ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  commi
1,  2  e  3,  del  decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  545
(Ordinamento degli organi speciali  di  giurisdizione  tributaria  ed
organizzazione degli uffici di  collaborazione  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'art.  30  della  legge  30  dicembre
1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria  provinciale  di
Novara, nel procedimento vertente tra  Mauro  Bolognesi  e  l'Agenzia
delle entrate - Direzione provinciale di Novara, con ordinanza del  4
aprile 2018, iscritta  al  n.  105  del  registro  ordinanze  2018  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  33,  prima
serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20 febbraio 2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis. 
    Ritenuto che con ordinanza del 4 aprile 2018, iscritta al n.  105
reg. ord. 2018, la Commissione tributaria provinciale  di  Novara  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo  31  dicembre  1992,  n.  545
(Ordinamento degli organi speciali  di  giurisdizione  tributaria  ed
organizzazione degli uffici di  collaborazione  in  attuazione  della
delega al Governo contenuta nell'art.  30  della  legge  30  dicembre
1991, n. 413), in riferimento agli artt. 101, 111 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art.  6,  paragrafo
1, della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso  da
un contribuente nei confronti dell'Agenzia delle entrate -  Direzione
provinciale  di  Novara,  con  l'impugnazione  del   silenzio-rifiuto
formatosi sull'istanza di rimborso dell'IVA pagata negli anni 2015  e
2016 sulle accise  applicate  alla  fornitura  domestica  di  energia
elettrica; 
    che,  ad  avviso  del  rimettente,  le   norme   censurate,   che
disciplinano  il  trattamento  retributivo   dei   componenti   delle
commissioni tributarie, non assicurano  l'apparenza  di  indipendenza
del giudice tributario richiesta  dalla  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo in tema di equo processo  e  violano  i
principi costituzionali del giusto processo e  dell'indipendenza  dei
giudici; 
    che  l'invocato  parametro   convenzionale   interposto   sarebbe
«direttamente applicabil[e]» nel giudizio a quo, in  quanto  in  esso
«si controverte in materia di tributi armonizzati»; 
    che, in un primo senso,  le  norme  censurate  pregiudicherebbero
l'indipendenza del giudice, nella parte in cui  stabiliscono  che  la
determinazione, la liquidazione e il pagamento del compenso spettante
ai componenti delle commissioni tributarie siano effettuati  «d[a]lla
stessa amministrazione i cui provvedimenti sono soggetti al controllo
giurisdizionale», vale a dire «il  Ministro  delle  finanze»  (quanto
alla determinazione dei  compensi),  la  «direzione  regionale  delle
entrate, nella cui circoscrizione ha sede la  commissione  tributaria
di  appartenenza»  (quanto  alla  liquidazione),  e   il   «dirigente
responsabile  della  segreteria   della   commissione»   (quanto   al
pagamento); 
    che, sotto  un  secondo  profilo,  l'inadeguatezza  dei  compensi
corrisposti ai giudici tributari pregiudicherebbe la loro immagine di
indipendenza e imparzialita'  «verso  l'esterno»,  in  contrasto  con
l'art. 6, paragrafo 1,  CEDU  (e'  citata  la  sentenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo  27  novembre  2008,  Miroshnik  contro
Ucraina, alla cui  stregua  l'indipendenza  sarebbe  pregiudicata  se
elementi decisivi per il mantenimento di un tenore di  vita  decoroso
del  giudice  dipendessero  da   scelte   gestionali   dell'autorita'
governativa); 
    che, ad avviso del  rimettente,  le  norme  censurate  potrebbero
essere  sottoposte  allo  scrutinio  di  costituzionalita',  pur  non
disciplinando il merito o lo svolgimento del processo principale,  in
quanto   il   legislatore   potrebbe   altrimenti   costituire    una
giurisdizione illegittima e sottrarre al controllo  di  questa  Corte
disposizioni  potenzialmente  lesive  degli  obblighi  internazionali
dello Stato, dei diritti fondamentali dell'uomo e del  principio  del
giusto processo; 
    che     nemmeno     sarebbe     esperibile     un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  disciplina,  sia  per  la   sua
inequivocita', sia perche' un diverso trattamento economico  potrebbe
essere ipotizzato solo in base a un intervento «del  tutto  creativo»
sottratto ai poteri del giudice, ne' l'attivazione di  altri  «rimedi
processuali» da parte dei  componenti  della  commissione  rimettente
