ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 395 e 396
del codice di procedura civile, promosso  dalla  Corte  d'appello  di
Venezia, sezione per i minorenni, sul ricorso proposto da J. Z.,  con
ordinanza del  18  luglio  2016,  iscritta  al  n.  55  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di costituzione di J. Z.; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  20  marzo  2018  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    udito l'avvocato Giulia Perin per J. Z. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte d'appello di Venezia, sezione per  i  minorenni,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 395  e
396 del codice di procedura civile, nella parte in cui non  prevedono
tra i casi di revocazione quello in cui essa «si renda necessaria per
consentire il riesame del merito  della  sentenza  impugnata  per  la
necessita' di uniformarsi  alle  statuizioni  vincolanti  rese  dalla
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo»,  deducendo  la   violazione
dell'art. 117, primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione  al
parametro interposto dell'art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    1.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - il Tribunale per i minorenni  di  Venezia  -  all'esito  di  un
procedimento radicato dal pubblico ministero in favore del minore  A.
T. Z., in ragione dell'assenza di notizie del padre e  della  carenza
nell'accudimento da parte della madre J. Z. - aveva  dichiarato,  con
sentenza n. 98 del 19 febbraio 2010, lo stato  di  adottabilita'  del
minore medesimo, disponendo l'interruzione dei rapporti con la  madre
e nominando un tutore; 
    - avverso tale sentenza la madre J. Z.  aveva  proposto  appello,
sostenendo  l'assenza  dei  presupposti  per   la   pronuncia   della
dichiarazione di adottabilita' e lamentando che  il  tribunale  -  in
violazione  dell'art.  8  della  CEDU  -  non  avesse   valutato   la
possibilita' di  dare  luogo  ad  un'adozione  non  legittimante,  in
applicazione dell'art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184  (Diritto
del  minore  ad  una  famiglia),  che  le   avrebbe   consentito   il
mantenimento di un rapporto con il figlio minore; 
    - la Corte d'appello di Venezia,  con  sentenza  n.  126  del  19
novembre  2010,  sul  presupposto  che  l'ordinamento   non   prevede
l'adozione «mite»  richiesta  dall'appellante,  aveva  confermato  la
sentenza di primo grado; 
    - la Corte europea dei diritti dell'uomo, adita  dalla  madre  J.
Z., con sentenza del 21 gennaio 2014, divenuta definitiva il 2 giugno
2014, aveva accertato la violazione lamentata e condannato  lo  Stato
italiano a pagare alla ricorrente  la  somma  di  euro  40.000,00,  a
titolo di indennizzo per il danno morale subito, oltre alle spese; 
    - con la citata sentenza la  Corte  EDU  aveva  ritenuto  che,  a
salvaguardia del rispetto  della  vita  familiare  da  ingerenze  non
giustificate, le autorita' italiane, prima di disporre  l'affidamento
del minore e avviare una procedura di adottabilita', avrebbero dovuto
prendere misure concrete per permettergli di  vivere  con  la  madre,
occorrendo preservare, per quanto possibile, il legame tra gli stessi
e favorirne lo sviluppo; 
    - sulla base di tali premesse, la ricorrente J. Z. ha  agito  per
la  revocazione  della  citata  sentenza   della   Corte   d'appello,
chiedendo, in via  principale,  che  vengano  presi  contatti  con  i
genitori adottivi e con i  servizi  sociali,  perche',  nel  rispetto
dell'interesse del minore, si valutino quali possano essere le  forme
di attuazione della sentenza della Corte EDU; e, in via  subordinata,
qualora a cio' si consideri ostativa la  formulazione  dell'art.  395
cod.   proc.   civ.,   di   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale della stessa disposizione,  nella  parte  in  cui  non
prevede tra i casi di revocazione quello  in  cui  tale  rimedio  sia
imposto dalla necessita' di dare attuazione  ad  una  sentenza  della
Corte EDU; 
    - si e' costituito  il  tutore,  aderendo  alle  richieste  della
ricorrente  e  chiedendo  che  i  servizi  sociali  competenti  siano
incaricati di predisporre un progetto  di  recupero  della  relazione
madre-figlio. 
    1.2.- Circa la rilevanza della questione, il  rimettente  osserva
che l'impugnazione proposta  e'  una  revocazione  straordinaria  per
fatti successivi al giudicato, la cui ammissibilita' e'  soggetta  al
rispetto del termine di trenta giorni di cui all'art. 325 cod.  proc.
civ., termine decorrente, ai sensi dell'art.  326  cod.  proc.  civ.,
dalla  data  di   conoscenza   dell'evento   considerato   causa   di
revocazione. 
