ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello
Stato, sorto a seguito della sentenza della Corte dei conti,  sezione
II giurisdizionale centrale d'appello, 19  dicembre  2016,  n.  1354,
della nota della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti
22 marzo 2017,  prot.  n.  0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P,  e  della
sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per
il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894, promosso  dal  Presidente  della
Repubblica con ricorso notificato il 31 ottobre 2017,  depositato  in
cancelleria il 14 novembre  2017,  iscritto  al  n.  2  del  registro
conflitti tra poteri dello Stato 2017, fase di merito,  e  pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  48,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di intervento di P. D.P.; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore
Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati dello Stato  Massimo  Massella  Ducci  Teri  e
Federico Basilica per il Presidente  della  Repubblica  e  l'avvocato
Francesco Scacchi per P. D.P. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 20 aprile 2017 e iscritto al  n.  2
del registro conflitti tra poteri dello  Stato  2017,  il  Presidente
della Repubblica, rappresentato  e  difeso  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri  dello
Stato in riferimento alla sentenza della  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n.  894  e
alla sentenza della  Corte  dei  conti,  sezione  II  giurisdizionale
centrale d'appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, quest'ultima trasmessa
dalla Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti  con  nota
22 marzo 2017, n. prot. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P. 
    2.-  In  fatto,  il  ricorrente  premette  che,  in  seguito   ad
accertamenti effettuati dal Segretariato  Generale  della  Presidenza
della  Repubblica  sulla  gestione  della  tenuta  presidenziale   di
Castelporziano, facente parte della dotazione presidenziale ai  sensi
dell'art. 84 della Costituzione e della legge 9 agosto 1948, n.  1077
(Determinazione dell'assegno e della dotazione del  Presidente  della
Repubblica e istituzione del Segretariato generale  della  Presidenza
della Repubblica), sono risultati ammanchi per alcuni milioni di euro
per il periodo tra il 2002 e il 2008. 
    2.1.- Con nota del 27 marzo  2009  il  Segretariato  generale  ha
informato l'autorita' giudiziaria, che  ha  avviato  un  procedimento
penale  a  carico  di  alcuni  dipendenti  della   Presidenza   della
Repubblica, poi conclusosi con l'applicazione della pena su richiesta
delle parti al dipendente G. G. (Giudice per le indagini  preliminari
del Tribunale ordinario di Roma,  ufficio  VII,  sentenza  11  aprile
2011, n. 921) e con l'assoluzione, in relazione  ai  medesimi  fatti,
dei dipendenti A. D., P. D.P. e L. T. (Tribunale ordinario  di  Roma,
sezione VIII penale, sentenza 23 aprile-3 agosto 2013, n. 8262) . 
    La Presidenza della Repubblica ha adito anche il giudice  civile,
dal quale ha ottenuto la condanna dei dipendenti G. G. e  A.  D.,  in
solido tra loro,  al  pagamento  di  euro  4.631.691,96,  nonche'  di
ulteriori  euro  100.000,00  a  titolo  di  risarcimento  del   danno
all'immagine  (Tribunale  ordinario  di  Roma,  sezione  II   civile,
sentenza 4  agosto  2015,  n.  16997).  Avverso  questa  sentenza  e'
pendente il giudizio di appello,  promosso  dalla  stessa  Presidenza
della Repubblica per il mancato accoglimento della domanda contro  L.
T., gia' convenuto in primo grado. 
    2.2.- In relazione agli stessi fatti  e  sulla  base  di  notizie
giornalistiche, la Procura regionale per il  Lazio  della  Corte  dei
conti  ha  poi  avviato  un'istruttoria.  In  seguito   all'esercizio
dell'azione contabile, la Corte dei  conti,  sezione  giurisdizionale
per il Lazio, con la citata sentenza n. 894 del 2012,  ha  condannato
G. G. al pagamento di euro 954.222,00 e P. D.P. al pagamento di  euro
477.000,00. 
    Contro questa sentenza la Presidenza della Repubblica ha proposto
ricorso per regolamento di giurisdizione ai  sensi  degli  artt.  41,
secondo comma, e 368 cod. proc. civ., che la Corte di  cassazione  ha
poi dichiarato inammissibile (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,
ordinanza 20 novembre 2013, n. 26035). In quella pronuncia le sezioni
unite  affermano,  tra  l'altro,  quanto  segue:   «e'   interessante
ricordare  la  pronuncia  n.  129  del  1981   emessa   dalla   Corte
costituzionale che ha affermato che non spetta alla Corte  dei  Conti
il potere di  sottoporre  a  giudizio  contabile  i  tesorieri  della
Presidenza della Repubblica  (e  della  Camera  e  del  Senato);  con
riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con
organi costituzionali di vertice fra  i  quali  la  Presidenza  della
Repubblica.  E   cio'   perche'   il   fondamento   normativo   della
giurisdizione contabile della Corte dei  Conti  posto  nell'art.  103
Cost., comma 2,  non  risulta  dotato  di  un'assoluta  ed  immediata
operativita' in tutti i casi. La capacita' espansiva del T.U. n. 1214
del 1934 - e' stato  nuovamente  rilevato  -,  incontra,  infatti,  i
limiti dell'idoneita' oggettiva delle materie e  del  rispetto  delle
norme e dei principi costituzionali (v. anche sent. n. 110 del  1970,
sent. n. 102 del 1977).  E'  stato,  quindi,  mediante  il  conflitto
sollevato davanti alla Corte costituzionale a  essere  stato  risolto
quel caso; cio' dimostrando che quello e' lo strumento  corretto  per
la denuncia di situazioni costituenti materia di conflitto tra poteri
dello Stato. Il Conflitto che sussiste, non solo nei casi in  cui  si
controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione,  ma  anche
quando si discuta "circa  l'estensione  della  giurisdizione  propria
della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia  organizzativa  e
funzionale  rivendicata  dai  tre  organi  costituzionali  che  hanno
sollevato il conflitto" (v. Corte cost. n. 129 del 1981 in motiv.)». 
    Nelle  more,  a  tutela  delle  proprie  ragioni  creditorie,  la
Presidenza della Repubblica ha provveduto comunque ad  adottare,  nei
confronti dei dipendenti interessati, atti di  fermo  amministrativo,
sequestro, pignoramento e iscrizione di ipoteca. 
