ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione  del  3  maggio  2017   della
Commissione  parlamentare  di  inchiesta  sulle  attivita'   illecite
connesse al ciclo dei  rifiuti  e  su  illeciti  ambientali  ad  esse
correlati, relativa al mantenimento del regime di segretezza  apposto
sul  verbale  contenente  l'audizione,  dinanzi   alla   Commissione,
dell'ingegnere  Daniele  Fortini  del  2  agosto  2016,  e   al   non
accoglimento dell'istanza di desecretazione inoltrata  alla  medesima
Commissione dalla Procura di Torino in data 23 giugno 2017,  promosso
dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore aggiunto presso il
Tribunale ordinario di Torino, con ricorso depositato in  cancelleria
il 19 gennaio 2018 ed iscritto al n. 2  del  registro  conflitti  tra
poteri 2018, fase di ammissibilita'. 
    Udito nella camera di consiglio del 10 ottobre  2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che, con ricorso  depositato  il  19  gennaio  2018,  la
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torino,  in
persona del Procuratore della Repubblica e del Procuratore  aggiunto,
quale titolare del procedimento n. 2017/3922, ha  promosso  conflitto
di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato   nei   confronti   della
Commissione bicamerale di inchiesta sulle attivita' illecite connesse
al ciclo dei rifiuti e su  illeciti  ambientali  ad  esse  correlati,
istituita con  legge  7  gennaio  2014,  n.  1  (Istituzione  di  una
Commissione  parlamentare  di  inchiesta  sulle  attivita'   illecite
connesse al ciclo dei  rifiuti  e  su  illeciti  ambientali  ad  esse
correlati), nonche' nei  confronti  della  Camera  dei  deputati,  in
persona  del  suo  Presidente  pro  tempore,  e  del   Senato   della
Repubblica, in persona del  suo  Presidente  pro  tempore,  chiedendo
dichiararsi che non spettava  alla  medesima  Commissione  bicamerale
confermare   il   segreto   sul   verbale   contenente    l'audizione
dell'ingegnere Daniele Fortini del 2 agosto 2016,  nonche'  rigettare
la richiesta di desecretazione avanzata dalla Procura di  Torino,  e,
per l'effetto, chiedendo altresi' di annullare la deliberazione del 3
maggio  2017,  che  ha  mantenuto  la  secretazione   del   resoconto
stenografico della seduta del 2 agosto 2016, e consentire  quindi  la
prosecuzione dell'attivita' dell'autorita' giudiziaria; 
    che la Procura ricorrente premette di procedere in relazione alla
querela, proposta dall'onorevole Stefano Vignaroli, per il  reato  di
diffamazione aggravata in riferimento ad un articolo  pubblicato  sul
quotidiano "La Stampa" dal titolo «Anche Vignaroli finisce nel mirino
per le presunte  pressioni  su  Tronca.  Commissione  Ecomafie  e  pm
potrebbero ascoltare il deputato»; 
    che, nel proprio atto di denuncia-querela, l'onorevole  Vignaroli
lamentava che  la  giornalista  autrice  dell'articolo  avesse  posto
arbitrariamente in relazione l'inchiesta cosiddetta "Monnezzopoli"  e
quella cosiddetta "Mafia Capitale", addebitando al  Movimento  Cinque
Stelle «ombre di intrighi», da un lato alludendo alla  sua  relazione
con la senatrice Paola Taverna e ai loro presunti rapporti  con  l'ex
assessore  all'ambiente  del  Comune  di  Roma,  Paola   Muraro;   e,
dall'altro, riferendo che, secondo quanto  dichiarato  dall'ingegnere
Daniele  Fortini  nel  corso  della  sua   audizione   davanti   alla
Commissione bicamerale di inchiesta sulle attivita' illecite connesse
al  ciclo  dei  rifiuti,  lo  stesso  querelante  avrebbe  esercitato
pressioni sul commissario straordinario di  Roma  Capitale,  prefetto
Tronca, per l'allontanamento  dell'ex  direttore  generale  dell'AMA,
dott. Alessandro Filippi; 
    che il querelante addebitava, inoltre, alla  stessa  giornalista,
il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio di  cui
all'art.  326  del  codice  penale,  in  concorso  con  soggetto  non
identificato, a norma dell'art. 110 cod. pen., sul rilievo che  «tale
vicenda l'articolista deve aver appreso, violando il segreto  preteso
dal medesimo Fortini ed apposto alle sue dichiarazioni dal presidente
della Bicamerale», richiedendo, dunque, alla  Procura  ricorrente  di
«accertare come mai nell'articolo  compare  tale  questione,  oggetto
appunto della detta segretazione, e  guarda  caso  secondo  la  falsa
ricostruzione dei fatti offerta dal Fortini»; 
    che a tal proposito la ricorrente sottolinea  come  le  doglianze
espresse dal querelante siano diverse  ed  investano:  a)  il  tenore
