Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione quarta), ha pronunciato la presente Ordinanza sul ricorso numero di registro generale 1271 del 2017, proposto da: Presidenza del Consiglio dei ministri, Scuola nazionale dell'amministrazione, Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della Funzione pubblica, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro Ernesto Stajano, rappresentato e difeso dall'avvocato Luisa Torchia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi n. 47; Per la riforma della sentenza del TAR Lazio - Roma: sezione I n. 09758/2016, resa tra le parti, concernente determinazione trattamento economico docenti della SNA; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ernesto Stajano; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Ventrella (avv. Stato) e L. Torchia; 1.1. Con l'appello in esame, la Presidenza del Consiglio dei ministri impugna la sentenza 15 settembre 2016, n. 9758, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti dal prof. Ernesto Stajano, ha annullato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 novembre 2015, n. 202 «nella parte impugnata di cui all'art. 2, comma 1 e 4, e all'art. 5, comma 2 e 4», nonche' i provvedimenti consequenziali adottati. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato - adottato in attuazione dell'art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014, conv. in legge n. 114/2014 - era oggetto di impugnazione nella parte in cui interveniva sulla rideterminazione del trattamento economico e dello stato giuridico dei docenti della Scuola superiore dell'economia e delle finanze (SSEF) - poi confluita, insieme ad altre Scuole di formazione, nella Scuola nazionale di amministrazione (SNA) - stabilendo l'incompatibilita' per i professori di tale Scuola allo svolgimento della libera professione, analogamente a quanto previsto per i docenti universitari a tempo pieno. Con ulteriori due ricorsi per motivi aggiunti sono stati impugnati gli atti consequenziali, recanti diffide a cessare la situazione di incompatibilita' e rideterminazione del trattamento economico, con recupero delle differenze indebitamente corrisposte. 1.2. La sentenza impugnata afferma, in particolare: l'art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014 non fa «alcun riferimento alla modifica dello stato giuridico e in particolare all'introduzione ... di un regime di incompatibilita', compreso quello di cui all'art. 61. n. 240/2010» ma tale articolo «si e' limitato a richiamare che lo stato giuridico doveva considerarsi quello dei professori universitari a da cio' non puo' dedursi che era stato implicitamente introdotto ex lege il regime di incompatibilita' proprio dei professori ordinari a tempo pieno»; il riferimento effettuato in norma al regime del tempo pieno, era da intendersi considerato «come parametro di riferimento a fini economici, cui era delegato l'esecutivo, ma non al fine di modificare lo status giuridico del ruolo dei professori ad esaurimento della ex SSEF»; «l'introduzione della modifica sostanziale comportante il regime di incompatibilita' ... ha dato quindi luogo ... anche alla violazione dei principi generali di legalita', legittimo affidamento e proporzionalita'»; quanto al trattamento economico, il decreto «ha dato luogo ad una sostanziale omologazione del trattamento in questione, nel senso di renderlo del tutto coincidente a quello dei professori a tempo pieno, senza considerare la peculiarita' della posizione dei professori ex SSEF, inseriti a suo tempo in un ruolo ad esaurimento in virtu' del processo di riorganizzazione delle scuole di formazione della P.A. ... con procedimento sostanzialmente coincidente a quello di mobilita' obbligatoria ex lege dei pubblici dipendenti, che prevede pero' il godimento del medesimo trattamento economico garantito al dipendente e su cui non opera(va) l'abrogato art. 202 T.U. n. 3/1957»; ne' il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha consentito agli interessati un tempo di valutazione, poiche' questi, in meno di quindici giorni, «si sono visti obbligati a prendere decisioni vitali e irreversibili legate ad un'unica alternativa prospettata, quale la permanenza nella SNA o la continuazione della (sola) attivita' libero - professionale, laddove la stessa non era rinvenibile in capo agli altri docenti della Scuola e quindi senza che potesse configurarsi quella omogeneizzazione del trattamento economico richiesta dalla norma