ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  della
legge 8 luglio  1980,  n.  319  (Compensi  spettanti  ai  periti,  ai
consulenti  tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le   operazioni
eseguite  a  richiesta  dell'autorita'  giudiziaria),  promossi   dal
Tribunale ordinario di Macerata con ordinanze del 5 e del  21  maggio
2015, iscritte rispettivamente ai  numeri  180  e  181  del  registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 ottobre  2018  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo contenuto del 5 e del 21  maggio
2015, pervenute nella Cancelleria di questa Corte il 23 novembre 2017
ed  iscritte  rispettivamente  ai  numeri  180  e  181  del  registro
ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Macerata ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  36  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 8 luglio 1980, n.
319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici,  interpreti
e traduttori per le operazioni eseguite  a  richiesta  dell'autorita'
giudiziaria), nella  parte  in  cui  stabilisce  che  l'onorario  dei
consulenti  tecnici  di  ufficio,  laddove   commisurato   al   tempo
impiegato, sia pari ad euro 14,68 per la prima vacazione (composta di
due ore) e ad euro 8,15 per quelle successive. 
    Le questioni di  legittimita'  costituzionale  vengono  sollevate
nell'ambito  di  due  giudizi  aventi  a  oggetto   le   istanze   di
liquidazione dei compensi dei consulenti tecnici  d'ufficio  cui  era
stato  conferito  l'incarico  di  effettuare  perizia  collegiale  in
materia di responsabilita' medica. 
    Il giudice rimettente  riferisce  che,  in  entrambi  i  casi,  i
consulenti erano stati impegnati in  una  «complessa  perizia  su  un
difficile caso di ipotizzata colpa medica sfociata nella morte  della
paziente»  e  specifica,  nella  prima  delle  citate  ordinanze   di
rimessione, che la «vicenda [...]  vedeva  implicati  piu'  medici  e
diverse strutture sanitarie; fatti sui quali  si  erano  gia'  svolte
plurime perizie delle parti con differenti esiti e valutazioni». 
    2.- Il Tribunale ordinario di Macerata  afferma  innanzitutto  la
propria  legittimazione  a  sollevare   questioni   di   legittimita'
costituzionale,   poiche'   «la   prioritaria    giurisprudenza    di
legittimita' configura la attivita' di liquidazione dei compensi  dei
consulenti come attivita' di natura giurisdizionale». 
    Le questioni sarebbero altresi' rilevanti, poiche', non potendosi
inquadrare i casi oggetto di giudizio in alcuna delle ipotesi per  le
quali  la  legge  prevede  onorari  fissi,  dovrebbe  applicarsi   la
disposizione censurata relativa  alla  liquidazione  dell'onorario  a
tempo. 
    Viene citato, al proposito, un esteso  passaggio  della  sentenza
della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 25 novembre  2011,
n. 24992, a chiarimento  del  fatto  che  laddove  venga  in  rilievo
un'indagine avente a oggetto «la  correttezza,  dal  punto  di  vista
della  scienza  medica,  nelle  sue   varie   fasi,   dell'operazione
chirurgica» e non «lo stato attuale di salute della persona» andrebbe
applicato il sistema di determinazione  del  compenso  fondato  sulle
vacazioni.  In  particolare,  l'oggetto   della   consulenza,   ossia
«l'attivita' medica e di cura erogata [...] e la sua  rispondenza  ai
principi  tecnico-scientifici  e  di  diligenza   che   sovrintendono
l'esercizio  della  relativa  professione»,   non   potrebbe   essere
ricondotto, «nemmeno in forza dell'analogia, alla  consulenza  medica
diagnostica cui si riferisce la previsione  tabellare».  Non  sarebbe
pertanto applicabile nessuna delle ipotesi di onorari fissi  relative
ad accertamenti medici sullo stato di salute  della  persona  di  cui
agli artt. 20 e 21 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  14
novembre 1983, n.  820  (Approvazione  delle  tabelle  contenenti  la
misura degli onorari fissi e di quelli variabili  dei  periti  e  dei
consulenti  tecnici,  per  le  operazioni  eseguite  su  disposizione
dell'autorita' giudiziaria in materia civile e penale). 