reputato diffamatorio dell'articolo di stampa; b) la  diffusione  del
contenuto   di   dichiarazioni   che,   secondo   quanto   dichiarato
dall'onorevole Vignaroli,  il  quale  rivestiva  la  carica  di  vice
presidente della Commissione di  inchiesta  sul  ciclo  dei  rifiuti,
erano state rese dall'ingegnere Fortini in sede di  audizione  presso
la Commissione medesima, ma con richiesta di segretazione; c) la  non
veridicita' di tali dichiarazioni; 
    che la denuncia-querela era  dunque  rivolta  sia  nei  confronti
della giornalista che aveva firmato l'articolo, sia nei confronti del
direttore responsabile del quotidiano "La Stampa", sia,  infine,  nei
confronti di  quanti  si  fossero  resi  responsabili  del  reato  di
rivelazione di segreto di ufficio, punito - in base all'art. 5  della
legge n.  1  del  2014,  istitutiva  della  Commissione  parlamentare
anzidetta - dall'art. 326 cod. pen; 
    che, in data 28 febbraio 2017, la Procura ricorrente chiedeva  al
Presidente della Commissione  bicamerale  di  inchiesta  copia  della
audizione dell'ingegnere Fortini del 2 agosto 2016, con richiesta  di
precisare «se,  quando  e  in  quali  termini  tale  atto  sia  stato
secretato» e «se lo stesso risulti ancora  secretato»  e  «quando  lo
stesso sara' desecretato»; 
    che l'allora Presidente della Commissione,  onorevole  Alessandro
Bratti, trasmetteva, con nota del 21  marzo  2017,  «in  ossequio  al
principio di leale collaborazione istituzionale», l'intero  resoconto
stenografico dell'audizione dell'ingegnere Fortini, di cui una  parte
era effettivamente secretata, sottolineando che  quest'ultima  veniva
trasmessa «sotto vincolo di mantenimento  del  regime  di  segretezza
apposto dalla Commissione»; 
    che successivamente, il 3 maggio  2017,  il  medesimo  Presidente
comunicava alla Procura ricorrente la decisione della Commissione  di
mantenere  la  secretazione,  ponendo  in  evidenza  che  era   stato
richiesto allo stesso ingegnere  Fortini  di  «esprimere  la  propria
valutazione  sulla  persistenza  delle  esigenze  di  segretezza  del
resoconto in questione» e che il medesimo aveva chiesto di  mantenere
la segretezza dell'atto; 
    che la medesima Procura chiedeva formalmente il 23 giugno 2017 la
desecretazione del verbale, rappresentando che quest'ultimo era stato
ormai acquisito agli atti del procedimento e, dunque, qualunque fosse
stato l'esito  delle  indagini  preliminari,  avrebbe  dovuto  essere
formalmente depositato  alle  parti,  in  tal  modo  determinando  un
possibile contrasto con il provvedimento di secretazione; 
    che  il  13  luglio  2017  il  Presidente  della  Commissione  di
inchiesta ribadiva che la deliberazione relativa al mantenimento  del
segreto era stata gia'  assunta  il  3  maggio,  ma  che,  attesa  la
richiesta  formale  della  Procura  della  Repubblica,  l'Ufficio  di
presidenza avrebbe valutato «le eventuali iniziative da assumere»; 
    che alla data di presentazione del  ricorso,  tuttavia,  non  era
stata comunicata alcuna  iniziativa  volta  alla  desecretazione  del
verbale; 
    che, alla stregua di tale  evoluzione  della  vicenda,  a  parere
della ricorrente la Commissione bicamerale non si  sarebbe  attenuta,
nella secretazione  delle  dichiarazioni,  ai  principi  al  riguardo
affermati da questa Corte, la quale ha piu' volte  sottolineato  come
il segreto degli atti delle  Commissioni  parlamentari  di  inchiesta
deve essere qualificato alla stregua di segreto di  tipo  funzionale,
nel senso che esso e' destinato a soddisfare le  esigenze  funzionali
dell'organo parlamentare; 
    che, nel frangente, tale limite non sarebbe  stato  osservato  in
quanto: 1) la Commissione si sarebbe limitata a motivare  il  diniego
di  desecretazione  «con  esclusivo  riferimento   alla   valutazione
dell'Ing. Fortini "sulla persistenza delle esigenze di segretezza del
resoconto in  questione"»;  2)  avrebbe  omesso  ogni  valutazione  e
motivazione circa la  necessita'  del  mantenimento  del  segreto  in
funzione  del   perseguimento   dei   compiti   istituzionali   della
Commissione medesima; 3) non avrebbe  considerato  il  fatto  che  il
contenuto delle  dichiarazioni  dell'ingegnere  Fortini  erano  state
ormai disvelate all'opinione pubblica  ed  acquisite  alle  indagini,
avendo cosi' la secretazione come unico ed esclusivo  effetto  quello
di paralizzare il procedimento penale; 
    che, nella  specie,  deduce  ancora  la  ricorrente,  il  verbale
