ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 15, commi
1, 2, 3, 24, comma 2, e  35,  comma  3,  della  legge  della  Regione
Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di
stabilita' per l'anno 2018), promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, con ricorso notificato il 26 febbraio - 2  marzo  2018,
depositato in cancelleria il 2 marzo 2018,  iscritto  al  n.  17  del
registro ricorsi 2018 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Liguria; 
    udito nella udienza pubblica  del  5  febbraio  2019  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri  e  l'avvocato  Gabriele  Pafundi  per  la
Regione Liguria. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 26 febbraio - 2 marzo 2018, depositato in quest'ultima data  (reg.
ric. n. 17 del 2018), ha impugnato l'art. 15 (recte: 15, commi 1, 2 e
3), l'art. 24 (recte: 24, comma 2) e l'art. 35, comma 3, della  legge
della Regione Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate
alla legge di stabilita' per l'anno 2018),  in  riferimento  all'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  Regione  Liguria,  tramite   le
disposizioni  impugnate,  avrebbe  invaso  la  sfera  di   competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale. 
    2.- Il ricorrente evidenzia in primo luogo che  l'art.  15  della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017 prevede: a) al comma 1, che «[s]ono
soggetti a comunicazione alla  Regione,  entro  trenta  giorni  prima
della data di inizio attivita', gli interventi di pulizia  dell'alveo
e delle sponde eseguiti a mano o con mezzi meccanici dai  proprietari
frontisti o aventi titolo, gli interventi di  manutenzione  ordinaria
di manufatti in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria
degli alvei e delle sponde eseguiti dagli enti pubblici ivi  compresa
la movimentazione di materiale litoide nei casi di  ripristino  della
sezione  di  deflusso  dell'alveo,  lo  svuotamento  di   vasche   di
sedimentazione, vasche antincendio e briglie  di  trattenuta  purche'
non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2,  che  «[l]a
Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma  1,  puo'
disporre il diniego dell'intervento»; c) al comma 3, che «[n]on  sono
soggetti a nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attivita'
gli interventi in somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi
per  i  quali  sia  dichiarato  lo  stato  di  emergenza,  di  eventi
potenzialmente in grado di contaminare un sito  di  cui  all'articolo
242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni,
e interventi imprevisti e non  programmati  su  utenze  di  interesse
pubblico oggetto di concessione». 
    2.1.- A giudizio del ricorrente, tali previsioni  violano  l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. perche'  entrano  in  conflitto
con la normativa, di competenza  esclusiva  dello  Stato,  dettata  a
tutela dell'assetto idrogeologico dal Capo VII (Polizia  delle  acque
pubbliche) del regio decreto 25 luglio  1904,  n.  523  (Testo  unico
delle disposizioni di  legge  intorno  alle  opere  idrauliche  delle
diverse categorie). 
    In  particolare,  le  disposizioni  censurate   entrerebbero   in
conflitto sia con l'art. 93, primo comma, di tale decreto,  in  forza
del quale «[n]essuno puo' fare opere nell'alveo dei fiumi,  torrenti,
rivi, scolatoi pubblici e canali di proprieta' demaniale, cioe' nello
spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza  il  permesso
dell'autorita'  amministrativa»;  sia  con  l'art.  94  dello  stesso
decreto, il quale  dispone  che  «  [n]el  caso  di  alvei  a  sponde
variabili od incerte, la linea, o le linee, fino  alle  quali  dovra'
intendersi estesa la proibizione  di  che  nell'articolo  precedente,
saranno determinate anche in  caso  di  contestazione  dal  prefetto,
sentiti gli interessati». 
    2.2.- La richiamata normativa interposta  fissa,  ad  avviso  del
ricorrente,  una  regola  di  tutela  ambientale  contraddetta  dalla
disciplina regionale censurata. 
    Di qui la violazione addotta, considerando  che  le  disposizioni
legislative statali dettate in  materia  ambientale,  inerendo  a  un
interesse pubblico di  valore  costituzionale  primario  e  assoluto,
fungono  da  limite  trasversale  alle  discipline  introdotte  dalle
Regioni nelle materie di loro, anche residuale, competenza, salvo che
le disposizioni regionali siano in  grado  di  garantire  livelli  di
tutela piu'  elevati  rispetto  a  quelli  previsti  dalla  normativa
nazionale. 
    3.- Secondo il ricorrente, il medesimo  parametro  costituzionale
e' violato anche dagli artt. 24 e 35 della legge reg. Liguria  n.  29
del 2017. 
    Segnatamente, le disposizioni contenute nel comma 2 dell'art.  24
e  nel  comma  3  dell'art.  35  della  legge   regionale   sarebbero
rispettivamente in conflitto con l'art. 19, comma 2, e con l'art.  21
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la  protezione  della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). 
    3.1.- Il ricorrente evidenzia che l'art. 24, comma 2, della legge
regionale impugnata modifica  l'art.  2  della  legge  della  Regione
Liguria 11 marzo 2014, n. 4 (Norme per il rilancio dell'agricoltura e
della selvicoltura, per la  salvaguardia  del  territorio  rurale  ed
istituzione della banca regionale della terra), aggiungendo  ad  esso
il comma 3-bis, in forza del quale la  Regione,  per  l'attivita'  di
controllo  faunistico,  puo'  avvalersi,  «oltreche'   dei   soggetti
individuati  all'articolo  36,  comma  2,  lettera  b)  della   legge
regionale 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali  per  la  protezione
della fauna omeoterma e  per  il  prelievo  venatorio)  e  successive
modificazioni  e  integrazioni,  anche  del  concorso  di  coadiutori
appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui  all'articolo
22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro  sulle
aree protette) e successive modificazioni e integrazioni». 
    3.1.1.- Ad  avviso  del  ricorrente,  la  disposizione  regionale
impugnata consente che il controllo faunistico venga  esercitato  con
modalita' e tramite personale differenti  da  quelli  previsti  dalla
norma statale di riferimento,  nel  caso  individuata  nell'art.  19,
comma 2, della legge n. 157 del 1992. 
    Tale  ultima  disposizione  impone,  infatti,  che  i  piani   di
abbattimento autorizzati  dalle  Regioni,  finalizzati  al  controllo
delle specie di fauna selvatica, debbano essere «[...] attuati  dalle
guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni  provinciali»,  le
quali ultime « [...] potranno altresi' avvalersi  dei  proprietari  o
conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani  medesimi,  purche'
muniti di licenza per l'esercizio venatorio,  nonche'  delle  guardie
forestali e delle guardie comunali munite di licenza per  l'esercizio
venatorio». 
    3.1.2.- Sempre ad avviso del ricorrente, la legge n. 157 del 1992
fissa le regole minime comuni in materia di preservazione della fauna
e, dunque, di tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema;  la  normativa
regionale  che  entra  in  conflitto  con  le   relative   previsioni
invaderebbe, di  conseguenza,  la  sfera  di  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato. 
    In   particolare,   come    confermato    dalla    giurisprudenza
costituzionale  sul  tema,  l'elenco  dettato  dalla  norma   statale
«interposta» in tema di  individuazione  dei  soggetti  abilitati  al
controllo faunistico deve ritenersi tassativo;  le  Regioni,  dunque,
non possono integrarne il contenuto senza ridurre il livello minimo e
uniforme di tutela dettata dalla disciplina nazionale. 
    Di  qui  la  violazione  addotta  dal  ricorrente,  giacche'   la
disposizione regionale impugnata per un verso modifica  il  contenuto
precettivo dell'art. 19, comma  2,  della  legge  n.  157  del  1992,
abilitando all'attuazione dei piani di abbattimento anche  coadiutori
appositamente formati, non considerati dalla norma statale; per altro
verso  assegna  all'amministrazione  regionale,  e   non   a   quella
provinciale,  la  responsabilita'  per  l'attuazione  del   controllo
faunistico. 