    3.- Il giudice rimettente ritiene che la  disposizione  censurata
si ponga in contrasto con l'art. 36 Cost., poiche' i consulenti  sono
stati impegnati in una «complessa perizia su  un  difficile  caso  di
ipotizzata colpa medica sfociata nella morte della paziente». 
    Sarebbe di  conseguenza  del  tutto  incongruo  rispetto  a  tale
previsione costituzionale, secondo cui il lavoratore  ha  diritto  ad
una retribuzione proporzionata alla  quantita'  e  qualita'  del  suo
lavoro, riconoscere un compenso pari ad euro  4,075  all'ora,  se  si
tiene conto della veste professionale dei periti e della complessita'
dell'incarico. 
    Il carattere sproporzionato per difetto dell'importo emergerebbe,
inoltre, se si considera  che  in  entrambi  i  giudizi  erano  state
disposte perizie collegiali, la cui «retribuzione e' integrale per un
perito, aumentata del 40% per ciascuno degli altri periti». 
    Il  giudice   a   quo   e'   consapevole   della   giurisprudenza
costituzionale che ritiene l'art. 36 Cost.  parametro  male  addotto,
perche' il lavoro dei consulenti tecnici non si presta a rientrare in
uno schema di confronto tra prestazione e retribuzione e, dunque,  in
un giudizio sulla  adeguatezza  e  sulla  sufficienza  della  seconda
(vengono in particolare citate le sentenze n. 88 del 1970 e n. 41 del
1996). Ritiene, tuttavia, che la questione sollevata attenga non gia'
all'asserita inadeguatezza della retribuzione al fine  di  assicurare
un'esistenza libera e dignitosa, bensi' al diverso  profilo  relativo
alla necessita' che il consulente possa godere di  una  «retribuzione
proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato a  favore
dello Stato». 
    4.- Il Tribunale ordinario di  Macerata,  inoltre,  prospetta  la
violazione dell'art.  3  Cost.,  poiche'  la  disposizione  censurata
determinerebbe un trattamento economico irragionevolmente uguale  per
ogni caso di retribuzione oraria del consulente, senza permettere  di
differenziare, fra le diverse attivita' espletate, in  base  al  loro
livello di complessita'. 
    Per  superare  tale  irragionevolezza  non  sarebbe   sufficiente
l'applicazione  dell'art.  52  del  decreto  del   Presidente   della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia (Testo A)», che consente di raddoppiare le somme  liquidate
in caso  di  attivita'  di  eccezionale  importanza  e  complessita'.
Secondo il giudice  rimettente,  infatti,  l'ambito  di  applicazione
della disposizione sarebbe «estremamente rigoroso e  specifico,  tale
da escludere di regola la sua applicabilita'». 
    5.- Da ultimo, il giudice rimettente ritiene che la dichiarazione
di «illegittimita' costituzionale dell'importo» previsto dall'art.  4
della legge n. 319 del 1980 non determinerebbe alcun vuoto  normativo
incolmabile, poiche' il giudice potrebbe ricorrere alla  liquidazione
in via equitativa del compenso,  «sulla  base  della  entita'  e  del
pregio  della  attivita'   svolta,   tenuto   conto   delle   tariffe
professionali della categoria o di altre analoghe, nelle more  di  un
intervento del legislatore (a quel  punto  verosimilmente  sollecito)
che contemperasse equamente le ragioni delle  finanze  statali  e  le
lecite aspettative del privato che  presta  la  propria  attivita'  a
favore dello Stato». 
    6.- Con atti di identico tenore depositati il 9 gennaio  2018  e'
intervenuto in entrambi i giudizi il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
vengano dichiarate manifestamente inammissibili o infondate. 
    6.1.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene che le  questioni
siano inammissibili rispetto a entrambi i parametri evocati. 