    La sentenza n. 894 del 2012 e' stata appellata da P. D.P.  e  dal
Procuratore Generale. Con la citata sentenza n.  1354  del  2016,  la
Corte  dei  conti  ha  respinto  la  prima  impugnazione  e   accolto
parzialmente  la  seconda,  confermando  la  propria   giurisdizione,
condannando il dipendente G. G. (gia' ritenuto responsabile in  primo
grado) al pagamento in favore della Presidenza  della  Repubblica  di
euro 4.631,691,96 e  condannando  altresi'  P.  D.P.  in  solido,  ma
limitatamente  alla  somma  di  euro  550.000,00  (ricompresa   nella
predetta maggiore somma di euro 4.631.691,96). 
    3.- In rito, il ricorrente osserva che  con  queste  sentenze  la
Corte dei conti si e' ritenuta  legittimata  «ad  agire  in  giudizio
nell'interesse  del  Segretariato  generale  della  Presidenza  della
Repubblica», in contrasto con la sentenza di questa Corte n. 129  del
1981 che, sempre  ad  avviso  del  ricorrente,  avrebbe  «escluso  la
competenza  del  giudice  contabile  nei   confronti   degli   organi
costituzionali».  Poiche'  la  Corte  dei  conti   si   e'   ritenuta
legittimata  ad  agire  e   a   proseguire   in   questa   iniziativa
autonomamente avviata, «senza essere stata  in  proposito  compulsata
dalla Presidenza della Repubblica», sarebbe stata lesa  la  sfera  di
autonomia  della  stessa  Presidenza,  in  consapevole  e  dichiarato
dissenso rispetto alla giurisprudenza costituzionale. 
    3.1.- Il ricorrente ravvisa, percio',  l'esigenza  che  la  Corte
costituzionale acclari «il corretto ambito di competenze della  Corte
dei  conti»,  sottolineando  che  le  attribuzioni  presidenziali  in
questione, poiche'  discendono  da  norme  costituzionali,  non  sono
disponibili; che rispetto a esse non e'  configurabile  acquiescenza,
analogamente a quanto affermato in materia di conflitto tra enti  (e'
citata, in particolare, la sentenza di questa Corte n. 369 del 2010);
che a maggior  ragione  tale  affermazione  vale  nel  conflitto  tra
poteri,  caratterizzato  dall'assenza  di  termini  decadenziali.  Il
ricorrente   chiede,   in   particolare,    «che    venga    ritenuta
l'interferenza, da parte della Corte dei  Conti,  nella  sfera  delle
competenze dell'Organo costituzionalmente garantite, con annullamento
degli  atti  lesivi  della  attribuzione   della   Presidenza   della
Repubblica (della sentenza in epigrafe indicata, di quella  di  primo
grado, nonche' di tutti gli atti preordinati o comunque collegati)». 
    3.2.-  Il  ricorso  sarebbe  ammissibile  dal  punto   di   vista
soggettivo, pacifica essendo la legittimazione del  Presidente  della
Repubblica a sollevare conflitto tra poteri. 
    3.3.- Il ricorso sarebbe ammissibile anche  dal  punto  di  vista
oggettivo, perche' non sarebbe censurato un mero error in  iudicando,
circostanza  che  trasformerebbe  il   conflitto   in   inammissibile
impugnazione  di  decisioni  giudiziarie.  Si   chiede   invece   una
delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  per  i  vari
poteri da norme costituzionali, a seguito della  menomazione  causata
alla  Presidenza  della  Repubblica  in  particolare  dalla  sentenza
d'appello della Corte dei conti.  Del  resto,  conflitti  tra  poteri
aventi a oggetto atti giurisdizionali  e  anche  sentenze  definitive
sarebbero certamente sempre ammissibili, non essendo  previsto  alcun
termine di decadenza per la proposizione del ricorso. 
    3.4.-  In  conclusione,  il  ricorrente  ribadisce   la   propria
richiesta  a  questa  Corte  di  accertare   che   il   giudizio   di
responsabilita' conclusosi con la sentenza della Corte dei  conti  n.
1354 del  2016  e  «riguardante  dipendenti  della  Presidenza  della
Repubblica   per   attivita'   comunque   riconducibili    all'ambito
organizzativo  dotato  di  autonomia   costituzionalmente   tutelata»
costituisce un'interferenza della Corte dei conti nelle  attribuzioni
riservate alla Presidenza della Repubblica e che, per l'effetto,  sia
annullato  «ogni  atto  lesivo  del  principio  dell'esenzione  della
Presidenza della Repubblica dalla  giurisdizione  contabile»  e  ogni
altro atto presupposto o connesso. 
    4.-  Nel  merito,  il  ricorrente  rileva  che,  attraverso   una
pluralita'  di  atti,  a   cominciare   dall'avvio   dell'azione   di
responsabilita' per danno erariale, la Corte dei conti ha ritenuto la
propria «giurisdizione»,  assimilando  impropriamente  la  Presidenza
della Repubblica a un'amministrazione pubblica e, cosi'  facendo,  da
un lato, avrebbe esorbitato dai propri poteri, di cui  all'art.  103,
secondo comma,  Cost.  e,  dall'altro,  avrebbe  leso  i  poteri  del
Presidente della Repubblica  derivanti  dall'art.  84,  terzo  comma,
Cost., ai cui sensi «l'assegno e la  dotazione  del  Presidente  sono
determinati per legge», e cio' «in evidente contrasto con una  chiara
consuetudine costituzionale». 
    4.1.- Il ricorrente riporta un  lungo  stralcio  della  censurata
sentenza n. 1354 del 2016. In esso, la Corte dei conti, per sostenere
la propria giurisdizione, gia' affermata in  primo  grado,  argomenta
che «deroghe  alla  giurisdizione  in  favore  di  una  giurisdizione
domestica (o autodichia)  debbono  essere  espressamente  previste  o
consentite da disposizioni costituzionali (cfr. Cass.  sez.  un.,  n.