    3.2.- Il ricorrente censura anche l'art. 35, comma 3, della legge
reg. Liguria n. 29 del 2017, con il quale e' stato modificato  l'art.
47 della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, aggiungendo  ad  esso  il
comma 7-ter, in forza del quale e' vietato  il  commercio  di  «fauna
selvatica  morta,  fatta  eccezione   per   quella   proveniente   da
allevamenti o da abbattimenti venatori o di controllo autorizzati nel
rispetto delle modalita' previste dalla normativa sanitaria  vigente,
per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico». 
    La previsione impugnata sarebbe in conflitto con l'art. 21  della
legge n. 157 del  1992,  il  quale,  secondo  quanto  prospettato  in
ricorso, impone  «il  divieto  di  esercizio  venatorio  della  fauna
selvatica in questione», cosi' da definire «uno  standard  di  tutela
della fauna selvatica» non derogabile dalle Regioni. 
    Di qui l'addotto contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. 
    4.- La Regione Liguria si e'  costituita  in  giudizio  con  atto
depositato il  6  aprile  2018,  concludendo  per  la  reiezione  del
ricorso. 
    4.1.- Quanto alla impugnazione  dell'art.  15  della  legge  reg.
Liguria  n.  29  del  2017,  la  resistente  ha  evidenziato  che  la
competenza  inerente  alla  gestione  del  demanio  idrico  e'  stata
trasferita dallo Stato alle Regioni  e  dalla  Regione  Liguria  alle
Province, precisando, altresi', che tra le competenze  ascritte  alle
Province rientra anche quella relativa  all'autorizzazione  idraulica
prevista dal r.d. n. 523 del 1904. 
    Ancora, la difesa della  Regione  ha  rimarcato  che,  in  questa
cornice di riferimento, le Province avrebbero sviluppato  una  prassi
amministrativa in forza della  quale  ogni  intervento  destinato  in
qualche modo ad «avere a che fare  con  l'alveo  del  corso  d'acqua»
doveva ritenersi sottoposto, senza distinzione di sorta,  al  «regime
autorizzatorio idraulico». 
    Cio'  premesso,  la  resistente  ha  sottolineato  che  la  norma
censurata,  finalizzata  ad  una   semplificazione   della   relativa
attivita' amministrativa, riguarda interventi che, per  le  modalita'
esecutive o per gli effetti sul regime del corso  d'acqua,  sarebbero
privi di rilievo significativo,  perche'  aventi  un  mero  carattere
manutentivo,  lasciando  inalterate  le  caratteristiche  dei   corsi
d'acqua. Gli interventi  correlati  ad  eventi  calamitosi,  inoltre,
sarebbero  giustificati  dalla  necessita'   di   intervenire   senza
attendere i tempi del procedimento  autorizzatorio,  come  del  resto
confermato dall'esplicito  riferimento  normativo  all'art.  242  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale). 
    La  norma  regionale   censurata,   dunque,   realizzerebbe   una
semplificazione  della  relativa  azione  amministrativa,  senza  far
venire  meno  il  controllo  inerente  alla  possibile   interferenza
dell'attivita' o dell'intervento da realizzare  con  il  buon  regine
delle acque, potendo comunque la Regione disporre  il  diniego  della
relativa iniziativa. 
    4.2.- In relazione all'impugnazione dell'art. 24, comma 1,  della
legge reg. Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha  evidenziato  che
la  disposizione  censurata  replica  le   modalita'   di   controllo
faunistico gia' previste dalla legislazione  statale  concernente  le
«aree naturali protette regionali». 
    In particolare, la resistente ha rimarcato che l'art.  22,  comma
6, della legge n. 394 del 1991  prevede  che,  per  le  attivita'  di
controllo  faunistico  da  realizzare  entro  le  suddette  aree,  e'
possibile   avvalersi   dell'attivita'   dei   cacciatori,    purche'
adeguatamente formati. Se,  dunque,  tale  possibilita'  e'  prevista
all'interno di aree per le quali sono  previsti  standard  di  tutela
piu' elevati,  coerentemente  cio'  dovra'  ritenersi  possibile  nel
restante territorio agro-silvo-pastorale. 
    4.3.- Infine,  con  riguardo  alle  censure  prospettate  avverso
l'art. 35, comma 3, della legge reg.  Liguria  n.  29  del  2017,  la
resistente ha obiettato  che  la  disposizione  impugnata  amplia  la
possibilita' di commercializzare fauna selvatica morta  per  sagre  o
manifestazioni  a  carattere  enogastronomico,  in   linea   con   la
competenza regionale residuale in materia di gestione della  fauna  e
prelievo venatorio ex art. 117, quarto comma, Cost., come  confermato
da analoghe discipline introdotte da altre Regioni. 
    5.- Con memoria depositata il 15 gennaio  2019  la  difesa  dello
Stato ha replicato alle osservazioni difensive della Regione Liguria,
definendo compiutamente le ragioni argomentative esposte  a  sostegno
delle censure prospettate con il ricorso. 
    6.- Anche la Regione Liguria ha depositato  in  data  15  gennaio
2019 una memoria difensiva. 
    6.1.- Con riguardo all'impugnazione dell'art. 15 della legge reg.
Liguria n. 29 del 2017, la resistente ha ribadito le difese rese  nel
costituirsi quanto agli interventi previsti dal comma 3 dell'articolo
impugnato.  In  relazione  al  comma  1  del  medesimo  articolo,  la
resistente, in aggiunta a quanto gia' addotto, ha  rimarcato  la  non
riconducibilita' degli interventi di  pulizia  e  manutenzione  degli
alvei e delle  sponde  previsti  dalla  disposizione  censurata  alle
«opere» considerate dall'art. 93, primo comma, del r.d.  n.  523  del
1904: gli interventi contemplati dalla norma regionale non  darebbero
luogo ad alcun nuovo volume, in  alveo  o  sulle  sponde;  piuttosto,
secondo la resistente, sarebbero connotati da irrilevanza  idraulica,
tanto da risultare compatibili con la mera  comunicazione  di  inizio
attivita' imposta dalla Regione Liguria. 
    Ad avviso della resistente, l'attivita' di pulizia dell'alveo  da
parte  dei  proprietari  frontisti,  oltre  a  non  dar  luogo   alla
realizzazione di  opere,  dovrebbe  altresi'  ritenersi  doverosa  in
considerazione di quanto previsto sia dall'art. 12 dello stesso  r.d.
n. 523 del 1904, sia dall'art. 98, comma 5, della legge della Regione
Liguria 21  giugno  1999,  n.  18  (Adeguamento  delle  discipline  e
conferimento delle funzioni agli enti locali in materia di  ambiente,
difesa del suolo ed energia), nonche'  dagli  artt.  868  e  917  del
codice civile; la manutenzione ordinaria di manufatti in  concessione
non sarebbe in grado di interferire con il  regolare  deflusso  delle
acque, restando comunque assoggettata al controllo e al potere  della
Regione  di  disporre  il   diniego   dell'intervento;   infine,   la
manutenzione ordinaria  eseguita  dagli  enti  pubblici  risulterebbe
disciplinata dalla norma censurata in termini non diversi  da  quanto
previsto dall'art. 17-bis della legge 7 agosto 1990,  n.  241  (Nuove
norme in materia di  procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di
accesso ai documenti amministrativi). 
    6.2.- In relazione all'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria
n.  29  del  2017,  la  resistente,  con  riguardo  al   tema   della
tassativita' dell'elenco contenuto nell'art. 19, comma 2, della legge
n. 157 del 1992, ha ribadito le difese  gia'  spiegate  nell'atto  di
costituzione, richiamando, inoltre, disposizioni di  legge  di  altre
Regioni, aventi contenuto sostanzialmente  identico  a  quello  della
norma censurata, mai impugnate dal Governo. 