    Aggiunge il rimettente  che  la  ricorrente  ha  giustificato  il
ritardo dell'impugnazione proposta solo  in  data  16  ottobre  2015,
invocando un legittimo affidamento nell'ottemperanza,  da  parte  del
Governo italiano, alla pronuncia della Corte EDU (divenuta definitiva
il 2 giugno 2014); solo nel settembre del 2015, infatti,  essa  aveva
appreso che il Governo si era opposto alla sua  richiesta,  inoltrata
al Comitato dei ministri in data  3  marzo  2015,  di  individuazione
delle modalita' di corretta attuazione della citata sentenza. 
    Tali  circostanze,  secondo  la  Corte  d'appello   di   Venezia,
evidenzierebbero come la ricorrente non possa  considerarsi  decaduta
dall'impugnazione   straordinaria,   non    essendo    immediatamente
percepibile la necessita' di  esperire  tale  rimedio  e  ricorrendo,
pertanto, i presupposti per escludere «l'imputabilita' alla parte  di
una eventuale decadenza» e giustificare la rimessione in  termini  ai
sensi dell'art. 153, comma secondo, cod. proc. civ. 
    L'ipotesi  di  contrasto  della  sentenza  interna   passata   in
giudicato  con  una  successiva  sentenza   della   Corte   EDU   non
rientrerebbe in alcuno dei casi di revocazione previsi dall'art.  395
cod. proc. civ., ne' sarebbe possibile una interpretazione  estensiva
o  analogica  che  renda  tale  disposizione   compatibile   con   la
necessita', costituzionalmente imposta, di rispettare la Convenzione:
di qui la rilevanza della  questione  di  costituzionalita',  perche'
solo una eventuale  pronuncia  additiva  della  Corte  costituzionale
potrebbe rendere ammissibile l'impugnazione proposta. 
    1.3.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva che nella sentenza n. 113 del 2011 la Corte costituzionale  -
nel dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  630  del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso
caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna  al
fine di consentire la riapertura del processo per conformarsi ad  una
sentenza definitiva della Corte EDU - ha valorizzato l'art. 46  della
Convenzione, che impegna gli Stati contraenti a  tale  conformazione,
richiamando la giurisprudenza della stessa Corte  di  Strasburgo  che
assicura alle vittime  delle  violazioni  convenzionali,  oltre  alle
misure risarcitorie, l'adozione di misure individuali che valgano  ad
assicurare la restitutio in integrum. 
    Nel caso di specie, la Corte EDU,  nell'accertare  la  violazione
dell'art. 8  della  Convenzione,  avrebbe  messo  in  discussione  la
necessita' di procedere ad una adozione legittimante e di  sopprimere
il legame famigliare tra ricorrente e figlio, e avrebbe  ritenuto  lo
Stato italiano inadempiente all'obbligo di adottare  misure  volte  a
preservare e favorire tale legame. 
    La  necessaria   esecuzione   ed   attuazione   della   pronuncia
sovranazionale postulerebbe, quale unico strumento idoneo, il riesame
nel merito della questione gia' definita con la sentenza  passata  in
giudicato. 
    La mancata previsione nella elencazione tassativa  delle  ipotesi
di revocazione del conflitto con sopravvenute  sentenze  della  Corte
EDU sarebbe  in  contrasto  con  l'esigenza  di  tutela  dei  diritti
fondamentali garantiti dalla CEDU e  quindi  con  l'art.  117,  primo
comma, Cost. 
    Infine, secondo  il  rimettente,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale andrebbe estesa al disposto dell'art. 396  cod.  proc.
civ., che completa la disciplina della revocazione. 
    2.- Con memoria depositata nella cancelleria di questa  Corte  il
15 maggio 2017, si e' costituita J. Z.,  ricorrente  nel  giudizio  a
quo, chiedendo l'accoglimento della questione di costituzionalita'. 
    Dopo avere ricostruito i fatti di  causa,  la  parte  privata  ha
aderito alla tesi del rimettente, secondo cui non  sarebbe  possibile
un'interpretazione costituzionalmente orientata  dell'art.  395  cod.
proc. civ., in quanto i casi di revocazione  ivi  elencati  sarebbero
tassativi e di stretta interpretazione, a tutela del valore  fondante
della res iudicata. 
