LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda sezione penale composta da: Ugo De Crescienzo, Presidente; Andrea Pellegrino; Ignazio Pardo; Fabio Di Pisa; Sandra Recchione - estensore. Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: S.C. nato il ... a ... avverso la sentenza del 22 febbraio 2017 della Corte d'appello di Bari; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal Consigliere Sandra Recchione; Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore F. Marinelli che ha concluso per l'inammissibilita'. Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bari confermava la responsabilita' del S. per i reati di cui agli articoli 628, comma 2 codice penale e 75 comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. All'imputato era stato contestato il reato previsto dall'art. 75, comma 2 del decreto legislativo 159 del 2011 «perche' nelle stesse circostanze di tempo e di luogo sub. a), pur sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel Comune di Bitonto per la durata di mesi 10 e giorni 11 in virtu' del provvedimento del Tribunale di Bari - sezione Misure di prevenzione n. 216/2011 R.G.M.P. (gia' 209/2010 R.G.M.P.) del 14 dicembre 2011, emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari (verbale di risottoposizione alla medesima misura di prevenzione della Sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno del 10 febbraio 2016), violava le prescrizioni di cui al punto 4 («vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato e non dare ragione alcuna di sospetto in ordine alla propria condotta») quando commetteva il delitto sub. a) [rapina aggravata] indicato in Bari il 1° giugno 2016». Per tale delitto veniva inflitto un aumento di pena, in continuazione con la sanzione relativa al reato di rapina, di anno uno, mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputato, che deduceva vizio di legge e di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio e, segnatamente, in ordine al giudizio di bilanciamento tra le circostanze ed alla individuazione della pena base. Considerato in diritto 1. Il collegio ritiene di sollevare d'ufficio la seguente questione di costituzionalita': se l'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui sanziona penalmente l'obbligo di «vivere onestamente e di rispettare le leggi», sia compatibile con gli articoli 25 e 117 della Carta fondamentale, letto questo secondo articolo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali ed all'art. 2 del Protocollo n. 4 della stessa Convenzione, interpretati alla luce della ratio decidendi espressa dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande camera, De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017. 2. Per inquadrare il problema di costituzionalita' rilevato, e' necessario richiamare alcune sentenze delle «Alte Corti» (Corte costituzionale, Corte Edu e Cassazione a sezioni unite) che si sono espresse sulla determinatezza e prevedibilita' della legge che le disciplina. 2.1. Segnatamente, si ritengono rilevanti le seguenti decisioni: la sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 2010: in tale decisione e' stata vagliata la rispondenza al principio di legalita' della fattispecie prevista dall'art. 9 secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (riprodotta integralmente, con la sola esclusione dell'obbligo di «non dare ragioni di sospetto, nell'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011 attualmente vigente e contestato al S.). In tale occasione il Giudice delle leggi ha ritenuto non fondata la questione ed ha affermato che «la prescrizione di «vivere onestamente», se valutata in modo isolato, appare di per se' generica e suscettibile di assumere una molteplicita' di significati, quindi non qualificabile come uno specifico obbligo penalmente sanzionato. Tuttavia, se essa e' collocata nel contesto di tutte le altre prescrizioni previste dall'art. 5 della legge n. 1423 del 1956 e successive modificazioni e se si considera che e' elemento di una fattispecie integrante un reato proprio, il quale puo' essere commesso soltanto da un soggetto gia' sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, la prescrizione assume un contenuto piu' preciso, risolvendosi nel dovere imposto a quel soggetto di adeguare la propria condotta ad un sistema di vita conforme al complesso delle suddette prescrizioni, tramite le quali il dettato di «vivere onestamente» si concreta e si individualizza. Quanto alla prescrizione di rispettare le leggi», essa non e' indeterminata ma si riferisce al dovere, imposto al prevenuto, di rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano cioe' di tenere o non tenere una certa condotta; non soltanto le norme penali, dunque, ma qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della gia' accertata pericolosita' sociale. Ne' vale addurre che questo e' un obbligo generale, riguardante tutta la collettivita', perche' il carattere generale dell'obbligo, da un lato, non ne rende generico il contenuto e, dall'altro, conferma la sottolineata esigenza di prescriverne il rispetto a persone nei cui confronti e' stato formulato, con le garanzie proprie della giurisdizione, il suddetto giudizio di grave pericolosita' sociale. la sentenza emessa il 23 febbraio 2017 dalla Grande camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso De Tommaso v. Italia: la Corte europea ha valutato la compatibilita' con la Convenzione della legge n. 1423 del 1956 (come si e' detto, in gran parte riprodotta nel decreto legislativo n. 159 del 2011), rilevando un difetto di tassativita' della legge italiana che disciplina le misure di prevenzione personali sia nella descrizione dei presupposti applicativi, che nella indicazione dei contenuti