    Innanzitutto sarebbe censurata una disciplina che  trova  la  sua
fonte sia nella disposizione censurata, sia nel decreto del  Ministro
della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai
periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni
eseguite su disposizione dell'autorita' giudiziaria in materia civile
e penale),  con  cui  sono  stati  adeguati  i  compensi  di  periti,
consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le attivita' eseguite
su incarico dell'autorita' giudiziaria. Secondo l'Avvocatura generale
dello Stato, l'importo previsto per le vacazioni sarebbe  determinato
dal decreto ministeriale  e,  dunque,  da  una  disciplina  di  rango
secondario, non sindacabile dalla Corte costituzionale. 
    Inoltre, la Corte costituzionale con la sentenza n. 41  del  1996
avrebbe ritenuto l'inadeguatezza degli onorari superabile  con  altri
strumenti, ma non attraverso il suo intervento. 
    Da ultimo, le questioni sarebbero inammissibili anche in  ragione
della  mancata  indicazione  di  una   soluzione   costituzionalmente
vincolata, idonea a colmare l'eventuale lacuna che si  determinerebbe
a  seguito  della  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale.
Sarebbe quindi richiesto un  intervento  della  Corte  costituzionale
invasivo della sfera di discrezionalita' riconosciuta al legislatore. 
    Con specifico riferimento all'art. 3 Cost., l'Avvocatura generale
dello Stato ritiene la censura  inammissibile,  poiche'  non  sarebbe
indicato alcun tertium comparationis per porre in evidenza l'asserita
irragionevole disparita' di trattamento. 
    In riferimento alla  censura  relativa  all'irragionevole  uguale
trattamento di situazioni differenti fra loro, in virtu' del  diverso
grado di  complessita'  delle  prestazioni  effettuate,  l'Avvocatura
osserva inoltre che non sarebbe stata nemmeno compiutamente descritta
l'attivita' richiesta nei due casi oggetto  di  giudizio,  risultando
quindi omessa un'adeguata motivazione in  punto  di  rilevanza  della
questione. 
    6.2.- Nel merito, sarebbe  in  ogni  caso  infondata  la  censura
sollevata rispetto all'art. 3 Cost. 
    Il giudice  rimettente,  infatti,  non  avrebbe  considerato  che
l'attuale disciplina consente di definire  la  retribuzione  in  modo
diverso a seconda che si tratti di attivita'  semplici  o  complesse,
«pur  applicando  lo  stesso  importo  unitario   previsto   per   le
vacazioni».  In  particolare,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, il giudice potrebbe  tenere  conto  della  complessita'  delle
attivita'  per  calcolare  il  numero  di  vacazioni  richieste   per
l'assolvimento dell'incarico. 
    La considerazione per cui in  entrambi  i  giudizi  i  consulenti
hanno richiesto la liquidazione del proprio onorario sulla base di un
elevato numero di vacazioni pone  in  particolare  evidenza,  secondo
l'Avvocatura  generale  dello   Stato,   l'assenza   di   motivazione
sull'asserita inadeguatezza del relativo compenso  e  del  numero  di
vacazioni richieste. 
    6.3.- Rispetto  alla  asserita  violazione  dell'art.  36  Cost.,
l'Avvocatura generale dello Stato richiama innanzitutto  le  sentenze
n. 88 del 1970 e n. 41  del  1996  della  Corte  costituzionale,  che
sottolineano l'inconferenza del parametro in riferimento a tal genere
di questioni. Ricorda, altresi', che la Corte di cassazione,  sezione
seconda civile, con la sentenza  6  agosto  1990,  n.  7905,  avrebbe
ritenuto manifestamente infondata analoga questione  di  legittimita'
costituzionale, relativa sia al d.P.R. n.  820  del  1983,  sia  alla
legge n. 319 del 1980, in ragione del  carattere  di  munus  publicum
dell'incarico peritale, non assimilabile percio' all'esercizio  della
libera professione, dovendosi altresi'  tener  conto  del  fatto  che
l'asserita inadeguatezza del compenso sarebbe  superabile  attraverso
il raddoppio della somma. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di analogo contenuto del 5 e del 21  maggio
2015, iscritte rispettivamente ai  numeri  180  e  181  del  registro
ordinanze 2017, il  Tribunale  ordinario  di  Macerata  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4  della  legge  8
luglio 1980, n. 319 (Compensi  spettanti  ai  periti,  ai  consulenti
tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
richiesta dell'autorita' giudiziaria), nella parte in cui  stabilisce
che l'onorario dei consulenti tecnici di ufficio, laddove commisurato
al tempo impiegato, sia pari ad euro 14,68  per  la  prima  vacazione
(composta di due ore) e ad euro 8,15 per quelle successive. 