6529/2010 e n. 12614/1998), ma anche che deroghe di  tal  fatta  sono
sempre di stretta interpretazione (Corte  cost.  n.  129/1981)»;  che
«nella fattispecie manca una disposizione costituzionale che escluda,
direttamente o indirettamente, l'assoggettamento dei  dipendenti  del
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica ai giudizi di
responsabilita' per danno  erariale  di  cui  conosce  la  Corte  dei
conti»; che i giudizi di  responsabilita'  per  danno  erariale  sono
distinti sia dall'ordinario contenzioso sui rapporti di  lavoro  alle
dipendenze  del  Segretariato   generale   della   Presidenza   della
Repubblica, sia dai giudizi di conto celebrati  dinanzi  alla  stessa
Corte dei conti, i quali sarebbero caratterizzati da  «necessarieta',
ufficiosita',     automaticita',      continuita',      pervasivita',
inquisitorieta'»; che per i predetti i giudizi di responsabilita' non
risulta «la "consuetudine costituzionale" sulla base della  quale  la
Corte  costituzionale,   con   la   sentenza   n.   129/1981,   aveva
(discutibilmente, ad avviso del Collegio) ritenuto  di  escludere  il
tesoriere  della  Presidenza   della   Repubblica   dall'obbligo   di
presentare il conto giudiziale previsto  dall'art.  74  del  r.d.  n.
2240/1923»;  che  da  tali  argomentazioni  deriva   la   coesistenza
dell'azione di  responsabilita'  amministrativa  davanti  al  giudice
contabile e  dell'ordinaria  azione  di  responsabilita'  davanti  al
giudice civile, le quali differiscono per  presupposti  e  finalita',
salva la preclusione all'esercizio di una quando con l'altra  si  sia
gia' ottenuto il  medesimo  bene  della  vita  (il  che  non  sarebbe
avvenuto nel caso in esame, non essendo  stata  la  Presidenza  della
Repubblica reintegrata nel danno di euro 4.631.691,96). 
    4.2.- Il ricorrente evidenzia che, peraltro, la Corte  dei  conti
non ha preso in considerazione il  danno  all'immagine,  riconosciuto
invece in sede civile. Inoltre, diversamente dal giudice  civile,  la
Corte dei conti ha  limitato  la  solidarieta'  fra  i  due  soggetti
condannati alla sola somma di  euro  550.000,00  e  -  in  forza  del
tuttora vigente art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923,  n.  2440
(Nuove  disposizioni  sull'amministrazione  del  patrimonio  e  sulla
contabilita' generale dello Stato) - puo' ridurre la misura del danno
accertato posta a  carico  dei  responsabili.  Pertanto,  secondo  il
ricorrente, anche in via generale, l'azione civile  si  dimostrerebbe
maggiormente idonea a garantire il recupero e il ristoro di  tutti  i
danni subiti. 
    La  pretesa  coesistenza  fra   i   due   giudizi   accentuerebbe
l'interferenza con le attribuzioni presidenziali dato  che,  dopo  la
conclusione del secondo grado di  giudizio  dinanzi  alla  Corte  dei
conti, l'ulteriore corso del  giudizio  civile  pendente  in  appello
sarebbe «sostanzialmente precluso».  Il  rischio  di  un  «potenziale
conflitto tra 'giudicati'», infine, sarebbe accresciuto dal fatto che
la condanna della  Corte  dei  conti  e'  rivolta  nei  confronti  di
soggetti (G. G. e P. D.P.)  solo  in  parte  coincidenti  con  quelli
ritenuti responsabili dal Tribunale civile di Roma (G. G. e D. A.; il
Tribunale ha invece escluso la responsabilita' di P. D.P.). 
    4.3.-  Anche  di  recente,  l'art.  51,  comma  7,  del   decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice  di  giustizia  contabile,
adottato ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124)
ha riferito la notizia di danno erariale  e  la  relativa  azione  di
responsabilita' ai soli «dipendenti delle  pubbliche  amministrazioni
di cui all'articolo 1, comma 2,  del  decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165», e degli altri enti e organismi  puntualmente  indicati
(con elencazione da ritenersi tassativa). Ad avviso  del  ricorrente,
e' proprio  la  confusione  «tra  Organo  costituzionale  e  pubblica
amministrazione»  l'errore  in  cui  sarebbero  caduti   gli   uffici
requirenti e giudicanti della Corte dei conti. 
    Disattendendo l'eccezione di difetto di giurisdizione, esprimendo
dissenso rispetto alle  tesi  enunciate  dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 129 del 1981  e  rimarcando  le  differenze  tra  i
giudizi di conto oggetto di tale sentenza costituzionale e quelli  di
responsabilita' per  danno  erariale,  la  Corte  dei  conti  avrebbe
mostrato di  volere  pervicacemente  insistere  nell'invasione  delle
attribuzioni presidenziali, e  l'invasione  sarebbe  stata  aggravata
dalla nota del 22 marzo 2017, con la quale la Procura  regionale  per
il Lazio della stessa Corte dei conti ha trasmesso, per l'esecuzione,
la sentenza d'appello. 
    Questa nota,  poi,  non  solo  cita  l'art.  212  del  codice  di
giustizia  contabile   (rubricato:   «Titolo   esecutivo»),   ma   e'
addirittura accompagnata da una «circolare dell'Ufficio  Monitoraggio
sentenze di condanna della Procura Regionale per il  Lazio»,  che  la
Presidenza della Repubblica e' «invita[ta]» a «seguire».  Secondo  il
ricorrente, «risulta davvero aberrante anche solo ipotizzare  che  un
ufficio  della  Corte  dei   conti   possa   monitorare   l'attivita'
dell'apparato  funzionale  all'esercizio   delle   attribuzioni   del
Presidente della Repubblica». 
    4.4.- Richiamato l'art. 84, terzo comma, Cost., che  prevede  che
«l'assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge»,
e l'art. 1 della legge n. 1077 del 1948, che ha attuato la previsione
costituzionale,   il   Presidente    della    Repubblica    rivendica
l'esclusivita' della propria prerogativa di  assumere  determinazioni
con riguardo ai beni ricompresi, per legge, nella propria dotazione e
alle somme annue assegnategli, parimenti per legge.  Diversamente  da
quanto  ritenuto  dalla  Corte  dei  conti,  non  si  tratterebbe  di
riconoscere o meno istanze di  autodichia,  in  deroga  alla  normale
giurisdizione; bensi', come rilevato dalle sezioni unite della  Corte
di cassazione,  di  escludere  in  radice  interferenze  nel  libero,
indipendente e autonomo esercizio delle funzioni presidenziali. 
