Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri (c.f.: 80188230587), rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato (c.f.: 80224030587 - n. fax 0696514000 ed indirizzo P.E.C. per il ricevimento degli atti ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it) e presso la stessa domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 - ricorrente; Contro la Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica - intimata; Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1 e comma 11 della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 12 del 27 marzo 2018, pubblicata nel BUR n. 20 del 30 marzo 2018, intitolata «Disposizioni in materia di cultura, sport, risorse agricole e forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria e raccolta funghi, imposte e tributi, autonomie locali e coordinamento della finanza pubblica, finzione pubblica, infrastrutture, territorio, ambiente, energia, attivita' produttive, cooperazione, turismo, lavoro, biodiversita', paesaggio, salute e disposizioni istituzionali», Per violazione degli articoli 117, comma 2, lett. s) e 119 Cost. - Con la legge n. 12 pubblicata sul BUR n. 20 del 28 marzo 2018 la Regione Friuli-Venezia Giulia ha emanato «Disposizioni in materia di cultura, sport, risorse agricole e forestali, risorse ittiche, attivita' venatoria e raccolta funghi, imposte e tributi, autonomie locali e coordinamento della finanza pubblica, funzione pubblica, infrastrutture, territorio, ambiente, energia, attivita' produttive, cooperazione, turismo, lavoro, biodiversita', paesaggio, salute e disposizioni istituzionali». In particolare, l'art. 7, comma 1 della predetta legge dispone che, alle istanze di concessione di derivazione d'acqua presentate prima della data di approvazione del Piano regionale di tutela delle acque, non si applicano le limitazioni previste per le nuove concessioni dell'art. 43, commi 3, 4 e 5 delle Norme di attuazione del piano stesso. - Il comma 11 dell'art. 7, modifica la legge regionale n. 34 del 20 ottobre 2017 contenente «Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di economia circolare», aggiungendo all'art. 27 recante "indennizzo ai comuni" il comma 3-ter secondo cui «I gestori degli impianti di cui agli articoli 3 e 3-bis possono stipulare con i comuni sul cui territorio sono situati i relativi impianti convenzioni che prevedono la corresponsione di un indennizzo, determinato dal regolamento regionale di cui all'art. 10, comma 1, lett. b)». Le suddette disposizioni dell'art. 7, commi 1 e 11 della legge regionale Friuli-Venezia Giulia eccedono dalle competenze attribuite alla Regione dallo statuto speciale di autonomia 31 gennaio 1963, n. 1 e successive modifiche ed integrazioni, e si prestano a censure di incostituzionalita' per i seguenti Motivi 1. Illegittimita' costituzionale dell'art 7, comma 1, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 2018, n. 12, pubblicata sul BUR n. 20 del 28 marzo 2018, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s) Cost., in relazione agli articoli 95 e 96 del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152. - L'art. 7 comma 1, della legge regionale in esame, prevede che «le limitazioni alle nuove concessioni di derivazione d'acqua previste dall'art. 43, commi 3, 4 e 5, delle Norme di attuazione del piano regionale di tutela delle acque, non si applicano alle istanze di concessione di derivazione d'acqua presentate prima della data di approvazione del piano stesso (sottolineatura aggiunta). Tale norma presenta profili di illegittimita' costituzionale in quanto si pone in contrasto con disposizioni statali ed europee in materia di tutela quantitativa delle acque, con conseguenze altresi' sulla tutela qualitativa dei corpi idrici. Interessa evidenziare che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale spetta al legislatore statale, titolare della competenza esclusiva stabilita dalla lettera s) del secondo comma dell'art. 117 Cost., disciplinare l'ambiente inteso come entita' organica, dettando norme che «hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto», posto che una simile disciplina inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1978) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario un elevato livello di tutela come tale inderogabile da altre discipline di settore. E' altresi' noto che nella materia della tutela ambientale rientra la tutela delle acque, contenuta nella parte terza del decreto legislativo n. 152/2006 (cfr. Corte cost. sentenza n. 229 del 2017, che richiama le sentenze n. 254 e 256/2009). Ne consegue che le norme statali in materia non possono essere derogate dal legislatore regionale. A questi principi non si e' attenuta la Regione Friuli-Venezia Giulia. La norma regionale impugnata contrasta, infatti, con la disciplina della materia prevista dagli articoli 95 e 96 del decreto legislativo n. 152/2006. L'art. 95 del citato decreto legislativo stabilisce che «Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorita' di bacino, nel rispetto delle priorita' stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilita', del minimo deflusso vitale, della capacita' di ravvenamento della falda e delle destinazioni d'uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative (comma 2)» e che rilasci di concessione devono essere «volti a garantire il minimo deflusso vitale dei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare» (comma 4). A tale disposizione e' strettamente conciata quella prevista dal successivo art. 96 del decreto legislativo n. 152/2006. Tale norma (che ha modificato il secondo comma dell'art. 7 del testo unico delle disposizioni sulle acque e impianti elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775), prevede che le domande per nuove concessioni devono essere trasmesse alle Autorita' di bacino territorialmente competenti che esprimono il loro parere vincolante in ordine alla compatibilita' della concessione con le previsioni del piano di tutela delle acque «anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto (sottolineatura aggiunta)». Inoltre, il 3° comma del citato art. 96 (che ha modificato l'art. 