prescrittivi. Quanto ai presupposti applicativi i giudici di Strasburgo hanno affermato che «nonostante il fatto che la Corte costituzionale sia intervenuta in diverse occasioni per chiarire i criteri da utilizzare per valutare se le misure di prevenzione fossero necessarie, l'applicazione di tali misure resta legata a un'analisi prospettica da parte dei tribunali nazionali, dato che ne' la legge ne' la Corte costituzionale hanno individuato chiaramente le «prove fattuali» o le specifiche tipologie di comportamento di cui si deve tener conto al fine di valutare il pericolo che la persona rappresenta per la societa' e che puo' dar luogo a misure di prevenzione» (§ 117). La Corte ha ritenuto pertanto che la legge in questione non contenga «disposizioni sufficientemente dettagliate sui tipi di comportamento che dovevano essere considerati costituire un pericolo per la societa'» (§ 117). Con riferimento ai contenuti prescrittivi (che rilevano nel caso in esame) i giudici di Strasburgo hanno che «l'interpretazione da parte della Corte costituzionale nel 2010 non ha risolto il problema dell'imprevedibilita' delle misure di prevenzione» in quanto ai sensi dell'art. 5 comma 1 della legge in questione, il tribunale poteva applicare «qualsiasi misura ritenesse necessaria - senza specificarne il contenuto - in considerazione delle esigenze di tutelare la societa'» (§ 121). Con riguardo alla tassativita' delle prescrizioni i giudici europei hanno affermato: «la Corte non ritiene che gli obblighi di «vivere onestamente e rispettare le leggi» e di «non dare ragione alcuna ai sospetti» siano stati delimitati in modo sufficiente dall'interpretazione della Corte costituzionale, per i seguenti motivi. In primo luogo, il «dovere dell'interessato di adattare la propria condotta a uno stile di vita che osservi tutti i summenzionati obblighi» e' altrettanto indeterminato dell'«obbligo di vivere onestamente e rispettare le leggi», in quanto la Corte costituzionale rinvia semplicemente all'art. 5 stesso. Secondo la Corte tale interpretazione non fornisce indicazioni sufficienti per le persone interessate. In secondo luogo il «dovere della persona interessata di rispettare tutte le regole prescrittive che le chiedono di comportarsi, o di non comportarsi, in un particolare modo; non solo le leggi penali, quindi, ma le disposizioni la cui inosservanza sarebbe un ulteriore indizio del pericolo per la societa' che e' gia' stato accertato» e' un riferimento a tempo indeterminato per l'intero ordinamento giuridico italiano, e non fornisce ulteriori chiarimenti sulle specifiche norme la cui inosservanza rappresenterebbe un ulteriore indizio del pericolo rappresentato dalla persona per la societa'. La Corte ritiene pertanto che questa parte della legge non sia stata formulata in modo sufficientemente dettagliato e non definisca con sufficiente chiarezza il contenuto delle misure di prevenzione che potrebbero essere applicate a una persona, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale» (§ 122). la sentenza pronunciata 27 aprile 2017 dalle Sezioni unite della Cassazione, nel caso Paterno': la Corte, nella sua composizione piu' autorevole, e' stata chiamata a valutare se la norma incriminatrice di cui all'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011, che punisce la condotta di chi violi gli obblighi e le prescrizioni imposti con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo cit., abbia ad oggetto anche la violazione delle prescrizioni di' «vivere onestamente» e «rispettare le leggi». A tale quesito la Corte ha risposto affermando che l'inosservanza di tali prescrizioni da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall'art. 75, comma secondo, decreto legislativo n. 159 del 2011, il cui contenuto precettivo e' integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche; la predetta inosservanza puo', tuttavia, rilevare ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione (Cass. sez. un, n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno', Rv. 270496). Il percorso argomentativo posto a sostegno di tale decisione, che supera espressamente le conclusioni cui era giunta la Corte costituzionale con la sentenza n. 282 del 2010, si fonda sulla valorizzazione della ratio decidendi espressa dalla Corte di Strasburgo nella sentenza De Tommaso v. Italia. Le Sezioni Unite hanno infatti affermato che «solo una lettura «tassativizzante» e tipizzante della fattispecie puo' rendere coerenza costituzionale e convenzionale alla norma incriminatrice di cui all'art. 75, comma 2, decreto legislativo n. 159 del 2011, che inevitabilmente comporta il superamento di una giurisprudenza di legittimita' che, fino ad oggi, non mostra di essersi confrontata adeguatamente con tali problematiche». La Corte ha poi deciso che «il richiamo» agli obblighi e alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno» puo' essere riferito soltanto a quegli obblighi e a quelle prescrizioni che hanno un contenuto determinato e specifico, a cui poter attribuire valore precettivo. Tali caratteri difettano alle prescrizioni del «vivere onestamente» e del «rispettare le leggi». Invero, e' dubbio che possano considerarsi vere e proprie prescrizioni, al pari di quelle menzionate nella stessa disposizione di cui all'art. 8 decreto legislativo n. 159 del 2011, dal momento che non impongono comportamenti specifici, ma contengono un mero ammonimento «morale», la cui genericita' e indeterminatezza dimostra l'assoluta inidoneita' ad integrare il nucleo di una norma penale incriminatrice» (§ 9, Cassazione sez. un, n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno', Rv. 270496). Il difetto di tassativita' e' stato specificamente individuato: «cio' che difetta e' soprattutto la