IL COLLEGIO ARBITRALE Composto dai signori: prof. avv. Agatino Cariola - Presidente; avv. Nicola Natullo - componente; avv. Marianna Bennati - componente; avv. Marco Cuttone - segretario; nella procedura tra Ravanusa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renato Sgroi Santagati e Giuliana Sgroi; e le prof.sse Donatella Paolino e Giulia Di Silvestri, rappresentate e difese dall'avv. Pietro Paterniti; Visti gli atti di causa; Viste le disposizioni che regolano il procedimento arbitrale; adotta l'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 134 Cost. e art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87. Premesso in fatto L'Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, con DDG 24 dicembre 2012, n. 2782, ha approvato, ai sensi dell'art. 11 decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 conv. con legge 24 marzo 2012, n. 27, il bando di concorso pubblico straordinario per titoli, per il conferimento di 222 sedi farmaceutiche di nuova istituzione e/o vacanti nella Regione Siciliana, vi hanno partecipato diversi soggetti fra cui il dott. Elio De Silvestri. Con successivo, DDG 4 luglio 2016, n. 1229 dell'Assessorato alla Salute della Regione Siciliana e' stata approvata la graduatoria del concorso straordinario, ed il dott. Elio Di Silvestri e' stato collocato in posizione utile in graduatoria quale candidato vincitore. L'Assessorato alla Salute della Regione Siciliana con DDG 18 gennaio 2018, n. 99, ha assegnato ai candidati vincitori le sedi delle farmacie e preso atto delle accettazioni. Conseguentemente, i dott.ri Giulia Di Silvestri ed Elio Di Silvestri hanno costituito, con atto notarile del 12 marzo 2018, la societa' Ravanusa s.r.l. avente ad oggetto esclusivo l'attivita' di gestione di una o piu' farmacie. Il capitale sociale di Ravanusa s.r.l. e' stato fissato in euro 10.000,00 ed e' stato sottoscritto dalla sig.ra Giulia Di Silvestri per una quota di euro 5.000,00, pari al 50%, e Elio Di Silvestri per una quota di euro 5.000,00 pari al 50%. Successivamente, con atto del 27 aprile 2018, le dott.sse Giulia Di Silvestri e Donatella Paolino hanno concordato la cessione, da parte della prima in favore della seconda, della quota di partecipazione del capitale sociale di Ravanusa s.r.l. Senonche', Ravanusa s.r.l. ha contestato alla dott.ssa Donatella Paolino la possibilita' di far parte della compagine sociale in quanto docente universitaria dell'Universita' degli Studi «Magna Graecia» di Catanzaro. In particolare, Ravanusa s.r.l. ha evidenziato che la dott.ssa Donatella Paolino, poiche' legata ad un rapporto di lavoro quale docente universitario presso la detta Universita', ricadrebbe nell'ipotesi di incompatibilita' prevista dall'art. 8, comma 1, lettera c), legge n. 362/1991, confermata dalla legge n. 124/2017. Al contrario, la prof.ssa Paolino ha ritenuto che non sussista alcuna condizione di incompatibilita' a suo carico, atteso che il proprio rapporto di lavoro esulerebbe dall'ambito di applicazione dell'art. 7, legge n. 362/1991. Successivamente, il 26 giugno 2018, Ravanusa s.r.l., a fronte delle contestazioni formulate dalla dott.ssa Paolino, ed in virtu' di quanto previsto dall'art. 27 dello Statuto, ha presentato istanza al Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Catania per la nomina di un Collegio arbitrale al fine di accertare e dichiarare l'incompatibilita' della dott.ssa Donatella Paolino chiedendone la retrocessione della quota. Ed infatti, l'art. 27 dello Statuto sociale di Ravanusa s.r.l. prevede per tutte le controversie «che dovessero insorgere tra la societa' ed i singoli soci, ovvero tra i soci medesimi, nonche' tra i soci e gli organi sociali o tra i componenti degli stessi, in dipendenza di affari sociali o della interpretazione ed esecuzione del presente statuto [...] saranno deferite al giudizio di un Arbitro Unico o di un Collegio arbitrale composto da tre membri, tanto l 'uno quanto l'altro nominati, su istanza della parte piu' diligente, dal Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Catania». Il Presidente dell'Ordine degli Avvocati, con provvedimento 28 giugno 2018, ha nominato il collegio arbitrale composto dagli arbitri prof. avv. Agatino Cariola (Presidente), avv. Nicola Natullo, avv. Marianna Bennati, che ha fissato per il 16 luglio 2018 la comparizione delle parti innanzi al Collegio arbitrale. All'udienza del 16 luglio 2018 il Collegio arbitrale si e' costituito, una volta che gli arbitri hanno accettato la nomina conferita; si e' nominato come segretario l'avv. Marco Cuttone, e si e' stabilita la sede dell'arbitrato presso lo studio legale del Presidente, prof. avv. Agatino Cariola in Catania, via Gabriella Carnazza n. 51, conferendo a quest'ultimo l'incarico di estensore del lodo. Il Collegio arbitrale, sempre all'udienza del 16 luglio 2018, ha assegnato alle parti termine fino al 31 luglio 2018 per costituirsi nel giudizio arbitrale, per la formulazione dei quesiti, per la produzione dei documenti e per la formulazione di eventuali istanze istruttorie. Il Collegio arbitrale, altresi', ha fissato il termine del 15 settembre 2018 per la presentazione di eventuali memorie replica, per la produzione di ulteriori documenti, per formulare istanze istruttorie in replica e per precisare le domande in conseguenza delle conclusioni della controparte. Le parti si sono ritualmente costituite in giudizio nei termini fissati. Ravanusa s.r.l. ha richiesto al Collegio arbitrale di accertare e dichiarare l'incompatibilita' della dott.ssa Donatella Paolino ai sensi del combinato disposto degli articoli 7 e 8 della legge n. 362/1991 e per l'effetto di disporre, con qualsiasi formula che la dott.ssa Donatella Paolino retroceda alla cedente dott.ssa Giulia Di Silvestri la quota di partecipazione acquisita con l'atto di cessione del 27 aprile 2018 ed affinche' la cedente dott.ssa Giulia Di Silvestri accetti la detta retrocessione; inoltre ha chiesto che la stessa dott.ssa Donatella Paolino, in qualsiasi modo, rimuova l'incompatibilita' che impedisce a Ravanusa s.r.l. di ottenere le autorizzazioni necessarie per l'apertura e la gestione della farmacia. Le dott.sse Paolino e Di Silvestri, invece, hanno richiesto il rigetto delle domande presentate da Ravanusa s.r.l. poiche' infondate in fatto ed in diritto. Le stesse hanno richiesto al Collegio arbitrale di ritenere e dichiarare rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' del combinato disposto degli articoli 7 e 8, comma 1, legge n. 362/1991, nella parte in cui si prevede che la partecipazione alle societa' di capitali di cui all'art. 7 legge n. 362/1991 e' incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato per contrasto con gli articoli l, 2, 3, 35, 41, 47 e 117 Cost. e rimettere, quindi, previa sospensione del giudizio, gli atti alla Corte costituzionale. Ravanusa s.r.l. ha ritenuto di non prendere posizione sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata, rimettendosi alla decisione del Collegio arbitrale. All'udienza del 21 settembre 2018, il Collegio arbitrale, dato atto dell'avvenuta costituzione delle parti, della formulazione dei quesiti e dell'avvenuto deposito dei documenti offerti in comunicazione, ha promosso la discussione nel contraddittorio tra le parti. Ad esito della stessa udienza, il Collegio arbitrale si e' riservato di assumere le proprie determinazioni. Tutto cio' premesso in fatto, nella seduta del 6 dicembre 2018, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 21 settembre 2018 il Collegio arbitrale ha adottato la decisione di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' della disciplina risultante dagli articoli 7 e ss., legge n. 352/1991 per i seguenti motivi in diritto 1. Ai fini della definizione del presente giudizio arbitrale il Collegio ritiene di dover sollevare ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991, nella parte in cui prevede che la partecipazione alle societa' di capitali di cui all'art. 7, comma 1, della medesima legge, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, per le ragioni che seguono. 