CORTE D'APPELLO DI VENEZIA 
                       Seconda Sezione Penale 
 
    Il giorno 9 gennaio 2018 la Corte, composta da 
      dott. Carlo Citterio - Presidente est. 
      dott. Antonio Liguori - Consigliere 
      dott. Aldo Giancotti - Consigliere 
    ha deliberato la seguente ordinanza  nel  procedimento  penale  a
carico di: Z. U., n.  il 
    Si procede nei confronti dello Z. a seguito di appello  proposto,
ai soli effetti della responsabilita'  civile,  dalla  parte  civile,
Studio ULM S.r.l. in liquidazione e  in  persona  del  liquidatore  e
legale rappresentante pro-tempore, avverso la  sentenza  con  cui  in
data 5 gennaio 2016 il Tribunale di Treviso ha prosciolto l'imputato,
perche' il fatto non sussiste, dai reati di cui agli artt. 615-ter  e
615-quater codice penale originariamente contestatigli. 
    In fatto, a Z. era contestato di essersi abusivamente  introdotto
nel software di gestione delle paghe dei clienti gestito nel  sistema
informativo della societa', chiedendo al Centro  paghe  l'attivazione
di altro collegamento del  medesimo  archivio  dedicato,  in  realta'
posizionato in nuovo e diverso studio da lui aperto e gestito,  anche
procurandosi  nuova  password  di  accesso.  Il  Tribunale,  che   ha
proceduto con rito dibattimentale, ha prosciolto  Z.  in  esito  alle
deposizioni dei testi Z. (titolare del Centro paghe), B. e Z.  (dello
Studio  ULM),  B.  (dipendente  del  nuovo  studio  di   Z.)   e   G.
(commercialista di Z.),  nonche'  all'esame  del  consulente  tecnico
della difesa dell'imputato ing. M., del cui rispettivo contenuto dava
conto; Commentava in particolare le dichiarazioni  di  Z.,  Z.  e  B.
L'appello enuncia  motivi  di  erronea  o  omessa  valutazione  delle
risultanze dell'istruttoria dibattimentale (quanto  alla  valutazione
delle deposizioni B. e Z., Z., B e G., nonche' della  consulenza  M.)
chiedendo il riconoscimento della responsabilita' di Z. per  i  fatti
reati ascrittigli, ai soli effetti della responsabilita' civile e con
l'accoglimento delle conclusioni gia' presentate in primo grado. 
    E' stata scelta sistematica discrezionale quella del  legislatore
del  1987  (trenta  anni  fa)  quando  con  la   legge   delega   poi
coerentemente tradotta nel decreto del Presidente della Repubblica 22
settembre 1988 ha previsto la  continuita'  nel  processo  penale,  e
quindi davanti al giudice penale, della trattazione  delle  doglianze
pur della sola parte civile avverso una sentenza  di  proscioglimento
che, per la sua formula assolutoria (come e' il nostro caso in cui il
Tribunale ha escluso la sussistenza del fatto) ai sensi dell'art. 652
codice di procedura penale precluda ogni possibile successiva pretesa
della  parte  civile  anche  nella  diversa  sede.   Si   tratta   di
discrezionalita' in allora non manifestamente irrazionale. Il  codice
che entra in vigore trenta anni fa infatti poggia  su  un'aspettativa
nota e conformemente commentata dai primi interpreti: la  definizione
della maggior parte dei processi con i riti alternativi e una qualche
funzione residuale del rito dibattimentale;  e  al  tempo  stesso  il
contesto e' quello della coesistenza  del  pretore  e  del  tribunale
collegiale: e tutta  l'ampia  competenza  per  materia  assegnata  al
tribunale viene deliberata dal collegio. 