    La  disposizione  censurata  si  porrebbe,  in  primo  luogo,  in
contrasto con l'art. 36 della Costituzione  poiche'  gli  importi  da
essa stabiliti non sarebbero proporzionati alla quantita' e  qualita'
del  lavoro  prestato  in  favore  dello  Stato,  alla   luce   della
particolare  qualificazione  dei  consulenti  e  della   complessita'
dell'incarico. 
    Consapevole  della  giurisprudenza  costituzionale  che   ritiene
l'art. 36 Cost. parametro male  addotto  in  relazione  agli  onorari
degli ausiliari del  magistrato  -  non  prestandosi  il  lavoro  dei
consulenti tecnici  a  rientrare  in  uno  schema  di  confronto  tra
prestazione  e  retribuzione  e,  dunque,  in   un   giudizio   sulla
adeguatezza e sulla sufficienza della seconda - ritiene, tuttavia, il
giudice rimettente  che  la  questione  sollevata  attenga  non  gia'
all'asserita inadeguatezza della retribuzione al fine  di  assicurare
un'esistenza libera e dignitosa, bensi' al diverso  profilo  relativo
alla necessita' che il consulente possa godere di  una  «retribuzione
proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato a  favore
dello Stato». 
    Il giudice a quo prospetta, inoltre, la  violazione  dell'art.  3
Cost., poiche' il meccanismo di determinazione del compenso  a  tempo
verrebbe  irragionevolmente  applicato  a  tutte  le   attivita'   di
consulenza da liquidarsi a  vacazione,  senza  alcuna  distinzione  a
seconda del livello di complessita' delle attivita' richieste. 
    L'incongruita' della disciplina censurata verrebbe in particolare
rilievo, a  suo  avviso,  nel  caso  in  cui  sia  conferita  perizia
collegiale, poiche'  in  tale  ipotesi  l'art.  53  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115,  recante  «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di
spese di giustizia (Testo A)», prevede, in sostanza, una decurtazione
del compenso orario per ciascuno dei  componenti  il  collegio,  alla
luce della stessa collegialita' della prestazione. 
    2.- In considerazione dell'identita' della disposizione censurata
e dei parametri evocati, i giudizi vanno riuniti, per essere definiti
con un'unica decisione. 
    3. - In via preliminare, va osservato che -  sebbene  il  giudice
rimettente riferisca le proprie censure all'intero art. 4 della legge
n. 319 del 1980 - si evince agevolmente  dalla  riferita  motivazione
che i dubbi di legittimita' costituzionale riguardano, in realta', il
solo secondo comma di tale disposizione, che stabilisce l'importo del
compenso per la prima vacazione e quello per le  successive.  A  tale
comma,  dunque,  deve  limitarsi  il   giudizio   di   questa   Corte
(analogamente, sentenze n. 16 del 2018, n. 268 e n. 203 del 2016). 
    4.- Sempre  in  via  preliminare,  va  rigettata  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura generale  dello  Stato  in
relazione  all'asserita  erronea  individuazione  della  disposizione
oggetto delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate. 
    E' pur vero, infatti, che, attualmente, gli  importi  a  compenso
delle vacazioni non  risultano  direttamente  dalla  disposizione  di
legge censurata, ma  sono  determinati  dall'art.  1,  comma  1,  del
decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento  dei
compensi  spettanti  ai  periti,  consulenti  tecnici,  interpreti  e
traduttori per le operazioni eseguite su disposizione  dell'autorita'
giudiziaria  in  materia  civile  e  penale),  abilitato,  in  virtu'
dell'art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, ad aggiornare ogni tre  anni
la misura degli onorari dei consulenti, siano essi fissi, variabili o
a  tempo,  in  relazione  alla  variazione,  accertata  dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), dell'indice dei  prezzi  al  consumo
per le famiglie di operai e impiegati. 