2. In via preliminare, va precisato che questo Collegio arbitrale rituale, costituito ai sensi dell'art. 27 dello statuto sociale di Ravanusa s.r.l., e' legittimato a sollevare questione di legittimita' costituzionale, in virtu' di quanto affermato nella sentenza n. 376/2001 della Corte costituzionale e della successiva modifica dell'art. 819-bis cod. proc. civ., a norma del quale «Ferma l'applicazione dell'art. 816-sexies, gli arbitri sospendono il procedimento arbitrale con ordinanza motivata nei seguenti casi: [...] 3) quando rimettono alla Corte costituzionale una questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87». Invero, secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, «in un assetto costituzionale nel quale e' precluso ad ogni organo giudicante tanto il potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire il giudizio applicando leggi di dubbia costituzionalita', anche gli arbitri - il cui giudizio e' potenzialmente fungibile con quello degli organi giurisdizionali - debbono utilizzare il sistema di sindacato incidentale sulle leggi [...]. Gli arbitri rituali possono e debbono sollevare incidentalmente questione di legittimita' costituzionale delle norme di legge che sono chiamati ad applicare, quando risulti impossibile superare il dubbio attraverso l'opera interpretativa» (Corte cost. 28 novembre 2001, n. 376; Corte costituzionale 9 maggio 2014, n. 123). Tali condizioni sussistono senz'altro nel caso di specie. 3. Va subito evidenziato che la decisione in merito all'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 157, lettera b) della legge n. 124 del 2017, sia certamente rilevante ai fini del presente giudizio. Non v'e' dubbio, infatti, che dall'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata derivi un cambiamento del quadro normativo, cui questo Collegio deve far riferimento per risolvere la controversia dinnanzi ad esso instaurata. Come noto, il requisito della rilevanza, di cui all'art. 23, comma 2, della legge n. 87 del 1953, esprime «un legame di carattere obiettivo tra il giudizio di costituzionalita' e quello principale, commisurato all'interesse dell'ordinamento di prevenire ogni possibilita' che il giudice applichi nel processo principale una norma anticostituzionale» (Corte cost., sentenza n. 1012/1988). Siffatto legame e' sussistente nel caso in esame. Questo giudicante, infatti, e' chiamato a dirimere la controversia insorta tra la societa' Ravanusa s.r.l. e le odierne convenute, rispettivamente cedente e cessionaria di quote della predetta societa'. Nella specie Ravanusa s.r.l. contesta tale atto di cessione per «evidente e insanabile incompatibilita' di cui all'art. 8, comma primo, lettera c), della legge 362 del 1991, cosi' come e' richiamato dalla legge 124/2017» della cessionaria, prof.ssa Paolino, docente universitaria dell'Universita' degli Studi «Magna Graecia» di Catanzaro. Conseguentemente, da parte attrice e' richiesto a questo arbitro di «accertare e dichiarare l'incompatibilita' della socia prof.ssa Paolino, ai sensi del combinato disposto dell'art. 7 e dell'art. 8, primo comma lettera c), della legge n. 362 del 1991, cosi' come espressamente richiamati e modificati dalla legge n. 124/2017» e, «per l'effetto, disporre, con qualsiasi formula, affinche' la prof.ssa Paolino retroceda alla cedente dott.ssa Di Silvestri la quota di partecipazione acquisita con l'atto di cessione dell'11 maggio 2018 ed affinche' la cedente dott.ssa Di Silvestri accetti la detta retrocessione; o affinche' la stessa prof.ssa Paolino, in qualsiasi modo, rimuova l'incompatibilita' che impedisce alla Ravanusa s.r.l. di ottenere l'autorizzazione all'apertura ed alla gestione della farmacia vinta all'esito del concorso straordinario per nuove sedi farmaceutiche in Sicilia». L'interesse della societa' attrice, dunque, si radica nell'esigenza di rimozione della causa di incompatibilita' che si ritiene sussistere in capo alla prof.ssa Paolino; incompatibilita' che quest'ultima, alla luce della novella legislativa del 2017, ritiene nella specie non sussistere. Da qui, la persistente opposizione alla retrocessione della quota e, al contempo, alla rimozione della rilevata causa di incompatibilita'. Per la risoluzione della controversia l'adita Autorita' giudicante, compreso questo Collegio arbitrale, dovra' preliminarmente valutare se sussista o no la lamentata incompatibilita' della prof.ssa Paolino a far parte della compagine sociale di una s.r.l., il cui scopo sociale e' quello di acquisire la titolarita' di una sede di farmacia, soprattutto laddove si consideri che gli attuali soci della societa' attrice risultano avere diritto all'assegnazione della titolarita' di una nuova sede farmaceutica, in forza del D.D.G. n. 99 del 18 gennaio 2018. Nel valutare la rilevanza, invero, il Collegio «non deve percorrere l'itinerario dell'esame del merito della causa principale, essendo necessario e sufficiente che ricorra una situazione tale, valutata a priori in limine litis, per cui la disposizione contestata sia applicabile ai fini della decisione del giudizio a quo» (Corte cost. sentenza 1012 del 1988). Segnatamente questo giudicante e' chiamato a dare applicazione all'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991, come modificato dall'art. 1, comma 157, lettera b), della legge n. 124 del 2017 (d'ora in poi, legge concorrenza 2017). Per quanto di interesse, giova ricordare l'attuale formulazione dell'art. 7, comma 1 e 2, della legge 362 del 1991, a tenore del quale: «a) Sono titolari dell'esercizio della farmacia privata le persone fisiche, in conformita' alle disposizioni vigenti, le societa' di persone, le societa' di capitali e le societa' cooperative a responsabilita' limitata (art. 7, comma 1); b) Le societa' di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. La partecipazione alle societa' di cui al comma 1 e' incompatibile con qualsiasi altra attivita' svolta nel settore della produzione e informazione scientifica de farmaco, nonche' con l'esercizio della professione medica. Alle societa' di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 8 (art. 7, comma 2)». Il successivo art. 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991 - non coinvolto dalle modifiche della legge sulla concorrenza 2017 - stabilisce che: «La partecipazione alle societa' di cui all'art. 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, e' incompatibile: a) nei casi di cui all'art. 7, comma 2, secondo periodo; b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato». La possibilita' di acquisire la titolarita' di farmacie private, dunque, e' oggi riconosciuta oltre che alle persone fisiche e alle societa' di persone, anche alle societa' di capitali. Al contempo, l'art. 7, comma 2, terzo periodo, continua ad estendere - «per quanto compatibili» - anche ai soci delle societa' di capitali le cause di incompatibilita', gia' previste dall'art. 8, comma 1 della legge n. 362 del 1991. In particolare, tale ultima disposizione, alla lettera c), stabilisce che la partecipazione alle societa' di cui all'art. 7 della medesima legge - e, quindi, dopo la novella del 2017, anche alle societa' di capitali - e' incompatibile «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato». Nel caso in esame, la cessionaria e' ad oggi docente nell'Universita' di Catania, col quale ente, dunque, intrattiene un regolare rapporto di lavoro (di diritto pubblico). Ne consegue che, per la soluzione della controversia, questo Collegio non puo' prescindere dall'applicazione del disposto normativo surriferito. Peraltro, pur non potendo rinvenire, ad oggi, la formazione di indirizzi giurisprudenziali consolidati e tali da configurare ipotesi di diritto vivente con l'indicazione riportata infra sub 5, si segnala sul punto l'intervento, in sede consultiva, del Consiglio di Stato, che con parere del 3 gennaio 2018, al fine di superare taluni aspetti di criticita' evidenziati in sede applicativa, ha ritenuto di adottare una lettura estensiva del perimetro di applicabilita' del richiamato art. 8, comma 1, lettera c) della legge n. 362 del 1991: per un verso, facendo rientrare nella locuzione «rapporto di lavoro» anche forme di lavoro autonomo e non solo subordinato; per altro verso, ritenendo «di non poter escludere dall'applicazione della disposizione le ipotesi in cui la partecipazione si sostanzi in un mero conferimento di capitali» (punto 42.5 del Parere). A parere di questo Collegio, tuttavia, l'applicazione dell'art. 7, comma 2, terzo periodo, nel vigente testo, in combinato disposto con l'art. 8, comma 1, lettera c), determinerebbe - come si avra' modo di meglio argomentare in punto di non manifesta infondatezza della prospettata questione - la lesione di numerosi precetti costituzionali. Da quanto osservato, dunque, consegue che la questione di legittimita' costituzionale promossa da questo Collegio e' rilevante ai fini della risoluzione della presente controversia, assumendo carattere pregiudiziale rispetto alla definizione nel merito della lite insorta tra le parti. 