    Quanto   all'individuazione   dell'ente    cui    ascrivere    la
responsabilita'  del  controllo  faunistico,  la  resistente  si   e'
richiamata al riordino di funzioni  previsto  dalla  legge  7  aprile
2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni), attuata dalla Regione Liguria  con
la legge 10 aprile 2015, n. 15,  recante  «Disposizioni  di  riordino
delle funzioni conferite alle province in attuazione  della  legge  7
aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle  citta'  metropolitane,  sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni)». 
    6.3.-  Infine,  in  relazione  alla  questione  prospettata   nei
confronti dell'art. 35, comma 3, della legge reg. Liguria n.  29  del
2017, la difesa della resistente ha ribadito le  argomentazioni  rese
nel costituirsi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 15 (recte: 15, commi 1,  2  e
3), 24 (recte: 24, comma 2) e 35, comma 3, della legge della  Regione
Liguria 28 dicembre 2017, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di
stabilita' per l'anno 2018), in  riferimento  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione. 
    2.- Ad avviso del ricorrente,  la  Regione  Liguria,  tramite  le
disposizioni  impugnate,  avrebbe  invaso  la  sfera  di   competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale. 
    Piu' precisamente, con le disposizioni contenute nell'art. 15, la
Regione Liguria avrebbe introdotto una  disciplina  -  inerente  alle
autorizzazioni relative alla realizzazione di interventi  all'interno
degli alvei o sulle sponde dei corsi d'acqua - in  contrasto  con  le
previsioni contenute negli artt. 93, primo  comma,  e  94  del  regio
decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo  unico  delle  disposizioni  di
legge intorno alle opere idrauliche). 
    A loro volta, gli artt. 24, comma 2, e 35, comma 3, della  stessa
legge regionale sarebbero rispettivamente in conflitto con gli  artt.
19, comma 2, e 21 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per  la
protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il   prelievo
venatorio), poiche' introdurrebbero,  nel  territorio  della  Regione
resistente, disposizioni in contrasto con la  disciplina  statale  in
materia di tutela della fauna. 
    3.- La Regione Liguria si e' costituita contestando la fondatezza
delle  censure  addotte  dal  ricorrente.  La   resistente   non   ha
evidenziato ragioni di inammissibilita'  delle  questioni;  ne',  del
resto, ne emergono di rilevabili d'ufficio. 
    3.1.- Sotto  quest'ultimo  versante,  non  puo'  negarsi  che  il
ricorso appare connotato  da  un  contenuto  alquanto  laconico,  con
riguardo, in particolare, alle  censure  prospettate  in  riferimento
agli artt. 15, commi 1, 2 e 3, e 35, comma 3, della  legge  regionale
impugnata. 
    Cio', tuttavia, non impedisce l'individuazione dei termini  delle
relative  questioni,  sia  per  l'immediata  riconducibilita'   delle
disposizioni censurate all'ambito  materiale  afferente  alla  tutela
dell'ambiente, posto a fondamento delle ragioni di vulnus prospettate
dal ricorrente; sia  per  il  contenuto  del  percorso  argomentativo
seguito nella memoria depositata prima  dell'udienza  dall'Avvocatura
generale dello Stato, sostanzialmente esplicitativo del tenore  delle
censure, cosi' da consentirne l'esame nel merito. 
    4.- La prima delle questioni prospettate ha ad oggetto l'art. 15,
commi 1, 2 e 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017. 
    Tale articolo prevede: a) al comma  1,  che  «[s]ono  soggetti  a
comunicazione alla Regione, entro trenta giorni prima della  data  di
inizio attivita', gli interventi di pulizia dell'alveo e delle sponde
eseguiti a mano o con mezzi meccanici  dai  proprietari  frontisti  o
aventi titolo, gli interventi di manutenzione ordinaria di  manufatti
in concessione, gli interventi di manutenzione ordinaria degli  alvei
e  delle  sponde  eseguiti  dagli  enti  pubblici  ivi  compresa   la
movimentazione di materiale litoide  nei  casi  di  ripristino  della
sezione  di  deflusso  dell'alveo,  lo  svuotamento  di   vasche   di
sedimentazione, vasche antincendio e briglie  di  trattenuta  purche'
non comportino asportazione dello stesso»; b) al comma 2, che «  [l]a
Regione, entro il termine dei trenta giorni di cui al comma  1,  puo'
disporre il diniego dell'intervento»; c) al comma 3, che « [n]on sono
soggetti a nulla osta idraulico e a comunicazione di inizio attivita'
gli interventi in somma urgenza eseguiti in caso di eventi calamitosi
per  i  quali  sia  dichiarato  lo  stato  di  emergenza,  di  eventi
potenzialmente in grado di contaminare un sito  di  cui  all'articolo
242 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modificazioni e integrazioni,
e interventi imprevisti e non  programmati  su  utenze  di  interesse
pubblico oggetto di concessione». 
    5.-  Le  censure  prospettate  dal   ricorrente   sono   riferite
esclusivamente ai tre commi dell'art. 15 sopra riportati. 
    Va tuttavia evidenziato che l'articolo scrutinato si  compone  di
altri quattro commi, tre dei quali (i commi  4,  6  e  7)  riguardano
condotte e sanzioni correlate alla comunicazione  di  cui  al  citato
comma 3. Residua, inoltre, il comma 5, il quale demanda  alla  Giunta
regionale il compito di definire «criteri e indirizzi  attuativi  per
l'applicazione delle procedure di semplificazione di cui al  presente
articolo». 
    5.1.- A giudizio del ricorrente, i commi 1, 2 e 3 del citato art.
15 violano l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  perche'
entrano in conflitto con la normativa, di competenza esclusiva  dello
Stato, dettata a tutela  dell'assetto  idrogeologico  in  materia  di
«[p]olizia delle acque pubbliche». 
    In particolare, le disposizioni censurate sarebbero in  conflitto
sia con quanto previsto dall'art. 93, comma 1, del r.d.  n.  523  del
1904, in forza del quale «[n]essuno puo' fare  opere  nell'alveo  dei
fiumi, torrenti, rivi,  scolatoi  pubblici  e  canali  di  proprieta`
demaniale, cioe' nello  spazio  compreso  fra  le  sponde  fisse  dei
medesimi, senza il permesso dell'autorita' amministrativa»;  sia  con
l'art. 94 dello stesso decreto, il quale dispone che «[n]el  caso  di
alvei a sponde variabili od incerte, la linea, o le linee, fino  alle
quali dovra' intendersi estesa la proibizione  di  che  nell'articolo
precedente, saranno determinate anche in caso  di  contestazione  dal
prefetto, sentiti gli interessati». 
    5.2.- La  normativa  statale  richiamata  fissa,  ad  avviso  del
ricorrente, una regola di tutela ambientale derogata dalla disciplina
regionale  censurata.  Quest'ultima,  del  resto,  non   garantirebbe
nemmeno livelli di tutela piu' elevati  rispetto  a  quelli  previsti
dalla legge nazionale. 
    In particolare, cosi' come puntualmente  precisato  dalla  difesa
erariale con la memoria depositata  prima  dell'udienza,  la  Regione
Liguria avrebbe  semplificato  l'azione  amministrativa  legata  alle
verifiche di compatibilita' idraulica imposte dal  r.d.  n.  523  del
1904, sottraendo gli interventi considerati  dai  commi  1  e  3  del
citato art. 15 all'obbligo di autorizzazione  imposto  dal  parametro
interposto evocato. 
    6.- La questione deve ritenersi fondata nei termini precisati  di
seguito. 