    La netta separazione, nella Parte II della Costituzione,  tra  il
Titolo II, da un lato, e, dall'altro, il Titolo III (e in particolare
la Sezione  II  di  questo),  comproverebbe  la  distinzione  tra  il
Presidente della Repubblica, con l'apparato di cui egli abbisogna per
esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza, e  la  pubblica
amministrazione, come ricordato sempre  dalla  sentenza  n.  129  del
1981. 
    Anche  le  disposizioni  costituzionali  sulla  Corte  dei  conti
confermerebbero che il perimetro delle attribuzioni  di  tale  organo
non riguarda affatto il Presidente della Repubblica, la sua dotazione
e il Segretariato generale. 
    L'art. 100, secondo e terzo comma, Cost.  contempla  funzioni  di
controllo sugli atti del Governo e  garantisce  l'indipendenza  della
Corte dei conti di fronte allo stesso Governo, ma non  prevede  alcun
rapporto  tra  quest'ultima  e  il   Presidente   della   Repubblica,
evidentemente    presupponendo    l'impossibilita'    di    qualsiasi
interferenza. Per quanto riguarda l'art.  103  Cost.,  il  ricorrente
argomenta che la dotazione  presidenziale  e'  prevista  direttamente
dalla Costituzione e che  alla  legge  spetta  solo  determinarne  la
consistenza effettiva. Pertanto, nessun organo diverso dal Presidente
della Repubblica  potrebbe  assumere  determinazioni  sull'uso  della
stessa, pena l'impossibilita' per il Capo dello  Stato  di  assolvere
alle proprie funzioni, connotate da un livello di massima sicurezza e
segretezza. Anche l'art. 113 Cost., poi, si riferirebbe evidentemente
alla sola pubblica amministrazione e «non anche  agli  atti  adottati
nell'ambito  della   piena   indipendenza   e   autonomia   -   anche
organizzativa - del Presidente della Repubblica». 
    Dunque, sarebbe contraddittorio  assimilare  l'apparato  servente
del Presidente della Repubblica alla pubblica amministrazione, che fa
invece capo al Governo. 
    Di conseguenza, le  norme  costituzionali  in  tema  di  pubblica
amministrazione non riguarderebbero il Presidente della Repubblica  e
il personale che gli e' dedicato; la  dotazione,  quantificata  dalla
legge,  sarebbe   affidata   esclusivamente   al   Presidente   della
Repubblica, al quale sarebbe altresi' riservata  ogni  determinazione
in merito a essa  e  al  relativo  personale.  Come  osservato  nella
sentenza n. 129 del 1981, rientrerebbe nella autonomia  degli  organi
costituzionali non solo la produzione di  norme  sull'assetto  e  sul
funzionamento dei propri apparati  serventi,  ma  anche  la  concreta
adozione delle misure atte ad assicurarne l'osservanza,  nonche',  in
via   esclusiva,   «l'attivazione    dei    corrispondenti    rimedi,
amministrativi  od  anche  giurisdizionali».   Confondendo   l'organo
costituzionale con le amministrazioni pubbliche, la Corte  dei  conti
avrebbe esorbitato  dalle  proprie  attribuzioni  e  interferito  con
quelle del ricorrente. 
    Il ricorso richiama gli artt. 1, 3, primo  comma,  4  e  9  della
legge n. 1077 del 1948 e  argomenta  che  spetterebbe  al  Presidente
della Repubblica stabilire, con proprio decreto, lo  stato  giuridico
ed economico del personale addetto alla Presidenza, incluso il regime
di responsabilita' dello stesso personale.  Di  conseguenza,  sarebbe
«precipuo  ma  anche  esclusivo  interesse   del   Presidente   della
Repubblica»   procedere   al   recupero   di   quanto   eventualmente
indebitamente sottratto alla dotazione. 
    4.5.- La giurisprudenza costituzionale avrebbe gia' affermato che
le funzioni presidenziali non sono riconducibili ai tre  tradizionali
poteri  dello  Stato  (e'  citata  l'ordinanza  n.  150  del   1980),
circostanza dalla quale discenderebbe la radicale esclusione di  ogni
interferenza e sindacato da parte di tali poteri nei confronti  delle
funzioni presidenziali. Del resto, anche le attribuzioni della  Corte
dei  conti  per  i  giudizi  di  responsabilita'  amministrativa  non
deriverebbero di diritto dall'art. 103 Cost.,  ma  sarebbero  rimesse
alla  discrezionalita'  del  legislatore  ordinario  (e'  citata   la
sentenza n. 46 del 2008). 
    Il ricorrente ricorda che nella sentenza di questa Corte  n.  143
del 1968 e' stata affermata l'esenzione dal controllo della Corte dei
conti dell'attivita' degli organi che - come il Capo dello Stato,  il
Parlamento e la Corte costituzionale - si trovano in una posizione di
vertice nell'ordinamento costituzionale e di  assoluta  indipendenza.
Nella stessa sentenza, si e'  precisato  che  «anche  in  materia  di
spese, poiche' esse sono necessarie al funzionamento dell'organo,  un
riscontro esterno comprometterebbe il libero esercizio delle funzioni
politico-legislative  o  di  garanzia  costituzionale  che  gli  sono
attribuite». 
    La  sentenza  n.  110  del  1970,  inoltre,   avrebbe   affermato
l'ammissibilita' di deroghe alla giurisdizione della Corte dei  conti
nei confronti di organi immediatamente partecipi dei  poteri  sovrani
dello Stato e, percio', situati ai vertici  dell'ordinamento.  Questo
orientamento sarebbe stato portato a ulteriore compimento dalla  gia'
citata  sentenza  n.  129  del  1981,  la  quale   avrebbe   rilevato
l'esistenza di una  consuetudine  costituzionale,  integrativa  delle
norme costituzionali scritte sul regime degli apparati serventi  agli
organi costituzionali, volta, per ragioni storiche e di  salvaguardia
della piena autonomia costituzionale degli organi supremi, a limitare
la giurisdizione della Corte dei conti di cui all'art. 103 Cost. 