    La situazione odierna e' profondamente mutata, in fatto, rispetto
a trenta anni fa. La riforma del giudice unico  (decreto  legislativo
n. 51/1998, in vigore dal  2  giugno  1999)  da  quasi  vent'anni  ha
radicalmente mutato  l'afflusso  di  processi  penali  dal  primo  al
secondo grado,  moltiplicandolo  a  parita'  delle  risorse  e  della
disciplina  del  rito  d'appello.  Il  passaggio  dal  'pretore'   al
'tribunale monocratico'  non  e'  consistito  in  un  mero  mutamento
nominale/definitorio: perche' la competenza riservata ora al collegio
si e' drasticamente ridotta e quindi e' aumentato percentualmente  il
numero di processi definiti in  primo  grado.  Nel  contempo,  nessun
adeguamento per la composizione ed il rito e l'organico  delle  corti
d'appello e'  stato  previsto,  in  diligente  (naturale?  doveroso?)
strutturale collegamento con il rilevante mutamento  della  struttura
giurisdizionale  del  primo  grado.  Da  qui  una  prima   causa   di
consistente  aumento  delle  sopravvenienze  del  giudice   d'appello
penale. In secondo luogo,  per  riconosciuta  generale  constatazione
degli studiosi e degli  operatori  del  diritto  processuale  penale,
l'aspettativa del 1988, trenta  anni  fa,  di  un'ampia,  prevalente,
definizione dei processi penali con i riti alternativi si e' dissolta
a  fronte  del  consolidarsi  di  una  realta'  di  quotidiana   vita
giudiziaria in  senso  opposto.  Cio'  ha  costituito  seconda  causa
strutturale di aumento dell'afflusso  di  lavoro  al  giudice  penale
d'appello, a parita' di  composizione  organico  e  rito.  Una  terza
ragione di radicale modifica della situazione di trenta  anni  fa  e'
data dall'evoluzione giurisprudenziale di legittimita',  seguita  dal
legislatore, che impone la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio
d'appello, anche nei casi in cui in primo grado si sia proceduto  con
rito abbreviato non condizionato, quando a  fronte  dell'impugnazione
di una sentenza di  proscioglimento  l'eventuale  accoglimento  della
censura d'appello passi necessariamente per la rivalutazione di prove
dichiarative (da ultimo, Sezioni unite sentenza Dasgupta e  Patalano;
nuovo art. 603, comma 3-bis, codice  di  procedura  penale:  art.  1,
punto 58, legge n. 103/2017). La convergenza di questi tre  mutamenti
strutturali ha nel  tempo  determinato  l'esplosione  della  pendenza
davanti alle sezioni penali  delle  corti  d'appello,  attestata  dai
pubblici dati ministeriali e dalle lamentele sul punto ricorrenti  in
ogni cerimonia di apertura  dell'anno  giudiziario  e,  pertanto,  in
questa sede argomentativa costituendo fatto notorio. Tale  situazione
di  sostanziale  paralisi  ha  a   sua   volta   generato   ulteriori
sopravvenienze per la dimostrata utilita' di un'impugnazione pur solo
defatigatoria, proposta quindi al solo fine di beneficiare  con  alta
probabilita' statistica della prescrizione  del  reato  per  cui  sia
intervenuta condanna in  primo  grado,  specialmente  se  di  modesta
consistenza, attesa la impossibilita oggettiva delle corti d'appello,
per  l'inadeguatezza  di  organici  di  personale  amministrativo   e
magistrati e per la rigidita' del rito, di fronteggiare tale  esploso
afflusso in tempi utili  alla  decisione  nel  merito  della  pretesa
punitiva. Cio' che ai nostri  fini  rileva,  e  che  pertanto  ci  si
permette di evidenziare, e' da un lato che l'aumento ponderoso  delle
sopravvenienze ha origini plurime ma tutte  strutturali,  quindi  non
gestibili senza modifiche delle  ragioni  di  struttura  che  l'hanno
determinata; dall'altro, che il contesto di fatto, che caratterizzava
il momento di entrata in  vigore  dell'attuale  codice  di  procedura
penale e le allora  ragionevoli  aspettative  che  accompagnavano  le
scelte normative  interne  al  nuovo  codice  e',  oggi  radicalmente
mutato. 