4. Questo giudicante, nella consapevolezza che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne)» (Corte cost., sentenza n. 356 del 1996), ritiene al contempo che, in sede applicativa, non possa darsi un'interpretazione costituzionalmente orientata alla normativa derivante dal combinato disposto degli articoli 7, comma 1 e 2, e dell'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991, come risultanti in seguito alle modifiche apportate dall'art. 1, comma 157, lettera b), della legge n. 124 del 2017, nella parte in cui si esclude che possa partecipare ad una societa' di capitali per l'apertura e la gestione di una farmacia, in qualita' di socio capitalista, chiunque abbia in essere qualsiasi rapporto di lavoro, pubblico o privato. Tali tentativi di interpretazione costituzionalmente conforme finirebbero per tradursi, di fatto, in una sostanziale disapplicazione della normativa de qua; disapplicazione che non puo' essere ammessa, in un sistema di giustizia costituzionale accentrato, o ve spetta alla sola Corte costituzionale l'eventuale caducazione di disposizioni e norme ritenute dal giudice a qua costituzionalmente illegittime. Sotto questo profilo non appare persuasivo la pur pregevole e raffinata tesi di parte convenuta di ricondurre entro il quadro costituzionale il disposto normativa, della cui legittimita' costituzionale questo giudicante, invece, dubita. Secondo la difesa della convenuta, infatti, per la retta interpretazione del vigente art. 7, comma 1, in combinato disposto con l'art. 8, lettera c), della legge n. 362 del 1991, non puo' prescindersi dall'inciso «per quanto compatibili», contenuto nell'ultimo alinea del precitato art. 7, comma 2, nel testo modificato dalla legge concorrenza 2017. Piu' precisamente, a parere della convenuta, con tale specificazione il legislatore avrebbe demandato all'interprete in sede applicativa la valutazione di compatibilita' delle clausole di esclusione alla partecipazione societaria; ne conseguirebbe che l'incompatibilita' con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato sarebbe coerente, e quindi compatibile, solo con il precedente modello organizzativo che, al fine di assicurare che la farmacia fosse comunque gestita da un farmacista, consentiva la titolarita' dell'esercizio di una farmacia a societa' esclusivamente di persone al fine di garantire la assoluta prevalenza dell'elemento professionale su quello imprenditoriale e commerciale. Sicche' un'interpretazione coerente e sistematica dello stratificato complesso normativa in essere escluderebbe per le societa' di capitali, in quanto non compatibile ai sensi del secondo comma dell'art. 7 della legge n. 362 del 1991, l'incompatibilita' dei soci con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato. In particolare, la causa di esclusione di cui all'art. 8, lettera c), al piu', potrebbe ritenersi compatibile, anche nel nuovo regime introdotto dalla legge sulla concorrenza del 2017, per i soci delle sole societa' di persone. A parere della convenuta, in particolare, data l'eterogeneita' delle nuove possibilita' di gestione di una farmacia introdotte dalla legge concorrenza del 2017, e' lo stesso legislatore che con l'inciso «per quanto compatibili» riconosce la non tassativita' e, comunque, la non applicabilita' a tutte le molteplici forme di gestione di una farmacia ora consentite dall'ordinamento delle cause di incompatibilita' previste dall'art. 8 della legge n. 362 del 1991 e, segnatamente, di quella relativa a qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato, logicamente inconciliabile col regime e le peculiarita' di una societa' di capitali, nella quale il socio capitalista non e' tenuto a svolgere alcuna prestazione lavorativa a favore della societa', ne' a compiti di amministrazione della stessa; le societa' di capitali nel nuovo assetto normativa puo' ben essere titolare dell'esercizio di una farmacia privata a condizione che la direzione venga affidata ad un farmacista abilitato, anche non socio. Nella prospettata interpretazione parte convenuta fa leva sull'inciso «in quanto compatibili», contenuto nell'art. 7, comma 2, terzo periodo. Al contempo, pero', siffatta lettura trascura di rilevare la chiara ed invalicabile formulazione dell'art. 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991, a tenore del quale «la partecipazione alle societa' di cui all'art. 7» e' incompatibile, tra l'altro, con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato. Tra le societa' di cui all'art. 7 sono annoverate anche le societa' di capitali, senza distinzione alcuna con le societa' di persone. Ne consegue che le incompatibilita' previste dall'art. 8 della citata legge n. 362 del 1991 non solo si riferiscono alla partecipazione a tutti i tipi sociali previsti dal vigente art. 7, comma 1, della medesima legge, ma anche a tutti i soci di tali societa'. A suffragare, del resto, la difficolta' di leggere secundum Constitutionem la normativa oggetto della presente questione soccorre il gia' richiamato parere del Consiglio di Stato. Al punto 37 del pronunciamento del massimo organo della giustizia amministrativa si precisa, infatti, che la formulazione dell'art. 7, comma 2, ultimo periodo «da' adito a dubbi interpretativi in ordine al reale ambito operativo della stessa. Secondo una rigida interpretazione letterale, invero, le ipotesi di incompatibilita' di cui all'art. 8, comma 1 verrebbero sottoposte ad una condizione di compatibilita' ex art. 7, comma 2, terzo periodo, unicamente nell'ipotesi in cui a partecipare ad una societa' di farmacia sia un'altra societa' di farmacia di cui all'art. 7, comma 1. Diversamente, ritenendo che il filtro della compatibilita' debba essere applicato in generale con riferimento alla partecipazione alle societa' di cui all'art. 7, comma 1, si finirebbe per considerare modulabili in via interpretati va i divieti di cui all'art. 8, comma 1. Questi ultimi, del resto, risultano chiaramente concepiti per soci che, al momento della scrittura della norma, dovevano, necessariamente, essere farmacisti. In tal modo, portando alle estreme conseguenze questa tesi, si potrebbe affermare che il sistema sanzionatorio ivi previsto riguarderebbe esclusivamente coloro che, soci o direttori responsabili, siano farmacisti iscritti all'albo. A conferma di cio' si fa notare che la sospensione nella direzione della farmacia prevista dal comma 3 dell'art. 8 per il caso di violazione si riferisce a soggetti con tale qualifica. Per converso, il regime di incompatibilita' di cui all'art. 7, comma 2, secondo periodo, riguarderebbe qualsiasi socio». In altri termini, nella prospettiva adottata dalla convenuta, l'inciso «in quanto compatibili» consentirebbe a questo Decidente di porsi ultra litteram legis, ma di ricondurre entro l'alveo costituzionale quel che costituzionale non e'. Ed infatti, se si seguisse la proposta di interpretazione costituzionalmente conforme avanzata da parte convenuta, questo giudicante si troverebbe a dover modulare in via interpretati va i divieti di cui all'art. 