    6.1.- Gli interventi presi  in  considerazione  dalla  disciplina
regionale risultano, ancora  oggi,  sottoposti  al  regime  normativo
previsto dal r.d. n. 523 del 1904, in forza del quale, per la  tutela
e la preservazione dei corsi d'acqua  e  delle  relative  pertinenze,
vengono imposti una serie di vincoli  alle  iniziative  destinate  ad
interferire sul buon regime delle acque pubbliche. 
    In questa ottica, il citato testo  unico  detta  una  indicazione
generale (art. 2) in  virtu'  della  quale  «[s]petta  esclusivamente
all'autorita' amministrativa [...] provvedere [...]  sulle  opere  di
qualunque natura e  in  generale  sugli  usi,  atti  o  fatti,  anche
consuetudinari, che possono aver  relazione  col  buon  regime  delle
acque pubbliche, con la difesa  e  conservazione  delle  sponde,  con
l'esercizio  della  navigazione,   con   quello   delle   derivazioni
legalmente stabilite, e con l'animazione dei molini ed opifici  sovra
le  dette  acque  esistenti;  e  cosi'  pure  sulle   condizioni   di
regolarita' dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro
gli alvei e contro le sponde». 
    Per altro verso, al fine di realizzare tale obiettivo di massima,
il regio decreto in esame dedica un capo apposito (il Capo VII)  alla
attivita' di «[p]olizia delle acque pubbliche»,  imponendo  specifici
divieti o doveri di  comportamento  finalizzati  alla  prevenzione  o
eliminazione di situazioni di danno o anche di solo pericolo inerenti
al deflusso delle acque. 
    Compiti,  questi,  di  «polizia  idraulica»  che  in   esito   al
decentramento amministrativo risultano tra quelli riconducibili  alle
funzioni conferite  alle  Regioni  (in  uno  al  trasferimento  della
gestione inerente al demanio idrico), in ragione  di  quanto  dettato
dagli artt. 86 e 89 del decreto legislativo 31  marzo  1998,  n.  112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n. 59), sia pure nel rispetto della legislazione vigente.
La Regione Liguria ha a suo tempo delegato dette funzioni di  polizia
idraulica alle Province e le  ha  poi  recuperate  in  occasione  del
riordino delle funzioni imposto dalla legge  7  aprile  2014,  n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unioni e fusioni di comuni), cosi' come previsto dall'art.  5,  comma
1, lettera a), della legge della Regione Liguria 10 aprile  2015,  n.
15, recante «Disposizioni di riordino delle funzioni  conferite  alle
province in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni
sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni)». 
    6.2.- Le norme interposte evocate  dal  ricorrente  si  collocano
all'interno di detto quadro normativo di riferimento. 
    In particolare, secondo quanto previsto dall'art. 93 del r.d.  n.
523 del 1904, l'esecuzione di  opere  inerenti  all'alveo  dei  corsi
d'acqua, senza  distinzioni  di  sorta  quanto  alle  caratteristiche
dell'intervento da eseguire e del soggetto, privato o  pubblico,  che
deve   realizzarle,   presuppone   la   preventiva   verifica   della
compatibilita'  idraulica  della  relativa  iniziativa  e  dunque  il
rilascio  del  cosiddetto  "nulla  osta  idraulico"  da  parte  della
competente  autorita'  (in  origine,  il  Prefetto   territorialmente
competente, tenuto a rendere il relativo «permesso»). 
    Fuori da tale  previsione  di  massima,  la  specifica  incidenza
idraulica dell'iniziativa da realizzare viene in rilievo, nel  citato
testo unico, in primo luogo nel tipizzare  (art.  96)  una  serie  di
«lavori ed atti» che, se  realizzati  sulle  «acque  pubbliche,  loro
alvei,  sponde  e  difese»,  sono  vietati  in  ogni   caso   perche'
aprioristicamente  ritenuti  pericolosi  rispetto  all'obiettivo   di
tutela perseguito; in secondo luogo, nell'elencare  altre  «opere  ed
atti»  (artt.  97  e  98)  che  possono  essere  realizzate  solo  se
previamente autorizzate alla luce delle indicazioni prescrittive rese
dalla competente autorita' idraulica e rispetto alle  quali,  dunque,
l'autorizzazione assume anche contenuto  conformativo  (lo  «speciale
permesso» e la «speciale  autorizzazione»,  cui  letteralmente  fanno
riferimento le due norme citate da ultimo, in origine  di  competenza
prefettizia o del Ministero dei  lavori  pubblici,  a  seconda  delle
connotazioni dell'intervento). 
    6.3.- Cio' precisato,  non  sembra  dubbio  che  le  disposizioni
desumibili dal testo unico evocato a  supporto  del  ricorso  debbano
ritenersi  riconducibili,  attraverso  una  lettura  diacronica   del
relativo dato normativo, all'attivita' di difesa del suolo cosi' come
definita, oggi, dall'art. 54, lettera u), del decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    Testo normativo, quest'ultimo, che non a caso annovera (art.  56,
comma 1, lettera i) lo svolgimento dei servizi di «polizia idraulica»
tra  le  attivita'  strumentali  ad  «assicurare  la  tutela  ed   il
risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento  idrogeologico
del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni  di  dissesto,  la
messa in sicurezza  delle  situazioni  a  rischio  e  la  lotta  alla
desertificazione» (art. 53, comma 1), in  linea  di  continuita'  con
quanto previsto dagli abrogati artt. 1 e 10  della  legge  18  maggio
1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della
difesa del suolo); e che, per altro verso, integra (art. 115, commi 1
e 2 ) la disciplina dettata dal r.d. n. 523 del  1904,  imponendo  le
autorizzazioni dallo stesso previste  anche  per  gli  interventi  di
gestione e trasformazione del «suolo e del  soprassuolo»  resi  nelle
aree di pertinenza dei corsi d'acqua (la fascia di almeno dieci metri
dalla  sponda  dei  fiumi,  laghi,  stagni  e  lagune),  al  fine  di
assicurare  «il  mantenimento  o  il  ripristino  della   vegetazione
spontanea  nella  fascia  immediatamente  adiacente  i  corpi  idrici
[...]». 
    La relativa disciplina, secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa  Corte,  rientra,   quindi,   nella   materia   della   tutela
dell'ambiente, di esclusiva competenza statale,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 77 del 2017, n. 83
del 2016, n. 109 del 2011, n. 341 del 2010 e n. 232  del  2009);  con
l'ulteriore conseguenza  che  «le  disposizioni  legislative  statali
adottate in tale ambito fungono da  limite  alla  disciplina  che  le
Regioni, anche a  statuto  speciale,  dettano  nei  settori  di  loro
competenza, essendo ad  esse  consentito  soltanto  eventualmente  di
incrementare  i  livelli  della  tutela   ambientale,   senza   pero'
compromettere  il  punto  di  equilibrio  tra  esigenze  contrapposte
espressamente individuato dalla norma dello Stato» (sentenza  n.  300
del 2013). 
    6.4.-  Individuato   l'ambito   materiale   cui   ricondurre   le
disposizioni regionali in questione, va altresi' sottolineato che  le
stesse  sono  caratterizzate  dall'intento  -  reso  esplicito  dalla
rubrica del censurato art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017
- di procedere  ad  una  semplificazione  dell'azione  amministrativa
legata alla verifica di compatibilita' idraulica degli interventi  da
realizzare all'interno degli alvei o sulle sponde dei  corsi  d'acqua
ricompresi nei relativi ambiti  territoriali;  cio',  del  resto,  in
linea di continuita' con soluzioni, dal tenore analogo, che la stessa
Regione ha in precedenza adottato in  via  regolamentare  (in  questi
termini il regolamento della Regione Liguria 14 luglio  2011,  n.  3,
intitolato «Regolamento recante disposizioni  in  materia  di  tutela
delle  aree  di  pertinenza  dei  corsi  d'acqua»)  e  di   indirizzo
amministrativo (con la deliberazione  della  Giunta  regionale  della
Regione Liguria 12 ottobre 2012, n.  1209,  resa  in  esecuzione  del
citato regolamento). 