conoscibilita' da parte del destinatario delle specifiche condotte la cui inosservanza puo' determinare la responsabilita' penale. E non e' un caso che la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia stigmatizzato proprio l'imprevedibilita' causata dal generico riferimento al rispetto di tutte le leggi e delle disposizioni la cui inosservanza sarebbe sintomatico indizio del pericolo per la societa' (sentenza De Tommaso c. Italia)». Il Supremo collegio ha anche affermato che «le norme penali sono norme precettive, in quanto funzionali ad influire sul comportamento dei destinatari, ma tale carattere difetta alle prescrizioni di «vivere onestamente e di rispettare le leggi», perche' il loro contenuto, amplissimo e indefinito, non e' in grado di orientare il comportamento sociale richiesto. L'indeterminatezza delle due prescrizioni in esame e' tale che impedisce la stessa conoscibilita' del precetto in primo luogo da parte del destinatario e poi da parte del giudice» (§ 9 Cassazione sez. un. n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno'). 2.2. Dal serrato confronto tra le Alte corti che si e' passato in rassegna emerge la rilevazione di un serio difetto di tassativita' degli obblighi di «rispettare le leggi e vivere onestamente», che si riverbera sulla prevedibilita' della legge ed un esplicito superamento delle conclusioni cui era giunta la Corte costituzionale con la sentenza n. 282 del 2010. Riconoscendo la capacita' conformativa del diritto convenzionale espresso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza De Tommaso e la sua capacita' di incidere sulla tenuta delle conclusioni cui era giunta la Corte costituzionale, le Sezioni unite si sono orientate ad effettuare una interpretazione adeguatrice che si risolve, di fatto, in una abrogazione giurisprudenziale del reato previsto dall'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. 3. Al fine di chiarire la ragione per cui il collegio ritiene necessario aprire l'incidente di' costituzionalita', si rimarca che l'interpretazione abolitiva proposta dalle Sezioni Unite non consente l'incisione del giudicato. 3.1. Le Sezioni unite hanno infatti valutato un caso in cui il ricorso era ammissibile, sicche' non era in predicato la revisione del giudicato (§ 13, Cassazione sez. un. n. 40076 del 27 aprile 2017, Paterno'). Diversamente, nel caso in esame, il ricorso non supera il vaglio di ammissibilita': il S proponeva, infatti, doglianze generiche nel confronti del trattamento sanzionatorio e non impugnava l'accertamento di responsabilita' relativo all'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. In materia si richiama la consolidata e condivisa giurisprudenza secondo cui e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30 settembre 2013, dep. 2014, Rv. 259142). Invero il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della valutazione di uno (o piu') dei criteri indicati nell'art. 133 codice penale, assolve all'obbligo della motivazione dato che la valutazione in ordine alla definizione dei trattamento sanzionatorio rientra nella sua discrezionalita' e non postula un'analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass. sez. 2, sentenza n. 12749 del 19 marzo 2008, Rv. 239754; Cassazione sez. 4, sentenza n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 1989, Rv 180075). Alla rilevata inammissibilita' del ricorso consegue, ineluttabilmente, il passaggio in giudicato della condanna: la sentenza invalidamente impugnata diventa infatti intangibile sin dal momento in cui si concretizza la causa di inammissibilita', che va apprezzata in un'ottica «sostanzialistica» della dinamica impugnatoria e delle relative conseguenze sul piano delle preclusioni processuali (giudicato sostanziale). La declaratoria d'inammissibilita' della Cassazione, ove intervenga, ha dunque carattere meramente ricognitivo di una situazione gia' esistente (cosi' Cassazione sez. un., n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818). 3.2. La valutazione in ordine alla inammissibilita' del ricorso non esaurisce, tuttavia, gli oneri valutativi gravanti sulla Corte di legittimita', che, tranne nei casi di ricorso tardivo, ha l'obbligo di rilevare d'ufficio l'eventuale abolitio criminis, (Cass. sez. 5, n. 27820 del 19 aprile 2017, Ciarla, Rv. 270453; Cassazione sez. 5, n. 40282 del 14 aprile 2016, Montemurno, Rv. 268204). Secondo l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite «i casi di abolitio criminis e dichiarazione di incostituzionalita' della norma incriminatrice, determinando la revoca della sentenza di condanna da parte del giudice dell'esecuzione ex art. 673 codice di procedura penale, ben possono essere rilevati, pur in presenza di un ricorso inammissibile, dal giudice della cognizione, che si limita ad anticipare, per ragioni di economia processuale, gli esiti obbligati della fase esecutiva; l'eventuale declaratoria d'inammissibilita', infatti, avrebbe vita effimera e non impedirebbe il successivo intervento derogatorio in executivis» (Cass. sez. un, n. 12602 del 17 dicembre 2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818). La giurisprudenza della Cassazione ha peraltro individuato in capo al giudice di legittimita' un pervasivo onere di controllo della «legalita' del giudicato» che non si limita alla verifica della perdurante esistenza della fattispecie astratta cui si riferisce la condanna, ovvero alla valutazione della sopravvenienza. di eventi aboliti della fattispecie incriminatrice, ma si estende anche al vaglio della coerenza del trattamento sanzionatorio (in corso di esecuzione) con i parametri di legalita' «alta» (costituzionale o convenzionale) eventualmente ridefiniti dopo la formazione del giudicato (Cass. sez. un. n. 18821 