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991. Siffatta modulazione - del resto, stigmatizzata dallo stesso Consiglio di Stato nel citato parere - e' preclusa a questo Collegio per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, la formulazione dell'art. 8, comma 1, non distingue tra societa' di capitali e societa' di persone, ma uni forma lo status dei soci dell'una e dell'altra. Ragionando nei termini prospettati da parte convenuta, si giungerebbe, quindi, ad una sostanziale disapplicazione del disposto legislativo, piu' che ad un'applicazione in senso costituzionalmente orientato. In secondo luogo, si verte in materia di incompatibilita': in considerazione del carattere tassativo e di stretto rigore di tali norme, destinate ad incidere in senso limitativo sulla posizione giuridica del destinatario della prescrizione, come e' preclusa l'estensione in via ermeneutica delle cause stabilite da espresse previsioni legislative, cosi' pure risulterebbe oltremodo discutibile (e non costituzionalmente ammesso) stabilire in via interpretativa il perimetro di operativita' delle relative previsioni legislative, allargandone o restringendone i confini a seconda del tipo societario. Non v'e' dubbio, infatti, che la valutazione di compatibilita', rimessa in sede applicativa ad operazioni ermeneutiche del tutto discrezionali in punto di modulazione interpretativa delle regole di incompatibilita', violerebbe imprescindibili esigenze di oggettivita' e di preventiva conoscibilita' di regole di tal fatta. Per tale ultimo motivo, ad esempio, questo Decidente non condivide l'esito interpretativo del Consiglio di Stato, che nel citato parere ha esteso la causa di incompatibilita' di cui all'art. 8, comma 1, lettera c) a qualunque forma di lavoro intessuta dal socio con altro datore di lavoro e persino con i committenti, comprendendovi, dunque, anche ipotesi di lavoro autonomo, laddove invece la lettera della legge rimanda al solo rapporto di lavoro subordinato. La determinazione delle cause di incompatibilita' e', dunque, una scelta rimessa al solo legislatore, le cui statuizioni semmai, laddove ritenute in contrasto con la Costituzione, possono essere sindacate solo dal Giudice delle leggi. Le suesposte ragioni inducono il Collegio arbitrale a ritenere «improbabile» o, comunque, «difficile» (Corte cost. sentenza n. 42 del 2017) la prospettazione nel caso di specie di una soluzione interpretativa conforme a Costituzione; interpretazione che indurrebbe, piuttosto, ad una inammissibile disapplicazione del dettato legislativo. 5. L'impossibilita' di pervenire ad un'interpretazione costituzionalmente conforme e' confermata dall'unica decisione che a conoscenza di questo Collegio e' intervenuta sulla vicenda. Infatti in una vicenda che appare simile tribunale amministrativo regionale Lazio, II, 17 settembre 2018, n. 5488, ord., ha ritenuto inconferente l'argomento secondo il quale un professore universitario associato a tempo pieno potesse mantenere il rapporto di lavoro in quanto non coinvolto nella gestione della farmacia, «atteso che la previsione normativa richiamata appare stabilire una correlazione necessaria tra contitolarita' e cogestione della farmacia, quale conseguenza della partecipazione congiunta alla procedura per l'assegnazione della sede». E' vero che Cons. Stato, III, 19 ottobre 2018, n. 5105, ha sospeso il provvedimento amministrativo impugnato in quella vicenda, ma senza entrare nel merito della questione. Cio' costituisce un indubbio segno che la novella del 2017 e' ritenuta non modificare la precedente disciplina del 1991. 6. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettera c), nella parte in cui stabilisce che la partecipazione alle societa' di capitali, di cui all'art. 7, comma 1, della legge n. 362 del 1991, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato e' non manifestamente infondata con riferimento agli art. articoli 2, 3, 4, 11, 35, 41,47 e 117, comma 1, Cost.. 6.1 A parere del Collegio, innanzitutto, la parificazione tra soci di societa' di persone e soci di societa' di capitali, titolari di farmacie, quanto al regime di incompatibilita', non trova giustificazione alcuna nell'ordinamento, con l'effetto che, nella specie, l'art. 8, comma 1, lettera c) della legge n. 362 del 1991, si pone in primo luogo in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' e irragionevolezza delle scelte operate dal legislatore nell'equiparare situazioni oggettivamente diverse. 6.2 Come noto, il legislatore - gia' nella disciplina contenuta nel codice civile - attribuisce alle societa' di capitali caratteristiche affatto diverse rispetto alle societa' di persone. Le societa' di capitali, infatti, si caratterizzano per la prevalenza del capitale rispetto all'elemento soggettivo; il che significa che i soci rispondono per le obbligazioni assunte dalla societa' nei limiti del capitale in esse conferito, rappresentato a seconda del tipo societario da azioni o quote, e che il loro patrimonio personale non potra' mai (salvo nel caso di fideiussione personale del socio e in quello dei soci accomandatari delle societa' in accomandita per azioni) essere aggredito dai creditori sociali. In buona sostanza, rispetto alle societa' di persone, alle societa' di capitali l'ordinamento riconosce la personalita' giuridica e, quindi, un'autonomia patrimoniale perfetta. Nelle societa' di capitali, inoltre, il potere di amministrazione e' svincolato dalla qualita' di socio con la conseguenza che da quest'ultima deriva solo l'esercizio delle funzioni di controllo e la partecipazione agli utili e alle perdite, mentre l'amministrazione puo' spettare anche a soggetti diversi dai soci. 6.3 Cio' rilevato, ai fini di meglio spiegare le ragioni della paventata incostituzionalita' per irragionevole parificazione di trattamento, occorre procedere preliminarmente all'individuazione della ratio della sopra citata causa di incompatibilita', per verificarne la tenuta in relazione al livellamento che, per effetto della norma qui impugnata, viene operato dal legislatore. 6.3.1 Giova premettere che la disciplina delle incompatibilita' di cui all'art. 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991 e' stata calibrata su un modello societario affatto diverso rispetto a quello introdotto dalla novella del 2017. Ai sensi della legge n. 362 del 1991, potevano aversi soltanto societa' di persone costituite da farmacisti in possesso dei requisiti di idoneita' ed in tali societa' la direzione della farmacia (e la conseguente responsabilita') doveva essere affidata sempre ad uno dei soci, con conseguente fungibilita' dei soci stessi nella direzione della farmacia. E' in questo quadro che venivano dettate le cause di incompatibilita' di cui all'art. 8 e, in particolare, quella prevista dalla lettera c) oggetto della presente questione. In altri termini, le incompatibilita' previste dall'art. 8 rappresentavano il riflesso del regime di incompatibilita' stabilito per i farmacisti da altre (e ormai anacronistiche) disposizioni dell'ordinamento. Sul punto va ricordato il Testo unico delle leggi sanitarie (approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265), tutt'ora in parte (ritenuto) vigente e che traspose, in larga parte, il contenuto della legge 22 maggio 1913, n. 468 (c.d. legge Giolitti). In tale ultimo intervento legislativo si affermo' il principio secondo cui l'esercizio della farmacia rispondesse ad esigenze pubblicistiche di assistenza farmaceutica alla popolazione, con conseguente attrazione in capo allo Stato della relativa funzione. Ne discendeva che lo Stato poteva esercitare tale funzione o in modo diretto attraverso i Comuni, o in via mediata attraverso concessione ad personam, attribuita tramite concorso a soggetti privati in possesso della laurea in farmacia. Il regime della titolarita' era, dunque, ispirato al principio della personalita' dell'autorizzazione all'apertura di farmacie: la concessione durava, infatti, quanto la vita del titolare. Tale disciplina era chiaramente ispirata a principi difficilmente coniugabili con l'attuale assetto costituzionale dei rapporti tra pubblici poteri e diritti nonche' alle trasformazioni del settore. Cosi', ad esempio, nella parte dedicata all'esercizio del servizio farmaceutico, il testo unico era del tutto coerente con il