    2.1.- Quanto alla rilevanza della questione di costituzionalita',
la signora J. Z. ha dedotto che solo  il  suo  accoglimento  potrebbe
consentire di rimuovere l'ostacolo del giudicato alla sua domanda  di
rivedere il figlio o anche solo di averne notizie. 
    2.2.- In punto di non manifesta infondatezza,  la  parte  privata
ritiene che il caso sottoposto all'esame della Corte  sia  del  tutto
analogo a quello gia' deciso con la sentenza n. 113 del 2011, che  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 630  cod.  proc.
pen., nella parte in cui non  consente  la  revisione  del  giudicato
penale in caso di contrasto con una sopravvenuta sentenza della Corte
EDU. 
    Correttamente la Corte d'appello avrebbe individuato il parametro
rilevante nell'art. 117, primo comma, Cost., che impone  il  rispetto
degli  obblighi  nascenti  dai   trattati   internazionali:   sarebbe
evidente, infatti, che l'assenza di un mezzo per riparare agli errori
commessi dallo Stato italiano costituisce un vulnus agli artt. 8 e 46
della CEDU. 
    La giurisprudenza europea avrebbe chiarito come il  pagamento  di
una somma di  denaro  non  possa  mai  considerarsi  esaustivo  degli
obblighi di riparazione gravanti  sullo  Stato,  dovendosi  porre  la
vittima  convenzionale  in  una  situazione  quanto  piu'   possibile
identica a  quella  in  cui  si  sarebbe  trovata  in  assenza  della
violazione. 
    In particolare, sarebbe ormai  consolidata  l'affermazione  della
Corte  EDU  secondo  cui,  in  caso  di  accertata  violazione  della
Convenzione, lo Stato convenuto ha l'obbligo non solo di versare agli
interessati le somme attribuite a titolo di equa riparazione ma anche
di adottare le misure  generali  e/o,  se  del  caso,  individuali  e
necessarie. 
    Identiche conclusioni si trarrebbero anche dalla  Raccomandazione
R(2000)2 sulla riapertura dei processi,  adottata  dal  Comitato  dei
ministri il 19 gennaio 2000. 
    Nel senso  della  fondatezza  della  questione  deporrebbe  anche
un'analisi di diritto comparato, dal momento che in tutti  gli  Stati
contraenti  si  riscontrerebbero  previsioni  normative  o  indirizzi
giurisprudenziali idonei a  consentire  la  riapertura  dei  processi
civili e amministrativi. 
    Ne'  sarebbe  d'ostacolo  all'accoglimento  della  questione   la
delicatezza del bilanciamento che dovra' essere operato  dal  giudice
rimettente per  determinare,  nel  caso  concreto,  le  modalita'  di
esecuzione della sentenza della Corte EDU e per  consentire,  quindi,
di riallacciare i rapporti tra madre e figlio;  in  ogni  caso,  tale
aspetto atterrebbe ad  un  momento  successivo  dell'iter  logico  da
seguire nel giudizio di revocazione. 
    3.- Con memoria depositata il 27 febbraio 2018, la parte  privata
ha ulteriormente illustrato le ragioni a sostegno della  rilevanza  e
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Venezia. 
    Secondo la signora J. Z., all'accoglimento  della  questione  non
osterebbero le conclusioni raggiunte dalla Corte  costituzionale  con
la sentenza n. 123 del 2017. 
    Quest'ultima avrebbe ritenuto non estensibile ai processi  civili
e amministrativi l'obbligo di  riapertura  previsto  per  i  processi
penali, in ragione di tre considerazioni: la diversita' di rango  dei
diritti  protetti,  la  necessita'  di  tutelare   i   terzi   e   la
discrezionalita' riconosciuta in capo  ai  singoli  Stati  contraenti
nella scelta dei mezzi di attuazione delle sentenze  della  Corte  di
Strasburgo. 
    3.1.- Quanto al rango dei diritti fondamentali protetti, la parte
privata osserva che per un genitore «il diritto ad un rapporto con il
figlio, la possibilita' di incontrarlo e di continuare quanto meno ad
avere sue notizie, e' un diritto di rango superiore  a  quello  della
liberta' personale». 
    3.2.- La necessita' di tutelare i terzi non ricorrerebbe nel caso
di  specie,  poiche'  i  genitori  adottivi  non   sono   parti   del
procedimento di adottabilita' e, in  ogni  caso,  sarebbe  preminente
l'interesse del minore. 
