione - dall'art. 8, comma 1, lettera  a),  ai
fini della  sospensione.  L'attestazione  dell'avvenuta  condanna  in
primo  grado  per  peculato   e   il   riferimento   al   conseguente
provvedimento sospensivo costituiscono sufficiente motivazione  della
rilevanza della questione riguardante l'art. 8, comma 1, lettera  a),
del d.lgs. n. 235 del 2012. 
    2.1.-  L'Avvocatura  eccepisce   poi   l'inammissibilita'   della
questione sulla disparita' di trattamento fra consiglieri regionali e
parlamentari  per  difetto  di  motivazione   sulla   non   manifesta
infondatezza, con riferimento specifico  ai  parametri  rappresentati
dagli artt. 76 e 77 della Costituzione. 
    Tale eccezione e' fondata. Il giudice a quo  invoca,  oltre  agli
artt. 3 e 51 Cost.,  gli  artt.  76  e  77  Cost.  ma  poi  argomenta
esclusivamente sull'irragionevolezza della disparita' di  trattamento
fra consiglieri regionali e parlamentari, senza spiegare  le  ragioni
della asserita violazione degli artt. 76 e 77 Cost.  In  relazione  a
tali parametri, la questione va,  quindi,  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
    3.- Nel merito, la prima questione sollevata dal giudice  a  quo,
relativa all'eccesso di delega, e' manifestamente infondata. 
    Il rimettente ricorda che la legge delega prevede, tra i  criteri
direttivi, quello  di  «disciplinare  le  ipotesi  di  sospensione  e
decadenza di diritto dalle cariche di cui al  comma  63  in  caso  di
sentenza definitiva di condanna per delitti  non  colposi  successiva
alla candidatura o all'affidamento della carica» (art. 1,  comma  64,
lettera m, della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni
per  la   prevenzione   e   la   repressione   della   corruzione   e
dell'illegalita'  nella  pubblica  amministrazione»):  questa   norma
sarebbe violata dal citato art. 8, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.
235 del 2012, che contempla la sospensione dalla carica  in  caso  di
condanna non definitiva. 
    Tale questione e' gia' stata scrutinata  da  questa  Corte  nella
sentenza n. 276 del 2016 nel senso della sua  non  fondatezza.  Nella
pronuncia e'  chiarito  che  «il  periodo  che  segue  "decadenza  di
diritto" (cioe', "dalle cariche  di  cui  al  comma  63  in  caso  di
sentenza definitiva di condanna per delitti  non  colposi  successiva
alla candidatura o all'affidamento della carica") si  riferisce  solo
alla decadenza e non alla sospensione».  A  tale  conclusione  questa
Corte  e'  arrivata  attraverso   un'interpretazione   del   criterio
direttivo fondata su argomenti sia testuali  che  logico-sistematici,
mettendo inoltre in evidenza il  carattere  non  univoco  dei  lavori
preparatori invocati dai rimettenti. 
    4.- La seconda questione, con la quale il rimettente ha censurato
una  disparita'  di   trattamento   tra   consiglieri   regionali   e
parlamentari in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., non e' fondata. 
    In primo luogo, occorre precisare  che  l'oggetto  del  sindacato
puo' essere limitato all'art. 8, comma 1, lettera a), del  d.lgs.  n.
235 del 2012. 
    Il Tribunale di Napoli censura l'art. 7,  comma  1,  lettera  c),
della legge n. 190 del  2012,  in  relazione  all'art.  8,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 235 del 2012. Poiche' la prima disposizione
non esiste, e' chiaro che il  rimettente  si  riferisce  all'art.  7,
comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 235 del 2012 (richiamato dall'art.
8, comma 1, lettera a). La censura colpisce  tuttavia  la  previsione
della  sospensione  per  i   consiglieri   regionali   (asseritamente
discriminati rispetto ai parlamentari), per cui nessuna doglianza  e'
riferita all'art. 7, comma 1, lettera c), che elenca i reati ostativi
alla  candidabilita'  alle  elezioni  regionali.  Anche  la   seconda
questione, dunque, come la prima, ha ad oggetto l'art.  8,  comma  1,
lettera a), del d.lgs. n. 235 del 2012. 
    4.1.- Premesso cio', questa Corte deve valutare se la  previsione
della sospensione dalla carica di consigliere regionale, in  caso  di
condanna non definitiva per determinati reati, violi gli artt. 3 e 51
Cost.  per  la  mancanza  di  analoga   previsione   a   carico   dei
parlamentari. 