    6.4.1.- In questa cornice di riferimento, l'art. 15  della  legge
regionale  censurata  modula  il  procedimento  di   verifica   della
compatibilita' idraulica degli  interventi  che  riguardano  alvei  e
sponde dei corsi d'acqua in termini diversi da quanto previsto  dalla
disciplina statale di riferimento. 
    Per l'esecuzione degli interventi tipizzati dal  comma  1,  viene
prevista una mera comunicazione di inizio attivita', a  fronte  della
quale (comma 2), la Regione puo' disporre, entro  trenta  giorni,  il
diniego dell'intervento, ove ritenuto incompatibile con  il  regolare
deflusso delle acque, risultando lo stesso altrimenti assentito. 
    Per altre ipotesi di intervento  (indicate  al  comma  3),  tutte
connotate   dal   comune   denominatore   offerto   dall'urgenza   di
intervenire,  la   disciplina   regionale   censurata   consente   di
prescindere sia dall'autorizzazione imposta dall'art. 93 del r.d.  n.
523 del 1904, sia dalla comunicazione di  inizio  attivita'  prevista
dal comma 1, dovendo l'esecutore (comma 4)  comunicare  alla  Regione
solo l'accesso in alveo,  entro  le  successive  24  ore,  segnalando
l'urgenza  che  lo  ha  motivato,  nonche'  relazionare   in   ordine
all'intervento realizzato negli alvei dei corpi idrici o loro  sponde
entro i successivi trenta giorni. 
    6.5.- Lo scrutinio di legittimita' costituzionale  porta  ad  una
soluzione non identica per tutte le disposizioni censurate ricomprese
nel citato art. 15 della legge regionale impugnata. 
    Occorre, in particolare, distinguere le previsioni dei commi 1  e
2 dell'articolo in esame da quelle contenute nel successivo comma 3. 
    6.5.1.- Con riguardo alle  ipotesi  disciplinate  dai  primi  due
commi dell'art. 15 della legge reg. Liguria n. 29  del  2017,  e'  di
tutta  evidenza  che,  secondo  quanto  previsto   dalla   disciplina
regionale  censurata,  la  verifica  inerente   alla   compatibilita'
idraulica assumera' le forme del provvedimento  espresso,  diretto  a
manifestare  all'esterno  il  ponderato  bilanciamento  dei  delicati
interessi in gioco, solo in caso di diniego dell'intervento;  e  cio'
in evidente conflitto con l'art. 93, primo comma, del r.d. n. 523 del
1904,  che  impone  sempre  e  comunque  la  preventiva  ed  espressa
valutazione delle ragioni  che  portano  ad  assentire  o  negare  la
realizzazione dell'intervento. 
    Si riduce, in coerenza, il livello di  protezione  fissato  dalla
normativa statale in un ambito che non  lascia  spazi  di  intervento
alle Regioni se non quelli diretti a  garantire  standard  di  tutela
ambientale ancora  piu'  elevati,  nel  caso  neppure  addotti  dalla
Regione resistente (sentenza n. 124 del 2015). 
    6.5.2.- Non assume valenza dirimente verificare se la  disciplina
regionale  censurata  dia   corpo   ad   un   modulo   procedimentale
assimilabile al silenzio assenso di cui all'art.  20  della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
come sembra desumersi dalla necessita' di attendere  il  decorso  dei
trenta giorni dalla comunicazione prima  di  iniziare  i  lavori;  o,
piuttosto, se la stessa costituisca una ipotesi di  liberalizzazione,
in linea con quanto previsto dall'art. 19 della citata legge  n.  241
del 1990, come  porta  a  ritenere  la  natura  dei  poteri  ascritti
all'autorita' idraulica, di  mero  controllo  e  inibizione  rispetto
all'iniziativa  fatta  oggetto  di  comunicazione.   Ogni   ulteriore
considerazione sul tema, infatti, risulta assorbita  e  superata  dal
principio in  forza  del  quale  non  spetta  comunque  alle  Regioni
introdurre deroghe in peius agli istituti  di  protezione  ambientale
che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il  territorio
nazionale (sentenze n. 66 del 2018 e n. 189 del 2016). 
    6.5.3.-    Ne',    inoltre,    puo'     ritenersi     convincente
l'interpretazione dell'art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 offerta dalla
difesa della resistente, secondo la quale il nulla osta  previsto  da
siffatta disposizione,  letteralmente  riferito  alla  esecuzione  di
«opere», per cio' solo risulti anche  esclusivamente  correlato  alla
realizzazione di nuovi volumi in alveo o sulle sponde;  non  sarebbe,
dunque, riferibile agli interventi, di pulizia e manutenzione,  presi
in considerazione dal comma 1 dell'art. 15 impugnato. 
    L'art. 93 del r.d. n. 523 del  1904  non  puo',  infatti,  essere
letto disgiuntamente dalle indicazioni generali e di massima  offerte
dall'art. 2 dello stesso testo  normativo,  in  forza  del  quale  il
controllo ascritto  all'amministrazione  competente  a  tutela  delle
acque pubbliche va esteso alle  «opere  di  qualunque  natura,  e  in
generale sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari,  che  possono
avere relazione con il buon regime delle acque pubbliche [...]».  Non
a caso, del resto, la disciplina statale, nel tipizzare gli atti  che
devono ritenersi radicalmente vietati, si riferisce  genericamente  a
lavori, opere ma anche  a  fatti  e  semplici  condotte  che  possono
influire sul buon  regime  dei  corsi  d'acqua:  il  che,  sul  piano
sistematico, entra in  aperta  contraddizione  con  l'interpretazione
restrittiva dell'art. 93 suggerita dalla difesa della resistente. 
    6.5.4.- E' appena il caso di precisare che cio' non  equivale  ad
affermare che la previsione statale evocata dal  ricorrente  imponga,
sempre e comunque, il rilascio del nulla  osta  idraulico:  ben  puo'
ritenersi, infatti,  che  restino  estranei  alla  relativa  verifica
preventiva interventi caratterizzati da una  strutturale  semplicita'
esecutiva,  in  quanto  tali  certamente  inconsistenti  nella   loro
effettiva incidenza idraulica. 
    Fuori da tali ipotesi, del tutto marginali, non puo' tuttavia che
ribadirsi il principio, rivendicato  dalla  difesa  dello  Stato,  in
forza del quale ogni ulteriore iniziativa, comunque in grado di poter
influire sul buon regime dei corsi d'acqua, deve  ritenersi  compresa
nell'area coperta dal parametro statale evocato. 
    6.5.5.- Ne' vale sottolineare, come  ha  fatto  la  difesa  della
resistente con la memoria depositata, che la  disposizione  impugnata
sarebbe estranea al vulnus prospettato, perche' destinata a replicare
il modulo procedimentale previsto dall'art. 17-bis della legge n. 241
del 1990 con  riguardo  agli  interventi  di  manutenzione  ordinaria
eseguiti da enti pubblici. 
    Anche  a  voler   ritenere   che   la   disposizione   impugnata,
limitatamente a siffatto segmento normativo, possa essere  assimilata
allo schema procedimentale previsto dalla citata norma statale, resta
da ribadire che la previsione regionale riduce sensibilmente i  tempi
della  possibile  verifica  demandata  all'autorita'  idraulica   nel
confronto con l'indicazione di massima contenuta al comma 3 dell'art.
17-bis  della  legge  statale,  dando  comunque  corpo  alla  lesione
prospettata dal Governo (sentenza n. 209 del 2014). 
    Da qui l'illegittimita' costituzionale dei commi 1 e 2  dell'art.
15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2017. 