    Nella impugnata sentenza n. 1354 del 2016, dunque, la  Corte  dei
conti  avrebbe  errato  nell'affermare   la   propria   giurisdizione
esclusivamente in virtu' del carattere pubblico dell'ente interessato
e del denaro o bene gestito, appoggiandosi all'ordinanza della  Corte
di cassazione, sezioni unite, «n. 13310/2010» (recte: 1° giugno 2010,
n. 13330). Inoltre, nella sentenza n. 68 del 1971 e soprattutto nella
sentenza  n.  209  del  1994,  questa  Corte  avrebbe   espressamente
riconosciuto l'esenzione dei dipendenti  delle  due  Camere  e  della
Presidenza della Repubblica dalla giurisdizione contabile della Corte
dei conti; e la dottrina avrebbe unanimemente ravvisato il fondamento
di tale esenzione  nella  consuetudine  costituzionale  di  cui  alla
sentenza n. 129 del 1981, pacifica quantomeno riguardo ai giudizi  di
conto. 
    4.6.- Questo principio  non  potrebbe  non  estendersi  anche  ai
giudizi di responsabilita'. 
    L'unitarieta' delle funzioni della Corte dei conti sarebbe  stata
affermata, in particolare, nella sentenza di questa Corte n. 641  del
1987, secondo la quale la giurisdizione sulle materie di contabilita'
pubblica  «va  intesa  nel  senso  tradizionalmente   accolto   dalla
giurisprudenza e dalla legislazione, cioe' come comprensiva  sia  dei
giudizi di conto che di responsabilita' a carico  degli  impiegati  e
degli  agenti  contabili  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici  non
economici che hanno il maneggio del pubblico denaro». Di conseguenza,
nella giurisprudenza costituzionale le funzioni giurisdizionali e  di
controllo  della  Corte  dei  conti  risponderebbero  a  esigenze  di
garanzia unitaria della finanza pubblica, e la stessa Corte dei conti
avrebbe affermato l'unitarieta' delle funzioni giurisdizionali  e  di
controllo conferitele dalla Costituzione, malgrado le  differenze  di
natura, procedimenti, finalita' ed effetti. 
    Diversamente  dalle   amministrazioni   pubbliche,   gli   organi
costituzionali non sono soggetti ad alcun  controllo  preventivo,  il
cui esito positivo vale come esenzione  dalla  colpa  grave  ai  fini
della responsabilita' amministrativa ai sensi dell'art. 1,  comma  1,
della legge 14 gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni  in  materia  di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti).  Sarebbe  incongruo
sottoporre     un     organo      alla      sola      responsabilita'
amministrativo-contabile, quando esso non e' sottoposto a  controllo:
il  che  comproverebbe  che  i  dipendenti  della  Presidenza   della
Repubblica sono esenti sia dal giudizio di conto, sia  da  quello  di
responsabilita'  amministrativo-contabile  in  forza   della   stessa
consuetudine costituzionale. 
    4.7.- Questa conclusione sarebbe  corroborata  dalla  distinzione
che la giurisprudenza costituzionale ha teorizzato tra la  condizione
di autonomia, del tutto peculiare, degli organi costituzionali, da un
lato, e, dall'altro, quella di altre assemblee rappresentative, quali
i Consigli regionali: nonostante alcune analogie, solo la particolare
connotazione  delle  prerogative  e  dell'indipendenza  degli  organi
costituzionali  comporterebbe  la  deroga  rispetto   alla   generale
sottoposizione alla giurisdizione contabile. 
    Cio' sarebbe altresi' confermato dall'esclusione del Parlamento e
del Presidente  della  Repubblica  dalle  nuove  forme  di  controllo
introdotte dall'art. 1 del decreto-legge  10  ottobre  2012,  n.  174
(Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento  degli
enti territoriali, nonche' ulteriori  disposizioni  in  favore  delle
zone terremotate nel maggio  2012),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 7 dicembre 2012, n. 213 (e' citata la sentenza n. 39  del
2014). 
    La  giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  anche  ripetutamente
chiarito  che  la  giurisdizione  della  Corte  dei  conti  e'   solo
tendenzialmente  generale;  che  a  essa,  specie   in   materia   di
responsabilita'  amministrativa  non  di  gestione,  sono   possibili
deroghe;  che  la  giurisdizione  di   responsabilita'   non   deriva
automaticamente   dall'art.   103   Cost.,   ma   e'   rimessa   alla
discrezionalita' del  legislatore  (e'  citata,  in  particolare,  la
sentenza n. 46 del 2008). 
    5.- Pertanto, il Presidente della Repubblica  conclude  chiedendo
che, «previa tutela cautelare, venga dichiarato il difetto di  potere
della Corte dei conti a esercitare  la  giurisdizione  contabile  nei
confronti della Presidenza  della  Repubblica  per  violazione  degli
artt. 103, comma secondo,  e  84,  comma  terzo,  Cost.  nonche'  per
contrasto  con  la   evidenziata   consuetudine   costituzionale,   e
conseguentemente  che  venga  annullata  la  sentenza   indicata   in
epigrafe,  unitamente  a  ogni  altro  atto  presupposto  o  comunque
connesso». 
    6.- Con ordinanza n. 225 del  2017  la  Corte  costituzionale  ha
dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto ai sensi dell'art. 37
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale). 
    7.-  Il  ricorso  e  l'ordinanza   sono   stati   tempestivamente
notificati, a cura del ricorrente, alla Corte dei conti,  sezione  II
giurisdizionale  centrale   d'appello   e   sezione   giurisdizionale
regionale per il Lazio, e alla  Procura  regionale  della  Corte  dei
conti per il Lazio. 
    Nessuno dei soggetti notificati  si  e'  costituito  in  giudizio
davanti a questa Corte. 
    8.- In data 13 dicembre 2017 ha depositato un atto di  intervento
ad adiuvandum P. D.P., dipendente della Presidenza della  Repubblica,
chiedendo che la Corte costituzionale  dichiari  ammissibile  il  suo
intervento e che,  in  accoglimento  delle  richieste  formulate  dal
ricorrente, dichiari il difetto  di  giurisdizione  della  Corte  dei
conti nell'accertamento della responsabilita'  dei  dipendenti  della
Presidenza della Repubblica e conseguentemente annulli i procedimenti
e provvedimenti della Corte dei conti oggetto del conflitto. 