primaria - intesa come tendenziale conformazione di assimilabilita' ma non di perfetta equiparazione e sovrapponibilita' indipendentemente dallo status di provenienza - e senza neanche una approfondita valutazione di tale trattamento idonea a sostenere che lo stesso potesse considerarsi assunto sulla mera base di quello dei professori universitari a tempo pieno»; il trattamento economico come rideterminato, che corrisponde al 55% del precedente netto stipendiale, non opera soltanto per l'avvenire, ma «influisce anche su interessi consolidati e sulla posizione economica relativa al trattamento pensionistico, dato l'utilizzo in materia del metodo «misto contributivo-retributivo», ai sensi dell'art. 13, lett. a) decreto legislativo n. 503/1992», di modo che «si palesano dunque effetti retroattivi»; in tale contesto, «appare ben saggia la revisione successiva del legislatore che ha ritenuto di rideterminare l'intera riorganizzazione della SNA e il trattamento economico dei docenti con fonte primaria», ai sensi degli articoli 1, comma 657, legge n. 216/2015 e 11, comma 1, lett. d) legge n. 124/2015». 1.3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello: a) violazione artt. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014 e 6 legge n. 240/2010; erroneita' quanto all'asserita illegittimita' dell'art. 2, comma 4 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 202/2015 per eccesso di delega; cio' in quanto l'art. 21 cit. «espressamente dispone l'applicazione dello stato giuridico di professori e ricercatori universitari ai docenti e ricercatori del ruolo ad esaurimento della ex SSEF» ed esso «non fa che confermare quanto gia' previsto per i professori inquadrati della ex SSEF dall'art. 5, comma 4, decreto ministeriale 28 settembre 2000, n. 301». Inoltre, «il collegamento tra stato giuridico e trattamento economico dei professori universitari e' confermato anche dal combinato disposto di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 165/2001 e all'art. 6, legge 30 marzo 2010, n. 240, che riaffermano la stretta correlazione tra status giuridico e trattamento economico dei professori e ricercatori universitari». Infine, «l'estensione del regime di incompatibilita' allo svolgimento dell'attivita' libero-professionale, previsto dalla norma regolamentare, (e') una conseguenza ragionevole e coerente della rideterminazione del trattamento economico dei docenti dei ruoli ad esaurimento della ex SSEF»; b) erroneita' della sentenza nella parte in cui ha rilevato una lesione dei principi di legalita', legittimo affidamento e proporzionalita'; cio' in quanto «appare difficile sostenere che vi sarebbe un affidamento tutelabile del ricorrente rispetto al mantenimento di un trattamento giuridico ed economico disancorato rispetto a quello dei docenti che svolgono analoghe funzioni»; c) erroneita' della sentenza appellata relativamente alle modalita' di determinazione del trattamento economico dei docenti trasferiti dal ruolo ad esaurimento della SSEF alla SNA; violazione art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014; violazione e falsa applicazione dei canoni di ragionevolezza e imparzialita' dell'azione amministrativa, tutela dell'affidamento; cio' in quanto «il legislatore ha individuato l'obiettivo della rideterminazione del trattamento economico con il preciso intento di creare omogeneita' tra i docenti della ex SSEF e gli altri docenti della Scuola; a tal fine, il legislatore ha indicato il parametro di riferimento da seguire, vale a dire il trattamento economico spettante ai professori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianita'». Peraltro, la sentenza non ha valutato la portata di innovazioni normative anteriori all'entrata in vigore del decreto-legge n. 90/2014, quali l'art. 1, comma 458, legge n. 147/2013, per effetto del quale «non opera piu' in generale il diritto del dipendente a mantenere il trattamento economico piu' favorevole goduto in precedenti posizioni lavorative»; infine, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe potuto introdurre opzioni non previste da legge, oltre l'unico diritto di opzione previsto (cioe' per il rientro nell'amministrazione di provenienza), peraltro non esercitato; d) erroneita' della sentenza relativamente all'annullamento dell'art. 5, comma 2 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 202/2015, in violazione e falsa applicazione del principio di irretroattivita' delle norme e tutela dell'affidamento; poiche' la citata disposizione «non incide sul passato, ma dispone ex nunc il computo dell'attivita' svolta prima dell'assunzione dell'incarico presso la SNA come anzianita' di servizio, lasciando impregiudicato quanto maturato fino alla data di entrata in vigore della nuova normativa». 