del 24 ottobre 2013 - dep. 07 maggio 2014, Ercolano, Rv. 258649; Cassazione sez. un, n. 42858 del 29 maggio 2014, pubblico ministero in proc. Gatto, Rv. 260697). Si e' deciso, tra l'altro, che nel giudizio di cessazione l'illegalita' della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalita' di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio e' rilevabile d'ufficio anche in caso di inammissibilita' del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo (la dichiarazione di incostituzionalita', intervenuta con la sentenza n. 33 del 2014, riguardava il trattamento sanzionatorio introdotto per le cosiddette «droghe leggere» dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49: Cassazione sez. un. n. 33040 del 26 febbraio 2015, Jazouli, Rv. 264207). L'intervento sul giudicato in presenza di ricorso inammissibile e' stato esteso anche ai casi di sopravvenienze legislative che incidano in modo favorevole sul trattamento sanzionatorio: anche in questo caso il riallineamento ai nuovi parametri puo' essere effettuato dalla Cassazione d'ufficio disponendo, ai sensi dell'art. 609 codice di procedura penale, l'annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative «in melius» (Cass. sez. un. n. 46653 del 26 giugno 2015, Della Fazia, Rv. 265111). 3.3. Pertanto: anche in presenza di un preliminare vaglio di inammissibilita' del ricorso il giudizio innanzi alla Cassazione non puo' dirsi, quindi, «concluso», dato che incombe sul giudice di legittimita' un penetrante onere di controllo della «legalita' del giudicato». Nel caso di specie l'adempimento di tale onere impone la verifica della perdurante esistenza del reato previsto dall'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011: si tratta - si ripete - di una valutazione d'ufficio necessaria ed «ulteriore» rispetto alla valutazione di inammissibilita' dell'impugnazione, che consente di ritenere non definito il giudizio, nonostante la preliminare valutazione della manifesta infondatezza delle questioni devolute. 3.4. In punto di valutazione della attuale vigenza della fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 75, comma 2 decreto legislativo n. 159 del 2011 si rileva che l'adeguamento alla (pur condivisa) interpretazione abolitiva offerta dalla sentenza Paterno' non legittima alcun intervento sul giudicato e, dunque, non consente al collegio di effettuare il doveroso controllo di legalita' sul giudicato. La forza regolatrice delle sentenze delle Sezioni Unite incontra, infatti, un limite quando l'interpretazione si risolve nella abrogazione della fattispecie criminosa, dato che tale operazione ermeneutica non puo' essere assimilato ad un evento abolitivo di matrice legislativa o costituzionale e non consente l'incisione dei giudicato. Sul punto la Corte costituzionale ha affermato che «al fine di porre nel nulla cio' che, di per se', dovrebbe rimanere intangibile - il giudicato, appunto - il legislatore esige, non irragionevolmente, una vicenda modificativa che determini la caduta della rilevanza penale di una determinata condotta con connotati di generale vincolativita' e di intrinseca stabilita'»; connotati che non vengono riconosciuti alla giurisprudenza delle Sezioni unite in quanto «vi si oppone anche, e prima ancora - in uno alla gia' piu' volte evocata riserva di legge in materia penale, di cui allo stesso art. 25, secondo comma, Cost. - il principio di separazione dei poteri, specificamente riflesso nel precetto (art. 101, secondo comma, Cost.) che vuole il giudice soggetto (soltanto) alla legge» (Corte cost. n. 230 del 2011, § 11). Tale inidoneita' delle sentenze della Cassazione a costituire «fonte del diritto» sopravvive anche nell'attuale panorama normativo, dato che la speciale vincolativita' assegnata ai principi espressi dalle Sezioni unite dall'art. 618, comma 1-bis codice di procedura penale e' funzionale a stabilizzare l'interpretazione, introducendo anche nel nostro ordinamento una sorta di «vincolo del precedente», ma non assegna al massimo organo della Cassazione alcun ruolo normativo. 3.5. Deve pertanto essere ribadita l'impossibilita' di rilevare l'abolizione del reato previsto dall'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011 facendo (esclusivo) riferimento alla interpretazione abrogatrice offerta dalle Sezioni unite nella sentenza Paterno'. 4. Invero - ed e' questo il punto - la abrogazione interpretativa effettuata dalle Sezioni unite altro non e' che la validazione di un evento abolitivo che trova la sua matrice nel diritto convenzionale e, segnatamente, nella sentenza di Grande camera De Tommaso v. Italia. 4.1. Se si individua la fonte della abolitio nella Convenzione Edu nella dimensione interpretativa offerta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, non resta al giudice comune che percorrere il percorso metodologico tracciato dalla Corte costituzionale per risolvere i difetti di compatibilita' tra il diritto interno e quello europeo di matrice convenzionale. Con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 il Giudice delle Leggi ha chiarito che la Convenzione europea dei diritti umani come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo assurge a fonte del diritto interno di rango sovralegislativo, ma subcostituzionale: il giudice comune e' tenuto ad interpretare la legislazione interna in modo «conforme» alla ratio decidendi del giudice convenzionale, facendo ricorso ad ogni strumento ermeneutico disponibile; l'incidente di legittimita' costituzionale e' indicato come strumento residuale da utilizzare quando e' impraticabile la torsione interpretativa delle norme legislative poiche' il confronto con le indicazioni convenzionali evidenzia fratture inemendabili per via interpretativa. Competera', inoltre, al Giudice delle leggi, ove accerti il denunciato contrasto tra norma interna e norma della C.E.D.U., non risolvibile in via interpretativa, verificare se la seconda, che si colloca pur sempre ad un livello subcostituzionale, si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Carta fondamentale, ipotesi questa che condurra' ad escludere l'idoneita' della norma convenzionale a integrare il parametro costituzionale considerato (tra le altre: Corte costituzionale n. 68 del 2017, 303 e n. 113 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 del 2009, n. 3419 e n. 348 del 2007). 