    7.- Ad una soluzione solo in parte diversa si deve  pervenire  in
riferimento all'art. 15, comma 3. 
    7.1.- Le considerazioni  svolte  a  sostegno  dell'illegittimita'
costituzionale dei commi 1 e 2 dell'art. 15 possono certamente essere
estese al successivo comma 3, nella parte  in  cui  dispone  che  gli
«interventi imprevisti e  non  programmati  su  utenze  di  interesse
pubblico oggetto di concessione» sono sottratti al nulla osta imposto
dall'art. 93 del r.d. n. 523 del 1904; non rileva  piu',  invece,  il
riferimento alla «comunicazione di inizio attivita'» che  tale  norma
pure   contiene,   essendo   stato   travolto    dalla    riscontrata
illegittimita' costituzionale dei commi 1 e 2 dell'art. 15 in esame. 
    L'assoluta  indeterminatezza  del  precetto  ed  in   conseguenza
l'inaccettabile ambiguita' semantica  della  disposizione  censurata,
infatti, rendono concreto il rischio  di  un'elusione  del  principio
imposto dalla norma nazionale, mettendo in discussione lo standard di
protezione ambientale garantito dalla legislazione statale. 
    7.2.- La censura in esame e' invece infondata avuto riguardo alle
altre ipotesi di intervento definite di «somma urgenza» dal  medesimo
comma 3 dell'art. 15. 
    7.2.1.- In particolare, il  riferimento  letterale  agli  «eventi
calamitosi per i quali sia stato dichiarato lo  stato  di  emergenza»
consente di ritenere che il legislatore regionale ha inteso riferirsi
agli eventi da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari  previsti
dall'art. 2, lettera  c),  della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225
(Istituzione del Servizio nazionale di protezione  civile),  rispetto
ai quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza con delibera  del
Consiglio dei ministri, resa ai sensi del  successivo  art.  5  della
stessa legge. Disposizioni, queste, vigenti all'epoca  di  emanazione
della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, oggi abrogate dall'art.  48,
comma 1, lettera a), del decreto legislativo 2  gennaio  2018,  n.  1
(Codice  della  Protezione  Civile)  e  sostituite,   con   contenuti
pressoche' identici, per quel  che  qui  interessa,  dagli  artt.  7,
lettera c), e 24 del decreto da ultimo citato. 
    Cosi' intesa, la disposizione censurata non integra la violazione
prospettata. 
    In siffatti casi, gli interventi  da  realizzare  possono  essere
effettuati anche in deroga  alle  disposizioni  vigenti,  secondo  le
prescrizioni  di  volta  in  volta  stabilite  dalle   ordinanze   di
protezione civile, nei limiti e con le modalita' indicate dallo stato
di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri e nel rispetto dei
principi  generali   dell'ordinamento   giuridico   e   delle   norme
dell'Unione europea, in ragione di quanto previsto dall'abrogato art.
5 della legge n. 225 del 1992 e attualmente dall'art. 25  del  d.lgs.
n. 1 del 2018. 
    La deroga alla disciplina statale evocata dal ricorrente trova la
sua fonte, in effetti, in altre  disposizioni  statali  semplicemente
richiamate dalle norme impugnate, con conseguente infondatezza  della
questione in parte qua. 
    7.2.2.- Del pari, il comma 3 dell'impugnato art. 15  della  legge
regionale in esame non da' luogo al  vulnus  addotto  dal  ricorrente
nella parte in cui non sottopone al  nulla  osta  idraulico  previsto
dall'art. 93 del r.d. n. 523 del 1904 gli interventi urgenti legati a
«eventi potenzialmente  in  grado  di  contaminare  un  sito  di  cui
all'articolo  242  del  d.lgs.  n.  152   del   2006   e   successive
modificazioni e integrazioni». 
    Anche in tal caso, infatti, la potenziale  deroga  alla  verifica
preventiva imposta dal parametro  interposto  risulta  esclusivamente
incanalata all'interno di un percorso amministrativo dettagliatamente
descritto dalla norma statale, pedissequamente richiamata  da  quella
regionale impugnata. 
    Rimane, dunque, inalterato il sistema dei controlli  legati  alla
incidenza idraulica degli interventi  da  rendere  all'interno  degli
alvei e sulle sponde delle acque pubbliche, suscettibile  di  deroghe
solo nei limiti di  quanto  previsto  in  modo  uniforme  sull'intero
territorio  nazionale  dalla   legislazione   statale   espressamente
richiamata dalla norma censurata. 
    8.- La dichiarazione di illegittimita' costituzionale dei commi 1
e 2 dell'art. 15 della legge reg. Liguria n. 29 del 2019 nonche'  del
comma 3 dello stesso articolo nella parte in cui  si  riferisce  agli
«interventi imprevisti e  non  programmati  su  utenze  di  interesse
pubblico  oggetto  di  concessione»,  va  altresi'  estesa,  in   via
conseguenziale, anche ai restanti commi del medesimo articolo,  privi
di significato normativo se resi autonomi dalle disposizioni  che  li
precedono. 
    Una  tale  conclusione   non   e'   ostacolata   dalla   parziale
infondatezza delle censure  prospettate  in  direzione  del  comma  3
dell'articolo impugnato. 
    Gli oneri di condotta e le sanzioni previste dai commi 4, 6  e  7
dell'articolo in esame e, parimenti, lo stesso compito demandato  dal
comma 5 alla Giunta regionale (per la definizione dei criteri e degli
indirizzi attuativi strumentali  alla  procedura  di  semplificazione
dettata dall'insieme delle disposizioni regionali censurate),  devono
ritenersi implicitamente riferiti alle sole previsioni, contenute nei
commi precedenti, ritenute illegittime alla luce delle considerazioni
svolte in precedenza. 
    Si tratta, infatti, di  disposizioni  all'evidenza  incompatibili
con gli ambiti procedimentali  inerenti  alle  deroghe  previste  dal
comma 3 dell'articolo censurato ritenute conformi  a  Costituzione  e
rimaste estranee al vizio di  illegittimita'  costituzionale  dedotto
con il ricorso. 
    9.- Sono fondate le questioni riferite agli artt. 24, comma 2,  e
35, comma 3, della medesima  legge  reg.  Liguria  n.  29  del  2017,
relativi alla disciplina di alcuni aspetti dell'attivita'  venatoria.
Anche  queste  censure  sono  prospettate  lamentando  la  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: in entrambi i  casi,
infatti vengono introdotte disposizioni  in  deroga  alle  previsioni
contenute nella legge n. 157 del 1992, riducendo il livello minimo di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema garantito  dalla  legislazione
statale. 
    10.- L'art. 24, comma  2,  della  legge  regionale  impugnata  ha
modificato l'art. 2 della legge della Regione Liguria 11 marzo  2014,
n. 4 (Norme per il rilancio dell'agricoltura  e  della  selvicoltura,
per la salvaguardia del territorio rurale ed istituzione della  banca
regionale della terra). In particolare, e' stato  aggiunto  il  comma
3-bis, in forza del quale la Regione, per  l'attivita'  di  controllo
faunistico,  puo'  avvalersi  «oltreche'  dei  soggetti   individuati
all'articolo 36, comma 2, lettera b) della legge regionale 1°  luglio
1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna  omeoterma
e  per  il  prelievo  venatorio)   e   successive   modificazioni   e
integrazioni, anche del concorso di coadiutori appositamente formati,
in coerenza con i criteri di cui  all'articolo  22,  comma  6,  della
legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge-quadro sulle  aree  protette)  e
successive modificazioni e integrazioni». 