1.4. Si e' costituito in giudizio il prof. Stajano, che ha concluso per il rigetto dell'appello, stante la sua infondatezza. 1.5. All'udienza pubblica di trattazione, la causa e' stata riservata in decisione. 2. Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, conv. in legge 11 agosto 2014 n. 114, per le ragioni di seguito esposte. 3.1. Il citato art. 21 del decreto-legge n. 90/2014, recante «Unificazione delle Scuole di formazione») prevede, per quel che interessa nella presente sede: «1. Al fine di razionalizzare il sistema delle scuole di formazione delle amministrazioni centrali, eliminando la duplicazione degli organismi esistenti, la Scuola superiore dell'economia e delle finanze, l'Istituto diplomatico «Mario Toscano», la Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno (SSAI), il Centro di formazione della difesa e la Scuola superiore di statistica e di analisi sociali ed economiche, nonche' le sedi distaccate della Scuola nazionale dell'amministrazione prive di centro residenziale sono soppresse. Le funzioni di reclutamento e di' formazione degli organismi soppressi sono attribuite alla Scuola nazionale dell'amministrazione e assegnate ai corrispondenti dipartimenti, individuati ai sensi del comma 3. Le risorse finanziarie gia' stanziate e destinate all'attivita' di formazione sono attribuite, nella misura dell'ottanta per cento, alla Scuola nazionale dell'amministrazione e versate, nella misura del venti per cento, all'entrata del bilancio dello Stato. La stessa Scuola subentra nei rapporti di lavoro a tempo determinato e di collaborazione coordinata e continuativa o di progetto in essere presso gli organismi soppressi, che cessano alla loro naturale scadenza; 2. (Omissis); 3. (Omissis); 4. I docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della Scuola superiore dell'economia e delle finanze, di cui all'art. 4-septies, comma 4, del decreto-legge 3 giugno 2008, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, sono trasferiti alla Scuola nazionale dell'amministrazione e agli stessi e' applicato lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari. Il trattamento economico e' rideterminato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione, che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianita'. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica...» 3.2. A seguito di tale disposizione, e' stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 novembre 2015 n. 202, (Regolamento recante determinazione del trattamento economico dei docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione - SNA), il cui art. 2 («Trattamento economico dei docenti a tempo pieno e a tempo determinato»), prevede: «1. Ai docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, nonche' ai docenti a tempo indeterminato si applica il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno, come fissato dall'art. 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni. 2. Ai docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia si applica, rispettivamente, il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno o quello dei professori universitari di seconda fascia a tempo pieno come fissati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni. 3. Per i docenti a tempo pieno scelti tra dirigenti di amministrazioni private o tra soggetti, anche stranieri, in possesso di elevata e comprovata qualificazione professionale, il trattamento economico annuo lordo e' stabilito, tra quelli di professore universitario di prima fascia a tempo pieno o di professore universitario di seconda fascia a tempo pieno, dal Presidente della Scuola, sentito il Comitato di gestione, sulla base della valutazione del curriculum accademico e professionale, in applicazione dei criteri di valutazione fissati dallo stesso Comitato, comunque nel rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2011, n. 232, e successive modificazioni. 4. Il trattamento economico dei docenti a tempo pieno e a tempo indeterminato, come definito dal presente articolo, e' correlato all'espletamento degli obblighi istituzionali e delle attivita' didattiche e scientifiche, previsti per i professori universitari a tempo pieno e all'impegno didattico fissato dall'art. 