4.2. Il ruolo della «norma» convenzionale nel sistema interno delle fonti e' stato chiarito, ed in qualche modo ridimensionato, dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 49 del 2015. In tale sentenza se' e' affermato che l'obbligo dell'interpretazione adeguatrice incombe sul giudice solo in presenza di una interpretazione consolidata o di una sentenza pilota: «solo un «diritto consolidato», generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno e' tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo [..]. La nozione stessa di giurisprudenza consolidata trova riconoscimento nell'art. 28 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, a riprova che, anche nell'ambito di quest'ultima, si ammette che lo spessore di persuasivita' delle pronunce sia soggetto a sfumature di grado, fino a quando non emerga un «well-established case-law» che «normally means case-law which has been consistenti), applied by a Chamber», salvo caso eccezionale su questione di principio, «particularly when the Grand Chamber has rendered it» (Corte cost. n. 49 del 2015). I giudici costituzionali hanno anche indicato gli indici idonei ad orientare il giudice nazionale nei suo percorso di discernimento ovvero «la creativita' del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l'avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell'ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano. Quando tutti, o alcuni di questi indizi si manifestano, secondo un giudizio che non puo' prescindere dalle peculiarita' di ogni singola vicenda, non vi e' alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per decidere una peculiare controversia, sempre che non si tratti di una «sentenza pilota» in senso stretto» (Corte cost. n. 49 del 2015). Dunque: non ogni sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo genera l'obbligo di interpretazione adeguatrice, ma solo quelle che siano espressione di un diritto consolidato, che offra una ratio decidendi del diritto scrutinato non frutto di una elaborazione episodica, ma di un percorso interpretativo sedimentato e condiviso, se non addirittura avallato dall'Intervento di una pronuncia di Grande camera. 4.3. Seguendo il metodo indicato, il confronto tra il diritto interno (nel caso di specie individuato nell'art. 75 comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011) con il diritto convenzionale espresso dalla sentenza De Tommaso deve passare attraverso le seguenti tappe: a) la verifica della natura consolidata del diritto europeo in ipotetico contrasto con quello interno; b) la valutazione della possibile composizione del contrasto attraverso l'interpretazione adeguatrice; c) l'apertura dell'incidente di costituzionalita', ove il contrasto non sia risolvibile per via interpretativa. 5. In via preliminare deve essere valutato se alla ratio decidendi espressa dalla sentenza De Tommaso possa essere riconosciuta la qualita' di «diritto consolidato». 5.1. Sul punto il collegio ritiene di non discostarsi dalla scelta ermeneutica effettuata dalle Sezioni unite nel caso Paterno': nell'effettuare l'interpretazione abolitiva dell'art. 75, comma 2 del decreto legislativo 159 del 2011 la Corte ha, seppur implicitamente, riconosciuto alla sentenza De Tommaso la natura di «diritto consolidato» e la conseguente capacita' di attivare in capo al giudice comune l'onere conformativo. A favore di tale scelta milita l'autorevolezza dell'organo decidente: secondo la prassi che governa il funzionamento della Corte di Strasburgo le sentenze di Grande camera vincolano le sezioni semplici e sono reversibili solo attraverso un nuovo intervento del massimo organo di interpretazione del diritto convenzionale (come conferma, a titolo esemplificativo, l'overrulling sulla retroattivita' ante giudicato della lex mitior sopravvenuta, deciso dalla Grande camera nel caso Scoppola v. Italia). 5.2. Tuttavia deve essere rimarcato, che in ambiente nazionale il fatto che l'interpretazione del diritto convenzionale provenga dalla Grande camera non e' l'unico indice per valutarne la capacita' conformativa. Secondo la Corte ostano al riconoscimento della stabilita' del diritto: a) la «creativita'» del principio affermato, gli eventuali punti di distinguo, o di contrasto con altre pronunce della Corte europea; b) la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se articolate; c) il mancato apprezzamento di tratti peculiari dell'ordinamento nazionale; d) ed anche (ma non solo) la circostanza che l'interpretazione provenga da una sezione semplice e non abbia ricevuto l'avallo della Grande camera (Corte cost. n. 49 del 2015). Si tratta di indicatori che, all'apparenza sono sullo stesso piano, senza che sia possibile riconoscere tra gli stessi alcuna gerarchia o prevalenza, ed il cui scrutinio e' rimesso all'apprezzamento ampiamente discrezionale, del giudice comune. 