    Il tema  della  disparita'  di  trattamento  fra  parlamentari  e
consiglieri regionali, con riferimento agli  istituti  in  esame,  e'
stato gia' affrontato da questa Corte, in una prima occasione,  nella
sentenza n. 407 del 1992. In quel  caso,  la  Provincia  autonoma  di
Trento aveva censurato l'art. 15, commi 4-bis e 4-ter, della legge 19
marzo 1990, n.  55  (Nuove  disposizioni  per  la  prevenzione  della
delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di  manifestazione
di pericolosita' sociale), in quanto, nel  prevedere  la  sospensione
nei  soli  confronti  dei  consiglieri  ed  assessori   regionali   e
provinciali e non anche dei titolari  di  analoghe  cariche  statali,
quali i membri del Parlamento e del Governo, avrebbero realizzato  un
irragionevole trattamento differenziato a favore di questi ultimi. La
Provincia di Trento aveva impugnato, per violazione del principio  di
uguaglianza, anche l'art. 15, comma 3, della legge n.  55  del  1990,
come sostituito dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme
in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali),
che  estendeva  le   disposizioni   sull'incandidabilita'   e   sulla
sospensione «a qualsiasi altro  incarico  con  riferimento  al  quale
l'elezione o la  nomina  e'  di  competenza»  degli  organi  politici
regionali, provinciali e comunali, e non anche agli incarichi  per  i
quali l'elezione o la nomina e'  di  competenza  di  organi  statali.
Infine, una censura di disparita' di trattamento  era  stata  rivolta
all'art. 15, commi 4-septies e 4-octies, della stessa legge n. 55 del
1990, riguardanti i  dipendenti  delle  amministrazioni  regionali  e
locali. 
    Questa Corte ha dichiarato tali questioni non fondate, osservando
che «non appare configurabile, sotto il profilo della  disparita'  di
trattamento, un raffronto tra la posizione dei  titolari  di  cariche
elettive nelle regioni e negli enti locali e quella  dei  membri  del
Parlamento  e  del  Governo,  essendo  evidente  il  diverso  livello
istituzionale e funzionale degli organi costituzionali ora citati: ne
consegue che, anche a prescindere dalle finalita' e dalle motivazioni
che hanno ispirato la normativa in esame [...], certamente  non  puo'
ritenersi irragionevole la scelta operata dal legislatore di  dettare
le norme impugnate con esclusivo riferimento ai titolari  di  cariche
elettive non  nazionali».  Quanto  alle  finalita'  della  normativa,
questa Corte ha rilevato che «il legislatore  con  la  disciplina  in
esame   ha   inteso   essenzialmente    contrastare    il    fenomeno
dell'infiltrazione  della  criminalita'   organizzata   nel   tessuto
istituzionale locale e, in generale,  perseguire  l'esclusione  dalle
amministrazioni locali di coloro che per  gravi  motivi  non  possono
ritenersi degni della  fiducia  popolare»,  e  che  «[l]a  scelta  di
intervenire a livello degli enti locali si fonda, come si legge  piu'
volte nei lavori preparatori, su  dati  di  esperienza  oggettivi,  i
quali dimostrano che i fenomeni che si intendono arginare trovano  in
tale ambito le loro principali manifestazioni: tale scelta, pertanto,
non puo' certamente ritenersi viziata da irragionevolezza». 
    Il giudice a  quo  contesta  la  «diretta  applicabilita'»  della
sentenza n. 407 del 1992 al caso di  specie  perche'  essa  aveva  ad
oggetto una «normativa diversa» e perche'  «non  sussiste  una  piena
omogeneita' tra le cariche elettive provinciali  e  quelle  regionali
attesa  la  competenza  legislativa  di   grande   importanza   [...]
attribuita a queste ultime». In realta', la sentenza n. 407 del  1992
si e' pronunciata  su  una  normativa  omogenea  a  quella  contenuta
nell'art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012.  I  consigli  delle  Province
autonome, inoltre, esercitano poteri legislativi dello stesso tipo di
quelli esercitati dai consigli regionali. 
    Questa Corte e' tornata poi ad occuparsi del diverso  trattamento
dei consiglieri regionali  e  dei  parlamentari,  in  relazione  agli
istituti dell'incandidabilita'  e  della  sospensione,  nella  citata
sentenza n. 276 del 2016, successiva all'ordinanza di rimessione. 