    L'interveniente ricostruisce innanzitutto, in punto di fatto,  la
sua posizione processuale: assolto per non avere  commesso  il  fatto
nell'ambito del procedimento penale per peculato; non  condannato  in
primo grado al risarcimento del danno nel  processo  civile,  in  cui
peraltro era stato chiamato in causa da un altro convenuto  a  titolo
di  garanzia  senza  essere  stato  citato  dalla  Presidenza   della
Repubblica, la quale  non  ha  poi  proposto  impugnazione  sul  capo
relativo alla sua  posizione;  condannato  tuttavia  in  primo  e  in
secondo grado nel giudizio contabile sorto a seguito dell'istruttoria
avviata  autonomamente,  senza   impulso   della   Presidenza   della
Repubblica, dalla Procura regionale della  Corte  dei  conti  per  il
Lazio. 
    Quanto alla ammissibilita' dell'intervento, P. D.P.  richiama  la
giurisprudenza costituzionale che ammette l'intervento di  terzi  nel
conflitto tra poteri qualora il pregiudizio o la  salvaguardia  della
loro posizione soggettiva  dipendono  imprescindibilmente  dall'esito
del conflitto,  e  in  particolare  quando  gli  atti  impugnati  nel
conflitto sono oggetto di un giudizio di  fronte  agli  organi  della
giurisdizione comune in cui l'interveniente sia parte (si  citano  le
sentenze n. 305 del 2011, n. 279 del 2008 e  n.  368  del  2007).  La
situazione dell'interveniente rientrerebbe in questi casi, dato che i
due provvedimenti giurisdizionali della Corte  dei  conti  che  danno
origine  al  conflitto  sono  stati  pronunciati  (anche)  nei   suoi
confronti. 
    Nel merito, l'interveniente si associa alle argomentazioni svolte
dal ricorrente circa l'assoluta carenza di giurisdizione della  Corte
dei conti di fronte al potere degli  organi  costituzionali  relativo
sia alla produzione di norme sull'assetto  e  sul  funzionamento  dei
propri apparati, sia alla concreta  adozione  delle  misure  atte  ad
assicurare l'osservanza di tali norme, da cui discenderebbe «la piena
autonomia,  da  parte  degli  stessi  organi,  dell'attivazione   dei
corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali». 
    9.- Nell'imminenza dell'udienza il Presidente della Repubblica ha
depositato memoria insistendo nelle sue richieste. 
    Rispetto a quanto  gia'  dedotto  nel  ricorso  introduttivo,  il
ricorrente aggiunge che nelle more  del  giudizio  costituzionale  e'
intervenuta la sentenza n. 262 del 2017, sulla cosiddetta  autodichia
nei  confronti  dei  dipendenti  del  Segretariato   Generale   della
Presidenza della Repubblica, con la quale la Corte costituzionale  ha
rigettato il ricorso delle sezioni unite della  Corte  di  cassazione
evidenziando la necessita' che il  libero  esercizio  delle  funzioni
presidenziali non possa essere in alcun modo sacrificato. Dopo  avere
riprodotto alcuni passaggi della sentenza, il ricorrente sostiene che
anche nel caso della giurisdizione contabile,  oggetto  del  presente
conflitto, come in quello  dell'autodichia,  dovrebbe  affermarsi  la
necessita' di garantire «la non dipendenza del Presidente rispetto ad
altri poteri dello Stato»: dipendenza  che  nel  caso  di  specie  si
sarebbe invece impropriamente determinata nel momento in cui la Corte
dei  conti  ha  esteso  la  propria  giurisdizione  a  soggetti   che
prestavano la propria attivita'  lavorativa  presso  il  Segretariato
generale  della  Presidenza  della  Repubblica,  struttura   servente
dell'organo costituzionale «la cui disciplina e gestione viene  [...]
sottratta a qualunque ingerenza esterna» (sentenza n. 262 del 2017). 
    Oltre a richiamare gli altri argomenti gia' esposti  nel  ricorso
introduttivo, il ricorrente ricorda anche che ai sensi dell'art.  84,
terzo comma, Cost. la dotazione del  Presidente  e'  determinata  per
legge, e che la legge ha previsto che nell'ambito della dotazione  vi
sia la tenuta di Castelporziano con tutti i mobili  e  le  pertinenze
(art. 1 della legge n. 1077 del 1948). Cio' comporterebbe che solo ed
esclusivamente  il  Presidente  della   Repubblica   possa   assumere
determinazioni con riguardo ai beni rientranti in  quella  dotazione.
Nella  fattispecie,  la  Presidenza  della  Repubblica   aveva   gia'
esercitato l'azione civile. La  Presidenza  della  Repubblica,  anzi,
avrebbe agito con maggiore efficacia rispetto alla Corte  dei  conti,
dato che la condanna civile a carico dei funzionari sembra  destinata
ad avere una maggiore possibilita' di recupero, perche' i  funzionari
sono stati condannati in solido per l'intero, e non  solo  in  parte,
con risarcimento anche del danno all'immagine,  non  considerato  dal
giudice contabile. 
    Il ricorrente osserva inoltre, in generale, che  l'azione  civile
davanti al giudice ordinario  meglio  garantisce  il  recupero  e  il
ristoro non solo di tutte le voci di danno richieste, ma  soprattutto
dell'intero danno,  non  essendo  previsto  il  potere  di  riduzione
dell'addebito, che invece la Corte dei conti  puo'  sempre  applicare
nei giudizi di responsabilita' (art. 83 del r.d. n.  2440  del  1923,
non abrogato dal codice di giustizia contabile del 2016). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  della  Repubblica,  rappresentato  e  difeso
dell'Avvocatura generale  dello  Stato,  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello  Stato  in  riferimento  alla  sentenza
della Corte dei  conti,  sezione  giurisdizionale  regionale  per  il
Lazio, 25 settembre 2012, n. 894 e  alla  sentenza  della  Corte  dei
conti, sezione II giurisdizionale  centrale  d'appello,  19  dicembre
2016, n. 1354, quest'ultima trasmessa dalla Procura regionale per  il
Lazio della Corte  dei  conti  con  nota  22  marzo  2017,  n.  prot.