    10.1.- Ad avviso del ricorrente, tale disposizione  consente  che
il controllo faunistico venga  esercitato  con  modalita'  e  tramite
personale differenti da quelli tassativamente  previsti  dalla  norma
statale di riferimento, nel caso individuata nell'art. 19,  comma  2,
della legge n. 157 del 1992. Disposizione, questa, secondo la quale i
piani di  abbattimento  autorizzati  dalle  Regioni,  finalizzati  al
controllo delle specie  di  fauna  selvatica,  vanno  «attuati  dalle
guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni  provinciali»,  le
quali  ultime  potranno  «altresi'  avvalersi   dei   proprietari   o
conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani  medesimi,  purche'
muniti di licenza per l'esercizio venatorio,  nonche'  delle  guardie
forestali e delle guardie comunali munite di licenza per  l'esercizio
venatorio [...]». 
    L'evocato  parametro  interposto,  secondo  il   Presidente   del
Consiglio dei ministri, fissa una regola minima, non derogabile dalle
Regioni, in materia di preservazione della fauna e, dunque,  in  tema
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    Di qui la violazione addotta, giacche' la disposizione  regionale
impugnata avrebbe per un verso  modificato  il  contenuto  precettivo
della  norma  interposta,  abilitando  all'attuazione  dei  piani  di
abbattimento anche coadiutori appositamente formati; per altro  verso
assegnato all'amministrazione regionale e non a quella provinciale la
responsabilita' per l'attuazione del controllo faunistico. 
    10.2.- Giova premettere che sia il ricorso (nell'intestazione del
paragrafo  destinato  alla  censura  in  esame,   oltre   che   nelle
conclusioni), sia la stessa deliberazione del Consiglio dei  ministri
in forza della  quale  e'  stata  autorizzata  l'impugnazione,  fanno
riferimento all'intero disposto dell'art. 24 della legge reg. Liguria
n. 29 del 2017. 
    Il  contenuto  delle  motivazioni  di  entrambi  gli  atti  rende
tuttavia evidente che l'oggetto  specifico  della  questione  attiene
unicamente al comma 2 del citato articolo. 
    Il tenore della censura, inoltre, porta a ritenere che la  stessa
e' diretta a contrastare la norma in questione con  riferimento  alla
sola categoria dei «coadiutori appositamente formati, in coerenza con
i criteri di cui all'articolo 22, comma 6,  della  legge  6  dicembre
1991, n. 394 [...]», senza  contestare  il  riferimento  ai  soggetti
«individuati all'articolo  36,  comma  2,  lettera  b),  della  legge
regionale 1° luglio 1994, n. 29 [...]». 
    10.3.- Al tema del controllo faunistico  e'  dedicato  l'art.  36
della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, al  quale,  anche  sotto  il
versante dei soggetti abilitati alla partecipazione  ai  piani,  sono
state apportate modifiche dall'art. 93, comma 1,  della  legge  della
Regione Liguria 30 dicembre 2015, n. 29, recante «Prime  disposizioni
per  la  semplificazione  e  la  crescita  relative   allo   sviluppo
economico, alla formazione e lavoro, al  trasporto  pubblico  locale,
alla  materia  ordinamentale,  alla  cultura,  spettacolo,   turismo,
sanita', programmi regionali  di  intervento  strategico  (P.R.I.S.),
edilizia, protezione  della  fauna  omeoterma  e  prelievo  venatorio
(Collegato alla legge di stabilita' 2016)». 
    Questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  delle
modifiche in questione nella parte in cui, sostituendo il comma 2 del
citato art. 36,  veniva  consentita,  per  quel  che  qui  interessa,
l'attuazione dei  piani  di  abbattimento  da  parte  di  «cacciatori
riuniti in squadre validamente costituite e di cacciatori in possesso
della  qualifica  di  coadiutore  al  controllo   faunistico   o   di
selecontrollore»; e cio' in ragione  della  tassativita'  dell'elenco
contenuto nell'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, tale da
non consentire «ai cacciatori di prendere  parte  all'abbattimento  a
meno che non siano proprietari o conduttori del fondo  sul  quale  si
attua il piano» (sentenza n. 139 del 2017). 
    10.4.- Con le disposizioni impugnate  la  Regione  resistente  e'
nuovamente intervenuta sul tema del controllo  faunistico,  stavolta,
tuttavia, senza novellare l'apposita disciplina  dettata  all'interno
della legge reg. Liguria n. 29 del 1994, bensi' aggiungendo il  comma
3-bis all'art. 2 della legge reg.  Liguria  n.  4  del  2014.  Legge,
quest'ultima, diretta  a  «promuovere  il  rilancio  delle  attivita'
agricole e selvicolturali, anche attraverso  il  recupero  produttivo
dei terreni abbandonati, incolti o insufficientemente coltivati e  la
salvaguardia del territorio» (art. 1, comma 1) e in particolare,  per
quel che  qui  interessa,  a  «sostenere  gli  sforzi  delle  aziende
agricole e dei comuni volti alla preservazione delle  coltivazioni  e
alla salvaguardia del territorio, tramite una piu' efficace azione di
controllo delle specie selvatiche» (art. 1, comma 2, lettera f-bis). 
    In questa ottica, la norma impugnata ha previsto che la  Regione,
«[i]n vista di una piu' efficace tutela delle  coltivazioni,  nonche'
per  rispondere  con  maggiore  tempestivita'  ed  incisivita'   alle
richieste  di  intervento  provenienti  dai  comuni,  [...]  per   le
attivita'  di  controllo  faunistico,  puo'  avvalersi,   sull'intero
territorio  regionale  [...]  anche  del   concorso   di   coadiutori
appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui  all'articolo
22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394». 
    10.5.-  Siffatta  ricostruzione  sistematica  porta   dunque   ad
affermare  che,  nel  territorio  della  Regione  Liguria,  il   tema
afferente all'individuazione  dei  soggetti  legittimati  a  prendere
parte ai piani di abbattimento funzionali al  controllo  della  fauna
selvatica  risulta  disciplinato  non  solo  dalla   norma   a   cio'
espressamente deputata (il comma 2 dell'art. 36 della legge n. 29 del
1994), ma anche dalla disposizione oggetto del ricorso in esame. 
    Ne consegue che, combinando i due dati normativi in ragione della
comune identita' di oggetto,  la  relativa  disciplina  regionale  di
riferimento consente che ai piani di abbattimento  venatori  prendano
parte i cacciatori proprietari o conduttori del fondo  sul  quale  si
attua il piano, ai sensi del comma 2, lettera c), dell'art. 36  della
legge reg. Liguria n. 29 del  1994;  le  guardie  volontarie  cui  si
riferisce l'art. 36 comma 2, lettera b), della stessa legge regionale
da ultimo citata (richiamato anche dalla disposizione  censurata,  ma
estraneo  all'impugnazione  per  quanto  gia'   detto);   infine,   i
coadiutori appositamente formati in coerenza con  i  criteri  di  cui
all'art. 22, comma 6, della legge n. 394 del  1991,  figure  previste
dal comma 3-bis dell'art. 2 della legge reg. Liguria n. 4  del  2014,
introdotto dal censurato art. 24, comma 2, della legge reg. n. 29 del
2017. 
    10.6.- Cio'  premesso,  va  ribadito  che,  secondo  il  costante
orientamento  della  Corte,  e'  da  considerare  tassativo  l'elenco
contenuto nell'art. 19, comma 2, della legge  n.  157  del  1992  con
riguardo alle persone abilitate all'attivita'  di  realizzazione  dei
piani di abbattimento della fauna selvatica: una sua integrazione  da
parte della legge regionale riduce il livello minimo  e  uniforme  di
tutela dell'ambiente imposto dalla citata norma statale  (oltre  alla
gia' citata sentenza n. 139 del 2017, si vedano anche, da ultimo,  le
sentenze n. 217 del 2018 e n. 174 del 2017). 