secretato costituirebbe - almeno secondo la prospettazione desumibile
dalla  denuncia-querela  dell'onorevole   Vignaroli   -   sia   prova
documentale del  reato  di  diffamazione,  in  quanto  contenente  le
dichiarazioni dell'ingegnere Fortini, sia corpo di reato in relazione
al delitto di rivelazione ed utilizzazione di un segreto d'ufficio; 
    che, di conseguenza, il mantenimento del vincolo del segreto  sul
verbale in questione ne paralizzerebbe  l'utilizzazione  processuale,
con conseguente pregiudizio per le  indagini  e  per  le  conseguenti
scelte sull'esercizio o non esercizio della azione penale,  la  quale
costituisce un'attribuzione costituzionalmente riservata al  pubblico
ministero; 
    che, quanto alla legittimazione passiva, il ricorrente sottolinea
come, alla data di  proposizione  del  ricorso,  fossero  state  gia'
sciolte le Camere, con decreti del Presidente della Repubblica del 28
dicembre 2017; sicche', la Commissione parlamentare bicamerale, i cui
atti  hanno  dato  luogo  al  conflitto,  aveva  cessato  le  proprie
funzioni, essendo queste limitate,  in  base  alla  legge  istitutiva
della stessa Commissione, alla durata della XVII Legislatura; 
    che, di conseguenza, il ricorso viene rivolto anche nei confronti
della Camera dei deputati e del  Senato  della  Repubblica,  giacche'
nella ipotesi in cui la Commissione parlamentare abbia, per qualsiasi
causa, cessato di funzionare, «la legittimazione processuale ad agire
o a resistere [sia] riassunta dalla Camera medesima» (sentenza n. 241
del 2007). 
    Considerato  che,  in  questa  fase  del   giudizio,   la   Corte
costituzionale e' chiamata a deliberare, a norma dell'art. 37,  terzo
e quarto comma, della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),  in
camera di consiglio  e  senza  contraddittorio,  se  il  ricorso  sia
ammissibile in quanto esista «la  materia  di  un  conflitto  la  cui
risoluzione spetti alla sua competenza»,  sussistendone  i  requisiti
soggettivo e oggettivo, fermo restando il  potere,  nella  successiva
fase di merito,  di  pronunciarsi  su  ogni  aspetto  del  conflitto,
compreso quello relativo alla ammissibilita'; 
    che, sotto il profilo soggettivo, in  conformita'  alla  costante
giurisprudenza di questa Corte (v. ordinanze n. 273 del 2017, n.  217
del 2016 e n. 17 del 2013), deve essere  riconosciuta  la  natura  di
potere dello Stato  al  pubblico  ministero  e,  in  particolare,  al
Procuratore della Repubblica, in quanto titolare delle  attivita'  di
indagine (art.  109  della  Costituzione)  finalizzate  all'esercizio
obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.); 
    che, parimente, deve  essere  riconosciuta  la  legittimazione  a
resistere della Commissione parlamentare di inchiesta,  giacche',  «a
norma dell'art. 82 Cost., la potesta'  riconosciuta  alle  Camere  di
disporre  inchieste  su  materie  di  pubblico   interesse   non   e'
esercitabile  altrimenti  che   attraverso   la   interposizione   di
Commissioni a cio' destinate, delle quali puo' ben dirsi percio' che,
nell'espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope
constitutionis  lo  stesso  Parlamento,   dichiarandone   percio'   e
definitivamente la volonta' ai sensi del primo  comma  dell'art.  37»
della legge n. 87 del 1953 (v. ordinanze n. 73 del 2006, n.  228  del
1975; nello stesso senso, sentenza n. 231 del 1975); 
    che, per quanto attiene  al  profilo  oggettivo,  il  ricorso  e'
indirizzato alla tutela della sfera di  attribuzioni  determinata  da
norme  costituzionali,  in  quanto  la  lesione  lamentata   concerne
l'attribuzione, costituzionalmente garantita al  pubblico  ministero,
inerente all'esercizio  obbligatorio  dell'azione  penale  (art.  112
Cost.) ed  alla  connessa  titolarita'  circa  lo  svolgimento  delle
attivita' di  indagine  (art.  109  Cost.),  funzionale  alle  scelte
sull'esercizio dell'azione penale; 
    che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione
spetta alla competenza di questa Corte; 
    che, peraltro - poiche' la Commissione parlamentare bicamerale di
inchiesta, alla quale vengono attribuiti gli atti oggetto del ricorso
e dei quali si  chiede  l'annullamento,  e'  cessata  ex  lege  dalle
proprie  funzioni  con  la  fine  della   XVII   Legislatura   -   la
legittimazione a resistere  deve  ritenersi  trasferita  in  capo  al
Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati,  in  persona  dei
rispettivi Presidenti pro tempore.