    3.3.- In  relazione  alla  discrezionalita'  nella  scelta  delle
modalita' di attuazione delle sentenze della Corte EDU, non  andrebbe
dimenticato  che  l'art.  46  della  Convenzione  impone  agli  Stati
contraenti di fare quanto possibile per dare  attuazione  ai  diritti
fondamentali da essa tutelati. 
    Da cio' discenderebbe l'obbligo di rimettere la  ricorrente,  per
quanto  possibile,  nella   condizione   precedente   la   violazione
convenzionale,  il  che  postulerebbe  la  necessita'  di  porre   in
discussione il divieto, recato dalla sentenza passata  in  giudicato,
di qualsiasi relazione tra madre naturale e figlio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte d'appello di Venezia, sezione per  i  minorenni,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 395  e
396 del codice di procedura civile, nella parte in cui non  prevedono
tra i casi di revocazione quello in cui essa «si renda necessaria per
consentire il riesame del merito  della  sentenza  impugnata  per  la
necessita' di uniformarsi  alle  statuizioni  vincolanti  rese  dalla
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo»,  deducendo  la   violazione
dell'art. 117, primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione  al
parametro interposto dell'art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    2.- Il rimettente e' stato adito per la revocazione della propria
sentenza n. 126 del 19 novembre 2010, di conferma di quella  resa  in
primo grado dal Tribunale per  i  minorenni  di  Venezia,  che  aveva
dichiarato  l'adottabilita'  del  minore  A.   T.   Z.   e   disposto
l'interruzione dei rapporti con la famiglia naturale. 
    Riferisce la  Corte  d'appello  di  Venezia  che  la  domanda  di
revocazione proposta dalla madre J. Z. fa seguito alla sentenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo,  seconda  sezione,  Zhou  contro
Italia, 21 gennaio 2014, che ha accertato  la  violazione,  ad  opera
dello Stato italiano, dell'art. 8 della CEDU e lo  ha  condannato  al
pagamento in favore della ricorrente della somma di euro 40.000,00, a
titolo di indennizzo per il danno morale subito, oltre alle spese. 
    Il rimedio revocatorio, consentendo di riesaminare nel merito  la
questione gia' decisa con la  sentenza  passata  in  cosa  giudicata,
sarebbe l'unico idoneo  a  consentire  l'esecuzione  della  pronuncia
della Corte EDU, la quale avrebbe ritenuto che,  a  salvaguardia  del
rispetto della vita  familiare  da  ingerenze  non  giustificate,  le
autorita' italiane avrebbero dovuto, prima di disporre  l'affidamento
del minore e avviare una procedura di adottabilita', prendere  misure
concrete per permettergli di vivere con la madre, e,  in  ogni  caso,
non recidere il legame con quest'ultima con un'adozione legittimante. 
    Ritiene il rimettente che, qualora l'ordinamento non  apprestasse
lo strumento della revocazione delle sentenze  passate  in  giudicato
per l'ipotesi di conflitto con sopravvenute sentenze della Corte EDU,
ne risulterebbe violato l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione
all'art.  46,  paragrafo  1,  della  CEDU,  che  impegna  gli   Stati
contraenti  «a  conformarsi  alle  sentenze  definitive  della  Corte
[europea dei  diritti  dell'uomo]  sulle  controversie  di  cui  sono
parti». 
    3.- E' non implausibile, e  per  cio'  solo  non  sindacabile  da
questa Corte, il giudizio sulla rilevanza operato dal rimettente,  il
quale afferma di dover fare applicazione delle  norme  censurate  per
decidere, in sede rescindente, sull'ammissibilita' della  domanda  di
revocazione. 
    La  decisione  della  questione  di  costituzionalita',  infatti,
influisce  concretamente  sulla  prima  valutazione  che   la   Corte
d'appello di Venezia e' chiamata a fare circa la riconducibilita' del
caso di specie ad uno dei  motivi  revocatori  previsti  dalla  legge
(sentenza n. 123 del 2017). 
