ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  649  del
codice di procedura penale e dell'art. 3, comma  1,  della  legge  23
dicembre 1986, n. 898 (Conversione in legge, con  modificazioni,  del
decreto-legge 27 ottobre 1986, n.  701,  recante  misure  urgenti  in
materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio
di oliva. Sanzioni  amministrative  e  penali  in  materia  di  aiuti
comunitari nel settore agricolo), promosso dal Tribunale ordinario di
Lecce nel procedimento civile tra  AGRI.TUR  societa'  cooperativa  a
responsabilita' limitata e  il  Ministero  delle  politiche  agricole
alimentari e forestali e altri, con  ordinanza  del  5  maggio  2016,
iscritta al n. 216 del registro ordinanze  2016  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  43,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 gennaio  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 5 maggio 2016 (r.o.  n.  216  del
2016), il Tribunale ordinario di  Lecce  ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 649  del  codice  di  procedura
penale e dell'art. 3, comma 1, della legge 23 dicembre 1986,  n.  898
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  27
ottobre 1986, n. 701, recante misure urgenti in materia di  controlli
degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio di  oliva.  Sanzioni
amministrative e penali in materia di aiuti  comunitari  nel  settore
agricolo),  per  violazione  dell'art.  117,   primo   comma,   della
Costituzione in riferimento all'art. 4 del Protocollo addizionale  n.
7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle
liberta' fondamentali, adottato a Strasburgo  il  22  novembre  1984,
ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98  (d'ora
innanzi: Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU); 
    che il rimettente ha precisato di essere investito  del  giudizio
di opposizione alla sanzione amministrativa pecuniaria  inflitta  dal
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - ai  sensi
degli artt. 2 e 3 della legge n. 898 del 1986 - a F.  C.,  nella  sua
qualita' di legale rappresentante della AGRI.TUR societa' cooperativa
a responsabilita' limitata, in riferimento ad operazioni  commerciali
ritenute fittizie e consistite nella cessione di una partita di  olio
da parte di S. N. alla citata societa'; 
    che, come riferito dal giudice a quo, per lo stesso fatto storico
F. C. era gia' stato sottoposto a procedimento penale conclusosi  con
sentenza n. 1460 del 2014 emessa dal medesimo Tribunale di Lecce, che
ha accertato e dichiarato la prescrizione del reato; 
    che, secondo il rimettente, la norma speciale di cui al censurato
art. 3 - nella parte in cui  impone  il  pagamento  di  una  sanzione
amministrativa pecuniaria «[i]ndipendentemente dalla sanzione penale»
- e l'art. 649 cod. proc. pen., che vieta un secondo giudizio solo se
questo sia formalmente qualificato come penale, violerebbero l'art. 4
del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU,  nell'accezione  precisata
dalla «sentenza CEDU Grande Stevens contro Italia», secondo cui  esso
impedirebbe che la  stessa  persona  sia  sottoposta  ad  un  secondo
giudizio in relazione al medesimo fatto inteso come dato  fenomenico,
indipendentemente dalla qualificazione dello stesso come reato o come
illecito amministrativo,  cio'  che  invece  sarebbe  avvenuto  nella
specie in forza delle due disposizioni censurate; 
    che, ad avviso del giudice a quo, il  principio  stabilito  dalla
citata sentenza della Corte  di  Strasburgo  si  applicherebbe  anche
quando,  come  nella  specie,  sia  intervenuta   una   sentenza   di
proscioglimento per prescrizione, ne' vi potrebbe essere alcun dubbio
sul fatto che il procedimento penale e quello civile  di  opposizione
alla sanzione amministrativa vertano su un fatto storico  che  e'  il
medesimo nei suoi aspetti strutturali, oggettivi e  soggettivi,  come
risulta dagli  accertamenti  della  Guardia  di  Finanza,  dai  quali
traggono origine sia il procedimento penale, concluso con la sentenza
dichiarativa  dell'estinzione  per  prescrizione,  sia  la  procedura
«amministrativa-sanzionatoria» oggetto del  procedimento  ancora  sub
iudice; 
    che da cio' il Tribunale ordinario di Lecce deriva la  violazione
del citato Protocollo e, quindi, dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.