    Quest'ultima, infatti, non attiene alla caccia, materia  ascritta
alla  competenza  residuale  delle  regioni.  Disciplina,  piuttosto,
un'attivita', l'abbattimento di fauna nociva, che e' svolta  non  per
fini venatori, ma per tutelare l'ecosistema,  com'e'  confermato  dal
fatto che e' presa in considerazione dalla norma  statale  solo  come
extrema ratio,  dopo  che  i  metodi  ecologici  non  sono  risultati
efficaci.  
    Alla  luce  di  quanto  sopra,  il  riferimento  «ai   coadiutori
appositamente formati, in coerenza con i criteri di cui  all'articolo
22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991  n.  394»,  contenuto  nella
disposizione  censurata,  amplia  illegittimamente  il   novero   dei
soggetti legittimati a  prendere  parte  ai  piani  di  abbattimento,
concretando  l'addotta  violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,
lettera s), Cost. 
    10.7.-  Ne'  vale  a   superare   tale   conclusione   l'espresso
riferimento che la norma impugnata rende al  dato  normativo  statale
(per l'appunto, l'art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991),  in
forza  del  quale  risulta  permesso  ai  cacciatori   residenti   di
partecipare ai piani nelle aree naturali protette; dato questo,  che,
ad avviso della difesa  della  resistente,  ancor  di  piu'  dovrebbe
legittimarne la partecipazione in ambiti territoriali non protetti. 
    Tale riferimento, come la Corte ha gia' avuto modo  di  chiarire,
riguarda,  infatti,  «normative  speciali,  la  cui  estensione,   in
violazione della regola generale enunciata dall'art. 19  della  legge
n. 157 del 1992, non compete certamente alla  Regione»  (sentenza  n.
107 del 2014). 
    Ne'  rileva,  infine,  che  altre   discipline   regionali,   non
puntualmente impugnate innanzi alla Corte, abbiano un tenore  analogo
a quello proprio della disposizione della legge della Regione Liguria
oggetto di scrutinio. L'inerzia, anche  reiterata,  del  Governo  non
offre infatti alcun valido sussidio alla legittimita'  costituzionale
delle norme impugnate con il ricorso in esame. 
    10.8.-  La  fondatezza  della   censura   porta,   dunque,   alla
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  del  comma   3-bis
dell'art. 2 della legge  reg.  Liguria  n.  4  del  2014,  introdotto
dall'art. 24, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, nella
parte in cui prevede che la Regione, per le  attivita'  di  controllo
faunistico,  puo'  avvalersi  «anche  del  concorso   di   coadiutori
appositamente formati in coerenza con i criteri di  cui  all'articolo
22, comma 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro  sulle
aree protette) e successive modificazioni e integrazioni». 
    Resta assorbita l'ulteriore censura prospettata con il ricorso in
riferimento alla disposizione in esame. 
    11.- A una soluzione  identica  si  perviene  con  riguardo  alla
questione avente a oggetto l'art.  35,  comma  3,  della  legge  reg.
Liguria n. 29 del 2017. 
    11.1.- La disposizione impugnata ha  novellato  l'art.  47  della
legge reg. Liguria n. 29 del  1994,  introducendo  nell'impianto  del
citato articolo il comma 7-ter, in forza  del  quale  e'  vietato  il
commercio di «fauna  selvatica  morta,  fatta  eccezione  per  quella
proveniente da allevamenti o da abbattimenti venatori o di  controllo
autorizzati nel rispetto delle  modalita'  previste  dalla  normativa
sanitaria  vigente,  per   sagre   e   manifestazioni   a   carattere
gastronomico». 
    Ad avviso del ricorrente, la  previsione  impugnata  si  pone  in
conflitto con i divieti previsti dall'art. 21 della legge n. 157  del
1992, non derogabili dalle Regioni. 
    Anche con riferimento a tale disposizione si  prospetta,  dunque,
la violazione dell'art. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.  per
l'indebita invasione della  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato in materia di tutela ambientale. 
    11.2.-  Il  ricorrente,  per  il  vero,  si  limita  ad   evocare
genericamente l'art. 21 della legge n. 157 del 1992, senza  precisare
a quale delle disposizioni contenute  in  siffatto  articolo  intende
ancorare la censura. 
    Il  precetto  statale  incompatibile  con  la   norma   regionale
impugnata emerge, tuttavia, con evidenza dal contenuto  oggettivo  di
tale ultima  disposizione,  la  quale  replica  quello  della  prima,
aggiungendo,  pero',  ad  essa  le  deroghe  che  danno  luogo   alla
violazione  lamentata  dal  Governo.  E  cio'  consente   l'immediata
individuazione del divieto, tra quelli elencati nel comma 1 dell'art.
21 della citata legge n. 157 del 1992, espressamente  derogato  dalla
disposizione impugnata: segnatamente, quello previsto  dalla  lettera
t) del citato comma 1. 
    11.3.- Si e'  gia'  evidenziato  che  la  materia  della  caccia,
secondo la costante giurisprudenza di  questa  Corte,  rientra  nella
potesta' legislativa residuale  delle  Regioni,  tenute  nondimeno  a
rispettare  i  criteri  fissati  dalla  legge  n.  157  del  1992   a
salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema. Tale  legge  stabilisce
il punto di  equilibrio  tra  «il  primario  obiettivo  dell'adeguata
salvaguardia del  patrimonio  faunistico  nazionale»  e  «l'interesse
[...] all'esercizio dell'attivita'  venatoria»  (sentenza  n.  4  del
2000); conseguentemente, i livelli di tutela da  questa  fissati  non
sono derogabili in peius dalla legislazione regionale  (ex  plurimis,
sentenze n. 174, n. 139 e n. 74 del 2017). 
    11.4.- L'art. 21, comma 1, lettera t), della  legge  n.  157  del
1992 consente la commercializzazione di  fauna  selvatica  morta  per
sagre e manifestazioni solo se la stessa provenga da allevamenti. Per
il resto, in linea con  altre  disposizioni  contenute  nel  medesimo
comma 1 dell'art. 21, caratterizzate dalla stessa ratio (in tal senso
le ipotesi di cui alle  lettere  bb,  cc,  ee),  prevede  il  divieto
assoluto della relativa attivita': viene cosi' anteposto  l'interesse
alla tutela del patrimonio faunistico, altrimenti  compromesso  dalle
prospettive di lucro offerte dalla  commercializzazione  della  fauna
selvatica. 
    Un siffatto divieto costituisce un  limite  invalicabile  per  le
iniziative legislative delle Regioni, pur  in  materie,  come  quella
della caccia, ascritte alla loro competenza legislativa residuale.  E
tale confine non superabile emerge ancora con piu'  nettezza  laddove
si consideri che  il  legislatore  statale  ha  dotato  di  peculiare
pregnanza  il  precetto  in  questione,   finendo   per   sanzionarne
penalmente la relativa violazione (con l'arresto da due a sei mesi  o
l'ammenda da lire da euro 516 a  euro  2.065  in  ragione  di  quanto
previsto dall'art. 30, comma 1, lettera l, della stessa legge n.  157
del 1992). 
    11.5.-    La    disposizione    impugnata,     consentendo     la
commercializzazione  della  fauna  selvatica  morta   per   sagre   e
manifestazioni anche nelle ipotesi  in  cui  la  stessa  provenga  da
abbattimenti venatori o di controllo, amplia le  deroghe  al  divieto
imposto dalla disciplina statale  e  riduce  pertanto  i  livelli  di
tutela da  questa  fissati,  determinando  il  vulnus  lamentato  dal
governo ricorrente. 
    Di qui l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47, comma 7-ter,
della legge reg. Liguria n. 29 del  1994,  introdotto  dall'art.  35,
comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2017, limitatamente  alle
parole «o da abbattimenti venatori o  di  controllo  autorizzati  nel
rispetto delle modalita' previste dalla normativa sanitaria vigente».