    Non incide sulla rilevanza ogni aspetto estraneo al  giudizio  di
ammissibilita' della  fase  rescindente,  ivi  compresa  la  verifica
dell'effettiva esistenza di un contrasto con la sentenza della  Corte
EDU, dei suoi esatti termini e, infine, della possibilita' attuale  e
delle eventuali modalita' per rimuoverlo (aspetto, quest'ultimo,  che
in sede rescissoria  imporrebbe  al  giudice  a  quo  di  verificare,
tenendo conto del  best  interest  del  minore,  la  possibilita'  di
riallacciare i  rapporti  con  la  famiglia  di  origine  a  notevole
distanza di tempo dalla loro interruzione e in probabile presenza del
completo inserimento del minore in una nuova famiglia in forza di una
successiva sentenza di adozione). 
    4.- Nel merito la questione non e' fondata. 
    Con la citata sentenza n. 123 del 2017, questa Corte, dopo  avere
esaminato  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU  e  valorizzato,  in
particolare, l'importante pronuncia della Grande camera,  5  febbraio
2015, Bochan contro Ucraina  (n.  2),  ha  ritenuto  che  l'art.  46,
paragrafo 1, della CEDU, come letto dalla  Corte  di  Strasburgo  cui
spetta la funzione di interprete «eminente» (sentenze n. 49 del  2015
e n. 348 del 2007) del diritto convenzionale, allo stato non  imponga
un obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi. 
    La Corte EDU, infatti, nell'interpretare l'art. 46, paragrafo  1,
si limita ad incoraggiare l'introduzione della misura ripristinatoria
della riapertura dei processi non  penali,  lasciando,  tuttavia,  la
relativa decisione agli Stati contraenti, e  cio'  in  considerazione
della necessita' di tutelare i soggetti,  diversi  dal  ricorrente  a
Strasburgo e dallo Stato, che, pur avendo  preso  parte  al  giudizio
interno, non sono parti necessarie del giudizio convenzionale. 
    Nella stessa sentenza n. 123 del 2017,  tuttavia,  questa  Corte,
data l'importanza del tema dell'esecuzione delle sentenze della Corte
EDU anche al di fuori della  materia  penale,  ha  auspicato  sia  un
sistematico  coinvolgimento  dei  terzi  nel  processo  convenzionale
(invocato anche in una opinione concorrente riportata in  calce  alla
citata  sentenza  Bochan)  sia  un  intervento  del  legislatore  che
permetta di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose  a
Strasburgo con quello di difesa dei terzi (su  entrambi  gli  aspetti
questa Corte e' gia' tornata con la sentenza n. 6 del 2018). 
    5.- Ad oggi la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo  non  e'
mutata, come dimostra la sentenza  della  Grande  camera,  11  luglio
2017, Moreira Ferreira contro Portogallo (n. 2), ove si e' nuovamente
sottolineata  la  differenza  tra  processi  penali  e  civili  e  la
necessita', con riferimento a questi ultimi, di tutelare i terzi,  la
cui posizione processuale non e' assimilabile a quella delle  vittime
dei reati nei procedimenti penali (paragrafi 66 e 67). 
    La sentenza, anzi, si  segnala  per  l'affermazione,  ripresa  da
diverse angolazioni  nelle  opinioni  dissenzienti,  secondo  cui  la
riapertura dei  processi  interni,  finanche  penali,  a  seguito  di
sopravvenute  sentenze  della  Corte  EDU   di   accertamento   della
violazione di diritti convenzionali, non  e'  un  diritto  assicurato
dalla Convenzione (paragrafo 60, lettera a). 
    L'assenza di novita' nella  lettura,  ad  opera  della  Corte  di
Strasburgo, dell'art.  46,  paragrafo  1,  della  CEDU  in  relazione
all'obbligo di riapertura dei processi civili e  amministrativi,  del
resto neanche  affermato  nel  caso  di  specie,  esaurisce,  dunque,
l'esame dell'odierno thema decidendum e  comporta  il  rigetto  della
questione di legittimita' costituzionale,  sollevata  dal  rimettente
esclusivamente sotto il profilo della violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al citato parametro interposto. 
    6.- Per le ragioni gia' esposte in punto di rilevanza,  fuoriesce
dall'alveo della presente questione di legittimita' costituzionale il
dibattito giurisprudenziale e dottrinale,  in  cui  si  inserisce  la
stessa pronuncia della Corte EDU posta a fondamento  dell'istanza  di
revocazione nel giudizio a quo, sulla opportunita' o meno di favorire
in via interpretativa o di introdurre in  via  legislativa  forme  di
adozione che consentano il mantenimento dei rapporti del  minore  con
la famiglia di origine.