ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  22,  comma
2, lettera a), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n.  15
(Vigilanza   sull'attivita'   urbanistico-edilizia),   promosso   dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata  di
Latina, sul ricorso proposto da A. P. contro il Comune di Roccasecca,
con ordinanza del 18 dicembre 2017, iscritta al n.  78  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di intervento della Regione Lazio; 
    udito nella camera di consiglio del 5 dicembre  2018  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 dicembre 2017 (r.o. n. 78 del 2018),  il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata  di
Latina,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 22, comma 2, lettera a), della legge della Regione Lazio 11
agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia). 
    Tale norma, nel disciplinare in ambito regionale la procedura  di
accertamento di conformita' di interventi edilizi eseguiti in assenza
di titolo abilitativo, in  totale  difformita'  dallo  stesso  o  con
variazioni essenziali,  prevede  che  il  rilascio  del  permesso  in
sanatoria o la  denuncia  di  inizio  attivita'  in  sanatoria  -  se
l'intervento eseguito e'  conforme  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia  vigente  al  momento  dell'esecuzione  e  a  quello   della
richiesta (cosiddetta "doppia conformita'") -  siano  subordinati  al
pagamento, a titolo di oblazione, «di un importo pari  al  valore  di
mercato dell'intervento eseguito, determinato  con  riferimento  alla
data di applicazione dell'oblazione». 
    Il  dubbio  di  costituzionalita'  ha  ad  oggetto  tale   ultima
previsione. 
    1.1.-  Il  giudizio  principale  e'  stato  promosso  da  A.  P.,
proprietaria di un immobile  nel  Comune  di  Roccasecca,  contro  il
diniego dell'accertamento di conformita' - ed il  conseguente  ordine
di demolizione - relativo ad un intervento edilizio da lei realizzato
in  assenza  di   titolo   abilitativo;   detto   diniego   dipendeva
dall'essersi la stessa rifiutata di versare l'oblazione nella  misura
prevista  dalla  disposizione   regionale,   deducendo   la   propria
estraneita'  all'abuso,  riconducibile  al  fatto  -  accertato   con
sentenza penale definitiva - che  il  titolo  abilitativo  era  stato
falsamente predisposto dal suo tecnico di fiducia. 
    1.2.- Circa la rilevanza della questione, il  rimettente  osserva
che il giudizio principale si fonda sull'applicazione  dell'art.  22,
comma 2, lettera a), della legge reg. Lazio n. 15  del  2008,  e  che
tutti i motivi di ricorso  ineriscono  all'obbligo  di  corrispondere
l'oblazione o alla misura della stessa, cosicche' la soluzione  della
controversia  non  puo'   prescindere   dall'applicazione   di   tale
disposizione. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, l'ordinanza  svolge
considerazioni piu' articolate. 
    1.3.1.- Sotto un primo profilo, infatti, il rimettente assume che
la disposizione in questione avrebbe violato  gli  artt.  25  e  117,
secondo  comma,  lettera  l),  della   Costituzione,   invadendo   la
competenza esclusiva dello Stato in materia penale. 
    In tal senso osserva che in base  alla  disciplina  statale  -  e
segnatamente all'art. 45, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia edilizia»  (da  ora  in  poi  TUE)  -  «[i]l  rilascio  in
sanatoria   del   permesso   di   costruire    estingue    i    reati
contravvenzionali  previsti  dalle   norme   urbanistiche   vigenti»,
configurandosi cosi' una causa di  estinzione  del  reato.  L'effetto
estintivo, in particolare, e' determinato dai  concorrenti  requisiti
della  "doppia   conformita'"   dell'intervento   e   del   pagamento
dell'oblazione, che l'art. 36 TUE quantifica in misura pari al doppio
degli oneri concessori, ovvero al contributo di concessione  in  caso
di opera gratuita a norma di legge. 
    Pertanto,  la  scelta  del  legislatore  regionale  di  aumentare
sensibilmente l'importo oggetto di oblazione nell'ambito territoriale
di riferimento finirebbe per restringere l'ambito applicativo di tale
causa di estinzione del reato, gia'  interamente  disciplinata  dalla
legge statale, con conseguente invasione  dell'ambito  di  competenza
esclusiva dello Stato in materia penale. 
    1.3.2.- Secondo il rimettente,  la  norma  in  questione  sarebbe
inoltre illegittima, «sotto il profilo del rispetto del principio  di
uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.)». 
    Al riguardo, e per un verso, l'ordinanza richiama l'art. 20 della
stessa legge reg. Lazio n. 15 del 2008, che, regolando  l'ipotesi  di
intervento edilizio realizzato in base a titolo abilitativo annullato
d'ufficio o in via  giurisdizionale,  stabilisce  che,  ove  non  sia
possibile  rimuovere  i  vizi  della   procedura   amministrativa   o
ripristinare lo stato dei luoghi, si  applichi  al  responsabile  una
«sanzione pecuniaria» pari  al  valore  di  mercato  dell'immobile  o
all'incremento  del  valore  di  mercato  dello  stesso   conseguente
all'esecuzione delle opere, la cui corresponsione produce i  medesimi
effetti del permesso di costruire in sanatoria. 
    Da tanto deriverebbe  un'irragionevole  equiparazione,  sotto  il
profilo delle conseguenze pecuniarie, fra la  sanatoria  degli  abusi
puramente formali - perche'  relativi  ad  interventi  realizzati  in
assenza di titolo, ma conformi alla normativa urbanistica ed edilizia
- e  quella  degli  abusi  anche  sostanziali,  perche'  relativi  ad
interventi illegittimi in quanto eseguiti in base ad  un  titolo  non
conforme, e percio' caratterizzati da  maggior  disvalore  sul  piano
obiettivo. 
    Per altro verso, il rimettente osserva che l'art. 22 della  legge
reg. Lazio n.  15  del  2008,  in  termini  corrispondenti  a  quanto
previsto dall'art. 36 TUE, consente di ottenere la  sanatoria  previo
accertamento di conformita' tanto al responsabile  dell'abuso  quanto
al proprietario dell'immobile estraneo allo stesso  (evenienza,  tale
ultima, ricorrente nel caso di specie). 
    Cio' posto, rileva che la previsione di cui all'art.  36  TUE  si
inserisce in un sistema che prevede il versamento  (al  massimo)  del
doppio degli oneri concessori,  al  fine  di  bilanciare  l'interesse
privato alla sanatoria di un intervento sostanzialmente legittimo con
quello pubblico alla vigilanza sull'attivita'  edificatoria;  in  tal
caso, pertanto, l'oblazione si configurerebbe non come una  sanzione,
ma come un pagamento spontaneo effettuato al  fine  di  regolarizzare
una   situazione   antigiuridica,   con   il   contestuale    esonero
dell'amministrazione dall'accertamento di  eventuali  responsabilita'
nella commissione dell'abuso. 
    Nel sistema regionale, invece, l'aumento dell'importo previsto  a
titolo  di  oblazione  attribuirebbe  a  quest'ultima  una   funzione
spiccatamente sanzionatoria anche a carico del proprietario  estraneo
ai fatti, con conseguente irragionevole equiparazione di quest'ultimo
all'effettivo responsabile dell'abuso. 
    2.- La Regione Lazio e' intervenuta in giudizio il 12 giugno 2018
eccependo l'infondatezza della questione. 
    Quanto alla possibile violazione della riserva di  legge  statale
in materia penale, ha sostenuto che  la  disposizione  censurata  non
modifica le condizioni previste  dalla  legge  per  l'estinzione  del
reato. 
    La  riserva  di  legge,  infatti,  riguarderebbe  unicamente   la
sussistenza  dei  presupposti  per  l'operativita'   del   meccanismo
estintivo - ovvero la  verifica  della  "doppia  conformita'"  ed  il
pagamento dell'oblazione, aspetti sui quali la disposizione regionale
non incide -  restandovi  estraneo  l'aspetto  inerente  alla  misura
dell'oblazione,  che  le  Regioni   sono   libere   di   determinare,
trattandosi di aspetto attinente  al  governo  del  loro  territorio;
nella specie, la quantificazione dell'importo sarebbe  caratterizzata
da  una  marcata  finalita'  di  deterrenza,  avuto   riguardo   alla
particolare  diffusione  dell'abusivismo  edilizio   nel   territorio
laziale. 
    Quanto, poi, alla seconda censura, la Regione  ha  osservato  che
nell'ipotesi di intervento edilizio realizzato in assenza  di  titolo
abilitativo il responsabile dell'abuso  agisce  in  mala  fede;  tale
stato soggettivo  giustifica,  pertanto,  l'adozione  di  una  misura
patrimoniale  corrispondente  a  quella  dovuta  per   l'ipotesi   di
intervento realizzato in base ad un titolo successivamente annullato,
piu' grave dal punto  di  vista  obiettivo  ma  caratterizzata  dalla
mancanza di consapevolezza dell'abuso al momento della  realizzazione
dell'opera. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  sezione
staccata  di  Latina,  dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'art. 22, comma 2, lettera a), della legge della Regione Lazio 11
agosto 2008, n. 15 (Vigilanza  sull'attivita'  urbanistico-edilizia),
in riferimento agli artt. 25 e 117, secondo comma, lettera l),  della
Costituzione, nonche' per violazione del principio di  ragionevolezza
di cui all'art. 3 Cost.. 
    Sotto entrambi i profili, la norma e' censurata  nella  parte  in
cui, disciplinando il rilascio della sanatoria previo accertamento di
conformita' di interventi edilizi realizzati  in  assenza  di  titolo
abilitativo, in totale difformita'  dallo  stesso  o  con  variazioni
essenziali, subordina  l'operativita'  del  meccanismo  -  una  volta
verificata  la  sussistenza  della  cosiddetta  "doppia  conformita'"
dell'opera realizzata - al pagamento, a titolo di  oblazione,  di  un
importo  pari  al  valore  di   mercato   dell'intervento   eseguito,
determinato con riferimento alla data di applicazione dell'oblazione. 
    1.1.- Ad avviso del rimettente, tale disposizione invaderebbe  la
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  materia  penale,
poiche' inciderebbe sul meccanismo di estinzione  dei  reati  edilizi
delineato dal combinato disposto degli artt. 36 e 45,  comma  3,  del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia» (da ora in poi TUE),
che prevede il pagamento di un  importo  a  titolo  di  oblazione  in
misura  pari  al  doppio  degli  oneri  concessori  (o  al   semplice
contributo di concessione in  caso  di  opera  gratuita  a  norma  di
legge); in particolare, mediante il  sensibile  aumento  dell'importo
previsto a titolo di oblazione,  la  disposizione  regionale  avrebbe
l'effetto di restringere l'ambito  di  operativita'  della  causa  di
estinzione del reato prevista dalla legge statale. 
    1.2.- Secondo il rimettente, inoltre, tale aumento condurrebbe  a
un'irragionevole equiparazione, ai fini pecuniari, fra  la  sanatoria
di un intervento solo "formalmente illegittimo", in quanto realizzato
in assenza di titolo ma conforme alla normativa  vigente  al  momento
della realizzazione  e  a  quello  della  successiva  istanza,  quale
previsto dal censurato art. 22 della legge regionale, e la  sanatoria
di un intervento invece caratterizzato da "illegittimita'  formale  e
sostanziale",  come  previsto  dall'art.  20   della   stessa   legge
regionale. Tale ultima disposizione consente, infatti,  la  sanatoria
degli  interventi  realizzati  in  base  ad  un  titolo   abilitativo
annullato  d'ufficio  o  in  via  giurisdizionale,  quando  non   sia
possibile  rimuovere  i  vizi  della   procedura   amministrativa   o
ripristinare lo stato dei luoghi, previa applicazione al responsabile
di una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell'intervento. 
    1.3.- Da ultimo, il rimettente evidenzia un ulteriore profilo  di
irragionevolezza della  norma,  nella  parte  in  cui  assoggetta  al
medesimo  onere  pecuniario  il   responsabile   dell'abuso   ed   il
proprietario dell'immobile ad esso estraneo; assume, al riguardo, che
l'elevato ammontare dell'importo oggetto di oblazione  finirebbe  per
attribuire  a  quest'ultima  il  carattere  di  una  vera  e  propria
sanzione, che verrebbe  cosi'  indistintamente  applicata  all'autore
dell'illecito e ad un soggetto del tutto estraneo allo stesso. 
    2.- La prima censura non e' fondata. 
    2.1.- E' ben vero, come questa Corte ha gia'  affermato,  che  la
riserva di legge statale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.  si
estende  a  tutte  le  vicende  modificative   ed   estintive   della
punibilita',  rendendo  cosi'  illegittimi   anche   gli   interventi
normativi delle Regioni sulle cause di estinzione del reato (sentenze
n. 183 del 2006, n. 70 del 2005, n. 196 del 2004). 
    Nondimeno, nelle materie di loro competenza  le  Regioni  possono
concorrere a precisare secundum legem i  presupposti  applicativi  di
norme penali, come puo' verificarsi nei casi in cui la legge  statale
«subordin[a]  effetti  incriminatori  o  decriminalizzanti  ad   atti
amministrativi (o legislativi) regionali» (sentenza n. 46  del  2014;
nello stesso senso, sentenza n. 63 del 2012). 
    Tale ultima e' l'ipotesi che ricorre nella specie. 
    2.2.- Nel prevedere il pagamento di un'oblazione,  il  meccanismo
di estinzione  dei  «reati  contravvenzionali  previsti  dalle  norme
urbanistiche vigenti», delineato dagli artt. 36, comma 2, e 45, comma
3, del TUE, e' solo in apparenza riconducibile al modello di cui agli
artt.  162  e  162-bis  del  codice   penale,   che   consentono   al
contravventore di estinguere il reato mediante il  pagamento  di  una
somma di denaro prima del dibattimento o dell'emissione  del  decreto
penale di condanna. 
    In realta', come questa Corte ha ritenuto (sentenza  n.  370  del
1988), cio' che rileva non e'  la  posizione  del  singolo,  che  con
un'offerta a carattere volontario definisce  il  procedimento  penale
ottenendo il beneficio  della  rimozione  sostanziale  dell'illecito,
bensi' «la mancanza d'un disvalore  oggettivo»  del  fatto  preso  in
considerazione dall'art. 36 TUE, il cui  schema  e'  ricalcato  dalla
disposizione regionale in esame. 
    Significativamente,   in   proposito,   la   giurisprudenza    di
legittimita' (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza  12
aprile 2005, n. 26123) ha affermato che il meccanismo  di  estinzione
fissato dagli artt. 36 e 45 TUE non si fonda su un effetto  estintivo
proprio connesso al pagamento di una somma  a  titolo  di  oblazione,
bensi' sul fatto diverso integrato dall'effettivo rilascio del titolo
abilitativo sanante, previa verifica  sostanziale  della  conformita'
delle opere abusive alla disciplina urbanistica ed  edilizia  vigente
sia nel momento della realizzazione, sia in quello  della  richiesta;
questa  stessa  giurisprudenza  ha  precisato  che  vi  e'  un   «uso
improprio, nel 2°  comma  dell'art.  36,  dell'inciso  "a  titolo  di
oblazione" per qualificare il prescritto pagamento del contributo  di
costruzione in misura  doppia,  considerato  che  l'oblazione  e'  un
istituto che determina in via immediata e diretta l'effetto estintivo
del reato», che qui invece non si produce. 
    Del  resto,  rilevanti  e  numerose  sono   le   differenze   fra
l'oblazione di cui all'art. 36 TUE e l'istituto previsto  dal  codice
penale: l'art. 162 cod. pen., pur limitato alle sole  contravvenzioni
sanzionate con la pena dell'ammenda, non pone alcun limite al  potere
del contravventore di estinguere il  reato  attraverso  il  pagamento
dell'oblazione, mentre il ricorso all'oblazione in materia edilizia e
urbanistica e'  esperibile  solo  in  presenza  del  requisito  della
"doppia  conformita'";  l'art.  162-bis  cod.  pen.,  d'altro  canto,
sancisce soglie  per  il  pagamento  differenti  da  quelle  previste
dall'art. 36 TUE, prevedendo «una somma corrispondente alla meta' del
massimo dell'ammenda stabilita dalla  legge  per  la  contravvenzione
commessa, oltre le spese del procedimento»; infine, ed  e'  cio'  che
piu' rileva, il pagamento dell'oblazione nelle contravvenzioni  viene
richiesto a ciascun responsabile, mentre quello di  cui  all'art.  36
TUE puo' essere richiesto una  solta  volta,  e  l'effetto  estintivo
opera oggettivamente nei confronti di tutti gli autori del reato. 
    2.3.- L'oblazione di cui all'art. 36 TUE appare  pertanto  meglio
qualificabile come un adempimento  del  procedimento  amministrativo,
estraneo allo schema penalistico, che  assolve  ad  una  funzione  in
parte  ripristinatoria  (laddove  consente   all'amministrazione   di
ottenere  ora  per  allora  l'importo   corrispondente   agli   oneri
concessori) ed in parte sanzionatoria (laddove si  compone  anche  di
una somma ulteriore rispetto a quanto originariamente dovuto). 
    In altri termini, l'effetto estintivo del reato e' determinato da
un atto amministrativo, il permesso in sanatoria;  e  la  scelta  del
legislatore  regionale  di  quantificare  autonomamente   la   misura
dell'oblazione interviene su un elemento che concorre  a  formare  il
procedimento destinato a sfociare in quell'atto,  ma  non  altera  il
meccanismo estintivo del reato, che si  fonda  sulla  verifica  della
"doppia conformita'" dell'intervento. 
    Appare opportuno, quindi, porsi il problema piu' a monte:  se  la
legge regionale, cioe', puo' intervenire con una  propria  disciplina
in materia. 
    Tale scelta, a ben vedere, appare espressiva  della  funzione  di
«governo del  territorio»  tipica  della  disciplina  urbanistica  ed
edilizia,  rimessa  alla  potesta'  legislativa  delle  Regioni   nel
rispetto dei principi fondamentali stabiliti con  leggi  dello  Stato
(art.  117,  terzo  comma,  Cost.),  ed  in  particolare  di   quelli
"desumibili" dal TUE, come sancito dall'art. 1 dello stesso. 
    Questa Corte, del resto, ha gia' avuto modo di  sottolineare  che
costituisce  «principio  fondamentale  nella  materia   governo   del
territorio»  la  verifica  della  "doppia  conformita'",  in   quanto
adempimento  «finalizzato  a  garantire  l'assoluto  rispetto   della
disciplina urbanistica ed edilizia  durante  tutto  l'arco  temporale
compreso  tra  la  realizzazione  dell'opera   e   la   presentazione
dell'istanza  volta  ad  ottenere  l'accertamento   di   conformita'»
(sentenza n. 232 del 2017; nello stesso senso, sentenze  n.  107  del
2017 e n. 101 del 2013). Ad essa deve  aggiungersi,  quale  principio
fondamentale, la previsione  del  pagamento  di  una  somma,  ma  non
necessariamente la relativa misura,  che  puo'  essere  autonomamente
determinata dal legislatore regionale. 
    3.- E' invece  fondata  la  seconda  censura,  che  prospetta  la
violazione, da parte del  legislatore  regionale,  del  principio  di
ragionevolezza. 
    3.1.- Al riguardo, il rimettente assume a  tertium  comparationis
l'art.  20  della  legge  regionale  in  esame,  che  -  in   termini
corrispondenti a quanto previsto dall'art. 38  TUE  -  disciplina  il
procedimento di sanatoria degli interventi edilizi eseguiti in base a
titolo  abilitativo  successivamente   annullato;   la   disposizione
assunta, in  particolare,  prevede  che,  quando  non  sia  possibile
rimuovere i vizi della procedura  amministrativa  o  ripristinare  lo
stato dei luoghi, si applichi al responsabile una sanzione pecuniaria
pari al valore venale dell'opera, alla cui  integrale  corresponsione
fa seguito il rilascio del permesso in sanatoria. 
    L'invocazione di tale  fattispecie  a  tertium  comparationis  e'
corretta;  il  «pagamento,  a  titolo  di  oblazione»,  previsto  nel
procedimento di accertamento di  conformita',  assolve  tra  l'altro,
come si e' detto, alla stessa  finalita'  sanzionatoria  che  connota
l'obbligo pecuniario stabilito a carico  di  chi  intenda  sanare  un
intervento edilizio realizzato in base ad un  titolo  successivamente
annullato. 
    3.2.- L'identita' di conseguenze - sul piano dei costi - a carico
di chi si sia reso responsabile dell'una o dell'altra forma di abuso,
comporta una evidente irragionevolezza di trattamento. 
    Nel caso di cui all'art.  20  della  legge  regionale  in  esame,
infatti, l'annullamento del titolo e' indicativo  dell'illegittimita'
sostanziale dell'intervento edilizio, rispetto al quale si renderebbe
necessario  il  ricorso  all'ordinario   iter   repressivo   con   la
demolizione del manufatto, cui  l'amministrazione  decide  invece  di
soprassedere per ragioni di materiale impossibilita'; nel caso di cui
all'art. 22, invece,  e'  sufficiente  disporre  la  regolarizzazione
dell'aspetto formale dell'intervento realizzato, una volta  accertato
che  lo  stesso  e'  comunque  pienamente  conforme  alla   normativa
urbanistico-edilizia vigente ed a quella pregressa. 
    Significativo, del resto, e' il fatto che la disciplina statale -
agli artt. 36 e 38 TUE - preveda costi differenziati per le due forme
di sanatoria dell'abuso, in termini che non si giustificano se non in
ragione dell'evidente minor disvalore della  condotta  di  chi  abbia
realizzato     un     intervento     conforme     alla      normativa
urbanistico-edilizia. 
    3.3.-  La  previsione  di  identiche  conseguenze  per   condotte
omogenee, ma caratterizzate da un minor disvalore  dell'una  rispetto
all'altra,  si  traduce  in   una   violazione   del   principio   di
ragionevolezza  che  designa  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma in esame per violazione dell'art.  3  Cost.,  con  assorbimento
dell'ulteriore profilo di censura ad essa riferito.