potrebbe scongiurare il vizio di costituzione del giudice determinato
dal  difetto  di  indipendenza,  che  riguarderebbe  non  il  singolo
componente ma il complesso dei giudici tributari; 
    che, con atto depositato in cancelleria l'11 settembre  2018,  e'
intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o  comunque
manifestamente infondate; 
    che l'inammissibilita' deriverebbe in primo luogo dal difetto  di
rilevanza, in quanto le norme censurate, disciplinando la materia dei
compensi spettanti ai componenti delle  commissioni  tributarie,  non
inciderebbero  ne'  sul  rapporto  in  ordine  al  quale  il  giudice
rimettente e' chiamato a decidere, ne' sulla composizione dell'organo
giudicante; e neppure potrebbe  condurre  a  diverse  conclusioni  la
paventata  sottrazione   delle   stesse   norme   al   controllo   di
costituzionalita', in quanto la disciplina in esame  potrebbe  essere
sottoposta allo scrutinio della Corte in via incidentale, ad  esempio
nel corso di un  giudizio  promosso  da  un  giudice  tributario  che
contestasse l'ammontare del compenso ricevuto; 
    che le questioni sarebbero inoltre inammissibili,  come  ritenuto
da questa Corte con l'ordinanza n.  227  del  2016,  pronunciando  su
un'analoga questione relativa alle stesse norme,  per  genericita'  e
mancanza di autosufficienza, sia in  ordine  all'attuale  regime  dei
compensi spettanti ai giudici tributari, sia  in  ordine  al  diverso
regime che dovrebbe operare a  seguito  dell'auspicata  pronuncia  di
incostituzionalita', la cui  portata  demolitoria  non  soddisferebbe
comunque l'interesse prospettato dal  rimettente,  realizzabile  solo
con un intervento legislativo ampiamente discrezionale; 
    che, nel merito, l'interveniente osserva che  il  giudice  a  quo
muoverebbe dall'erroneo presupposto che il Ministero dell'economia  e
delle finanze,  competente  a  erogare  i  compensi,  sia  la  stessa
amministrazione  i  cui  provvedimenti  sono  soggetti  al  controllo
giurisdizionale, trattandosi invece di  un  soggetto  distinto  dalle
agenzie fiscali istituite con il decreto legislativo 30 luglio  1999,
n.  300   (Riforma   dell'organizzazione   del   Governo,   a   norma
dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59); 
    che le  questioni  sarebbero  comunque  infondate,  in  quanto  i
compensi dei  giudici  tributari  sono  determinati  con  un  decreto
ministeriale assunto sulla base  di  parametri  fissati  direttamente
dalla legge (ex art. 13, comma 2, del  d.lgs.  n.  545  del  1992)  e
vengono materialmente erogati dalla direzione generale delle  entrate
e dal  dirigente  responsabile  della  segreteria  della  commissione
tributaria (ex art. 13, comma 3, dello stesso d.lgs.)  nell'esercizio
di attivita' vincolate ed esecutive, inidonee a determinare un vulnus
all'indipendenza e all'imparzialita' del giudice tributario. 
    Considerato che la Commissione tributaria provinciale  di  Novara
dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1,  2  e
3, del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  545  (Ordinamento
degli organi speciali di giurisdizione tributaria  ed  organizzazione
degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al  Governo
contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.  413),  nella
parte in cui stabilisce che la determinazione, la liquidazione  e  il
pagamento del compenso  spettante  ai  componenti  delle  commissioni
tributarie siano effettuati,  rispettivamente,  dal  «Ministro  delle
finanze»,  dalla  «direzione  regionale  delle  entrate,  nella   cui
circoscrizione ha sede la commissione tributaria di appartenenza»,  e
dal «dirigente responsabile della segreteria della  commissione»,  in
riferimento  agli  artt.  101,  111  e  117,   primo   comma,   della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso  da
un contribuente nei confronti dell'Agenzia delle entrate -  Direzione
provinciale  di  Novara,  con  l'impugnazione  del   silenzio-rifiuto
formatosi sull'istanza  di  rimborso  dell'IVA  pagata  sulle  accise
applicate alla fornitura domestica di energia elettrica; 
    che questioni analoghe a quelle in esame,  riguardanti  le  norme
sulla misura  o  la  liquidazione  del  trattamento  economico  delle
commissioni tributarie, sono state dichiarate inammissibili da questa
Corte per difetto  di  rilevanza,  perche'  non  incidenti,  ne'  sul
rapporto in ordine al quale il giudice e' chiamato  a  decidere,  ne'
sulla composizione o costituzione dell'organo giudicante; 
    che, in particolare, con riguardo allo stesso art. 13 del  d.lgs.
