ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  commi
1, 2, 4 e 5, e 10 della legge 5 dicembre 2005, n. 251  (Modifiche  al
codice penale e alla legge 26 luglio 1975,  n.  354,  in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nel
testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge 1° ottobre 2012,
n. 172  (Ratifica  ed  esecuzione  della  Convenzione  del  Consiglio
d'Europa per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e
l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche' norme
di adeguamento dell'ordinamento interno), e  dalla  legge  23  giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura
penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Imperia, nel procedimento penale a carico  di  T.  N.  e
altro, con ordinanza del 19 dicembre 2017,  iscritta  al  n.  44  del
registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 19 dicembre 2017 (r.o. n. 44  del
2018), il Tribunale ordinario di Imperia ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 6, commi 1, 2, 4 e  5,  e  10
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e
alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di  usura  e  di  prescrizione),  nel  testo
anteriore alle modifiche apportate dalla legge 1°  ottobre  2012,  n.
172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio  d'Europa
per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e  l'abuso
sessuale, fatta a Lanzarote il 25  ottobre  2007,  nonche'  norme  di
adeguamento dell'ordinamento interno), e dalla legge 23 giugno  2017,
n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario), in riferimento agli artt. 11  e  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione all'art.  8,  paragrafo
(recte: punto) 6, della decisione quadro 2004/68/GAI  del  Consiglio,
del 22 dicembre 2003, relativa  alla  lotta  contro  lo  sfruttamento
sessuale dei bambini e la pornografia infantile; 
    che il rimettente ha premesso di essere  investito  del  giudizio
nei confronti di N. T. e L.G.  L.,  imputati  di  reati  di  violenza
sessuale commessi ai danni delle due figlie  N.  F.  e  N.  M.  (nate
rispettivamente nel 1981 e nel 1987), commessi in un  arco  temporale
che va dall'anno 1991 fino al 2013; 
    che il  processo  si  e'  celebrato  con  rito  ordinario  e  che
nell'udienza del 19 dicembre 2017,  dichiarata  chiusa  l'istruttoria
dibattimentale, le parti hanno  illustrato  le  conclusioni,  tra  le
quali veniva formulata la richiesta di declaratoria di estinzione per
intervenuta prescrizione di tutti i reati commessi a danno di N. F. e
di quelli commessi  ai  danni  di  N.  M.  limitatamente  al  periodo
temporale compreso tra il 2001 e la data della richiesta di rinvio  a
giudizio; 
    che, secondo il giudice a quo, la prescrizione deve  considerarsi
istituto di diritto sostanziale secondo  la  costante  giurisprudenza
costituzionale (vengono citate le sentenze n. 236 del 2011 e  n.  393
del 2006) e di legittimita' (si richiama la sentenza della  Corte  di
cassazione, sezione sesta penale, n. 31877 del 16 maggio 2017); 
    che, di conseguenza, in caso di successione di leggi  diverse  in
materia di prescrizione, deve  applicarsi  all'imputato  quella  piu'
favorevole, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, del codice penale; 
    che dal 1995 ad oggi la disciplina della prescrizione  dei  reati
sessuali e' stata modificata tre volte e, segnatamente, con la  legge
n. 251 del 2005, con la legge n. 172 del 2012  e  da  ultimo  con  la
legge n. 103 del 2017; 
    che  secondo  le  diverse  discipline  succedutesi  nel  tempo  -
sintetizzate  dal  rimettente  nelle  loro  linee  essenziali  -   la
prescrizione dei reati contestati in giudizio prima  dell'entrata  in
vigore della citata legge n. 251 del 2005 era di anni 15 e,  in  caso
di interruzione, di anni 22 e mesi 6,  con  decorrenza  del  relativo
termine dall'ultimo dei reati contestati in continuazione; 
    che, dopo l'entrata in vigore della legge n.  251  del  2005,  il
termine prescrizionale per i medesimi reati si e' ridotto ad anni  10
e, in caso di interruzione, ad anni 12 e mesi 6, con decorrenza dalla
data di consumazione dei singoli reati; 
    che, successivamente, tali termini sono stati raddoppiati con  la
legge n. 172 del 2012, mentre, a partire dalla legge n. 103 del 2017,