    E la domanda cui occorre rispondere, assolutamente  rilevante  in
questo  specifico  giudizio  penale  d'appello,  che  viene  attivato
dall'impugnazione della sola parte civile  avverso  una  sentenza  di
proscioglimento che si chiede di  ribaltare  ai  soli  effetti  della
responsabilita' civile, e' se l'appena argomentato radicale mutamento
del  contesto  in  fatto  renda   oggi   manifestamente   irrazionale
quell'allora  (1987)  fisiologicamente   discrezionale   scelta   del
legislatore (l'attribuzione  al  giudice  penale,  piuttosto  che  al
giudice civile, anche delle impugnazioni della sola parte civile  che
solleciti una prosecuzione del  processo  nonostante  la  conclusione
irreversibile della vicenda penale, quindi a soli fini civilistici). 
    Nella recente sentenza n. 164/2017  della  Corte  che  si  va  ad
adire, sembra trovarsi un  implicito  insegnamento  che  deve  essere
valorizzato per concorrere a superare la  possibile,  ma  in  realta'
solo suggestiva, obiezione, che cio' che apparteneva  originariamente
alla discrezionalita'  fisiologica  non  potrebbe  mutare,  sia  pure
nell'evolversi del tempo e delle condizioni in fatto di partenza,  in
discrezionalita'  esercitata  con  manifesta  irrazionalita'.  Quando
argomenta  le  ragioni  attuali  di  infondatezza  della  censura  di
costituzionalita' dell'abolizione del cd  'filtro  di  ammissibilita'
della domanda risarcitoria di cui all'art. 5 della legge n. 117/1988,
la Corte delle leggi osserva che il  contributo  di  tale  abolizione
all'aumento  del  rischio   di   un   eventuale   abuso   dell'azione
risarcitoria e' questione che  «solo  l'attuazione  nel  tempo  della
nuova disciplina potra'  chiarire»  (punto  5.3  del  considerato  in
diritto). Si tratta di un autorevole inciso, direttamente  pertinente
e congruo ad una conclusione che, a parere di questa Corte d'appello,
gia'   si   imporrebbe   comunque   sul   piano    logico/sistematico
dell'interpretazione, per cui l'apprezzamento di  fisiologia  o  meno
del modo di esercizio della discrezionalita' legislativa puo'  mutare
quando  muti  radicalmente  il  presupposto  in  fatto  su  cui  tale
esercizio si applica. 
    A parere di questa Corte, attribuire oggi al giudice  penale,  ed
in particolare alla  Corte  d'appello  penale,  anziche'  al  giudice
civile, la cognizione delle  impugnazioni  della  sola  parte  civile
avverso le sentenze di proscioglimento  costituisce  scelta  in  atto
manifestamente  irrazionale  e  oggi  del  tutto  priva   di   alcuna
giustificazione. 
    Si e' detto dell'enorme aumento delle sopravvenienze, e poi delle
pendenze, che hanno caratterizzato e caratterizzano il  lavoro  delle
corti di appello penali,  per  gli  argomentati  concorrenti  plurimi
mutamenti strutturali  del  contesto  processuale  e  di  ordinamento
giudiziario rispetto all'epoca in cui la  scelta  fu  originariamente
deliberata. Si tratta, si e' gia' detto, di un dato obiettivo, di  un
fatto storico certo, che deve essere dato per notorio alla  luce  dei
contenuti delle pubbliche statistiche ministeriali e delle  relazioni
di inaugurazione di anno  giudiziario  della  stragrande  maggioranza
delle corti d'appello. 
    E cio' ha determinato la situazione di un elevatissimo  esito  di
prescrizioni dei reati nella fase di appello. Dato pure oggettivo per
le medesime pubbliche statistiche e quindi altro fatto nuovo e certo.
Il che significa che come dato documentato, noto e  certo,  le  corti
penali non sono ad oggi in  grado  di  definire  tempestivamente  nel
merito un numero elevatissimo di processi per  reati  che  quindi  si
prescrivono. Cio' vuol dire che oggi il giudice penale d'appello  non
riesce, per ragioni strutturali non  dipendenti  dalla  sola  propria
volonta'  e  capacita'  organizzativa,  a  svolgere  innanzitutto  la
propria funzione tipica di giudice penale: dare una deliberazione  di
merito a tutte le impugnazioni afferenti  gli  aspetti  penali  delle
vicende  processuali  che  gli  sono  attribuite,  in  altri  termini
deliberare sul contenuto  della  pretesa  punitiva  esercitata  dallo
Stato, in tutti processi che gli pervengono. 