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e dall'art. 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Ai suddetti docenti si applica la disciplina delle incompatibilita' e delle autorizzazioni prevista per i' professori e ricercatori universitari a tempo pieno dallo stesso art. 6. Il Presidente, sentito il Comitato di gestione, determina le modalita' per la verifica dell'effettivo svolgimento delle attivita' didattiche e scientifiche da parte dei predetti docenti. Il compenso per le ulteriori attivita' e' determinato, nei limiti delle disponibilita' di bilancio, in applicazione dei criteri di cui al decreto previsto dall'art. 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230 e, fino all'adozione del suddetto decreto, in misura pari al settantacinque per cento dell'importo individuato ai sensi dell'art. 4.». Il successivo art. 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri («Anzianita', classi e scatti di stipendio») prevede: «1. Ai fini della determinazione del relativo trattamento economico, i docenti a tempo pieno, scelti tra professori universitari di prima o seconda fascia o tra ricercatori universitari, mantengono l'anzianita' di servizio gia' maturata; 2. Ai fini della determinazione del trattamento economico dei docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, e dei docenti a tempo indeterminato, i periodi di servizio prestato nelle suddette qualifiche vengono computati come anzianita' di servizio nel ruolo dei professori universitari di prima o di seconda fascia a tempo pieno, in coerenza con i criteri di determinazione del trattamento economico previsti dall'art. 2, applicando le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni; 3. Ai fini del comma 2, in applicazione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 232 del 2011 e successive modificazioni, la progressione per classi e scatti e' biennale fino alla data di entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, e triennale a decorrere dall'entrata in vigore della predetta legge; 4. Ai fini del computo dell'anzianita', i periodi di servizio presso la Scuola dei docenti a tempo pieno, dei docenti a tempo indeterminato e dei ricercatori a tempo indeterminato vengono valutati in applicazione della disciplina generale relativa ai professori e ai ricercatori universitari». Come e' dato osservare, il decreto n. 202/2015: per un verso (art. 2, comma 1), individua il trattamento economico dei «docenti a tempo pieno, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari», nonche' dei «docenti a tempo indeterminato», applicando il trattamento economico annuo lordo dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno; per altro verso (art. 2, comma 4) , concia l'attribuzione di tale trattamento economico all'espletamento degli obblighi istituzionali e delle attivita' didattiche e scientifiche, previsti per i professori universitari a tempo pieno e all'impegno didattico fissato dall'art. 1, comma 16, della legge 4 novembre 2005, n. 230, (cioe', in particolare, l'espletamento delle attivita' scientifiche e l'impegno per le altre attivita', fissato in non meno di 350 ore annue di didattica, di cui 120 di didattica frontale), nonche' dall'art. 6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, precisando altresi' che trova applicazione «la disciplina delle incompatibilita' e delle autorizzazioni prevista per i professori e ricercatori universitari a tempo pieno dallo stesso art. 6» (tra le quali, l'incompatibilita' con l'attivita' libero professionale); per altro verso ancora (art. 5, comma 2), ai fini della determinazione «in concreto» del trattamento economico per quei docenti provenienti dalle qualifiche di cui all'art. 2, comma 2, si prevede che «i periodi di servizio prestato nelle suddette qualifiche vengono computati come anzianita' di servizio nel ruolo dei professori universitari di prima o di seconda fascia a tempo pieno». 4. Orbene, il Collegio ritiene che le disposizioni del Regolamento in esame costituiscano coerente applicazione dell'art. 21 decreto-legge n. 90/2014. Ed infatti quest'ultimo, prevede: sia che ai docenti ordinari ed ai ricercatori dei ruoli ad esaurimento della SSPA si applichi «lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari» (comma 4, primo periodo); sia che il trattamento economico, rideterminato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, venga determinato «al fine di renderlo omogeneo a quello degli altri docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione ... sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianita'» (comma 4, secondo periodo). 