5.3. Per effettuare una avvertita analisi della stabilita' del diritto convenzionale che aspira ad avere efficacia conformativa occorre dunque esaminare tutti i parametri indicati. In primo luogo: nel caso di specie non si rinviene alcun profilo di «creativita'» del diritto espresso dalla sentenza De Tommaso; la «qualita'» della legge in materia di misure di prevenzione non era stata mai specificamente valutata dalla Corte europea, sicche' non puo' dirsi che la sentenza rappresenti una imprevedibile frattura rispetto ad una pregressa interpretazione consolidata, ma solo un autorevole novum (§ 114 della sentenza De Tommaso). Il collegio non ignora che in una delle opinioni dissenzienti (quella a firma dei giudici Raimondi, Villiger, Šikuta, Keller e Kjølbro) si osserva che prima di esaminare il caso De Tommaso la Corte europea non aveva mai rinvenuto carenze in termini di prevedibilita' e, piu' in generale, di qualita' della legge italiana: si tratta, tuttavia, di una affermazione che non tiene conto del fatto che nella precedente giurisprudenza della Corte europea il difetto di prevedibilita' non veniva rilevato perche' non espressamente esaminato. Le precedenti pronunce si erano infatti limitate a rilevare l'esistenza della (innegabile) «base legale» della misura, senza approfondire la questione della qualita' del relativo tessuto normativo. Cosi', ad esempio, nel caso Monno contro Italia (Corte Eur. dei dir. dell'uomo, 8 ottobre 2013), la Corte ha chiarito che la misura personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno non comporta una violazione dell'art. 5, c. 1, che tutela la liberta' fisica della persona, ma si tratta di una mera restrizione della liberta' di circolazione, disciplinata dall'art. 2 del Protocollo n. 4, che deve essere prescritta dalla legge, perseguire uno scopo legittimo ai sensi del comma 3 dello stesso art. 2 Prot. n. 4, e perseguire un corretto bilanciamento tra il pubblico interesse e i diritti degli individui (contra in relazione alla particolare misura imposta la sentenza emessa nel caso Guzzardi contro Italia, 6 novembre 1980). Non risultano in termini neanche le sentenze Raimondo contro Italia (22 febbraio 1994), Labita C. Italia (Grande camera 6 aprile 2000), Vito Sante Sentono contro Italia (1° luglio 2004) e Villa contro Italia (20 aprile 2010): anche in questi casi la Corte si limita all'apprezzamento dell'esistenza di una base legale, senza approfondire il tema della qualita' della legge. In secondo luogo: non puo' ritenersi che il diritto interno non sia stato apprezzato nelle sue peculiarita', dato che la sentenza De Tommaso si rivolge proprio nei confronti dello Stato italiano, sicche' non patisce i fisiologici difetti di compatibilita' con il diritto interno che possono emergere quando le decisioni riguardano altri Stati e valutano altri ordinamenti. Anzi nel caso in esame la Corte di Strasburgo tiene conto anche del percorso giurisprudenziale correttivo effettuato sia dalla Corte costituzionale (§§ 44 e seguenti), che dalla Corte di cassazione (§§ 62 e ss.), offrendo un'interpretazione che, da un lato, e' coerente con la natura mista (legislativa e giurisprudenziale) del diritto convenzionale, e, dall'altro si dimostra specificamente aderente alle peculiarita' dell'ordinamento italiano. Rilevante e', invece, il numero di opinioni non concordanti che corredano la decisione. Si tratta di opinioni che, pur condividendo il riconoscimento della illegalita' dell'ingerenza conseguente all'imposizione della sorveglianza speciale, utilizzano argomenti diversi da quelli offerti dalla sentenza. Sebbene in ambiente convenzionale le opinioni dissenzienti non incidano sulla capacita' stabilizzante degli interventi della Grande camera (che restano reversibili solo attraverso un nuovo intervento del massimo organo), le stesse hanno un innegabile rilievo «interno», in quanto sono indicate dalla Corte costituzionale come parametri di rilievo per valutare la capacita' conformativa della giurisprudenza di Strasburgo, ed e' per tale ragione che le stesse devono essere comunque valutate. Nel caso De Tommaso le opinioni separate evidenziano due aree di dissenso: la prima, nella quale si rileva come la violazione dell'art. 2 del Protocollo 4 della Convenzione, sia rilevabile non in ragione del carente prevedibilita' della legge, ma a causa del difetto di proporzione della misura imposta rispetto alle esigenze preventive rilevate (giudici Raimondi, Villiger, Šikuta, Keller e Kjølbro e, con qualche distinguo, giudice Dedov); la seconda dove si contesta invece, in modo piu' radicale, il mancato riconoscimento della violazione degli articoli 5 e 6 della Convenzione, ovvero della natura «penale» delle ingerenze sulla liberta' agite per ragioni preventive (giudice Pinto de Albuquerque, giudice Sajo', giudice Vučinić). Infine, una ulteriore opinione non concordante denuncia una errata valutazione del caso concreto (giudice Kuris). Con riguardo al tema che rileva nel caso in esame, ovvero la valutazione in ordine alla «qualita'» della legge italiana, che refluisce sul giudizio in ordine alla tassativita' delle condotte indicate dall'art. 75, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011 si ritiene che gli argomenti offerti dai giudici dissenzienti centrati sulla valorizzazione della novita' e, dunque del sostanziale «isolamento» della sentenza De Tommaso non abbiano la capacita' di incidere l'efficacia argomentativa della decisione avversata. Come si e' gia' rilevato le sentenze precedenti si erano limitate a rilevare l'esistenza di una «base legale» delle misure di prevenzione, ma non avevano approfondito il tema della «qualita'» di tale base, che per espressa ammissione della Corte veniva valutata per la prima volta proprio nel caso De Tommaso (§ 114 della sentenza). Il fatto che in relazione alla stessa non si registri un corredo di pronunce confermative non e' elemento che incide sulla natura consolidata del diritto espresso dalla sentenza De Tommaso: la Grande camera e' stata infatti «direttamente» chiamata a decidere sul tema della prevedibilita' della legge che disciplina la materia delle misure di prevenzione per la rilevanza del tema e la sua percepibile incidenza sull'ordinamento italiano. Tale circostanza, piuttosto che depotenziare, rafforza l'autorevolezza della pronuncia, in quanto esprime la piena consapevolezza della rilevanza della questione devoluta. 