    In tale conteso, obiettivo e documentato, radicalmente diverso da
quello del 1987 e del 1988, l'attribuzione discrezionale  alla  corte
penale anche della competenza per la domanda di impugnazione ai  soli
effetti civili, rispetto all'alternativa possibile  dell'attribuzione
al giudice civile, supera, a convinto parere  di  questa  Corte,  gli
ambiti della fisiologia tecnico/politica  propria  delle  scelte  del
legislatore, assumendo connotati di palese  e  grave  irrazionalita',
oltretutto  priva  di  alcuna  giustificazione,   determinando   anzi
direttamente  ulteriori  significativi  ed  emblematici  contesti  di
denegata tempestiva giustizia. 
    Va  in  proposito  osservato  che:  la  ristrettezza  dei   tempi
disponibili  per  la  trattazione  efficace  di  udienze  partecipate
disponibili ('strettoia' invalicabile  dell'attuale  rigido  e  unico
rito processuale penale d'appello), a fronte delle  pendenze,  incide
pesantemente ed in modo francamente 'innaturale' sulle modalita' ed i
tempi di fissazione; il giudice penale d'appello  deve  scegliere  se
trattare un processo con reato che  altrimenti  si  prescrive  ovvero
dare spazio alla trattazione della pendenza ormai di  mero  interesse
civile: nel primo  caso  dilaziona  anche  sine  die  i  tempi  della
definizione della pendenza di  mero  interesse  civile,  nel  secondo
privilegia la trattazione di una  pendenza  che  ben  avrebbe  potuto
essere presentata al giudice civile rinunciando contestualmente  alla
propria essenziale funzione di giudice che definisce pendenze  penali
(funzione che risponde ad un'evidente esigenza di  ordine  sociale  e
costituzionale); non solo: se  infatti  tratta  il  processo  a  mera
rilevanza civile e' per lo  piu'  costretto  a  pressoche'  integrali
rinnovazioni dell'istruttoria dibattimentale (come  confermato  dalle
Sezioni  unite  sentenza  Patalano  il  principio   dell'obbligo   di
rinnovazione  delle  prove  dichiarative  di   cui e'   discussa   la
valutazione  di  attendibilita'  operata  dal   giudice   del   grado
precedente trova applicazione anche nei casi di  appelli  della  sola
parte civile); cio' comporta, ed e' il nostro caso a  conferma  della
stretta ed evidente rilevanza nel presente giudizio  della  questione
che si intende proporre alla Corte  delle  leggi,  la  necessita'  di
dedicare ampio tempo di udienza  alla  trattazione  del  processo  di
ormai mero interesse civilistico (si  e'  esposto  in  precedenza  il
materiale probatorio valutato dal primo  Giudice  e  censurato  dalla
parte civile appellante, per ora  poter  evidenziare  che  alla  luce
della struttura logico/critica dell'atto di impugnazione della  parte
civile  questa  Corte  dovrebbe  procedere   alla   riassunzione   di
pressoche'  tutte  le  prove  dichiarative,  la  cui  assunzione   ha
determinato nel giudizio di primo grado l'impiego di quattro udienze,
secondo  quanto  risulta  dal  diligente  resoconto  contenuto  nella
sentenza impugnata). Risulta pertanto evidente  nel  nostro  caso  la
palese irrazionalita' sistematica del dovere che incomberebbe  ora  a
questa Corte (che va  incidentalmente  notato  ha,  per  questa  sola
Sezione  penale,  una  pendenza  ad  oggi  di   circa   oltre   5.600
procedimenti pendenti) di occupare tempo di udienza utile, per almeno
tre udienze, per la trattazione della verifica  di  fondatezza  della
censura d'appello, rilevante solo per i suoi effetti civili, con cio'
concorrendo  al  definitivo  abbandono  di  numerosi  reati  ad   una
prescrizione, invece evitabile  riportando  la  trattazione  di  tale
censura 'civilistica' al proprio ambito naturale della sede civile. 