n. 545 del 1992 - censurato nella parte in cui, al comma  2,  prevede
per i giudici tributari «un  compenso  aggiuntivo  per  ogni  ricorso
definito» -, questa Corte ha affermato che «[...] la norma  censurata
riguarda esclusivamente la misura del compenso del giudice tributario
e,  pertanto,  non  attiene  ne'  alla   "composizione",   ne'   alla
costituzione del  giudice  medesimo,  cioe'  alla  legittimazione  di
questo ad esercitare le  proprie  funzioni,  e  neppure  deve  essere
applicata dal rimettente nel giudizio principale» (ordinanza  n.  180
del 2006); 
    che la stessa conclusione era stata raggiunta  (sentenza  n.  196
del 1982; ordinanze n. 447 del 1991, n. 331 e n. 326  del  1987)  con
riguardo ad  analoghe  questioni  aventi  ad  oggetto  la  previgente
disciplina sul trattamento economico dei componenti delle commissioni
tributarie, contenuta nell'art. 12 del d.P.R. 28 ottobre 1972, n. 636
(Revisione della disciplina del contenzioso tributario); 
    che questi principi sono stati confermati di  recente  da  questa
Corte con la sentenza n.  164  del  2017,  pronunciata  su  questioni
sollevate in via incidentale in giudizi  dove  non  era  direttamente
applicabile la disciplina - in quelle  sedi  censurata  -  introdotta
dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni  cagionati
nell'esercizio delle funzioni giudiziarie  e  responsabilita'  civile
dei magistrati), come modificata dalla legge 27 febbraio 2015, n.  18
(Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati); 
    che neppure si profila il pericolo, paventato dal giudice a  quo,
di una sostanziale sottrazione della disciplina oggetto del  presente
giudizio  al  controllo   di   costituzionalita',   essendo   agevole
ipotizzare, come ha osservato l'interveniente, che possano  insorgere
controversie sui compensi dei giudici tributari e che nel loro ambito
possano essere sollevate questioni  analoghe  (sentenza  n.  196  del
1982, nella quale  si  afferma  che  la  disciplina  sul  trattamento
economico  non  trova  applicazione  da   parte   delle   commissioni
tributarie, in quanto «essa attiene invece alla regolamentazione  del
rapporto che  si  costituisce  fra  i  componenti  le  commissioni  e
l'Amministrazione finanziaria  competente  a  liquidare  e  pagare  i
corrispettivi in parola e le  controversie  che  possono  sorgere  al
riguardo vanno sottoposte ad altri giudici del nostro ordinamento»); 
    che le questioni  presentano,  altresi',  gli  ulteriori  profili
preliminari di inammissibilita' gia' rilevati  da  questa  Corte  con
ordinanza n.  227  del  2016,  pronunciata  prima  dell'ordinanza  di
rimessione su questioni identiche  per  norme  denunciate,  parametri
evocati e motivi di censura, ma non considerata dal giudice a quo; 
    che anche in quel giudizio, esteso  alla  piu'  ampia  disciplina
ordinamentale e organizzativa della giustizia tributaria,  oltre  che
alle disposizioni processuali in tema di astensione del  giudice,  si
deduceva  che  l'apparenza  di  indipendenza  dei  giudici  tributari
sarebbe lesa dalla disciplina del loro trattamento retributivo, sotto
entrambi gli aspetti qui prospettati, senza fornire  indicazioni  sul
diverso  assetto  che  dovrebbe  caratterizzare   il   regime   della
determinazione, della liquidazione e del pagamento delle retribuzioni
dei giudici, in luogo di quello censurato, ovvero sul diverso sistema
retributivo che sarebbe idoneo a superare, secondo il giudice a  quo,
l'attuale inadeguatezza dei compensi; 
    che -  come  afferma  l'ordinanza  n.  227  del  2016  -  «queste
omissioni comportano l'indeterminatezza e l'ambiguita' dei petita,  e
di conseguenza, secondo la  costante  giurisprudenza  costituzionale,
l'inammissibilita' delle questioni (ex plurimis, sentenze n. 220 e n.
218 del 2014, n. 220 del 2012, n. 186 e n. 117 del 2011; ordinanze n.
269 del 2015, n. 266 del 2014, n. 335, n. 260 e n. 21 del 2011)»; 
    che un'altra ragione di  inammissibilita'  -  rilevata  anch'essa
nell'ordinanza n. 227 del 2016 - deriva dal fatto che  il  giudice  a
quo ha richiesto a questa Corte un intervento creativo caratterizzato
da un grado di manipolativita' tanto elevato  da  investire  l'intero
sistema che regola  il  trattamento  retributivo  dei  giudici  e  da
eccedere cosi' «i poteri di intervento della Corte, implicando scelte
affidate alla discrezionalita' del legislatore (ex plurimis, sentenze
n. 248 del 2014 e n. 252 del 2012; ordinanze n. 269 del 2015, n.  156
del 2013, n. 182 del 2009, n. 35 del 2001 e n. 117 del 1989)»; 
    che lo stesso giudice a quo, oltre a non addurre argomenti  nuovi
rispetto a quelli gia' esaminati nella citata ordinanza  n.  227  del
2016, finisce con riconoscere l'ampia discrezionalita' che connota la
disciplina della materia,  la'  dove  ammette  che  un  inquadramento
economico dei giudici tributari diverso  da  quello  stabilito  dalle
norme censurate si tradurrebbe in un  intervento  di  carattere  «del
tutto "creativo"», non realizzabile dal  giudice  comune  in  via  di
interpretazione, senza considerare che lo stesso  carattere  preclude
anche l'auspicato intervento di questa Corte; 
    che,  in  conclusione,  le  questioni  devono  essere  dichiarate
manifestamente inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.