il termine di prescrizione viene fatto decorrere dal  compimento  del
diciottesimo anno di eta' della persona offesa,  salvo  che  l'azione
penale sia stata esercitata precedentemente; 
    che, in base  a  tali  rilievi,  il  rimettente  ritiene  che  la
disciplina piu' favorevole sia da individuarsi  in  quella  stabilita
dall'art. 6 della legge n. 251 del 2005, in base alla quale  i  reati
contestati  come  commessi  ai  danni  di  N.  F.,  protrattisi  sino
all'estate 1996, si sarebbero prescritti gia' al momento  in  cui  la
persona offesa ha presentato querela e parimenti prescritti sarebbero
i reati commessi ai danni di N. M. prima del 19 giugno 2005; 
    che, tuttavia, il Tribunale rimettente dubita della  legittimita'
costituzionale della disciplina della prescrizione di cui all'art.  6
della  legge  n.  251  del  2005  e  della  disposizione  transitoria
contenuta nell'art. 10 della medesima legge,  in  quanto  tali  norme
frustrerebbero l'obiettivo indicato  nella  citata  decisione  quadro
2004/68/GAI, che,  al  considerando  n.  10,  impone  agli  Stati  di
introdurre sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive per i reati
sessuali a danno di minori e, al punto 6 dell'art. 8,  richiede  agli
Stati di adottare le misure necessarie affinche' sia  reso  possibile
il perseguimento, conformemente al diritto nazionale, almeno dei piu'
gravi reati, tra  i  quali  quelli  di  chi  partecipa  ad  attivita'
sessuali con un bambino, abusando, come nel caso di  specie,  di  una
posizione riconosciuta di fiducia, autorita' o influenza (art. 2); 
    che, richiamando le considerazioni  gia'  esposte  dal  Tribunale
ordinario di Roma nell'ordinanza del 21 giugno 2016 (r.o. n. 220  del
2016),  con  la  quale  era  stata  sollevata  analoga  questione  di
legittimita' costituzionale, il rimettente  evidenzia  che,  in  base
alla disciplina di cui alla legge n. 251 del 2005, i  reati  commessi
in danno di minori di eta' inferiore ai cinque anni  e  sei  mesi  si
prescrivono  prima  del  raggiungimento  della  maggiore  eta'  della
persona offesa; che, inoltre, per i reati commessi nei confronti  dei
minori  degli  anni  quattordici  il  tempo  a  disposizione  per  la
celebrazione del processo dopo il raggiungimento della maggiore eta',
prima  della  prescrizione,  risulta  esiguo  e  decrescente  fino  a
progressivamente annullarsi; 
    che  cio'  dimostrerebbe,  secondo  il  giudice  a  quo,  che  le
disposizioni censurate sono incompatibili  con  la  citata  decisione
quadro che, in base alla  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea (viene citata la sentenza del 16 giugno 2005,  in
causa C-105/03, Pupino), risulta vincolante quanto  all'obiettivo  da
raggiungere; 
    che il contrasto con la citata  decisione  quadro  determinerebbe
una violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. (si citano le
sentenze n. 227 e n. 28 del 2010 e n. 349 e n. 348 del 2007); 
    che d'altra parte, secondo il Tribunale  rimettente,  l'obiettivo
perseguito dalle richiamate norme europee  sarebbe  assicurato  dalla
disciplina della  prescrizione  anteriore  alle  modifiche  apportate
dalla censurata legge n. 251 del 2005 e «coeva» alla commissione  dei
fatti; 
    che conseguentemente, secondo il giudice a quo, l'art.  6,  commi
1, 2, 4 e 5, della legge n. 251 del 2005  sarebbe  costituzionalmente
illegittimo nella  parte  in  cui  non  esclude  dal  suo  ambito  di
applicazione i  reati  sessuali  ai  danni  di  minori,  in  modo  da
consentire di applicare a tali condotte la legge anteriore; 
    che sarebbe altresi'  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  10
della medesima legge,  nella  parte  in  cui  non  estende  ai  reati
sessuali  a  danno  di  minori  la  disciplina  transitoria  in  esso
prevista; 
    che il legislatore ha poi  nuovamente  modificato  la  disciplina
della prescrizione con la legge n. 172 del 2012 e con la legge n. 103
del 2017, in modo da renderla  conforme  agli  obblighi  europei  che
richiedono la  previsione  di  sanzioni  effettive,  proporzionate  e
dissuasive in relazione alle condotte di cui trattasi e  che  esigono
termini di prescrizione che si protraggano per un  periodo  di  tempo