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775) stabilisce che il provvedimento di concessione e' rilasciato se «non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualita' definiti per il corso d'acqua interessato» e se «e' garantito il minimo deflusso vitale». In sintesi le predette disposizioni prevedono che tutte le istanze devono essere sottoposte al parere vincolante delle Autorita' di bacino territorialmente competenti affinche' sia assicurato il rispetto dell'equilibrio del bilancio idrico e sia garantito il rispetto del minimo deflusso vitale dei corpi idrici secondo la pianificazione e programmazione contenuta nei Piani di Tutela ancorche' non ancora approvati. La norma regionale impugnata contrasta con la descritta disciplina statale poiche' sottrae alle limitazioni previste dal Piano regionale di tutela delle acque le domande di concessione presentate prima della sua approvazione, cosi' consentendo di prescindere dalle previsioni. della pianificazione e programmazione che tendono a garantire il predetto equilibrio del bilancio idrico. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 11, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 27 marzo 2018, n. 12, pubblicata sul BUR n. 20 del 28 marzo 2018, per violazione degli articoli 117, secondo comma, lett. s) e 119 Cost. - L'art. 7, comma 11, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 12/2018, introduce il comma 3-ter all'art. 27 della legge regionale 20 ottobre 2017, n. 34, recante «Indennizzo ai Comuni». - Il comma 3-ter del citato art. 27 stabilisce che «i gestori degli impianti di cui agli articoli 3 e 3-bis possono stipulare con i Comuni sul cui territorio sono situati i relativi impianti convenzioni che prevedono la corresponsione di un indennizzo, determinato dal regolamento regionale di cui all'art. 10, comma 1, lett. b)». La finalita' della norma e' quella di imporre ai soggetti gestori di impianti di smaltimento localizzati sul territorio regionale, il pagamento di un indennizzo, necessario a compensare il disagio legato alla presenza dell'impianto di smaltimento o di recupero sul territorio comunale pur non essendo sostenuto da specifica norma statale. Tale disposizione si pone in contrasto con l'art. 119 Cost., in quanto il legislatore statale ha gia' istituito un tributo sovrapponibile a quello previsto dalla impugnata norma, configurandolo peraltro in modo significativamente diverso. Infatti, con l'art. 3, commi 24 e ss., la legge n. 549/1995 ha istituito il tributo per il conferimento rifiuti in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico. Il soggetto passivo dell'imposta e' «il gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo con l'obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento». - Il comma 27 dell'art. 3 della citata legge, come recentemente modificato dalla legge n. 205/2017, stabilisce che proprio in ragione di compensare il disagio provocato dalla presenza di tali tipologie di impianti sul territorio, la regione destina parte del gettito derivante dal pagamento del suddetto tributo (per il deposito in discarica e in impianti di incenerimento senza recupero energetico dei rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili), ai comuni, anche qualora limitrofi. L'impugnata disposizione della legge regionale n. 12/2018 viola nel complesso gli articoli 117, 2° comma, lett. s, e 119 Cost. Secondo consolidati principi affermati da codesta Corte, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, disciplinato dai commi da 24 a 49 dell'art. 3 della legge n. 549/1995, costituisce tributo statale, e non gia' tributo «proprio» delle regioni, senza che rilevino ne' l'attribuzione del suo gettito alle regioni, ne' le competenze amministrative ad esse attribuite (Corte cost., sentenza n. 412/2006, n. 397/2005, n. 335/2005). Come e' stato recentemente ribadito da codesta Corte con sentenza n. 133/2017, l'istituzione del tributo risponde a finalita' ambientali consistenti nel favorire la minore produzione di rifiuti, il recupero di materia prima e di energie, la bonifica dei siti contaminati ed il recupero di aree degradate cosi' da rientrare nell'ambito della competenza esclusiva attribuita allo Stato ai sensi dell'art. 117, 2° comma, lett. s) (nello stesso senso anche le sentenze n. 85/2017, n. 58/2015 e n. 269/2014). In tale contesto deve essere esclusa la potesta' del legislatore regionale di introdurre modifiche della normativa statale che non siano da essa espressamente consentite, ovvero - come nella specie - istituire un tributo che sia sovrapponibile a quello previsto dalla normativa statale. La norma regionale impugnata contrasta dunque con l'art. 119. Cost. cosi' come riconosciuto dalla sopra citata giurisprudenza, nonche' dalla sentenza n. 280/2011 che ha ravvisato il contrasto di una disposizione non dissimile da quella contenuta nell'art. 7, comma 11 della legge regionale in esame. La disposizione di cui all'art. 7, comma 11, della legge regionale in esame contrasta altresi' con l'art. 117 comma 2, lett. s) Cost. in quanto interferisce con la disciplina dei rifiuti che rientra nella materia ambientale di competenza legislativa esclusiva dello Stato.