0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, con le quali e' stata  accertata  la
responsabilita'  amministrativo-contabile  di  due  dipendenti  della
Presidenza  della  Repubblica  per  ingenti  ammanchi  relativi  alla
gestione della tenuta  presidenziale  di  Castelporziano  negli  anni
compresi tra il 2002 e il 2008 ed e' stata  pronunciata  condanna  al
pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno in favore della
stessa Presidenza. 
    Il ricorrente chiede che questa Corte dichiari che  non  spettava
alla   Corte   dei   conti   esercitare   la   giurisdizione    sulla
responsabilita' amministrativo-contabile nei confronti di  dipendenti
della Presidenza della Repubblica,  e  conseguentemente  annulli  gli
atti impugnati sopra indicati, oltre a  quelli  a  essi  presupposti,
connessi e collegati. 
    Secondo il ricorrente la Corte dei conti,  ritenendo  sussistente
la  propria  giurisdizione,  avrebbe  assimilato  impropriamente   la
Presidenza della Repubblica a una pubblica amministrazione  e,  cosi'
facendo, da un lato avrebbe ecceduto  dai  poteri  a  essa  conferiti
dall'art. 103, secondo comma, della Costituzione  e  dall'altro  lato
avrebbe  interferito  con  le  attribuzioni  del   Presidente   della
Repubblica di cui  all'art.  84,  terzo  comma,  Cost.,  violando  la
consuetudine  costituzionale  che  riserva  alla   Presidenza   della
Repubblica   l'esclusiva    disponibilita'    dei    rimedi,    anche
giurisdizionali, per  garantire  la  corretta  amministrazione  della
propria dotazione. 
    2.-  In  via  preliminare,  deve  essere  dichiarato  ammissibile
l'intervento spiegato da P.  D.P.,  il  dipendente  della  Presidenza
della Repubblica che e' stato parte nei  giudizi  di  responsabilita'
amministrativo-contabile che  hanno  dato  luogo  alle  due  sentenze
oggetto del presente conflitto di attribuzione e  nei  confronti  del
quale la nota della Procura regionale per  il  Lazio,  parimenti  qui
impugnata, chiede alla Presidenza della Repubblica di dare esecuzione
alla decisione di appello della Corte dei conti. 
    Nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
di regola, non e' ammesso l'intervento di soggetti diversi da  quelli
legittimati a promuovere il conflitto o  resistervi.  Questa  regola,
tuttavia, non opera quando l'interveniente sia parte di  un  giudizio
comune, i cui esiti o i cui effetti la pronuncia di questa Corte  sia
suscettibile di condizionare (tra  le  molte,  sentenza  n.  107  del
2015). 
    Tale e' il caso di specie, dal  momento  che  l'interveniente  e'
stato condannato sia in primo che in  secondo  grado  dalle  sentenze
contabili impugnate in questa sede e che il giudizio  costituzionale,
vertendo sulla spettanza o meno alla Corte dei conti  del  potere  di
esercitare   la   giurisdizione   contabile,   e'   suscettibile   di
condizionare l'esecuzione a carico dell'interveniente della  sentenza
di secondo grado. 
    3.- Sempre in via preliminare va confermata, ai  sensi  dell'art.
37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  l'ammissibilita'   del
conflitto gia' dichiarata  da  questa  Corte,  in  sede  di  prima  e
sommaria delibazione,  con  l'ordinanza  n.  225  del  2017,  che  ha
accertato la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi. 
    3.1.- Con riguardo al profilo soggettivo, deve essere ribadita la
pacifica legittimazione del Presidente della Repubblica  ad  attivare
il  conflitto  tra  poteri  dello  Stato  per  difendere  le  proprie
attribuzioni costituzionali. 
    La tutela delle attribuzioni del Capo dello Stato si  estende  al
Segretariato generale della Presidenza, che svolge «compiti  serventi
rispetto alla "funzione presidenziale", costituzionalmente garantita»
(sent. 129 del 1981). Infatti,  la  legge  9  agosto  1948,  n.  1077
(Determinazione dell'assegno e della dotazione del  Presidente  della
Repubblica e istituzione del Segretariato generale  della  Presidenza
della Repubblica), artt.  3  e  ss.,  ha  istituito  il  Segretariato
generale  della  Presidenza  della  Repubblica,   «nel   quale   sono
inquadrati tutti gli uffici e i servizi necessari per  l'espletamento
delle   funzioni   del   Presidente   della    Repubblica    e    per
l'amministrazione  della  dotazione  prevista  dall'art.   1»   della
medesima legge, ai sensi dell'art. 84 Cost. Del  resto,  come  questa
Corte ha gia'  avuto  occasione  di  rilevare,  il  Presidente  della
Repubblica «necessita di un proprio apparato organizzativo, non  solo
per amministrare i beni rientranti nella dotazione presidenziale,  ma
anche per consentire un libero ed efficiente esercizio delle  proprie
funzioni, garantendo in tal modo la  non  dipendenza  del  Presidente
rispetto ad altri poteri dello Stato» (sentenze n. 262 del 2017 e  n.
129   del   1981).   Sicche'   l'effettiva   autonomia    dell'organo
costituzionale si estende anche all'apparato amministrativo servente. 
    Deve inoltre confermarsi  la  legittimazione  passiva  delle  due
sezioni della Corte dei conti e della Procura regionale  della  Corte
dei conti, in quanto  tutte  espressione  di  potere  giurisdizionale
diffuso. 
    3.2.- L'ammissibilita' del  conflitto  sussiste  anche  sotto  il
profilo  oggettivo,  dato  che   il   ricorrente   agisce   «per   la
delimitazione della sfera di  attribuzioni  determinata  per  i  vari
poteri da norme costituzionali», come previsto  dall'art.  37,  primo
comma, della legge n. 87 del 1953. 
    Il   ricorso   lamenta   una   menomazione   delle   attribuzioni
costituzionali del Presidente della  Repubblica  garantite  dall'art.