    E' da escludere, a parere della Corte, che la soluzione  proposta
(la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  576
codice di procedura penale nella parte in cui prevede  che  la  parte
civile  possa   proporre   impugnazione   contro   la   sentenza   di
proscioglimento pronunciata  nel  giudizio,  ai  soli  effetti  della
responsabilita' civile, al giudice penale anziche' al giudice civile)
sia  esito  di  scelta  a  sua  volta  discrezionale,  di   esclusiva
competenza quindi del Legislatore,  e  comunque  pregiudizievole  dei
diritti  del  danneggiato  costituitosi  parte   civile,   anche   in
violazione di discipline di fonte internazionale. 
    Risulta   innanzitutto    gia'    attualmente    previsto    come
sistematicamente  e  normativamente  fisiologico  il  passaggio   dal
settore penale al settore civile  del  procedimento,  che  abbia  per
residuo  oggetto  solo  l'apprezzamento   della   sussistenza   della
responsabilita' ai soli fini civili, fattispecie che pertanto e' gia'
indicata dal sistema vigente e costituisce  la  soluzione  interna  e
obbligata che il sistema imporrebbe nel caso  di  accoglimento  della
questione proposta. Effettivamente l'art.  522  codice  di  procedura
penale prevede che quando la Corte di cassazione «accoglie il ricorso
della  parte   civile   contro   la   sentenza   di   proscioglimento
dell'imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per
valore in grado di appello, anche se l'annullamento  ha  per  oggetto
una sentenza inappellabile».  Ed  assume  in  proposito  rilevante  e
pertinente significato l'indicazione che viene  dall'insegnamento  da
ultimo ribadito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione  (sent.
40109/2013), massimato nel senso che «Nel caso in cui il  giudice  di
appello dichiari non doversi procedere per  intervenuta  prescrizione
del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine  alla
responsabilita'  dell'imputato  ai  fini  delle  statuizioni  civili,
l'eventuale  accoglimento  del  ricorso   per   cassazione   proposto
dall'imputato impone l'annullamento  della  sentenza  con  rinvio  al
giudice civile competente per valore in grado  di  appello,  a  norma
dell'art.  622  codice  di  procedura  penale».  In  definitiva,   al
legislatore che indica come fisiologica  la  via  del  passaggio  dal
settore penale a quello civile quando impugnante e' la  parte  civile
avverso  sentenze  di  proscioglimento  si  affianca  il  Giudice  di
legittimita' estendendo  il  principio  al  caso  in  cui,  anche  se
ricorrente e' l'imputato, si debba nel prosieguo trattare la  vicenda
processuale solo per i suoi effetti civili. 
    Al fatto che gia' il sistema prevede, con l'art.  622  e  con  la
richiamata  giurisprudenza  delle   sezioni   unite,   il   passaggio
fisiologico dal settore penale al settore civile, quando  si  discuta
ormai di deliberazioni con effetti solo civili, ci si deve richiamare
per ritenere insussistenti eventuali incertezze sulle  modalita'  del
seguito del procedimento in occasione della cd translatio judici  per
l'azione volta al risarcimento dei danni; cosi, nel nostro caso,  ove
la Corte adita condividesse la censura di legittimita' costituzionale
propostale, questa Corte veneta si limiterebbe a rimettere  le  parti
davanti al giudice civile competente per l'appello,  la  ripresa  del
giudizio avvenendo secondo le medesime modalita'  gia'  in  atto  nel
caso di annullamento con rinvio al giudice civile ai sensi  dell'art.
622. 
