TRIBUNALE DI ASTI 
                           Sezione penale 
 
    Nel procedimento penale n. 946/16 R.G. Trib. a carico  di  Oberto
Nazzareno pronuncia la seguente ordinanza a  seguito  di  decreto  di
citazione Oberto Nazzareno veniva tratto a  giudizio  per  rispondere
dei reato di cui all'art. 10-ter del decreto legislativo  n.  74/2000
per aver omesso, in qualita' di legale rappresentante della  societa'
«O.R.S.  srl  (Operational  Reserch  System)»,  con  sede  in  Piazza
Prunotto Urbano n. 11 ad Alba, di versare nei termini previsti per il
versamento  dell'acconto  IVA  relativo  al  periodo  d'imposta  2013
(ovvero entro il giorno  27  dicembre  2013),  l'imposta  sul  valore
aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per  il
periodo  d'imposta  2012,  per  l'ammontare  complessivo  pari  a   €
317.947,00. 
    In Alba, il 27 dicembre 2013. 
    All'udienza  del  15  dicembre  2016,  prima  dell'apertura   del
dibattimento,  la  difesa  dell'imputato  depositava   documentazione
relativa alla rateizzazione del debito d'imposta e n. 7 quietanze  di
versamento dei ratei ed all'udienza dell'11 aprile 2017 la  quietanza
di versamento dell'ottava rata; i versamenti erano  stati  effettuati
regolarmente nei termini. 
    La scadenza dell'ultima rata (la n. 20) era  fissata  per  il  31
gennaio 2020. 
    Tutto  cio'  premesso,  osserva  il  Tribunale,  in  applicazione
dell'art. 13 del decreto legislativo n. 74/2000 (cosi' come novellato
dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158),  che
il processo non puo' essere rinviato ad una  data  successiva  al  31
gennaio 2020, senza aprire il  dibattimento  e  con  sospensione  del
termine  di  prescrizione,  cosi'  da  consentire   all'imputato   di
completare   il   pagamento   rateale   del   debito   tributario   e
conseguentemente avvalersi della causa di non punibilita'  introdotta
dalla novella legislativa. 
    Al riguardo, va rilevato che: 
        la previsione del comma 3 dell'art. 13 -  per  la  quale  nel
caso in cui il debito tributario e' in fase  di  estinzione  mediante
rateizzazione e' dato un termine di tre mesi  per  il  pagamento  del
debito residuo con facolta' del Giudice di prorogare tale termine una
sola volta per non  oltre  tre  mesi  -  non  e'  coordinata  con  la
normativa  riguardante   il   pagamento   concordato   in   sede   di
rateizzazione  del  debito  d'imposta,  la  quale  non  consente   di
effettuare pagamenti oltre i termini previsti dall'art. 13, comma  3,
decreto legislativo  n.  74/2000  novellato,  nonostante  l'ulteriore
proroga; 
        tale difetto  si  traduce  in  un  irragionevole  trattamento
deteriore per coloro che avevano avuto accesso  a  tale  istituto  di
rateizzazione, sostanzialmente impedendo loro di fruire  della  causa
di non punibilita', con violazione degli articoli 24 e 3 della  Carta
costituzionale. 
    Alla  luce  di  quanto  sopra,  il  Tribunale  ritiene  che  vada
sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 3, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74  -  cosi'  come
sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.
158  -  perche'  tale  norma  viola  gli  articoli  3  e   24   della
Costituzione, nella parte in cui prevede  che  qualora,  prima  della
dichiarazione di apertura del dibattimento, il debito tributario  sia
in fase di estinzione mediante rateizzazione e' dato  un  termine  di
tre mesi per il pagamento del debito residuo,  con  facolta'  per  il
Giudice di «prorogare tale temine una sola volta per  non  oltre  tre
mesi»  e  non  consente,  invece,  almeno  in  determinati  casi,  di
concedere un termine piu' lungo coincidente con lo scadere del  piano
di rateizzazione. 
    In  merito  alla  rilevanza  nel  presente   procedimento   della
prefigurata  questione  di  legittimita'  costituzionale,  la  stessa
emerge da quanto sopra esposto e dai documenti allegati dalla  difesa
dell'imputato. 
    In particolare, il rinvio del processo ad  un'udienza  successiva
al 31  gennaio  2020  consentirebbe  all'imputato  di  completare  il
pagamento rateale del debito tributario e, quindi, di avvalersi della
causa di non punibilita' prevista dall'art. 13. 