5.4. Infine: il collegio non ignora, che valutazioni contrarie al riconoscimento della qualita' di diritto consolidato alla ratio decidendi espressa dalla sentenza De Tommaso sono state effettuate da parte della giurisprudenza di merito, che al fine di escluderne la capacita' conformativa ha valorizzato proprio l'isolamento della decisione e la presenza di articolate opinioni dissenzienti (tra le altre: Tribunale di Milano, 7 marzo 2017, Tribunale di Palermo, 1° giugno 2017, Tribunale di Roma, 3 aprile 2017). 5.5. Si ritiene tuttavia di non discostarsi dalla scelta ermeneutica effettuata nella sentenza Paterno' e di ribadire la natura consolidata del diritto espresso dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso De Tommaso, con il conseguente riconoscimento del ruolo (sovra legislativo) che assume nel sistema delle fonti e, quel che piu' rileva, della sua capacita' di conformare il diritto interno: militano in tal senso l'autorevolezza dell'organo decidente, la riconosciuta stabilita' delle decisioni di grande Camera in ambiente convenzionale, la specificita' delle valutazioni in essa contenute, espressamente dirette nei confronti della legge italiana (e fondate su una analitica valutazione del diritto interno, sia di matrice legislativa che giurisprudenziale), nonche' la debolezza degli argomenti offerti dalle opinioni non concordanti. 6. Riconosciuta all'interpretazione offerta dalla sentenza De Tommaso la natura di «diritto consolidato», e preso atto del conseguente ruolo che la stessa acquista nel sistema delle fonti (sovralegislativo, ma subcostituzionale), occorre verificare se la conformazione della legge a tale fonte superiore possa essere attuata per via interpretativa, o se invece sia necessario sollevare la questione di costituzionalita'. 6.1. E' bene rimarcare che i giudici di Strasburgo si sono limitati a valutare la legalita' convenzionale dei presupposti applicativi e dei contenuti prescrittivi della legge che disciplina le misure di prevenzione, ma non hanno analizzato i correlati penali della disciplina e, segnatamente, la rispondenza ai parametri di legalita' convenzionale del reato previsto dall'art. 75 comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011. Il che, secondo il collegio, non toglie rilevanza al problema della determinatezza e prevedibilita' del reato in esame: la censura rivolta nei confronti della genericita' delle prescrizione di «vivere onestamente e rispettare le leggi» si ripercuote inevitabilmente sulla norma che prevede l'applicazione di una sanzione proprio in relazione all'accertamento della violazione delle prescrizioni delle quali si afferma la genericita'. 6.2.. Nell'area del diritto penale la valutazione di indeterminatezza delle condotte impone il confronto con il principio di legalita' tutelato sia dall'art. 7 della Convenzione Edu, che dall'art. 25 della Carta costituzionale; confronto che non e' stato necessario nel caso De Tommaso dove era in valutazione la legalita' dei presupposti e delle prescrizioni delle misure di prevenzione, ovvero di una materia che, ancora una volta e' stata ritenuta non all'area del diritto penale. Nel caso di specie, invece, la valutazione in ordine all'indeterminatezza delle prescrizioni di «vivere onestamente» e rispettare le leggi, alla cui violazione consegue la applicazione della sanzione prevista dall'art. 75, comma 2 decreto legislativo n. 159 del 2011, impone il controllo del rispetto del principio di legalita': la indeterminatezza della descrizione della fattispecie penale confligge con i parametri di legalita' scolpiti nelle Carte dei diritti (costituzione e Convenzione Edu) poiche' autorizzano incisioni del diritto alla liberta' non prevedibili in quanto l'intervento giudiziale non risulta contenuto entro un perimetro normativa sufficientemente definito. Sul punto la Corte Edu ha ribadito che « una norma e' «prevedibile» quando offre una misura di protezione contro le ingerenze arbitrarie da parte delle autorita' pubbliche (si vedano Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 143, e Khlyustov, sopra citata, § 70). Una legge che conferisce una discrezionalita' deve indicare la portata di tale discrezionalita', benche' le particolareggiate procedure e condizioni da osservare non debbano essere necessariamente comprese nelle norme del diritto sostanziale (si vedano Khlyustov, sopra citata, § 70, e Silver e altri contro Regno Unito, 25 marzo 1983, § 88, Serie A n. 61)» (§ 109 della sentenza De Tommaso). Del pari le Sezioni Unite hanno affermato che «rapporto che lega la determinatezza della norma penale alla sua prevedibilita' e conoscibilita' finisce per influire sulla sussistenza stessa della colpevolezza, intesa come possibilita' del destinatario di «essere motivato dal diritto». Il difetto di precettivita' insito nel generico obbligo di rispettare le leggi, che vale per ogni consociato, impedisce alla norma in questione di influire sul comportamento del destinatario, in quanto non sono individuate quelle condotte socialmente dannose, che devono essere evitate, e non sono prescritte quelle socialmente utili, che devono essere perseguite. In questa situazione di incertezza il sorvegliato speciale non e' in condizione di conoscere e prevedere le conseguenze della violazione di una prescrizione che si presenta in termini cosi generali. D'altra parte, in presenza di un precetto indefinito l'ordinamento penale non puo' neppure pretenderne l'osservanza» (Cass. sez. un, n. 40076 del 27 aprile 2017 Paterno', Rv. 270496). 