    Deve  in  secondo  luogo  darsi  atto   che   la   piu'   recente
giurisprudenza di legittimita' sembra confermare che nel seguito  del
giudizio davanti al giudice  civile  tutto  il  materiale  probatorio
acquisito nel processo penale ha piena efficacia ed e' utilizzabile e
che i criteri di giudizio sono  quelli  propri  del  processo  penale
(Cass. Sez. 4, sent. 42995/2015 quanto alla  ripartizione  dell'onere
della prova in punto responsabilita'; Sez. 4, sent. 27045/2016 quanto
alle regole per l'accertamento del nesso causale). In altri  termini,
il trasferimento del processo dalla sede penale a quella  civile  non
determina l'inizio di un nuovo processo secondo le  regole  del  rito
civile, ma solo la prosecuzione del processo a partire dal momento in
cui  la  vicenda  penale  si  e'  conclusa,  con  medesimi  contenuti
probatori e le  medesime  regole  di  giudizio.  In  ogni  caso,  gli
eventuali mutamenti giurisprudenziali  sul  punto  neppure  avrebbero
un'incidenza  giuridicamente  rilevante   rispetto   al   contingente
interesse  di  fatto  (pur  in  quanto  tale  appunto  non  rilevante
giuridicamente) che la parte civile  puo'  avere  ad  utilizzare  gli
aspetti dei diversi riti,  penale  e  civile,  che  volta  per  volta
migliorino le possibilita'  di  perseguimento  dei  propri  obiettivi
risarcitori (ne sono emblematici  esempi:  l'attore  civile  che  nel
processo penale e' teste; la  morte  dell'imputato  il  giorno  prima
della pronuncia di cassazione  che  vanifica  e  cancella  un  intero
processo senza possibilita' di recupero alcuno  nei  confronti  degli
eredi). Cio' per l'assorbente considerazione (ricordata con singolare
chiarezza dalla sezioni unite  nella  sentenza  n.  46688/2016,  per.
10/10.5) del carattere accessorio dell'esercizio  dell'azione  civile
nel processo penale  e  delle  implicazioni  di  tale  principio.  Si
aggiunga, pur afferendo cio' a  considerazioni  di  ordine  meramente
pratico (e quindi come detto non rilevanti a configurare un interesse
giuridicamente protetto), che i tempi di definizione  attuali  di  un
processo d'appello civile (che  ha  oltretutto  il  pregio  di  poter
definire compiutamente la pretesa del presunto danneggiato, anche nei
suoi aspetti quantitativi) sono  (per  i  ricordati  dati  statistici
generali) inferiori a quelli di  un  processo  d'appello  penale  che
abbia  ad  oggetto  esclusivamente  la  pretesa  di  ribaltamento  di
sentenza di proscioglimento per effetti solo civili. 
    Opportuno infine, per comodita' e continenza  espositiva,  appare
il mero rinvio  ai  paragrafi  10.4  e  10.5  della  gia'  richiamata
sentenza 46688/2016, che con sintetiche  ma  efficaci  argomentazioni
spiega l'assenza di alcuna disciplina o giurisprudenza sovranazionale
che impongano  il  ristoro  del  danno,  in  ipotesi  sofferto  dalla
vittima, all'interno del solo sistema  della  giustizia  penale.  Del
resto, i diritti e  le  facolta'  riconosciuti  alla  persona  offesa
nell'ambito del processo penale (artt. 90  ss.  codice  di  procedura
penale) non solo sono cosa del tutto diversa da quelli  afferenti  il
discrezionale esercizio dell'azione civile nel processo penale  (che,
tra l'altro, compete anche al danneggiato non persona offesa), ma non
possono che cessare con la conclusione della vicenda penale. 
    Nell'avvicinarsi  alla  conclusione  non  resta  che  richiamare,
rispettosamente e soprattutto  succintamente  perche'  ovviamente  la
Corte adita ben conosce la propria giurisprudenza, i due principi che
anche da ultimo  sono  stati  ribaditi  con  la  importante  sentenza
costituzionale n. 12/2016: da un  lato,  il  carattere  accessorio  e
subordinato  dell'azione  civile  nel  processo  penale  e   le   sue
implicazioni nel rapporto della parte  civile  con  la  giurisdizione
penale, e, dall'altro, l'assetto generale del vigente processo penale
ispirato alla separazione  dei  giudizi,  sicche'  «ogni  separazione
dell'azione civile dall'ambito del processo penale  non  puo'  essere
considerata una menomazione o una esclusione del diritto alla  tutela
giurisdizionale». 