trattamento legislativo all'epoca riservato all'esercizio della professione intellettuale che era «protetta» e riservata esclusivamente ad una persona fisica in possesso di specifici requisiti: un singolo professionista con l'obbligo di eseguire personalmente l'incarico assunto, salva una limitata possibilita' di avvalersi, sotto la propria responsabilita', di sostituti e ausiliari. Il Capo II del Titolo II del Testo Unico, intitolato «Del servizio farmaceutico» (articoli 104 ss.) sanciva, infatti, quale principio base, la regola inderogabile della personalita' dell'autorizzazione amministrativa all'apertura e all'esercizio della farmacia, stabilendone, conseguentemente, l'incedibilita'. L'art. 112 prevedeva che «l'autorizzazione ad aprire ed esercitare una farmacia e' strettamente personale e non puo' essere ceduta o trasferita ad altri. E' vietato il cumulo di due o piu' autorizzazioni in una sola persona» e, pertanto, ai sensi dell'art. 122 «la vendita al pubblico di medicinali ... non e' permessa che ai farmacisti e deve essere effettuata nella farmacia sotto la responsabilita' del titolare della medesima». Coerentemente, l'art. 119 disponeva che «il titolare autorizzato di ciascuna farmacia e' personalmente responsabile del regolare esercizio della farmacia stessa». Ben si comprende, dunque, che il quadro legislativo sinteticamente richiamato non consentiva forme «non personali» dell'attivita' farmaceutica, che veniva annoverata tra le professioni intellettuali protette. Con la riforma Mariotti del 1968 (leggi nn. 221 e 475) fu, per un verso, attenuato il rigore della legge Giolitti, soprattutto attraverso la reintroduzione della facolta' di trasferire le farmacie, condizionandola ad un insieme di vincoli e limitazioni, successivamente modificati dalla legge 362/91. Per altro verso, invece, la struttura esclusivamente personalistica dell'attivita' di gestione della farmacia fu ulteriormente potenziata: la normativa di riforma impose, infatti, l'eliminazione delle societa' sopravvissute alle vane vicende legislative, stabilendo all'art. 20 che entro un anno dalla sua entrata in vigore le farmacie ancora intestate a societa' di qualunque natura dovessero essere trasferite a un farmacista. La disciplina del 1968 fu, ancora una volta, integralmente ispirata alla simmetria tra status di farmacista, titolarita' e gestione di farmacie private. Invero, la gestione della farmacia doveva essere diretta e personale da parte del titolare, con conseguente, necessaria corrispondenza tra conduzione economica e gestione professionale da parte del farmacista. Del tutto coerente alle premesse di fondo della riforma Mariotti era, dunque, la previsione contenuta nell'art. 13 della legge n. 475 del 1968, a tenore del quale «il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile non possono ricoprire posti di ruolo nell'amministrazione dello Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra universitaria, e di enti locali o comunque pubblici, ne' esercitare la professione di propagandista di prodotti medicinali. Il dipendente dello Stato o di un ente pubblico, qualora a seguito di pubblico concorso accetti la farmacia assegnatagli, dovra' dimettersi dal precedente impiego e l'autorizzazione alla farmacia sara' rilasciata dopo che sia intervenuto il provvedimento di accettazione delle dimissioni». Cio' trovava la propria ragion d'essere nella sopra rilevata simmetria tra status di farmacista e titolarita'/gestione della farmacia stessa, nonche' sulla segnalata prevalenza dell'elemento professionale su quello imprenditoriale dell'attivita' di dispensazione del farmaco. La segnalata simmetria tra status di farmacista professionista, titolarita' e gestione di farmacie private e' rimasta nell'ordinamento giuridico italiano pur dopo l'intervento di riordino del settore farmaceutico, realizzato con legge n. 362 del 1991, che introdusse rilevanti novita' rispetto al passato. L'art. 7, comma 1, della legge n. 362/1991 riservava, infatti, la titolarita' dell'esercizio della farmacia privata oltre che alle persone fisiche, a societa' di persone ed a societa' cooperative a responsabilita' limitata. Nelle ipotesi di farmacie sociali, la citata disposizione stabiliva, per un verso, che tali societa' dovessero avere come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia e, per altro verso, che tutti i soci dovessero essere farmacisti in possesso dei requisiti di idoneita' previsti dalla normativa di settore e iscritti all'albo della provincia, in cui la farmacia aveva sede. La direzione della farmacia gestita dalla societa' doveva essere affidata ad uno dei soci, che ne assumeva la relativa responsabilita'. Ne conseguiva che, pur all'interno di gestioni societarie, direzione tecnica e responsabilita' della gestione patrimoniale della farmacia dovessero comunque far capo ad uno dei soci-farmacisti. Conformemente, al quarto comma della citata disposizione, si stabiliva che il direttore, qualora si verificassero a suo carico le condizioni di incapacita' previste dal comma 2 dell'art. 11 della legge 2 aprile 1968, n. 475, fosse sostituito temporaneamente da un altro socio. Si prevedeva, inoltre, un peculiare regime della successione nelle quote sociali di societa' di persone titolari di farmacie (commi 9 e 10). Il citato parallelismo si rifletteva, altresi', sulla disciplina delle incompatibilita' nella gestione societaria, dettata dall'art. 8 della legge n. 3 62 del 1991 con riguardo al peculiare schema delle societa' di persone delineato dall'art. 7 della medesima legge. Con il piu' volte ricordato intervento riformatore contenuto nella legge concorrenza del 2017, si e' inteso superare la pregressa simmetria tra status professionale di farmacista da una parte e titolarita'/gestione della farmacia dall'altro. 6.3.2 Con particolare riguardo all'incompatibilita' di cui alla lettera c), non v'e' dubbio che essa trovava la propria ratio nell'esigenza di garantire che i soci (tutti farmacisti) di farmacie gestite attraverso le peculiari forme delle societa' di persone facessero confluire le loro energie lavorative all'interno della societa'. Invero, il genus delle societa' di persone, prescelto dal legislatore del 1991 come possibile alternativa alla titolarita' uninominale della farmacia privata, e' caratterizzato, di regola, non solo dalla responsabilita' illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali, ma anche dall'attribuzione congiunta (ex articoli 2257 e 2258 c.c.) del potere di amministrazione. Ciascun socio risulta, in ragione dell'assenza di personalita' giuridica delle societa' de quibus, compartecipe della titolarita' dell'esercizio farmaceutico. A sostegno di tale lettura, si e' soliti richiamare l'art. 119 del T.U.LL.SS., di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, a tenore del quale «il farmacista, responsabile del regolare esercizio della farmacia di cui e' titolare deve assicurare l'espletamento corretto degli obblighi connessi all'esercizio della farmacia»; ed infatti, da tale disposto si sono ricavate le incompatibilita' oggi previste dall'art. 8, comma 1, della legge n. 352 del 1991, sull'assunto che lo svolgimento di ogni altra attivita' lavorativa potesse, in qualche modo, interferire sul corretto espletamento degli obblighi connessi all'esercizio della farmacia. Non puo' trascurarsi, tuttavia, che il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 fu parametrato su un modello di farmacia interamente calibrato sulla persona fisica del farmacista titolare di farmacia, cui incombe l'obbligo di assicurare l'espletamento corretto del servizio. Cosi' pure, dunque, l'art. 8, comma 1, della legge n. 352 del 1991 e' stato in origine parametrato su un modello societario diverso da quello delle societa' di capitali. Risulta coerente con quella impostazione l'art. 13 della legge n. 475 del 1968, a tenore del quale «il titolare di una farmacia ed il direttore responsabile non possono ricoprire posti di ruolo nell'amministrazione dello Stato, compresi quelli di assistente e titolare di cattedra universitaria, e di enti locali o comunque pubblici, ne' esercitare la professione