che  vieterebbe  «la  legiferazione  di  norme   in   contrasto   con
l'ordinamento  comunitario  e  l'avvio  di  un   nuovo   procedimento
giudiziario  in  relazione  a  fatti  precedentemente  giudicati  con
pronuncia irrevocabile»; 
    che il rimettente  ha  considerato  le  questioni  rilevanti,  in
quanto il loro eventuale accoglimento  priverebbe  il  giudice  della
potestas iudicandi; 
    che, con atto depositato il 15 novembre 2016, e' intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili; 
    che, ad avviso dell'interveniente, in primo  luogo  le  questioni
sarebbero irrilevanti, in quanto non sarebbe applicabile nel giudizio
a quo l'art. 649 cod. proc. pen., trattandosi di un  giudizio  civile
relativo all'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria; 
    che,  in  secondo  luogo,  il  rimettente   avrebbe   omesso   di
argomentare  sul  passaggio  in  giudicato  della  sentenza   penale,
presupposto indispensabile per l'operativita' della garanzia  di  cui
all'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU; 
    che mancherebbe altresi' un'adeguata motivazione circa l'asserita
identita'  dei  fatti  oggetto   di   imputazione   e   di   sanzione
amministrativa; 
    che  tali  carenze  motivazionali  impedirebbero  alla  Corte  di
svolgere un idoneo controllo sulla rilevanza delle  questioni,  cosi'
da determinare l'inammissibilita' delle stesse; 
    che  un  ulteriore  profilo  di  inammissibilita'  viene   infine
ravvisato nella circostanza  che  spetterebbe  in  via  esclusiva  al
legislatore  porre  rimedio   alla   denunciata   frizione   con   le
disposizioni  convenzionali,  come   gia'   affermato   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 102 del  2016,  avente  per  oggetto
un'analoga ipotesi di doppio binario sanzionatorio. 
    Considerato che il Tribunale  ordinario  di  Lecce  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice  di
procedura penale e dell'art. 3, comma  1,  della  legge  23  dicembre
1986,  n.  898  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 27 ottobre 1986, n.  701,  recante  misure  urgenti  in
materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio
di oliva. Sanzioni  amministrative  e  penali  in  materia  di  aiuti
comunitari nel settore agricolo), per violazione dell'art. 117, primo
comma, della Costituzione in riferimento all'art.  4  del  Protocollo
addizionale n. 7 alla Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, adottato a Strasburgo il  22
novembre 1984, ratificato e reso esecutivo  con  la  legge  9  aprile
1990, n. 98 (d'ora innanzi: Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU); 
    che, a parere del rimettente, l'art. 3, comma 1, della  legge  n.
898  del  1986  -  il  quale  impone   il   pagamento   di   sanzioni
amministrative   pecuniarie   «[i]ndipendentemente   dalla   sanzione
penale», violerebbe l'art. 4 del Protocollo  addizionale  n.  7  alla
CEDU,  nell'applicazione  datane  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo con la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro
Italia, secondo cui sarebbe vietato sottoporre la stessa persona a un
secondo giudizio in relazione al medesimo  fatto,  inteso  come  dato
fenomenico, indipendentemente dalla qualificazione dello stesso  come
reato o come illecito amministrativo, se  di  natura  sostanzialmente
penale; 
    che  analoga  violazione  sarebbe  ravvisabile  con   riferimento
all'art. 649 cod. proc. pen.,  che  vieta  di  sottoporre  lo  stesso
imputato, condannato o prosciolto con  sentenza  irrevocabile,  a  un
secondo procedimento penale per il medesimo fatto, solo  in  caso  di
giudizi formalmente qualificati come penali; 
    che le questioni sono manifestamente inammissibili per la carente
ed incerta motivazione dell'ordinanza di rimessione; 
    che il rimettente, infatti, oblitera del tutto la differenza  tra
la tutela del divieto  di  bis  in  idem  nell'ambito  della  CEDU  e
nell'ambito dell'Unione europea, tanto da considerare  l'art.  4  del
Protocollo addizionale n. 7 alla  CEDU  come  «norma  comunitaria»  e
ritenere che la  citata  disposizione  convenzionale  vieterebbe  «la