4.1. Appare evidente, dunque, che l'applicazione dello stato giuridico dei professori universitari, lungi dal costituire una introduzione non consentita al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, trova il suo fondamento proprio nella norma primaria. A fronte di quest'ultima, il regolamento - una volta equiparata la categoria dei docenti di cui al proprio art. 2, comma 2, al professore di prima fascia a tempo pieno - non poteva che applicare agli appartenenti a detta categoria, conseguentemente, lo stato giuridico previsto per quest'ultima, ivi compreso il regime delle incompatibilita' e delle autorizzazioni allo svolgimento di' eventuali incarichi. In sostanza, la norma regolamentare (come e' tipico delle norme di attuazione) precisa l'applicazione di un regime giuridico che, laddove non fosse stato normativamente specificato dalla fonte secondaria, avrebbe dovuto comunque trovare applicazione in via interpretativa. In questo senso, non puo' essere condiviso quanto affermato dalla sentenza impugnata, secondo la quale «l'art. 21, comma 4, cit. si e' limitato a richiamare che lo stato giuridico doveva considerarsi quello dei professori universitari ma da cio' non puo' dedursi che era stato implicitamente introdotto ex lege il regime di incompatibilita' proprio dei professori ordinari a tempo pieno». Ed infatti - pur nella consapevolezza che tale argomento ha trovato una adesione nell'ordinanza cautelare di questa stessa sezione 11 marzo 2016 n. 892 - non appare plausibile «sganciare» (nel silenzio della legge) dallo status giuridico di una determinata categoria di pubblici dipendenti quelli che sono i plurimi aspetti che propriamente lo definiscono. Diversamente opinando, occorrerebbe affermare, in senso riduttivo, che applicare lo «stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari», altro non significherebbe che attribuire ai destinatari solo una delle «qualifiche» previste da quell'ordinamento, rendendo quest'ultima, al contempo, completamente avulsa dal complesso dei diritti, dei doveri, degli obblighi, oneri e limitazioni che ogni attribuzione di status comporta. Ma tale interpretazione, oltre a non trovare plausibile riscontro nella norma primaria (e nella sua corretta applicazione), comporterebbe che, mentre si attribuisce il trattamento economico (status economico) del professore di prima fascia a tempo pieno, al tempo stesso lo status giuridico - che pure e' dichiarato essere quello di «professore universitario» - in realta' continuerebbe ad essere, in assenza di disciplina transitoria, quello delineato dalla previgente normativa, con cio' ponendosi in contrasto con la finalita' di «omogeneizzazione» enunciata dal legislatore. In definitiva, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha proceduto a rideterminare il trattamento economico, attribuendo agli appartenenti alle categorie di cui all'art. 2, comma 2, il massimo trattamento tra quelli rinvenibili nella categoria dei professori universitari e, una volta compiuta tale operazione, ha chiarito come lo status giuridico di professore universitario (gia' ex lege attribuito) veniva a specificarsi in relazione alla qualifica concretamente attribuita ai fini dell'erogazione del trattamento economico (professore universitario di prima fascia a tempo pieno), realizzandosi una piana e coerente corrispondenza tra status giuridico e status economico. Cosi' ricostruito il percorso applicativo dell'art. 21 decreto-legge n. 90/2014, non assume alcuna rilevanza quanto prospettato in sentenza in ordine alla differenza esistente tra le qualifiche di docente stabile o a tempo pieno presso la SSPA che non corrisponderebbero alla «terminologia classica universitaria». Infatti, il legislatore ha inteso attribuire ai docenti della SSPA «lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari», senza considerare ne' significato e contenuto delle qualifiche gia' in possesso presso la SSPA ne' elaborare parametri di corrispondenza tra qualifiche «vecchie e nuove». 