sufficiente a consentire l'avvio effettivo delle azioni  penali  dopo
che la vittima abbia raggiunto la maggiore eta'; 
    che, secondo il rimettente, l'esclusione  dei  reati  sessuali  a
danno di minori dall'applicazione retroattiva della  piu'  favorevole
disciplina della prescrizione di cui alla legge n. 251 del  2005  non
violerebbe il principio di retroattivita' della lex mitior codificato
nell'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo, in quanto tale principio, secondo la giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.  848,  riguarderebbe  le  sole
disposizioni che definiscono i reati  e  le  pene  che  li  reprimono
(vengono citate le sentenze 27 aprile 2010, Morabito contro Italia, e
27 aprile [recte: 17 settembre] 2009, Scoppola contro Italia); 
    che il giudice a quo rileva che anche la Corte  costituzionale  -
pronunciandosi proprio sul censurato art. 10 della legge n.  251  del
2005 - ha giudicato non costituzionalmente illegittime quelle deroghe
al principio di retroattivita' della lex mitior che siano sorrette da
una sufficiente ragione giustificativa (sentenza n.  393  del  2006),
ragione che nella specie consisterebbe  nella  esigenza  di  tutelare
adeguatamente vittime particolarmente vulnerabili; 
    che,    ritenendo    non    praticabile    una    interpretazione
costituzionalmente  orientata  delle   censurate   disposizioni,   il
rimettente chiede la dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 6, commi 1, 2, 4 e 5, della legge n. 251  del  2005,  nella
parte in cui non esclude dalla sua  disciplina  i  reati  sessuali  a
danno di minori, e dell'art. 10 della medesima legge, nella parte  in
cui non include nella disciplina  transitoria  i  reati  sessuali  ai
danni di minori; 
    che le  questioni  sono  considerate  rilevanti  dal  rimettente,
perche'  il  loro  accoglimento  comporterebbe  l'applicazione  della
disciplina previgente e coeva ai fatti per cui si procede,  la  quale
impedirebbe la dichiarazione di  estinzione  del  reato  sia  per  la
maggiore ampiezza dei termini di prescrizione, sia per la  decorrenza
di questi ultimi dalla cessazione della continuazione  tra  i  reati,
cosi' da consentire una piena pronuncia di merito. 
    Considerato che, con ordinanza del 19 dicembre 2017 (r.o.  n.  44
del 2018), il Tribunale ordinario di Imperia ha  sollevato  questioni
di legittimita' costituzionale degli artt. 6, commi 1, 2, 4 e 5, e 10
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e
alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di  usura  e  di  prescrizione),  nel  testo
anteriore alle modifiche apportate dalla legge 1°  ottobre  2012,  n.
172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio  d'Europa
per la  protezione  dei  minori  contro  lo  sfruttamento  e  l'abuso
sessuale, fatta a Lanzarote il 25  ottobre  2007,  nonche'  norme  di
adeguamento dell'ordinamento interno), e dalla legge 23 giugno  2017,
n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario), in riferimento agli artt. 11  e  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione all'art.  8,  paragrafo
(recte: punto) 6, della decisione quadro 2004/68/GAI  del  Consiglio,
del 22 dicembre 2003, relativa  alla  lotta  contro  lo  sfruttamento
sessuale dei bambini e la pornografia infantile; 
    che, piu' precisamente, secondo il rimettente, il censurato  art.
6, commi 1, 2, 4 e 5, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui
non esclude dal suo ambito  di  applicazione  i  reati  sessuali  nei
confronti di minori, violerebbe gli artt.  11  e  117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art.  8,  punto  6,  della  citata  decisione
quadro 2004/68/GAI, in quanto non consente di raggiungere l'obiettivo
da esso indicato di rendere  possibile  il  perseguimento  dei  reati
sessuali commessi in danno di  minori,  dopo  che  la  vittima  abbia
raggiunto la maggiore eta'; 
    che, per le stesse ragioni, il giudice a quo ravvisa un vizio  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 10 della  legge  n.  251  del
2005, nella parte in cui non estende  la  disciplina  transitoria  in
esso prevista ai reati sessuali a danno di minori; 
    che, come ricordato dallo stesso rimettente, analoghe questioni -
aventi ad oggetto solo la disciplina posta dall'art. 6 della legge n.