    Tuttavia, il contenuto  normativo  della  disposizione  di  legge
censurata risulta appunto  integrato  dal  decreto  ministeriale,  in
virtu' dell'indicazione contenuta nel citato art. 54  del  d.P.R.  n.
115 del 2002. La fonte primaria, cosi', vive  nell'ordinamento  e  vi
trova applicazione proprio attraverso le determinazioni  quantitative
operate in tale decreto. 
    Puo' quindi essere richiamata, sia pur  solo  analogicamente,  la
giurisprudenza  costituzionale  secondo  la   quale   laddove   venga
sollevata una questione di  legittimita'  costituzionale  riguardante
una disciplina risultante dal raccordo tra la disposizione di legge e
una  fonte  regolamentare  -  e  le  specificazioni  espresse   dalla
normativa secondaria siano strettamente collegate al contenuto  della
prima - la questione non  e'  inammissibile,  potendo  riguardare  la
fonte primaria cosi' come integrata dalla disposizione  regolamentare
(sentenze n. 242 del 2014, n. 34 del 2011, n. 354 del  2008,  n.  456
del 1994 e n. 1104 del 1988; ordinanze n. 254 del 2016 e n.  261  del
2013). 
    5.- Le  questioni,  tuttavia,  sono  inammissibili  per  altre  e
diverse ragioni. 
    5.1.- Il giudice a quo non  fornisce,  intanto,  una  sufficiente
descrizione delle fattispecie oggetto dei due giudizi. Non e' infatti
illustrata la natura delle prestazioni richieste ai consulenti  e  da
essi svolte, salvo un rapido ma insufficiente cenno (contenuto in una
sola delle due ordinanze) al fatto che la vicenda oggetto di perizia,
relativa a un caso di responsabilita' medica, avrebbe visto implicati
piu' medici e diverse strutture sanitarie, oltre ad  aver  comportato
lo svolgimento di plurime consulenze di parte con esiti e valutazioni
differenti. 
    Tale carenza impedisce di apprezzare  il  grado  di  complessita'
della consulenza e, conseguentemente,  l'asserita  inadeguatezza  del
compenso stabilito dalla disposizione censurata: cio' che si traduce,
per  costante  giurisprudenza  costituzionale,  in  un   difetto   di
motivazione sulla rilevanza  delle  questioni  sollevate  (in  questo
senso, ex multis, sentenza n. 42 del 2018; ordinanze n. 85, n.  37  e
n. 7 del 2018). 
    5.2.- L'inammissibilita' delle  questioni  discende  inoltre  dal
fatto che il giudice rimettente non ricostruisce in modo corretto  ed
esaustivo  il  quadro  normativo  con  il   quale   e'   chiamato   a
confrontarsi, al fine di determinare i compensi  dei  consulenti  nei
casi oggetto di entrambi i giudizi. 
    In primo luogo,  non  e'  illustrata  la  ragione  della  mancata
applicazione dell'art. 52, comma 1, del d.P.R. n. 115  del  2002,  il
quale prevede che  per  le  prestazioni  di  eccezionale  importanza,
complessita' e difficolta' gli onorari dei consulenti possono  essere
aumentati  fino  al  doppio.  La  giurisprudenza   della   Corte   di
cassazione, si osservi, riserva alla  valutazione  discrezionale  del
giudice di merito l'applicazione di questa  disposizione,  stabilendo
che la scelta di provvedere o meno al  raddoppio  degli  onorari,  se
congruamente motivata, non puo' essere sindacata in sede di  giudizio
di legittimita' (da ultimo,  ordinanza  della  Corte  di  cassazione,
sezione seconda civile, 21 settembre 2017,  n.  21963).  Orbene,  pur
lamentando che il quantum  legislativamente  stabilito  per  ciascuna
vacazione risulta inadeguato a compensare consulenze  di  particolare
complessita',  il  rimettente,  senza  indicarne   compiutamente   le
ragioni, afferma di non poter raddoppiare  i  compensi  nei  casi  di
specie, sulla base  di  un  asserito  e  non  dimostrato  «ambito  di
applicazione estremamente rigoroso e specifico» del citato art. 52. 