    Tale ultima pronuncia - a differenza della gia'  citata  sentenza
n. 407 del 1992 resa sull'art. 15, commi 4-bis e 4-ter,  della  legge
n. 55 del 1990, che ha dichiarato infondata una questione coincidente
con quella qui in esame  -  ha  respinto  una  diversa  questione  di
disparita' di trattamento tra consiglieri regionali  e  parlamentari.
La Corte d'appello di Bari lamentava che l'art. 8, comma  1,  lettera
a), del d.lgs. n. 235 del 2012  determinasse  una  discriminazione  a
danno dei consiglieri regionali,  non  prevedendo  -  ai  fini  della
sospensione dalla carica in  caso  di  condanna  per  uno  dei  reati
previsti - una soglia di pena superiore ai due anni,  come  stabilito
invece  per   i   parlamentari   nazionali   ed   europei   ai   fini
dell'incandidabilita'.  Secondo  il  rimettente,  la  disparita'   di
trattamento quanto alle condizioni di operativita' del  regime  della
sospensione  dalla  carica  non  sarebbe  stata  giustificata   dalla
diversita'  delle  cariche  politiche  regionali  rispetto  a  quelle
nazionali,  apparendo  anzi   irragionevole   che   gli   eletti   in
competizioni regionali (meno importanti) ricevessero  un  trattamento
piu' severo. 
    Questa Corte ha dichiarato la questione non fondata,  richiamando
la sentenza n. 407 del 1992 e aggiungendo le seguenti considerazioni:
«[q]uanto alla tesi secondo la quale sarebbe irragionevole assicurare
un trattamento differenziato a favore dei membri del  Parlamento,  in
quanto titolari delle cariche oggettivamente  piu'  importanti,  essa
non considera che la finalita' di tutela del buon andamento  e  della
legalita' nella pubblica amministrazione perseguita dalla  disciplina
in esame puo' anzi giustificare un trattamento  piu'  severo  per  le
cariche politico-amministrative locali. La commissione di  reati  che
offendono la  pubblica  amministrazione  puo'  infatti  rischiare  di
minarne l'immagine e la credibilita' e  di  inquinarne  l'azione  (ex
plurimis, sentenza n. 236 del 2015) in modo particolarmente  incisivo
al livello degli enti regionali e  locali,  per  la  prossimita'  dei
cittadini al tessuto  istituzionale  locale  e  la  diffusivita'  del
fenomeno in tale ambito. Va sottolineato  in  particolare  che  parte
delle  funzioni  svolte   dai   consiglieri   regionali   ha   natura
amministrativa e che  essa  giustifica  un  trattamento  di  maggiore
severita' nella  valutazione  delle  condanne  per  reati  contro  la
pubblica amministrazione». 
    Questa Corte si e' inoltre soffermata su un argomento  utilizzato
dal Tribunale di Napoli per sollevare  la  questione  qui  in  esame,
osservando che «nemmeno il fatto che i consigli regionali  esercitino
anch'essi funzioni legislative [...] fa venire meno la diversita' del
loro livello istituzionale e funzionale rispetto al Parlamento - sede
esclusiva della rappresentanza politica nazionale, che "imprime  alle
sue funzioni una caratterizzazione tipica ed  infungibile"  (sentenza
n. 106 del 2002) - e della condizione, per molti e  decisivi  aspetti
oggettivamente   differente,   dei   componenti   dei   due    organi
legislativi». 
    Benche', dunque, la questione oggetto della sentenza n.  276  del
2016 riguardasse un profilo specifico (la mancanza di una  soglia  di
pena minima per far scattare la sospensione), l'argomento  utilizzato
in essa per  escludere  l'irragionevolezza  del  diverso  trattamento
riservato  ai  consiglieri  regionali  rispetto  ai  parlamentari  ha
portata  generale  e  puo'  essere  riferito  anche  alla   questione
riguardante la sospensione dalla carica di consigliere  regionale  in
caso di condanna non definitiva per determinati reati. 
    Le considerazioni esposte nelle sentenze n. 407 del 1992 e n. 276
del 2016 devono essere qui ribadite, con la conseguenza che anche  la
seconda questione sollevata dal Tribunale di Napoli va dichiarata non
fondata.