di propagandista di prodotti medicinali. Il dipendente dello Stato o di un ente pubblico, qualora a seguito di pubblico concorso accetti la farmacia assegnatagli, dovra' dimettersi dal precedente impiego e l'autorizzazione alla farmacia sara' rilasciata dopo che sia intervenuto il provvedimento di accettazione delle dimissioni». Si tratta, infatti, di una incompatibilita' dettata con riguardo alla persona fisica del farmacista e applicabile, semmai, nel ben diverso regime stabilito per (talune tipologie) di soci di societa' di persone. Tanto basterebbe per affermare che la ratio sottesa alla causa di incompatibilita' di cui all' art. 8, comma 1, lettera c), ne giustifica l'applicazione alle sole societa' di persone o, comunque, ad assetti societari a queste in qualche modo riconducibili. Ed infatti, a seguito dell'entrata in vigore della legge concorrenza 2017 e, nella specie, dell'estensione alle societa' di capitali della titolarita' di farmacie, ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 352 del 1991, la scelta legislativa di ricondurre entro il perimetro di applicazione della causa di incompatibilita' di cui all'art. 8, comma 1, lettera c) della legge n. 352 del 1991, anche la partecipazione a societa' di capitali si traduce, gia' sotto questo limitato profilo, in una manifesta irragionevolezza della normativa de qua. Invero, se si considera il possibile ricorso alla costituzione di societa' di capitali, dove il socio capitalista di regola non svolge alcuna prestazione a favore della societa', ne' tanto meno e' tenuto ex lege allo svolgimento di attivita' lavorativa a favore della stessa, si giunge a concludere che il socio che conferisce solo capitale, ma non presta alcun servizio lavorativo a favore della societa', puo' svolgere qualsiasi attivita' lavorativa e, certamente, non puo' essere costretto ad una involontaria (o, se si vuole, legislativamente imposta) disoccupazione. In altri termini, l'espletamento corretto degli obblighi connessi all'esercizio della farmacia non risulta vulnerato sic et simpliciter nelle ipotesi di proprieta' della farmacia in capo ad una societa', in cui il socio, che non abbia assunto alcun obbligo di prestazione lavorativa a favore della stessa societa', si limiti al solo conferimento di capitale. Peraltro, il modello dell'art. 119 T.U.LL.SS. si riferisce (in una dizione risalente all'epoca pre-repubblicana) al farmacista responsabile della farmacia di cui egli stesso e' titolare. Ai sensi dell'art. 7, comma 3, della legge n. 362 del 1991, cosi' come riformulato dalla legge del 2017, e' previsto, invece, il ricorso ad un direttore tecnico farmacista non socio, che assume al contempo la responsabilita' della farmacia. Ne consegue che in siffatta ultima ipotesi, sarebbe oltremodo irragionevole ritenere che il socio capitalista, che non assuma la direzione tecnica e la responsabilita' della farmacia, debba al contempo non intrattenere nessun altro rapporto di lavoro, per dir cosi', esterno. Inoltre, se si pone mente alla possibile partecipazione - ammessa a seguito dell'intervento legislativo del 2017 - in societa' di capitali titolari di farmacie di soci non farmacisti, la predetta causa di incompatibilita' con lo svolgimento di qualsiasi attivita' lavorativa imporrebbe di addivenire alla inammissibile conclusione di escludere, dal novero dei soci di societa' di capitali titolari di farmacie, ogni soggetto regolarmente occupato e gia' percettore di reddito. Come e' noto poi, di una societa' di capitali puo' essere socia anche un'altra societa'. Nulla esclude, dunque, che la compagine sociale di una societa' titolare di farmacia possa essere costituita sia da persone fisiche che da persone giuridiche. Allora, la previsione di una causa di incompatibilita' consistente nell'esistenza di rapporti di lavoro pubblico o privato, che e' ovviamente applicabile solo nei confronti di un socio persona fisica, determina un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto ai soci costituiti da persone giuridiche nei cui confronti tale causa di incompatibilita' non e' nemmeno ipotizzabile. 6.4 La parificazione del regime di incompatibilita' alla partecipazione alle societa' titolari di farmacie non trova, del resto, giustificazione nel peculiare regime previsto dall'ordinamento italiano in materia di vendita al dettaglio di farmaci. E' noto l'indirizzo interpretativo segnato dalla Corte costituzionale, secondo cui il servizio gestito dalle farmacie e' «preordinato al fine di assicurare una adeguata distribuzione dei farmaci, costituendo parte della piu' vasta organizzazione predisposta a tutela della salute» (sent. n. 430 del 2007). Ne segue che «sotto il profilo funzionale, i farmacisti sono concessionari di un pubblico servizio» (sent. n. 448 del 2006). In questo senso la Consulta, nella sentenza n. 87 del 2006, ha affermato che «la complessa regolamentazione pubblicistica dell'attivita' economica di rivendita dei farmaci e' infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l'indubbia natura commerciale dell'attivita' del farmacista». Invero, nella «complessa regolamentazione pubblicistica dell'attivita' economica di rivendita dei farmaci» rispetto alla quale non e' possibile isolare uno degli elementi senza tenere conto della disciplina nella sua globalita', «l'individuazione del punto di equilibrio tra i diversi interessi e' affidato al legislatore, cui e' rimessa la relativa valutazione, fermo rimanendo il limite della non irragionevolezza delle scelte compiute» (Corte cost. sentenza n. 150 del 2011). Se e' pur vero che il servizio gestito dalle farmacie e' finalizzato alla realizzazione dell'interesse pubblico alla massima tutela del diritto alla salute, l'esclusione dalla partecipazione in societa' di capitali di soci che abbiano gia' in essere un rapporto di lavoro, pubblico o privato, non risponde affatto alle predette finalita' di tutela della salute, certamente non compromesse dall'eventuale titolarita' di quote sociali da parte di soggetti lavoratori nel settore pubblico o privato. Del resto, se si ritenesse precluso ad un dipendente pubblico o privato di essere socio di una societa' di capitali titolare di farmacie, giustificando tale divieto con asserite esigenze di tutela della salute della popolazione, dovrebbe conseguentemente ammettersi una palese disparita' di trattamento con i soci di societa' di capitali aventi quale oggetto sociale, ad esempio, la gestione di strutture sanitarie o la produzione di farmaci, settori per i quali, nell'ordinamento italiano, la partecipazione societaria, pur in presenza di antologiche connessioni con la tutela della salute, non e' sottoposta ai medesimi vincoli di quelli previsti in tema di farmacie. Ben diversa, invece, e' l'ipotesi di incompatibilita' «con qualsiasi altra attivita' svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonche' con l'esercizio della professione medica», prevista dall'art. 7, comma 2, della legge n. 362 del 1991 e ribadita dall'art. 8, comma 1, lettera a) della medesima legge. Siffatta causa di incompatibilita', infatti, e' stata stabilita dal legislatore «al fine di evitare eventuali conflitti di interesse, che possano ripercuotersi negativamente sullo svolgimento del servizio farmaceutico e, quindi, sul diritto alla salute» (Corte cost., sentenza 275 del 2003). Al di la' di questa ipotesi, dunque, non sembrano ravvisabili fondati motivi per ritenere altre tipologie di lavoro, non riconducibili alla produzione e informazione scientifica del farmaco o all'esercizio della professione medica, siccome incompatibili con l'assunzione della qualita' di socio in societa' di capitali costituite per acquisire la titolarita' e la gestione di farmacie private. Ne consegue, sotto questo profilo, che le restrizioni contenute nella normativa italiana non sarebbero giustificate dall' esigenza di salvaguardare la tutela della salute della popolazione, in quanto lo strumento individuato (esclusione di chi svolga qualsiasi attivita' lavorativa dalla compagine sociale di una societa' di capitali costituita per la gestione di farmacie) sarebbe manifestamente inidoneo e sproporzionato al raggiungimento dello scopo. 