6.3. Il difetto di legalita' rilevato, secondo il collegio, non puo' essere sanato con lo strumento dell'interpretazione adeguatrice. Se infatti si ritenesse di adeguare per via interpretativa la norma penale alle indicazioni convenzionali, si dovrebbe riconoscere la fonte dell'abrogazione del delitto previsto dall'art. 75 comma 2, decreto legislativo n. 159 del 2011 nel diritto convenzionale espresso dalla sentenza De Tommaso. E' vero che si tratterebbe di una decisione sostanzialmente «ricognitiva» di una abolizione che trova la sua fonte nel diritto europeo, con formale rispetto del principio di legalita' (l'abrogazione non sarebbe di matrice giurisprudenziale, ma convenzionale, ovvero sovralegislativa); ma l'attivita' si risolverebbe, comunque, in una «isolata» e non vincolante interpretazione giurisprudenziale. Ritenere che la stessa «esistenza astratta» di un delitto possa essere sottoposta alla fisiologica instabilita' correlata alla «diffusione» della facolta' di interpretazione connessa all'esercizio della giurisdizione, non risponde all'esigenza di prevedibilita' alla cui tutela e' funzionale il principio di legalita'; ne' garantisce il diritto fondamentale alla liberta' personale, che puo' essere inciso dallo Stato solo in caso di accertata violazione di norme «stabili», ovvero conoscibili e prevedibili, definite in astratto in modo tassativo ed univoco e non sottoposte all'alea di valutazioni giurisprudenziali disomogenee. Il ricorso all'interpretazione adeguatrice, strumento a vocazione casistica, si rivela inadeguato a garantire la certezza del diritto necessaria quando sia in gioco la definizione dell'area delle condotte penalmente rilevanti, ovvero quando sia in predicato una «interpretazione abolitiva» a vocazione generale, che, come nel caso di specie, pretenda di travolgere il giudicato. 6.4. Si ritiene, pertanto, necessario un intervento della Corte costituzionale, ovvero dell'unico organo che ha la capacita' di incidere sulla legge con efficacia retroattiva e che puo' assegnare alla condotta prevista dall'art. 75 comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011 la connotazione «stabile» necessaria per garantire la prevedibilita' della sanzione ed il sostanziale rispetto del principio di legalita'. 7. In sintesi: il collegio deve valutare se alla pronuncia di Grande camera De Tommaso v. Italia, espressione di diritto convenzionate consolidato, consegua l'abolizione del delitto previsto dall'art. 75 comma 2 decreto legislativo 159 del 2011 nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dell'obbligo di «vivere onestamente e rispettare leggi». 7.1. In punto di rilevanza della questione in relazione al caso di specie si osserva che tale valutazione non e' evitabile, dato che la Corte di cassazione ha l'onere di valutare la sopravvenienza di eventi abolitivi anche in presenza di ricorsi inammissibili e, dunque, a fronte di condanne passate in giudicato. Il giudizio devoluto alla Cassazione non si esaurisce infatti nella valutazione della manifesta infondatezza del ricorso, dato che permane la necessita di controllare la legalita' del giudicato e, segnatamente, la eventuale abolizione dei reati per i quali vi e' stata condanna. Come rilevato nel § 3 il ricorso del S. e' manifestamente infondato in quanto e' diretto in modo generico a contestare la definizione del trattamento sanzionatorio, sia in punto di individuazione della pena base, che di bilanciamento delle circostanze. Il ricorrente vanta tuttavia una condanna alla pena anni uno e mesi sei di reclusione inflitta in relazione al delitto previsto dall'art. 75 comma 2 decreto legislativo 159 del 2011: la efficacia ed eseguibilita' di tale sanzione e' condizionata dalle valutazioni in ordine alla perdurante vigenza del delitto contestato, della cui compatibilita' costituzionale e convenzionale tuttavia si dubita. 7.2. Quanto alla fondatezza della questione, si rileva che l'interrogativo circa la attuale sussistenza del reato non trova risposta nella interpretazione abrogatrice fornita dalla Cassazione nel caso Paterno', essendo i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite non assimilabili alle fonti del diritto (Corte cost. n. 230 del 2015); ne' si ritiene compatibile con l'esigenza di certezza tutelata dall'art. 25 della Costituzione e dall'art. 7 della Convenzione una interpretazione conformatrice di tipo ricognitivo, che individui l'evento abolitivo direttamente nel diritto convenzionale. Come gia' rilevato, tale scelta non avrebbe la stabilita' necessaria per garantire la prevedibilita' della legge penale, ed, in ultima istanza, il diritto alla liberta' personale, presidiato dal principio di legalita'. 7.3. Pertanto: ritenuto che la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo pronunciata nel caso De Tommaso v. Italia rappresenta diritto «consolidato», si sottopone al vaglio del Giudice delle leggi il seguente quesito: se l'art. 75 comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dell'obbligo di «vivere onestamente e di rispettare le leggi», sia compatibile con gli articoli 25 e 117 della Carta fondamentale, letto questo secondo articolo in relazione all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali ed all'art. 2 del Protocollo n. 4 della stessa Convenzione, interpretati alla luce della ratio decidendi espressa dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande camera, De Tommaso contro Italia del 23 febbraio 2017. 7.4. Il giudizio in corso deve pertanto essere sospeso e deve essere disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.