legiferazione  di  norme  interne  in  contrasto  con   l'ordinamento
comunitario»; 
    che  tale  confusione  e'  tanto  piu'  rilevante  in  quanto  la
disciplina di cui alla legge n. 898 del  1986  e'  attuativa  di  una
specifica normativa comunitaria; 
    che, in particolare,  il  regolamento  (CE)  n.  1848/2006  della
Commissione del 14 dicembre 2006, relativo alle  irregolarita'  e  al
recupero   delle   somme   indebitamente   pagate   nell'ambito   del
finanziamento    della    politica    agricola     comune     nonche'
all'instaurazione di un sistema d'informazione in  questo  settore  e
che abroga il regolamento (CEE) n. 595/91  del  Consiglio,  prevedeva
l'obbligo  per  gli  Stati  membri  di   adottare   un   sistema   di
comunicazioni delle irregolarita' e delle frodi perpetrate  ai  danni
dei citati fondi europei di  finanziamento  della  politica  agricola
comune; 
    che, successivamente, l'art. 58 del regolamento (UE) n. 1306/2013
del Parlamento europeo e del Consiglio, del  17  dicembre  2013,  sul
finanziamento, sulla  gestione  e  sul  monitoraggio  della  politica
agricola comune e che abroga i regolamenti  del  Consiglio  (CEE)  n.
352/78, (CE) n. 165/94, (CE) n. 2799/98, (CE) n.  814/2000,  (CE)  n.
1290/2005 e (CE) n. 485/2008, prevede tra l'altro l'obbligo  per  gli
Stati   membri   dell'Unione   di   prevedere   sanzioni    efficaci,
proporzionate e  dissuasive  in  relazione  alle  frodi  compiute  in
violazione delle suddette normative; 
    che l'ordinanza di rimessione trascura di esaminare i principi di
diritto dell'Unione europea applicabili al caso di specie,  i  quali,
peraltro, non sono del tutto coincidenti con quelli sviluppati  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo in riferimento al richiamato art.
4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU; 
    che,  quindi,  il  rimettente   omette   passaggi   motivazionali
indispensabili per  un'adeguata  prospettazione  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale; 
    che, anche in riferimento alla tutela  convenzionale  citata  dal
rimettente,  egli  omette  qualsiasi  motivazione   sui   presupposti
individuati dalla giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo per riconoscere natura sostanzialmente penale alla sanzione
amministrativa prevista dal censurato art. 3 della legge n.  898  del
1986, ai fini dell'applicabilita' del divieto convenzionale di bis in
idem, come tutelato dall'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7  alla
CEDU; 
    che  a  questo  proposito   risulta   insufficiente   la   stessa
descrizione della fattispecie in esame,  non  essendo  chiaro  se  si
tratti di frodi per il conseguimento di erogazioni dal fondo  europeo
agricolo di garanzia o dal fondo europeo agricolo di sviluppo rurale,
per i quali sono previste dal medesimo art. 3 della legge n. 898  del
1986 diverse entita' e modalita'  di  commisurazione  della  sanzione
amministrativa; 
    che, considerata la differenza tra le due ipotesi, sarebbe  stato
necessario motivare adeguatamente  in  ordine  alla  ritenuta  natura
sostanzialmente penale di ciascuno dei due  illeciti  amministrativi,
separatamente previsti per le frodi ai due fondi citati; 
    che, infine, il rimettente non prende in alcuna considerazione la
circostanza che il procedimento penale riguarda  la  persona  fisica,
mentre  il  procedimento  civile   di   opposizione   alla   sanzione
amministrativa riguarda la societa'  di  cui  la  persona  fisica  e'
legale rappresentante; 
    che, in  base  alla  giurisprudenza  costituzionale  (ex  multis,
ordinanza n. 373 del 2004), la motivazione carente,  insufficiente  e
confusa  dell'ordinanza  di   rimessione   determina   la   manifesta
inammissibilita' delle questioni sollevate, quando i vizi siano cosi'
gravi come avviene nel caso in esame; 
    che i rilievi sopra esposti  risultano  avere  valore  assorbente
rispetto alle ulteriori eccezioni di inammissibilita' delle questioni
sollevate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87 e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale.