ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
198, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (Legge
di stabilita' 2013)», promosso dalla  Corte  di  cassazione,  sezione
prima penale, nel procedimento a carico di L.F. M., con ordinanza del
2 agosto 2017, iscritta  al  n.  2  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5 dicembre  2018  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di Cassazione, sezione prima penale,  con  ordinanza
del  2  agosto  2017,  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 198, della legge 24 dicembre  2012,
n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2013)», in riferimento
agli artt. 3 e 41, primo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il Collegio rimettente premette  di  essere  investito  del
ricorso avverso il provvedimento con cui il  Tribunale  ordinario  di
Agrigento, in funzione di giudice dell'esecuzione,  aveva  dichiarato
inammissibile la domanda con cui  un  imprenditore,  L.F.  M.,  aveva
richiesto di essere ammesso allo speciale  procedimento  disciplinato
dall'art. 1, commi 194 e seguenti, della legge n.  228  del  2012  in
ragione di un credito vantato nei confronti di una  societa'  a  nome
collettivo  i  cui  beni  erano  stati  sottoposti  a   confisca   di
prevenzione. 
    Il ricorrente assumeva di essere creditore della somma di  10.000
euro, corrispondente al residuo prezzo di due autocarri venduti  alla
societa' medesima il 29 settembre 2009. Il 16 dicembre  2009  i  beni
della societa' debitrice erano stati attinti da sequestro nell'ambito
di un procedimento di prevenzione, che aveva riguardato le quote  del
capitale sociale e il complesso dei  beni  aziendali  della  societa'
debitrice, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575  (Disposizioni
contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere);
e il 17 maggio 2011 i beni medesimi erano stati sottoposti a confisca
(divenuta definitiva il 10 marzo 2015). 
    Espone la Sezione rimettente che, nel procedimento di  fronte  al
Tribunale, il ricorrente aveva dimostrato che i contratti di  vendita
dei due automezzi avevano  data  certa,  documentata  dalle  relative
fatture, e anteriore a quella del provvedimento di sequestro dei beni
aziendali e  delle  quote  della  societa'  acquirente.  Egli  aveva,
inoltre, dedotto la propria buona fede, avendo concluso il  contratto
a prezzi di mercato con un acquirente operante in altra provincia,  e
dunque in una realta' economica distante dalla propria. 
    La domanda  del  creditore  mirante  all'ammissione  del  proprio
credito era stata, tuttavia, dichiarata inammissibile dal  Tribunale,
in quanto l'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del  2012  consente
l'accesso alla speciale  procedura  di  ammissione  del  credito  ivi
disciplinata  ai  soli   creditori   muniti   di   ipoteca   iscritta
anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, nonche'
ai creditori che, prima della  trascrizione  del  sequestro,  abbiano
trascritto un pignoramento sul bene ovvero - alla data di entrata  in
vigore della legge - siano intervenuti  nell'esecuzione  iniziata  da
altri creditori: condizioni, tutte, insussistenti nel caso di specie. 
    Il creditore aveva, allora, impugnato per cassazione  il  decreto
del  Tribunale,  sollecitando  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, si' da
evitare il pregiudizio totale e irreversibile  delle  aspettative  di
soddisfacimento dei creditori chirografari di buona  fede,  anche  se
non pignoranti ne'  intervenuti  nell'esecuzione  promossa  sul  bene
successivamente sottoposto a sequestro di prevenzione. In  subordine,
il ricorrente aveva invitato  la  Corte  di  cassazione  a  sollevare
questioni  di  legittimita'  costituzionale  della  disposizione   in
parola. 
    La Sezione rimettente, rilevato che il testo della disposizione -
che  contiene  un  elenco  tassativo  dei  creditori  legittimati   a
partecipare  allo  speciale  procedimento  ivi  disciplinato  -   non
consente  l'interpretazione  sollecitata  dal   ricorrente,   ritiene
tuttavia rilevanti e non manifestamente  infondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale da questi prospettate. 
    1.2.- In punto di rilevanza, il giudice a quo  evidenzia  che  il
ricorso del ricorrente dovrebbe essere rigettato, stante l'inequivoco
dato  testuale   della   disposizione   censurata;   mentre   sarebbe
suscettibile  di  accoglimento,  ove  questa  Corte  riconoscesse  la
fondatezza   delle   questioni   di    legittimita'    costituzionale
prospettate. 
    Peraltro, al ricorrente  nella  specie  non  residuerebbe  alcuna
ulteriore possibilita' di tutela della propria pretesa  creditoria  a
fronte di un sequestro "totalizzante",  che  aveva  attinto  l'intero
compendio dei beni del soggetto debitore. 
    La giurisprudenza di legittimita',  infatti,  in  una  precedente
pronuncia (Corte di cassazione, sezione  sesta  penale,  sentenza  17
ottobre 2013,  n.  49821)  aveva  ritenuto  manifestamente  infondata
analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma
198, della legge n. 228 del 2012, in quanto il creditore,  inibito  a
soddisfarsi sul complesso del beni aziendali assoggettati a confisca,
potrebbe pur sempre chiedere il fallimento dell'imprenditore/debitore
divenuto insolvente e,  di  seguito,  insinuarsi  nel  passivo  della
conseguente  procedura  concorsuale,  cosi'  come  riconosciuto   con
orientamento consolidato dalla giurisprudenza di  legittimita'  nella
disciplina previgente ed  espressamente  ammesso  dagli  artt.  63  e
seguenti del decreto legislativo 6 settembre  2011,  n.  159  (Codice
delle leggi antimafia e delle misure di  prevenzione,  nonche'  nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). 
    Nella specie, tuttavia, anche questa «residua  forma  di  tutela»
sarebbe preclusa,  in  quanto  la  natura  artigiana  della  societa'
debitrice  sottrarrebbe  la  stessa,  in  via  di   principio,   alla
dichiarazione di fallimento ai sensi  degli  artt.  2221  del  codice
civile e 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267  (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa). 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
Collegio rimettente prende le mosse dalla sentenza n. 94 del 2015  di
questa Corte, che aveva esteso la tutela prevista dall'art. 1,  comma
198, della legge n. 228 del 2012 ai crediti da lavoro subordinato. In
tale sentenza si sarebbe evidenziato come la finalita' di  assicurare
l'effettivita'  della  misura  di  prevenzione  patrimoniale   e   il
raggiungimento della sua finalita' di  privare  il  destinatario  dei
risultati  economici  della  propria  attivita'  illecita  non  possa
risolversi in un «sacrificio puro e semplice delle  ragioni  e  delle
aspettative del creditore di buona fede»; sacrificio «che produce  il
suo massimo effetto nel caso (come e' quello del  presente  giudizio)
di confisca "totalizzante",  che  colpisca  l'intero  patrimonio  del
debitore, costituente la garanzia del ceto creditorio, privato  cosi'
di ogni prospettiva di soddisfazione tanto nei riguardi del  proposto
(divenuto  d'imperio  insolvente  e,  nel  caso  di  specie,  neppure
suscettibile di essere dichiarato fallito), quanto nei riguardi dello
Stato, beneficiario della devoluzione a titolo  originario  dei  beni
confiscati». 
    Tale «sacrificio totale e  indifferenziato  delle  ragioni  della
massa creditoria», con la sola  eccezione  delle  categorie  indicate
nella disposizione censurata, risulterebbe tanto piu' incongruo  alla
stregua dell'attuale assetto normativo,  cosi'  come  risultante  dal
decreto legislativo n. 159 del 2011, applicabile ai  procedimenti  di
prevenzione avviati a partire dalla sua entrata in vigore.  La  nuova
disciplina prevede  ora  «un  meccanismo  generale  di  salvaguardia,
esteso [...] a tutti i crediti suscettibili  di  essere  pregiudicati
dal provvedimento di confisca  e  di  cui  sia  accertata,  nei  modi
stabiliti dall'art. 52 d.lgs. n. 159  del  2011,  l'opponibilita'  al
beneficiario - lo Stato - del provvedimento ablativo  della  garanzia
patrimoniale, in assenza di interessenze illecite col debitore». 
    Secondo il giudice  a  quo,  pertanto,  la  radicale  preclusione
normativa stabilita dalla  disposizione  censurata,  fuori  dai  casi
tassativamente indicati, di ogni azione a tutela della  soddisfazione
di un credito legittimamente insorto sarebbe priva di giustificazione
razionale, cosi' da determinarne la  incompatibilita'  con  l'art.  3
Cost. 
    Il  dubbio  sulla  tenuta   costituzionale   della   disposizione
censurata  sarebbe,  altresi',   accentuato   dall'evoluzione   della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo  in  materia
di  interpretazione  dell'art.  1  del  Protocollo  addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il  20  marzo  1952,  che  in
alcune sue recenti decisioni  avrebbe  «esteso  la  nozione  di  bene
protetto della persona  fisica  o  giuridica,  tutelato  dalla  norma
sovranazionale, ai "valori patrimoniali" muniti di una base giuridica
consolidata, ritenuti comprensivi delle  legittime  aspettative  alle
prestazioni patrimoniali in cui si sostanziano i diritti  di  credito
nascenti dalla libera contrattazione tra  privati,  che  non  possono
percio'  essere  ingiustificatamente   sacrificati   nell'ordinamento
interno senza apprestare gli opportuni mezzi (anche  processuali)  di
tutela, la cui assenza potrebbe risultare censurabile a sua  volta  a
titolo  di  violazione  dei  principi  affermati  dall'art.  6  della
Convenzione europea». 
    Ritiene,  in  particolare,  il   Collegio   rimettente   che   il
«fondamentale  elemento  di   irragionevolezza»   ravvisabile   nella
disposizione censurata sia costituito «dall'esclusione di ogni  forma
di tutela per i creditori che, come l'odierno ricorrente, non abbiano
avuto a disposizione, in  relazione  al  momento  di  insorgenza  del
credito, il tempo e la possibilita' materiale di munirsi  del  titolo
preferenziale  -  individuato  dalla  norma  -  rappresentato   dalla
precostituzione  del  diritto  di  seguito  sul  bene  del   debitore
suscettibile di confisca, mediante la tempestiva trascrizione  di  un
atto  di  pignoramento».  Una  tale  esclusione  determinerebbe   una
ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla situazione dei
creditori, di pari grado chirografario o  privilegiato,  che  abbiano
invece avuto la possibilita' di munirsi  tempestivamente  del  titolo
pignoratizio. 
    Nel caso di specie, in effetti, la vendita degli autocarri da cui
aveva tratto origine il credito del ricorrente si  sarebbe,  infatti,
perfezionata  nell'immediata  prossimita'  della  sopravvenienza  del
vincolo reale che ha  privato  il  creditore  della  possibilita'  di
soddisfarsi, agendo in executivis, sui beni del debitore  costituenti
la garanzia patrimoniale. Secondo il rimettente, tale lasso temporale
fu talmente ristretto da risultare oggettivamente  incompatibile  coi
tempi processuali minimi ragionevolmente necessari  a  consentire  al
creditore di munirsi di un  titolo  giudiziale  dotato  di  efficacia
esecutiva, idoneo a legittimare -  previa  intimazione  dell'atto  di
precetto nell'osservanza del termine di legge - la notificazione e la
trascrizione  di  un  atto  di  pignoramento  in  data  anteriore  al
sequestro di prevenzione. 
    La radicale assenza di qualsiasi possibilita' di tutela, rispetto
alla situazione del  creditore  di  pari  rango  che  abbia  avuto  a
disposizione il tempo  di  cautelarsi  nelle  forme  stabilite  della
legge,  produrrebbe,  dunque,  un  vulnus  che   sarebbe   privo   di
giustificazione  razionale,  non  riconducibile  all'esplicazione  di
legittima  discrezionalita'  legislativa,  e  che   si   risolverebbe
comunque in un'irragionevole disparita'  di  trattamento  censurabile
sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., nella misura  in
cui la norma impugnata individua il criterio discretivo per accordare
tutela al creditore in un elemento del tutto accidentale come  quello
indicato. 
    Secondo   la   Sezione   rimettente,   inoltre,   «la    qualita'
imprenditoriale del ricorrente e la  causa  commerciale  del  credito
vantato  legittimano  la  proposizione  del  dubbio  di  legittimita'
costituzionale della norma anche alla  stregua  dell'art.  41,  primo
comma, Cost., sotto il profilo della violazione del  principio  della
liberta' di  iniziativa  economica,  che  appare  ingiustificatamente
pregiudicata - nei termini di  irragionevolezza  appena  precisati  -
dalla completa vanificazione della garanzia patrimoniale sui beni del
debitore  (soggetto  al  provvedimento  ablativo)  che  costituiscono
oggetto dell'aspettativa di  soddisfazione  delle  legittime  pretese
creditorie sorte  nell'esercizio  dell'attivita'  d'impresa,  in  cui
confida l'imprenditore e che rappresentano garanzia  di  effettivita'
del libero esplicarsi dell'attivita' stessa». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   predette   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    2.1.- Eccepisce, in via preliminare, l'Avvocatura generale  dello
Stato che le questioni proposte sarebbero inammissibili,  non  avendo
la Corte di cassazione  compiutamente  motivato  la  rilevanza  delle
stesse nel giudizio a quo. 
    Il rimettente si sarebbe, infatti, limitato  a  rilevare  che  il
creditore ricorrente era  rimasto  privo  di  tutela,  in  quanto  il
sequestro di prevenzione era "totalizzante" e la societa' attinta dal
sequestro di prevenzione era una impresa artigiana,  che  non  poteva
essere assoggetta a fallimento. 
    Ad avviso dell'interveniente, tuttavia, la legge fallimentare non
escluderebbe   in   assoluto   l'assoggettabilita'   al    fallimento
dell'impresa artigiana, ma solo ove l'impresa stessa non  superi  una
determinata soglia dimensionale, individuata con riguardo  all'attivo
patrimoniale, ai ricavi e all'indebitamento:  requisiti,  tutti,  non
scrutinati in  alcun  modo  dall'ordinanza  di  rimessione,  che  non
avrebbe pertanto chiarito se l'impresa artigiana debitrice potesse in
concreto  essere  assoggettata  a  fallimento  e  se,  pertanto,   il
ricorrente avesse in  concreto  la  possibilita'  di  far  valere  il
proprio credito nell'ambito di una procedura concorsuale. 
    2.2.- La  questione  formulata  in  relazione  all'art.  3  Cost.
sarebbe,  comunque,  infondata,  dal  momento  che  la   disposizione
censurata attuerebbe un «ragionevole bilanciamento tra gli  interessi
dello Stato, a tutela  delle  finalita'  pubblicistiche  proprie  del
procedimento  di  prevenzione,  e  quelli,  valutati  recessivi,  dei
creditori, tutelati solo  in  presenza  di  determinate  condizioni»;
bilanciamento attuato, in concreto, mediante l'individuazione di  «un
limite temporale certo e uguale per tutti, individuato nel compimento
di attivita', anche giudiziali, atte a vincolare un determinato  bene
antecedentemente al decreto di sequestro». 
    Infondata  sarebbe  parimenti  la   questione   prospettata   con
riferimento  all'art.  41  Cost.,  la  cui  motivazione   apparirebbe
«eccessivamente generica e non ancorata alla fattispecie concreta». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di Cassazione, sezione prima penale,  con  ordinanza
del  2  agosto  2017,  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 198, della legge 24 dicembre  2012,
n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2013)», in riferimento
agli artt. 3 e 41, primo comma, della Costituzione. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata - consentendo
alle sole categorie di creditori ivi indicate il soddisfacimento  del
proprio credito sui beni del proprio debitore sottoposti  a  confisca
di prevenzione - discriminerebbe i restanti creditori in buona  fede,
sacrificando irragionevolmente il loro diritto  di  credito  rispetto
all'interesse statale ad assicurare l'effettivita'  della  misura  di
prevenzione; con  conseguente  violazione  di  entrambi  i  parametri
costituzionali evocati. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, per difetto di motivazione  sulla
loro rilevanza  nel  giudizio  a  quo.  Il  rimettente  non  avrebbe,
infatti, chiarito se l'impresa artigiana debitrice, i cui beni  erano
stati sottoposti a confisca di prevenzione, potesse  essere  comunque
assoggettata a fallimento, e se - pertanto - il ricorrente avesse  in
concreto la possibilita' di vedere  soddisfatte  le  proprie  ragioni
creditorie in quella sede. 
    L'eccezione e' infondata. 
    La giurisprudenza di legittimita' ha, invero,  stabilito  che  il
divieto, stabilito dall'art. 1, comma 194, della  legge  n.  228  del
2012, di iniziare o proseguire azioni esecutive sui  beni  confiscati
all'esito di procedimenti di prevenzione conclusi o  ancora  pendenti
alla data di entrata in vigore del decreto  legislativo  6  settembre
2011, n.  159  (Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136) non comporta altresi' il divieto per il creditore di proporre
istanza di fallimento nei confronti dell'impresa  i  cui  beni  siano
stati integralmente sottoposti a confisca di  prevenzione  (Corte  di
cassazione, sezione  sesta  penale,  sentenza  17  ottobre  2013,  n.
49821). 
    Cionondimeno, anche laddove si ipotizzasse che nel caso  concreto
l'impresa debitrice - i cui beni sono stati nel frattempo  confiscati
nella loro totalita' - ancora esista a  tutt'oggi,  e  che  essa  sia
assoggettabile a fallimento  nonostante  la  sua  natura  di  impresa
artigiana, con conseguente possibilita' per il  creditore  ricorrente
di presentare istanza di fallimento nei suoi confronti, le chances di
soddisfacimento  (anche  solo  parziali)  delle  ragioni   creditorie
resterebbero condizionate all'effettiva  apertura  di  una  procedura
concorsuale, a sua volta subordinata a una situazione  di  insolvenza
dell'impresa che potrebbe, evidentemente,  non  sussistere  nel  caso
concreto. 
    Di qui l'interesse concreto e attuale  del  creditore  a  essere,
invece,   ammesso   -   previa   dichiarazione   di    illegittimita'
costituzionale della disposizione censurata - alla speciale procedura
di liquidazione dei crediti disciplinata dall'art.  1,  commi  194  e
seguenti, della legge n.  228  del  2012,  a  prescindere  dalla  sua
eventuale facolta' di presentare istanza di  fallimento  dell'impresa
debitrice. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate, in relazione  all'art.
3 Cost. 
    3.1.- Le questioni oggi all'esame ripropongono a questa Corte  la
tematica della tutela dei terzi creditori  rispetto  al  sequestro  e
alla confisca di prevenzione:  tematica  gia'  ampiamente  analizzata
dalla sentenza n. 94 del 2015,  alla  cui  dettagliata  ricostruzione
storica conviene qui semplicemente rinviare. 
    Basti qui rammentare che la disciplina in questa  sede  censurata
e' stata introdotta dal  legislatore  successivamente  all'emanazione
del d.lgs. n. 159 del 2011, che regola in modo organico le  modalita'
di tutela dei diritti dei terzi suscettibili di  essere  pregiudicati
dall'esecuzione dei provvedimenti  di  prevenzione,  con  riferimento
esclusivo  -  pero'  -  ai  procedimenti   di   prevenzione   avviati
successivamente alla sua entrata in vigore. La disciplina di  cui  ai
commi 194 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012, che  in
questa sede viene in considerazione, e' stata dunque adottata al fine
di regolare la tutela dei diritti dei terzi in relazione  a  tutti  i
procedimenti ai quali ancora non si  applica,  ratione  temporis,  il
predetto d.lgs. n. 159 del 2011. 
    Con la citata sentenza n.  94  del  2015,  la  disposizione  oggi
all'esame - l'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del  2012  -  era
gia' stata dichiarata costituzionalmente illegittima,  per  contrasto
con l'art. 36 Cost., «nella parte in cui non include tra i  creditori
che sono soddisfatti nei limiti e con le modalita' ivi indicati anche
i titolari di crediti da lavoro subordinato». Questa Corte  aveva  in
effetti ritenuto che la disposizione censurata, escludendo i  crediti
da lavoro da ogni possibilita' di soddisfazione sui  beni  confiscati
del debitore,  comportasse  un  radicale  e  irreparabile  sacrificio
dell'interesse dei  lavoratori,  non  giustificato  dall'esigenza  di
assicurare la tutela del contrapposto interesse sotteso  alle  misure
patrimoniali,  ricollegabile  a  esigenze  di  ordine   e   sicurezza
pubblica,  pure  anch'esse  -  in   astratto   -   costituzionalmente
rilevanti.  E  cio',  in  particolare,  «nell'ipotesi   di   confisca
"totalizzante", la quale investa, cioe' [...] l'intero patrimonio del
datore di lavoro [...]. In simili evenienze, il lavoratore perde,  in
pratica, ogni prospettiva di ottenere il pagamento dei propri crediti
tanto dal debitore (che non ha piu' mezzi), quanto dallo  Stato,  cui
sono devoluti i beni confiscati» (sentenza n. 94 del 2015). 
    In quell'occasione, la Corte aveva altresi'  rilevato  che  «[l]a
disciplina censurata  non  puo'  essere  [...]  giustificata  in  una
prospettiva di bilanciamento con l'interesse sotteso alle  misure  di
prevenzione patrimoniali,  ricollegabile  ad  esigenze  di  ordine  e
sicurezza  pubblica  anch'esse  costituzionalmente  rilevanti.  Nella
specie, in effetti,  non  di  bilanciamento  si  tratta,  "ma  di  un
sacrificio puro e semplice" dell'interesse contrapposto (sentenza  n.
317 del 2009)»; aggiungendo che «[i]l bilanciamento - come detto - e'
quello  espresso,  nell'ambito  della  normativa  "a  regime",  dalle
previsioni limitative recate dall'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011,
volte ad impedire che la tutela si  estenda  a  soggetti  lato  sensu
"conniventi" con l'attivita' illecita del proposto o di reimpiego dei
suoi proventi, o a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero
ancora a casi nei quali e' possibile aggredire utilmente  il  residuo
patrimonio del debitore: previsioni peraltro  valevoli  -  in  virtu'
dello specifico  richiamo  operato  dall'art.  1,  comma  200,  primo
periodo, della legge n. 228 del 2012  (da  ritenere  comprensivo  del
requisito della certa anteriorita' del credito rispetto al sequestro)
-  anche  nell'ambito  della  disciplina  transitoria   relativa   ai
procedimenti di prevenzione pendenti, che qui interessa». 
    3.2.- Analoghe considerazioni possono peraltro  ripetersi,  sotto
il diverso  angolo  visuale  dell'art.  3  Cost.  che  qui  viene  in
considerazione,  per  la  generalita'  dei   crediti   non   compresi
nell'elenco  tassativo  contenuto  nella  disposizione  censurata,  e
diversi  da  quelli  aventi  origine  in  un  contratto   di   lavoro
subordinato, ai quali unicamente fa riferimento la sentenza n. 94 del
2015. 
    Non sussiste, infatti,  alcuna  ragione  plausibile  per  sancire
l'irreparabile sacrificio dei diritti della generalita' dei creditori
di buona fede, a fronte di provvedimenti di sequestro o  di  confisca
che abbiano attinto il loro debitore; ne'  di  discriminare  la  loro
posizione  rispetto  a   quelle   sole   oggi   salvaguardate   dalla
disposizione censurata. 
    Cio' vale, in particolare, per il requisito alternativo stabilito
dal comma 198, a tenore del quale il  soddisfacimento  dei  creditori
non ipotecari  e'  subordinato  alla  circostanza  che  essi  abbiano
trascritto   un   pignoramento,   ovvero   che   siano    intervenuti
nell'esecuzione iniziata da altro creditore,  nell'uno  e  nell'altro
caso  in  data  anteriore  alla   trascrizione   del   sequestro   di
prevenzione. Tale  disciplina,  infatti,  fa  discendere  un  effetto
radicalmente   preclusivo   della   possibilita'   di   ottenere   il
soddisfacimento  del  proprio  credito  dal  mancato  esperimento  di
un'azione esecutiva che un creditore  effettivamente  in  buona  fede
potrebbe, in relazione al momento di insorgenza del credito, non aver
avuto ancora la possibilita' di promuovere o,  comunque,  non  avendo
ragione di sospettare l'imminente  apertura  di  un  procedimento  di
prevenzione a carico del proprio debitore, potrebbe non avere  ancora
promosso. 
    La giusta esigenza di evitare manovre collusive con  il  debitore
sottoposto  a  procedimento  di  prevenzione  -  manovre  in  ipotesi
finalizzate  a  porre  in  salvo  una  parte  dei  suoi  beni   dalla
prospettiva del sequestro e della successiva confisca - puo'  infatti
essere soddisfatta attraverso la verifica, espressamente richiesta al
tribunale dal successivo  comma  200  dell'art.  1  censurato,  delle
condizioni gia' imposte in via generale dall'art. 52  del  d.lgs.  n.
159 del 2011 per il soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi. 
    Fra tali condizioni spiccano, in particolare, la  necessita'  che
il credito, o il  diritto  reale  di  garanzia,  abbiano  data  certa
anteriore al sequestro, che l'escussione del restante patrimonio  sia
risultata insufficiente al soddisfacimento del credito (salvo  per  i
crediti  assistiti  da  cause  legittime  di  prelazione   sui   beni
sequestrati), e che il  credito  non  sia  strumentale  all'attivita'
illecita o a quella che ne costituisce il frutto o  il  reimpiego,  a
meno che il creditore dimostri di avere ignorato  in  buona  fede  il
nesso di strumentalita'; buona fede che, ai sensi dell'art. 52, comma
3, del decreto  legislativo  medesimo,  dovra'  essere  valutata  dal
tribunale tenendo conto «delle condizioni delle parti,  dei  rapporti
personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attivita' svolta
dal creditore, anche con  riferimento  al  ramo  di  attivita',  alla
sussistenza  di  particolari  obblighi  di   diligenza   nella   fase
precontrattuale nonche', in  caso  di  enti,  alle  dimensioni  degli
stessi». 
    Se tali condizioni sono state  considerate  dal  legislatore  del
2011 sufficienti  a  evitare  il  rischio  di  manovre  collusive  in
relazione a qualsiasi tipologia di credito, non si vede perche',  con
riferimento   ai   soli   procedimenti   di   prevenzione    iniziati
anteriormente all'entrata in vigore del decreto  legislativo  n.  159
del 2011, il legislatore del 2012 abbia invece fissato  criteri  piu'
restrittivi, tali da escludere la grande maggioranza dei creditori in
buona fede da ogni  effettiva  possibilita'  di  soddisfacimento  dei
propri diritti: conseguenza, quest'ultima,  direttamente  discendente
dal generale divieto, posto dall'art. 1, comma 194,  della  legge  n.
228 del 2012, di iniziare o  proseguire  azioni  esecutive  sui  beni
confiscati all'esito di procedimenti di prevenzione. 
    Il radicale sacrificio dell'interesse di un creditore  che  abbia
acquisito il proprio diritto confidando, in buona  fede,  nel  futuro
adempimento da parte del debitore, pur in presenza  delle  condizioni
ritenute idonee a evitare condotte collusive dall'art. 52 del  d.lgs.
n.  159  del  2011,  si   risolve,   allora,   in   una   restrizione
sproporzionata - in quanto eccessiva rispetto al pur legittimo  scopo
antielusivo perseguito  -  del  diritto  patrimoniale  del  creditore
medesimo, in violazione dell'art. 3  Cost.  Garanzia  costituzionale,
quest'ultima, posta in causa altresi' - sotto  differente  profilo  -
dalla  segnalata  irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra   i
creditori ai quali il comma 198 offre allo stato tutela, e  tutte  le
restanti categorie di creditori, che da tale tutela  restano  escluse
senza ragione plausibile. 
    3.3.- L'art. 1, comma 198, della legge  n.  228  del  2012  deve,
conseguentemente, essere dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,
per contrasto con l'art. 3 Cost., nella  parte  in  cui  limita  alle
specifiche categorie di creditori ivi menzionati la  possibilita'  di
ottenere soddisfacimento dei propri  crediti  sui  beni  del  proprio
debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione. 
    Tale risultato puo' essere conseguito mediante l'ablazione  dalla
disposizione censurata di tutti gli incisi che limitano le  categorie
dei creditori legittimati  ad  accedere  allo  speciale  procedimento
disciplinato dai commi da 194 a 206, e la  conservazione  della  sola
parte della  disposizione  che  recita:  «[i]  creditori  [...]  sono
soddisfatti nei limiti e con le modalita' di cui ai commi  da  194  a
206». 
    Rimarra' ferma, in particolare, la necessita' di verificare  caso
per caso, ai sensi del comma 200, la presenza di tutte le  condizioni
previste dall'art. 52  del  d.lgs.  n.  159  del  2011  ai  fini  del
soddisfacimento del diritto vantato da ciascun creditore. 
    4.- Resta assorbita la questione di  legittimita'  costituzionale
prospettata in relazione all'art. 41, primo comma, Cost.