    In secondo luogo, versandosi in caso di  perizie  collegiali,  il
giudice a quo lamenta la prevista diminuzione del compenso orario per
ciascuno  dei  componenti  il  collegio,   a   causa   della   stessa
collegialita' della prestazione, ai sensi dell'art. 53 del d.P.R.  n.
115 del 2002 (decurtazione non piu' prevista per le  consulenze  rese
in materia di responsabilita' sanitaria in  base  all'art.  15  della
legge 8 marzo 2017,  n.  24,  recante  «Disposizioni  in  materia  di
sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche' in materia di
responsabilita'  professionale   degli   esercenti   le   professioni
sanitarie», disposizione tuttavia non applicabile, ratione  temporis,
ai casi di specie): ma non considera che lo stesso art.  53  consente
al giudice di disporre che ognuno  degli  incaricati  debba  svolgere
personalmente e per intero la prestazione richiesta, ricevendo  cosi'
un compenso non ridotto. E non tenendo conto  di  tale  possibilita',
non spiega, ne' contesta, le ragioni  che  avrebbero  indotto  a  non
ricorrervi. 
    Queste   complessive   carenze    compromettono    il    percorso
argomentativo posto a fondamento  della  non  manifesta  infondatezza
delle   questioni    sollevate,    determinando    a    loro    volta
l'inammissibilita' delle stesse (sentenze n. 134 e n.  80  del  2018;
ordinanze n. 136 del 2018 e n. 243 del 2017). 
    6.- Ancora, il giudice rimettente  ignora  del  tutto,  nell'iter
logico della propria motivazione, il ruolo del gia'  citato  art.  54
del d.P.R. n. 115 del 2002, a norma  del  quale  «[l]a  misura  degli
onorari fissi, variabili e a tempo  e'  adeguata  ogni  tre  anni  in
relazione alla  variazione,  accertata  dall'ISTAT,  dell'indice  dei
prezzi  al  consumo  per  le  famiglie  di   operai   ed   impiegati,
verificatasi nel triennio precedente, con  decreto  dirigenziale  del
Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia
e delle finanze». 
    L'ultimo adeguamento intervenuto ai sensi di questa  disposizione
risale, come si e' visto, al d.m. 30 maggio  2002,  che  all'art.  1,
comma 1, contiene la rideterminazione della misura degli  onorari  da
liquidarsi a vacazione e cosi'  integra  la  fonte  primaria  oggetto
delle censure sollevate dal rimettente. 
    Se il giudice a quo avesse consapevolmente tenuto conto, sia  del
meccanismo di aggiornamento stabilito dall'appena ricordato  art.  54
del d.P.R. n. 115 del 2002, sia del lungo tempo trascorso dall'ultimo
adeguamento (2002), avrebbe potuto  non  implausibilmente  aggiungere
argomenti  a  sostegno  dell'asserita  inadeguatezza  degli   importi
previsti, per i compensi da  liquidarsi  a  vacazione,  dall'art.  4,
secondo comma, della legge n. 319 del 1980,  anche  considerando  che
tale mancato adeguamento e' stato piu' volte stigmatizzato da  questa
Corte (da ultimo sentenze n. 178 del 2017 e n. 192 del 2015). 
    Invece, il mancato apprezzamento  di  una  delle  piu'  rilevanti
ragioni che concorrono  a  determinare  tale  asserita  inadeguatezza
riconferma l'inammissibilita' delle  questioni  di  cui  al  presente
giudizio,  perche'  evidenzia   ulteriormente   l'incompletezza   dei
riferimenti normativi considerati dal rimettente.