6.5 L'irragionevolezza della citata statuizione legislativa in materia di incompatibilita' con la partecipazione a societa' di capitali titolari di farmacie e' altresi' dimostrata dal raffronto con il regime delle incompatibilita' previsto per i pubblici dipendenti. Non v'e' dubbio che la disciplina sulle farmacie e quella sugli impiegati pubblici operino su piani diversi. Ma dalla seconda possono ricavarsi alcuni ulteriori elementi a sostegno dell'illegittimita' costituzionale dell'ipotesi di incompatibilita' prevista dall'art. 8, comma 1, lettera c) della legge n. 362 del 1991, laddove riferita ai soci di societa' di capitali titolari di farmacie, che abbiano in essere, come nel caso sottoposto a questo giudicante, un rapporto di pubblico impiego. Per costante insegnamento della Corte costituzionale, la coerenza logica di una norma puo' essere riferita anche al sistema, al quadro normativa o ai principi generali del sistema. Nella sentenza n. 84 del 1997, il giudice delle leggi ha affermato, infatti, che «la semplice constatazione che le due norme poste a raffronto facciano parte di sistemi distinti ed autonomi non basta ad escludere che sia irragionevole il risultato normativa: il canone della ragionevolezza deve trovare applicazione non solo all'interno dei singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema». Alla luce di queste osservazioni, l'estensione della causa di incompatibilita', di cui all'art. 8, comma 1, lettera c) al socio di societa' di capitali titolari di farmacie che, al contempo, sia dipendente pubblico finirebbe per creare un sistema di incompatibilita' ben piu' asfittico di quello particolarmente stringente previsto proprio a carico dei dipendenti pubblici. Giova ricordare che, pur chiamati a svolgere una funzione per definizione di, pubblico interesse, i dipendenti della pubblica amministrazione possono essere titolari di quote in societa' di capitali. Come noto, la materia dell'incompatibilita' nel pubblico impiego e' disciplinata dall'art. 53 del decreto legislativo 165/2001, che stabilisce l'applicabilita' della disciplina sull'incompatibilita' di cui agli art. 60 e ss del decreto del Presidente della Repubblica 3/57 a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, nonche' ai dipendenti degli enti locali. Tale disposizione prevede, in particolare, che l'impiegato pubblico non possa «esercitare il commercio, l'industria, ne' alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in societa' costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in societa' o enti per le quali la nomina e' riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente». Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, lo scopo della disciplina e' quello di garantire l'imparzialita', l'efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, in ottemperanza a quanto prescritto dall' art. 97 Cost., nonche' quella di evitare la creazione di centri d'interesse alternativi all'ufficio pubblico in capo all'impiegato, che lo distoglierebbero dai propri doveri istituzionali. Sulla base di tali premesse, la giurisprudenza ha precisato che l'assunzione di incarichi extra-istituzionali da parte di un dipendente pubblico e' consentita solo laddove il lavoratore assuma la qualita' di socio in una societa' di capitali o in una societa' di persone, ma senza poteri di amministrazione, mentre l'assunzione di cariche gestionali e' considerata «quale elemento oggettivo e automatico atto a perpetrare l'incompatibilita', senza che necessiti una valutazione sulla intensita' dell'impegno o sui riflessi negativi riscontrabili sul rendimento nel servizio e sull'osservanza dei doveri d'ufficio» (Cass. n. 967/2006). Infatti, costituisce esercizio del commercio e dell'industria ogni attivita' imprenditoriale compresa l'attivita' artigianale; la partecipazione in qualita' di socio a societa' di persone (Snc, Sas, Ss) con l'esclusione dei casi in cui la responsabilita' del socio e' limitata per legge o per atto costitutivo della societa'; l'assunzione della carica di presidente o di amministratore delegato di societa' di capitali (Spa, Srl, Sapa), esclusa la carica di presidente non operativo. Con riferimento alla fattispecie sottoposta alla cognizione di questo decidente, e' utile ricordare la disciplina, particolarmente rigorosa, dettata per il personale docente delle Universita', soprattutto alla luce dell'art. 6, commi 9, 10 e 12, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. legge Gelmini). Tale legge ha ribadito l'esistenza di alcune attivita' non consentite ai professori e ricercatori sia a tempo pieno che a tempo definito. Invero, l'incompatibilita' e' ricondotta, in questi casi, all'ufficio di pubblico dipendente. Tra gli incarichi extraistituzionali vietati al dipendente rientra l'esercizio del commercio e dell'industria (art. 8 legge n. 311/1958; art. 11 decreto del Presidente della Repubblica n. 382/1980 e art. 6 comma 9 legge n. 240/2010), oltre che l'assunzione di cariche in societa' costitute a fini di lucro, tranne che si tratti di cariche in societa' o in enti per le quali la nomina e' riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente (art 60 decreto del Presidente della Repubblica 3/1957). Sul punto, il giudice amministrativo aveva specificato che e' consentita al docente universitario la partecipazione come socio a societa' di capitali aventi fini di lucro, ma non l'assunzione di cariche gestionali (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 271/1985). Dal quadro normativo in materia di incompatibilita' dei pubblici impiegati possono trarsi almeno due conseguenze, volte a dimostrare l'irragionevolezza della scelta del legislatore di escludere dalla partecipazione alle societa' tanto di persone, quanto di capitali, coloro i quali abbiano in essere qualsiasi altro rapporto di lavoro pubblico o privato. In primo luogo: se e' pacificamente ammesso che un dipendente pubblico possa detenere quote in societa' di capitali, nelle quali non assuma compiti di amministrazione e/o cariche gestionali, cio' significa a rigore che partecipare ad una societa' di capitali, con meri conferimenti di capitali, non determina interferenze con il preminente interesse, costituzionalmente previsto, all'imparzialita' e al buon andamento della pubblica amministrazione. Di contro, ed in ragione del differente statuto codicistico, tale partecipazione e' inderogabilmente vietata con riguardo alle societa' di persone. In altri termini, dunque, in materia di pubblico impiego - dove la sussistenza del c.d. «pubblico interesse» non e' bisognevole di dimostrazione - il regime delle incompatibilita' e' stato ragionevolmente differenziato sulla base dei diversi tipi sociali, a riprova della antologica distinzione tra societa' di persone e societa' di capitali. Siffatta differenziazione, invece, non e' presente nella disciplina delle incompatibilita' alla partecipazione di societa' titolari di farmacie, oggetto della presente questione di legittimita'. In secondo luogo, se l'acquisizione di quote in societa' di capitali da parte di dipendenti pubblici non incide sul buon andamento della pubblica amministrazione, ne consegue che, parimenti, la titolarita' di quote in societa' di capitali titolari di farmacie non interferisce con il perseguimento delle finalita' pubbliche di tutela della salute, connesse alla vendita al dettaglio di farmaci. Ed infatti, non v'e' dubbio che l'ordinamento farmaceutico sia dotato delle peculiarita' gia' sopra evidenziate. Ma non si puo' concludere ritenendo l'interesse pubblico perseguito dal servizio de qua di maggior pregio rispetto alle finalita', costituzionalmente previste, connesse alla disciplina sul pubblico Impiego. In altri termini, non sussistono fondate ragioni per ritenere che un socio capitalista, lavoratore del settore pubblico o privato, privo di poteri gestori e non vincolato alla prestazione della propria opera a favore della societa' titolare di farmacia, possa intercettare e vulnerare le finalita' di tutela della salute, connesse alla disciplina del settore farmaceutico. A fortiori non sono ravvisabili vulnera nella tutela della salute degli utenti-consumatori-pazienti nell'ipotesi di esercizio di qualunque attivita' sia pubblica che privata da parte di soci di societa' di capitali, in cui si opti per un direttore tecnico esterno, che ex lege deve essere un farmacista idoneo. L'utente/consumatore/paziente non avrebbe, in questo caso, un rapporto diretto con la societa' ma, appunto, col personale farmacista-professionista. 