    Ne consegue, riassuntivamente e a parere di questa Corte, che: 
      l'odierna permanente attribuzione al giudice penale anziche' al
giudice civile dell'impugnazione della parte civile avverso  sentenza
di proscioglimento ed ai soli effetti della  responsabilita'  civile,
quindi dopo la definizione della pendenza ai fini penali, costituisce
disciplina ora divenuta, per le ragioni strutturali esposte e per  il
conseguente  evidente  e  certo  mutamento  radicale   dei   contesti
processuale e ordinamentale che avevano costituito il presupposto  di
fatto delle scelte legislative del 1987,  manifestamente  irrazionale
per le esposte palesi incongruenze che con evidenza determina; 
      l'attribuzione al Giudice civile di tal genere di impugnazione,
che qui si sollecita, si manifesta soluzione sistematica non esito di
discrezionalita'   (incompatibile   con   la    censura    di    tipo
costituzionale) ma  indicata  univocamente  dal  parametro  positivo,
preesistente  specifico  e  congruo,  costituito   dalla   disciplina
apprestata per l'esito del giudizio  di  legittimita'  dall'art.  622
codice di procedura penale, e dalla pertinente interpretazione  delle
Sezioni unite della Corte di cassazione; 
      essa   non   viola   alcuna   disciplina    o    giurisprudenza
sovranazionale ed appare efficacemente coerente con il  principio  di
accessorieta' dell'azione civile esercitata nel processo penale; 
      nessun  interesse   giuridicamente   rilevante   del   soggetto
danneggiato  risulterebbe  pregiudicato   dal   trasferimento   della
trattazione dell'impugnazione proposta ai soli effetti  civili  dalla
sede penale a quella civile naturale propria, ne' appaiono sussistere
in concreto pregiudizi di fatto che non siano del tutto occasionali e
contingenti al singolo caso specifico e non connessi  strutturalmente
al mutamento di disciplina sollecitato; 
      risultano  cosi  violati  gli  articoli  3  (perche'  l'attuale
attribuzione  altera  significativamente,  con  palese   assenza   di
razionale giustificazione, lo svolgimento della essenziale propria  e
naturale  funzione  del  giudice  penale  dell'impugnazione  per   la
deliberazione  nel  merito  sul  contenuto  della  pretesa   punitiva
pubblica) e 111, comma 2, seconda parte, della Costituzione  (perche'
la giurisdizione su meri interessi civili, per la quale  vi  e'  gia'
sede autonoma adeguata efficace e propria,  si  aggiunge  alle  altre
cause    strutturali    prima    ricordate    e    concorre    quindi
significativamente a determinare irragionevole  durata  dei  processi
penali d'appello, nello stesso  tempo  neppure  garantendo  tempi  di
definizione della pendenza ai soli  effetti  civili  piu'  celeri  ed
efficaci della sede civile propria), nonche'  il  principio  generale
piu'   volte   richiamato   nella    giurisprudenza    costituzionale
dell'efficienza  e   dell'efficacia   del   sistema   giurisdizionale
(irreparabilmente  leso  dall'accantonamento  della  trattazione   di
processi penali invece afferenti strettamente la funzione dedicata di
giurisdizione sul merito della pretesa punitiva, per trattare, e  con
impegnativa occupazione di tempo di udienza a seguito dell'obbligo di
pressoche' sistematica rinnovazione dell'istruttoria  dibattimentale,
come dovrebbe in concreto essere nel nostro caso, la pretesa  privata
solo agli effetti civili, quando questa  potrebbe  trovare  adeguata,
idonea, efficace e tempestiva risposta nella sede civile, naturale  e
propria, senza pregiudizio giuridico alcuno del soggetto  che  assume
di essere stato danneggiato). 
    Appare  pertanto  rilevante   nel   presente   giudizio   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
nei termini di cui al dispositivo. Il che impone la  sospensione  del
giudizio. Agli incombenti conseguenti provvedera' la Cancelleria.