    Senonche' tale provvedimento non puo' essere  effettuato  perche'
vi osta la lettera del comma 3, dell'art. 13, decreto legislativo  n.
74/2000, il quale sancisce che, per il  fine  suddetto,  puo'  essere
concesso solo un termine di tre mesi  per  il  pagamento  del  debito
residuo, con facolta' per il Giudice «di prorogare tale  termine  una
sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario». 
    La circostanza che il legislatore abbia indicato espressamente un
primo termine di tre mesi e, soprattutto, abbia sentito la necessita'
di precisare che lo stesso e' prorogabile  una  sola  volta  per  non
oltre tre mesi, rende evidente che non e' consentito  al  Giudice  di
concedere termini piu' lunghi, o di prorogare piu' volte il  termine,
allo specifico fine di completare il  pagamento  rateale  del  debito
tributario. 
    Ragionando diversamente il  dettato  legislativo  sul  punto  non
avrebbe alcun valore. 
    Cio' significa che,  cosi'  come  avanzata,  la  richiesta  della
difesa andrebbe respinta. 
    Tuttavia,  nel   caso   concreto,   la   reiezione   dell'istanza
comporterebbe l'impossibilita'  per  l'imputato  di  usufruire  della
causa di non punibilita', atteso che lo stesso non potrebbe, in  ogni
caso, completare il pagamento del debito tributario  nel  termine  di
tre mesi o in quello eventualmente prorogato per ulteriori  tre  mesi
dovendo attenersi al piano di rateizzazione determinato  dall'Agenzia
delle entrate, con il pagamento a rate da completarsi il  31  gennaio
2020. 
    Ebbene, e' noto che una volta stabilito il piano di rateizzazione
il debitore d'imposta deve attenervisi rispettando la scadenza  delle
rate; se non lo fa, va incontro alla risoluzione della  rateizzazione
con tutte le conseguenze negative del caso. 
    Nel caso di specie, il  piano  di  rateizzazione  concordato  tra
l'Agenzia delle entrate ed il contribuente, viene formulato da  parte
dell'Agenzia delle entrate valutando  la  concreta  possibilita'  del
contribuente di pagare il debito d'imposta, e per il contribuente  di
assolvere con le modalita' ed i tempi stabiliti. 
    Tutto cio' implica che se il contribuente fosse tenuto  a  pagare
tutto l'importo dovuto all'erario  entro  il  termine  di  tre  mesi,
concessogli alla data dell'udienza  ed  ulteriormente  prorogato,  ne
potrebbe derivare l'impossibilita' di assolvere  al  debito,  di  non
godere del  beneficio  accordato  dalla  norma  di  non  punibilita',
nonche' per l'erario di non conseguire il pagamento del dovuto. 
    In  definitiva,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art.  13,  comma  3,  del  decreto  legislativo  n.  74/2000  e'
rilevante  perche',  nel  caso  concreto,  tale  norma,  cosi'   come
modellata, impedisce all'imputato di avvalersi  della  causa  di  non
punibilita' rappresentata dal pagamento del debito  tributario  prima
dell'apertura del dibattimento. 
    Cio' posto in merito alla rilevanza, la questione di legittimita'
costituzionale non e' manifestamente  infondata  con  riferimento  ai
parametri di cui agli articoli 3 e 24 della Costituzione. 
    Come gia' rilevato, il  comma  3,  dell'art.  13,  sancisce  che,
quando il debito  tributario  e'  in  corso  di  estinzione  mediante
rateizzazione al fine di consentire all'imputato di pagare il  debito
tributario residuo  e,  quindi,  di  usufruire  della  causa  di  non
punibilita' prevista dal comma 1  -  puo'  essere  concesso  solo  un
termine di tre mesi, con facolta' per il Giudice «di  prorogare  tale
termine una sola volta per non oltre tre  mesi,  qualora  lo  ritenga
necessario». 
    Ora, come evidenziato  dai  commenti  dottrinali,  la  disciplina
appare di per se' irragionevole se si tiene conto del fatto  che,  al
ricorrere  di  determinate  condizioni,  le  procedure  di   adesione
consentono  una   rateizzazione   anche   quadriennale   del   debito
tributario, ma che, non di  rado,  i  termini  di  dilazione  possono
raggiungere anche i dieci anni nei confronti dei concessionari  della
riscossione; ed e' allora  chiaro  come  il  termine  semestrale  non
rappresenti   una   grande   agevolazione   per   il    contribuente,
sostanzialmente obbligato a rinunciare a  quei  termini  dilatati  di
pagamento  che  la  disciplina  tributaria  gli  avrebbe   altrimenti
assicurato. 