251 del 2005 - sono state sollevate dal Tribunale ordinario  di  Roma
(r.o. n. 220 del 2016); 
    che tali questioni sono state  decise  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 143 del 2018, che ne ha dichiarato l'inammissibilita' per
una molteplicita' di ragioni,  talune  delle  quali  si  ripropongono
anche nel presente giudizio costituzionale; 
    che, in particolare, anche la  presente  ordinanza  si  basa  sul
presupposto che la disciplina introdotta dalla legge n. 251 del  2005
sia sempre, in linea generale e astratta, piu' favorevole rispetto  a
quella precedente, mentre  una  comparazione  tra  le  due  normative
dovrebbe effettuarsi in concreto nelle singole  fattispecie,  tenendo
conto tra l'altro degli effetti del bilanciamento delle  circostanze,
degli atti interruttivi e della continuazione; 
    che per tali ragioni la disciplina precedente alla legge  n.  251
del 2005 potrebbe non essere idonea a garantire l'obiettivo richiesto
dalla normativa europea e quindi potrebbe non essere esente  da  vizi
analoghi a quelli che inficiano le norme denunciate come illegittime; 
    che, di conseguenza, l'accoglimento delle  questioni  -  dirette,
anche nella prospettazione  dell'odierno  ricorrente,  ad  assicurare
l'applicazione della normativa precedente alle modifiche del 2005  ai
fatti accaduti durante la sua vigenza - non consentirebbe di per  se'
di rimuovere il vulnus costituzionale lamentato; 
    che, inoltre, per  soddisfare  l'obiettivo  imposto  dai  vincoli
europei di rendere  possibile  il  perseguimento  dei  reati  di  cui
trattasi dopo che  la  vittima  abbia  raggiunto  la  maggiore  eta',
occorrerebbe una rimodulazione della  disciplina  della  prescrizione
che potrebbe atteggiarsi in plurimi modi alternativi, essendo rimesso
alla scelta del legislatore, ad esempio,  se  incidere  sull'ampiezza
del termine prescrizionale o sul dies a quo della sua decorrenza; 
    che tali soluzioni sono  state  in  effetti  messe  in  atto  dal
legislatore nelle riforme che sono succedute alla legge  n.  251  del
2005, secondo discipline che prevedono l'una il raddoppio dei termini
per i reati sessuali (legge n. 172 del 2012, art.  4)  e  l'altra  la
decorrenza del termine prescrizionale dal compimento  della  maggiore
eta' (legge n. 103 del 2017, art. 1, comma 10); 
    che,  tuttavia,  in  considerazione  della   natura   sostanziale
dell'istituto della prescrizione, tali  piu'  recenti  normative  non
sono applicabili a fatti pregressi  rispetto  alla  loro  entrata  in
vigore, in virtu'  del  fondamentale  principio  di  irretroattivita'
della legge penale piu'  sfavorevole  di  cui  all'art.  25,  secondo
comma, Cost.; 
    che, con la questione avente ad oggetto l'art. 10 della legge  n.
251 del 2005, il rimettente chiede di estendere ai reati sessuali nei
confronti di minori la disposizione transitoria; 
    che  l'intervento  manipolativo  richiesto  e'  inammissibile  in
quanto risulterebbe del tutto disomogeneo rispetto alla  ratio  della
disciplina transitoria, che intende regolare gli  effetti  nel  tempo
della nuova normativa, anche allo scopo di salvaguardare  l'attivita'
processuale gia' svolta, mentre non prevede  esclusioni  o  esenzioni
dall'ambito di applicazione della nuova disciplina per settori o  per
determinate categorie di reati; 
    che per tutte le ragioni sopra esposte le questioni sollevate dal
giudice rimettente devono pertanto essere  dichiarate  manifestamente
inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.