84, terzo  comma,  Cost.  e  relative  alla  dotazione  presidenziale
causata dalle citate sentenze della Corte dei conti e aggravata dalla
richiamata nota della Procura contabile, sostenendo che esse  abbiano
superato i limiti che la giurisdizione contabile, prevista  dall'art.
103 Cost., incontra nei confronti degli organi costituzionali. 
    4.- Nel merito il conflitto e' fondato. 
    Occorre muovere dalla considerazione che un orientamento antico e
costante di questa Corte  afferma  che  l'art.  103,  secondo  comma,
Cost., secondo cui «la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie
di contabilita' pubblica e nelle altre specificate dalla  legge»,  si
riferisce all'ampio ambito della «tutela del pubblico danaro»  (cosi'
la sentenza n. 185 del  1982,  ma  analogamente  anche  la  risalente
sentenza n. 68 del  1971)  ed  e'  tradizionalmente  comprensivo  dei
giudizi   di    conto    e    dei    giudizi    di    responsabilita'
amministrativo-contabile. E' stato altresi' gia' affermato da  questa
Corte che la giurisdizione della Corte dei conti nella materia  della
«contabilita' pubblica» «e' solo tendenzialmente generale (tanto  che
nell'ordinamento precostituzionale la  si  qualificava  giurisdizione
speciale)» (sentenza n. 641 del 1987), sicche' la Corte dei conti non
puo' essere ritenuta il  giudice  esclusivo  della  tutela  da  danni
pubblici (per esempio, sentenze n. 46 del 2008 e n. 641 del 1987). 
    Da  cio',  la  giurisprudenza  costituzionale   ha   tratto   due
conseguenze.  La   prima   e'   che   il   legislatore,   nella   sua
discrezionalita', potrebbe anche attribuire la cognizione  di  alcune
delle materie ricadenti nella nozione di «contabilita' pubblica» alla
giurisdizione di un giudice diverso (sentenza n. 641 del 1987 e,  tra
le altre,  sentenza  n.  189  del  1984).  La  seconda,  che  risulta
determinante per la soluzione del presente conflitto tra  poteri,  e'
che l'ambito  della  giurisdizione  della  Corte  dei  conti,  «lungi
dall'essere  incondizionato»  (sentenza  n.  129  del   1981),   deve
contenersi,  oltre  che  all'interno  dei   confini   della   materia
«contabilita' pubblica», anche entro «i limiti segnati da altre norme
e principi costituzionali» (sentenze n. 773 del 1988, n. 129 del 1981
e n. 110 del 1970). 
    5.- Nel caso su cui questa Corte e' chiamata oggi a pronunciarsi,
l'estensione della giurisdizione contabile e' delimitata dalle  norme
e dai principi costituzionali contenuti nell'art.  84,  terzo  comma,
Cost., che garantiscono l'autonomia della Presidenza della Repubblica
nella gestione della dotazione presidenziale. 
    Tale autonomia, come affermato dalla sentenza n.  129  del  1981,
«si esprime anzitutto  sul  piano  normativo»,  nel  senso  che  alla
Presidenza  della  Repubblica,  come  alle  Camere  del   Parlamento,
«compete la produzione di apposite  norme  giuridiche,  disciplinanti
l'assetto ed il funzionamento dei [loro] apparati serventi; ma non si
esaurisce nella normazione, bensi' comprende  -  coerentemente  -  il
momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti
la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne  l'osservanza».
Piu' specificamente, per quanto rileva ai fini  della  soluzione  del
presente conflitto, cio' comporta che,  di  fronte  alle  ipotesi  di
dipendenti  che  abbiano  danneggiato  la  dotazione   presidenziale,
rientra  «nell'esclusiva   disponibilita'»   del   Presidente   della
Repubblica «l'attivazione dei corrispondenti  rimedi,  amministrativi
od anche giurisdizionali», senza di che la  sua  autonomia  «verrebbe
dimezzata» (sentenza n. 129 del 1981). 
    Non  e'  compatibile  con   tali   principi   l'esercizio   della
giurisdizione  contabile  di  responsabilita',  trattandosi   di   un
giudizio attivabile d'ufficio da parte della Procura della Corte  dei
conti e  indipendentemente  dall'iniziativa  della  Presidenza  della
Repubblica in un ambito rientrante nell'autonomia  costituzionale  di
questa. 
    6.- L'esclusione dei dipendenti della Presidenza della Repubblica
dal giudizio di responsabilita' da parte della Corte  dei  conti  non
comporta  che  questi  siano  esonerati  da   ogni   responsabilita',
eventualmente anche di carattere penale,  ne'  ostacola  il  recupero
delle somme da loro  indebitamente  sottratte,  attraverso  procedure
autonomamente individuate dalla stessa Presidenza  della  Repubblica,
sia caso per caso,  sia  in  via  generale  attraverso  una  apposita
previsione del Regolamento di amministrazione e contabilita'. 
    In proposito puo' soltanto  rilevarsi  come,  in  relazione  alle
vicende ora sottoposte all'esame della  Corte,  la  Presidenza  della
Repubblica  abbia  effettivamente  provveduto  sia  a  informare   la
giustizia penale, che e' poi pervenuta a pronunce definitive,  sia  a
far valere la responsabilita' di alcuni dei suoi dipendenti presso la
giurisdizione  civile  ordinaria,  al  fine  di  ottenere  il  totale
risarcimento del danno subito dalla dotazione presidenziale. 
    Ne consegue che, esclusa la giurisdizione della Corte  dei  Conti
nei confronti dei dipendenti della Presidenza della  Repubblica,  non
manca in generale, ne' e' effettivamente mancato nel caso di  specie,
un rimedio  adeguato  a  tutelare  l'interesse  del  ricorrente  alla
reintegrazione della propria dotazione. 
    Per le ragioni sin qui esposte, si deve infine riconoscere che la
nota della Procura contabile che trasmette la  sentenza  di  appello,
corredandola di istruzioni rivolte alla Presidenza  della  Repubblica
in ordine alla sua  esecuzione,  concretizza  una  ulteriore  lesione
della medesima sfera  di  autonomia  costituzionalmente  riconosciuta
alla Presidenza stessa dall'art. 84, terzo comma, Cost. 
    Si  deve  pertanto  accogliere  la  richiesta  del  ricorrente  e
procedere all'annullamento di tutti gli atti impugnati.