4.2. Anche l'attribuzione del trattamento economico del professore universitario di prima fascia a tempo pieno, effettuata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 2, comma 1) costituisce coerente applicazione della norma primaria, Giova ricordare che quest'ultima attribuisce ai docenti della SSPA un trattamento economico «che viene determinato dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianita'». Tale essendo l'indicazione legislativa, il regolamento ha individuato, per i docenti provenienti dalle categorie di cui all'art. 2, comma 2, il massimo trattamento possibile in base all'indicazione legislativa (professore universitario di prima fascia a tempo pieno), procedendo altresi' a conservare loro l'anzianita' maturata (art. 5, comma 2), computata (in assenza di diversa indicazione legislativa) come anzianita' di servizio nel ruolo dei professori universitari di prima fascia. A fronte di cio', l'eventuale sussistenza di disparita' di trattamento tra docenti appartenenti alle varie Scuole e con provenienza diversa, puo' rilevare (come si vedra') al fine di dubitare della legittimita' costituzionale della norma primaria, ma non costituisce - proprio per effetto di quanto disposto dall'art. 21 decreto-legge n. 90/2014 - vizio di legittimita' degli atti amministrativi (in primis, del regolamento) per violazione di legge ed eccesso di potere. 4.3. Le ragioni poste a fondamento della ritenuta coerenza degli atti (regolamentari e provvedimentali) adottati con la norma primaria, quanto all'attribuzione del trattamento economico, valgono anche per ritenere che tali atti non influiscono ex se (con cio' essendo conseguentemente illegittimi) sul futuro trattamento pensionistico, che costituisce coerente e conseguente attuazione, da parte del regolamento, di quanto disposto dal legislatore -in tema di trattamento economico da corrispondere ai docenti della ex SSEF. 4.4. Infine, non puo' assumere rilevanza quanto previsto (ancorche' prima dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) 11, comma 1, lett. d) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in base al quale, per quel che interessa nella presente sede, con decreto legislativo delegato si sarebbe dovuto procedere alla «ridefinizione del trattamento economico dei docenti della Scuola nazionale dell'amministrazione in coerenza con le previsioni di cui all'art. 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ferma restando l'abrogazione dell'art. 10, comma 2, del decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 178, senza incremento dei trattamenti economici in godimento e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Ed infatti, il Governo non ha proceduto all'esercizio della delega concessagli e quindi la previsione che affidava alla fonte primaria delegata la ridefinizione del trattamento economico dei docenti della SNA (non essendo stata attuata) non puo' essere interpretata comunque come una abrogazione della vecchia norma che attribuiva di tale disciplina alla fonte regolamentare. 5. Alla luce di quanto esposto, occorre escludere che la disciplina del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 novembre 2015, n. 202, costituisca incoerente attuazione dell'art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014, ovvero che «debordi» dai limiti ad essa imposti dalla norma primaria, in base alla interpretazione che di quest'ultima occorre fornire (come innanzi effettuato) secondo i normali canoni ermeneutici. La legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014 assume, dunque, importanza determinante ai fini della decisione del presente giudizio di appello, poiche' e' di tale articolo che questo Giudice deve fare applicazione, in quanto e' di questo che gli atti impugnati (disposizioni regolamentari e provvedimenti) fanno applicazione. Cio' evidenzia la sussistenza della «rilevanza» della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014, questione che il Collegio ritiene altresi' non manifestamente infondata, per le ragioni di seguito esposte. Giova ricordare che possibili profili di illegittimita' costituzionale delle norme innanzi indicate erano stati evidenziati con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado e poi «assorbiti» per effetto dell'intervenuto accoglimento del medesimo da parte della sentenza impugnata. 6. Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale del citato art. 21, comma 4, decreto-legge n. 90/2014: a) in primo luogo, per violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione, poiche', nell'applicare ai docenti della Scuola superiore dell'economia e delle finanze «lo stato giuridico dei professori e dei ricercatori universitari», esso non tiene contro ne' della diversificazione delle provenienze dei medesimi (dirigenti di amministrazioni pubbliche, magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati dello stato e consiglieri parlamentari), conservate pur in costanza del rapporto con la SSEF, ne' della differenza di status originario esistente tra tali docenti e quelli delle altre scuole confluite nella SNA e della stessa SNA. In tal modo, violando il principio di ragionevolezza, viene a determinarsi un «accesso» (nel senso di nuova e diversa configurazione del rapporto di impiego) agli uffici pubblici non in condizioni di uguaglianza, poiche' viene previsto un «trattamento eguale» (nel senso di standardizzato) sul piano giuridico per situazioni soggettive connotate da sensibili ed originarie differenze strutturali; b) in secondo luogo, per violazione degli articoli 3 e 51 della Costituzione sotto diverso profilo, in quanto, determinandosi il trattamento economico da corrispondere in quello del professore a tempo pieno e cosi' qualificando lo status giuridico in senso corrispondente, ivi compreso il regime delle incompatibilita', non ha contestualmente previsto la possibilita' di riconoscere il diritto di opzione per il regime del tempo definito, con la diversa conseguente determinazione dello status giuridico in senso a tale figura corrispondente. In tal modo, il docente ex SSEF, pur equiparato al professore universitario, costituisce l'unico esempio di tale categoria al quale non e' riconosciuta la possibilita' di scelta tra tempo pieno e tempo definito; c) in terzo luogo, per violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione, poiche', nell'attribuire ai predetti docenti della SSEF, «il trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianita'», determina, in modo irragionevole e non causalmente sorretto sul piano della tutela e perseguimento dell'interesse pubblico, con violazione del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, una compressione e/o livellamento dei trattamenti economici da corrispondersi in futuro, che - non tenendo in alcun conto i trattamenti economici in godimento - produce un «appiattimento» dei trattamenti retributivi con effetti di (irragionevole e ingiustificata) reformatio in pejus «diversificata», a seconda del trattamento economico originariamente corrisposto. Peraltro, la dichiarata finalita' di «rendere omogenei» i trattamenti economici dei docenti della SNA non puo' essere ragionevolmente attuata (se non a discapito del principio di eguaglianza) corrispondendo ex abrupto a tutti il medesimo trattamento, ma occorrendo, invece, stabilire (semmai) meccanismi di progressiva omogeneizzazione, tenendo ragionevolmente conto, quale punto di partenza, della differenza originaria delle retribuzioni in godimento; d) in quarto luogo, per violazione degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, nella misura in cui non dispone che a docenti aventi qualifiche e provenienze diverse nell'ambito del piu' generale rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, sia conservato il trattamento previdenziale attualmente previsto (o comunque questo venga autonomamente considerato e valutato), e consentendo dunque - con il richiamo allo status giuridico ed economico del professore universitario - l'applicazione agli stessi del trattamento previdenziale di quest'ultimo; e) in quinto luogo, per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, in quanto, disponendo nei sensi gia' riportati ai punti che precedono, la norma determina una conseguente violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento da parte della Pubblica amministrazione, nei confronti di soggetti ad essa legati da rapporto di impiego, come conseguenza della omessa considerazione della diversificazione dei rispettivi ruoli di provenienza; f) in sesto luogo, per violazione degli articoli 3, 36, 38, 51 e 97 della Costituzione, sotto diverso profilo, per non essere stata prevista una «norma transitoria», che consenta una possibilita' di scelta, non immediata ma anche temporalmente definita, tra rientro nei ruoli di originaria provenienza ovvero permanenza nel (modificato) status di docente presso la SNA. 6. Per tutte le ragioni esposte, questo Consiglio di Stato ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, conv. in legge 11 agosto 2014, n. 114, per violazione degli articoli 3, 36, 38, 51 e 97 della Costituzione. La rimessione degli atti alla Corte costituzionale comporta la sospensione del processo in corso.