    Cio', d'altro canto, e' pure in parziale contrasto con  la  ratio
della causa di non punibilita' - limitata  alla  fattispecie  di  cui
agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater comma 1 - che, come si legge
nella relazione illustrativa, trova «la sua giustificazione  politico
criminale nella scelta di concedere al contribuente  la  possibilita'
di eliminare la rilevanza penale della  propria  condotta  attraverso
una piena soddisfazione dell'erario prima  del  processo  penale:  in
questi casi, infatti, il contribuente ha  correttamente  indicato  il
proprio debito risultando  in  seguito  inadempiente;  il  successivo
adempimento, per non spontaneo, rende  sufficiente  il  ricorso  alle
sanzioni amministrative». 
    Ma oltre che logicamente irragionevole, la suddetta disciplina e'
anche  giuridicamente  irragionevole  -  con  conseguente  violazione
dell'art. 3 della Costituzione - perche', fa  dipendere  la  concreta
possibilita' di accedere alla causa di non punibilita'  da  variabili
che non dipendono dall'imputato. 
    Cosi', per esempio, dalla «velocita'» con la quale e'  esercitata
l'azione penale: se l'azione penale e' esercitata  «con  ritardo»  il
reo avra' piu' tempo per pagare le rate del piano di rateizzazione e,
quindi, ben puo' essere che all'udienza fissata  per  l'apertura  del
dibattimento il termine massimo di sei mesi  gli  sia  bastevole  per
completare il pagamento rateale, senza essere costretto a  rinunciare
alla dilazione per usufruire  della  causa  di  non  punibilita';  se
invece l'azione penale fosse esercitata con particolare rapidita'  il
reo - senza ragione - avrebbe un sostanziale  trattamento  deteriore,
dal  momento  che  avrebbe  avuto  minor  tempo  per  «sfruttare   la
rateizzazione» ed il  termine  di  sei  mesi  potrebbe  non  essergli
sufficiente per completare  i  ratei,  con  la  conseguenza  che  per
avvantaggiarsi della causa di non punibilita'  dovrebbe  forzatamente
rinunciare alla dilazione tributaria e pagare entro sei mesi,  ed  in
un sol colpo, tutto il residuo debito fiscale. 
    In secondo luogo, ed e' cio' che piu' conta nel giudizio  a  quo,
la norma e' irragionevole perche' tratta, senza  giustificazione,  in
modo non uguale chi,  ammesso  al  pagamento  rateizzato  del  debito
tributario, ha  la  possibilita'  di  scegliere  di  rinunciare  alla
rateizzazione e di adempiere il residuo debito entro  il  termine  di
tre mesi fissato dal Giudice (eventualmente prorogato  di  altri  tre
mesi), cosi' andando esente dalla sanzione penale, e chi non ha  tale
facolta' perche' il piano di rateizzazione rientra nell'alveo di  una
situazione finanziaria comportante la necessita' di rispettare quanto
previsto nel piano di rateizzazione. 
    In definitiva, quindi, chi - come l'imputato -  ha  in  corso  il
pagamento rateizzato del  debito  tributario  secondo  un  piano  che
rientra negli  interessi  sia  dell'Agenzia  delle  entrate  sia  del
contribuente, e che prevede  delle  scadenze  di  pagamento  che,  al
momento dell'istanza di rinvio  proposta  al  Giudice  penale,  vanno
oltre il temine massimo di sei mesi che il Giudice e'  autorizzato  a
concedergli ex art. 13, comma 3, del decreto legislativo n.  74/2000,
e' obbligato  a  scegliere  di  rinunciare  ai  termini  dilatati  di
pagamento e di pagare il residuo debito  tributario  ed  e'  privato,
quindi, anche della possibilita' di  usufruire  della  causa  di  non
punibilita'. 
    Ne consegue che la disciplina legislativa in  questione  -  oltre
che violare l'art. 3 della Costituzione perche', come  gia'  esposto,
tratta in modo uguale chi e' in situazioni differenti -  viola  anche
l'art.  24  della  Costituzione  perche'  impedisce,  senza   ragione
plausibile, all'imputato di avvalersi di un'opzione difensiva che gli
consentirebbe di andare esente da responsabilita'  penale  attraverso
quella causa di esclusione di punibilita'  costituita  dal  pagamento
dell'intero debito tributario prima della dichiarazione  di  apertura
del dibattimento.