6.5 Al contempo, la disciplina in materia di incompatibilita' dei soci di societa' di capitali titolari di farmacie e' irragionevole e, dunque, viola l'art. 3 Cost. perche' introduce limiti piu' stringenti per la costituzione di societa' per la gestione di farmacie private, rispetto a quelli oggi previsti per le farmacie comunali, con riferimento alle quali e' ormai pacificamente ammesso che la gestione possa essere affidata, mediante procedure ad evidenza pubblica, anche a societa' private di capitali, purche' queste abbiano come oggetto sociale esclusivo la gestione di farmacie (ex multis (T.A.R. Lombardia Brescia sez. II, 16 gennaio 2013, n. 20; tribunale amministrativo regionale Veneto sez. I, 20 marzo 2014, n. 358; tribunale amministrativo regionale Umbria 4 novembre 2014, n. 526; tribunale amministrativo regionale Umbria Perugia, sentenza 1 febbraio 2018, n. 78) e non svolgano l'attivita' nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco (vd., ad esempio, Consiglio di Stato, sez. III, 13 novembre 2014, n. 5587). Nulla si prevede, con riferimento a tali tipologie di farmacie, in merito all'eventuale incompatibilita' del socio di capitale con lo svolgimento di attivita' lavorativa. Ed infatti, nei numerosi bandi di gara di concessione del servizio di gestione di farmacie comunali non si riscontra alcuna clausola di incompatibilita' per i soci di societa' (sia esse di persone, che di capitali) se non quella dell'esercizio di attivita' nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco. Per altro verso, invece, in tali bandi si precisa che per le persone fisiche sussiste l'incompatibilita' tra la gestione della farmacia comunale e la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia, nonche' con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato. 7. Le superiori considerazioni inducono questo Collegio a ritenere, sotto altro profilo, che l'estensione anche ai soci di societa' di capitali titolari di farmacie della causa di incompatibilita' prevista dall'art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991 determini la violazione di altri parametri costituzionali. 7.1 In primo luogo, il combinato disposto tra gli articoli 7 ed 8 della legge n. 392/1991 contrasta con l'art. 11 decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Si e' gia' ricordato che la vicenda in fatto prende origine dall'ampliamento del numero delle farmacie disposto dal c.d. decreto-legge Cresci Italia e dalla seguente attivita' amministrativa posta in essere nella Regione Siciliana come nell'intero territorio nazionale. Quella disciplina ha privilegiato l'esercizio in forma associata dell'attivita' farmaceutica (v. art. 11, comma 5); la normativa di attuazione ha valorizzato la partecipazione al c.d. concorsone di soggetti dotati di qualificazione specialistica come quella universitaria (cfr. art. 8 DDG Assessorato alla Salute 24 dicembre 2012, n. 2782, per il rilievo dato alle pubblicazioni dei candidati in occasione della valutazione dei titoli). A questo punto l'intera disciplina risulta disorganica e contraddittoria: per un verso si vuoi «favorire l'accesso alla titolarita' delle farmacie da parte di un piu' ampio numero di aspiranti» e garantire «al contempo una piu' capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico»; per altro verso si valorizza l'esperienza scientifica tipica del settore universitario; eppero', per altro verso ancora, si finisce per contraddire tali finalita' ribadendo anacronistiche incompatibilita'. 7.2 La disciplina risultante dagli articoli 7 ed 8 della legge n. 392/1991 sembra contrastare anche con gli articoli 4 e 35 Cost. relativi alla tutela del lavoro. Anche per come si dira' in ordine ai profili di contrasto con gli articoli 41 e 4 7 Cost. in tema di liberta' di iniziativa economica e di tutela del risparmio, e' indubbio che l'attivita' del socio nella farmacia esercitata in forma di societa' di capitale e' pur sempre espressione della scelta personale di soggetti che realizzano e sviluppano la propria personalita' a mezzo di un'attivita' lavorativa qual e' appunto l'investimento in una societa'. Una volta che tale investimento non pregiudica in concreto lo svolgimento dell'ufficio pubblico, per come si e' visto in precedenza, non vi e' ragione per negare la facolta' di investire risorse finanziarie al dipendente (non importa se pubblico o privato) nella disponibilita' di farlo. Si e' visto, infatti, che il mero investimento non pregiudica affatto lo svolgimento esclusivo dell'ufficio pubblico. Peraltro, e' pacifico che gli articoli 4 e 35 Cost. si riferiscano a tutte le forme di espressione del lavoro. 7.3 Si ravvisa il contrasto con l'art. 41 Cost., interpretato anche alla luce (dell'art. 3 Trattato sull'Unione europea per la netta definizione di quella europea come «economia sociale di mercato» e) dell'art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (liberta' di impresa) e dell'art. 49 (liberta' di stabilimento) TFUE, con conseguente illegittimita' costituzionale della normativa de qua anche per violazione degli articoli 2, 11 e 117, comma 1, Cost.. Giova sottolineare che la legge n. 124 del 2017, che ha esteso anche ai soci di societa' di capitali, tra le altre, anche la causa di incompatibilita' di cui all'art. 8, comma 1, lettera c), indica tra le proprie finalita' quella di «rimuovere ostacoli regolatori all'apertura dei mercati, a promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori, anche in applicazione dei principi del diritto dell'Unione europea in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonche' delle politiche europee in materia di concorrenza». Non puo' certo discorrersi di un provvedimento organico sulla complessa materia delle farmacie: il legislatore si e', piuttosto, limitato ad intervenire con minime operazioni di integrazione normativa, soprattutto sulle preesistenti disposizioni della legge n. 362 del 1991, senza tuttavia operare il necessario coordinamento interno in una disciplina di settore che si appalesa tuttora frastagliata ed intimamente contraddittoria. Con riferimento all'oggetto della presente questione di legittimita', puo' sostenersi - mutuando l'espressione utilizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 43 del 1997 - che la legge concorrenza del 2017 «manca il suo obiettivo e tradisce la sua ratio». Segnatamente, i mezzi predisposti dal legislatore non sono razionalmente connessi ai fini che la riforma del 2017 intendeva raggiungere. Non ne deriva, in particolare, alcun vantaggio per l'implementazione del mercato concorrenziale, ne' per la tutela della salute della popolazione. Ed infatti, la disciplina delle incompatibilita' dei soci di societa' di farmacie determina un'irragionevole compressione della liberta' di iniziativa economica, da non intendere soltanto nella sua dimensione mercantilistica, ma quale diritto fondamentale attraverso cui l'uomo puo' conseguire il pieno sviluppo della propria personalita' (art. 2 Cost). Nella specie, l'incompatibilita' della partecipazione a societa' di capitali con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato si traduce in una limitazione irragionevole (o, meglio, irrazionale) del diritto dell'imprenditore a scegliere lo schema organizzati v o piu' idoneo ai fini dell'acquisizione della titolarita' e della gestione di farmacie private. Per le gia' rilevate ragioni, infatti, risulta assai difficile immaginare ipotesi di societa' di capitali, i cui soci debbano essere tutti ed indistintamente non lavoratori del settore pubblico o privato. In altri termini, per un verso la legge concorrenza 2017 mira a favorire l'ingresso nel mercato farmaceutico delle societa' di capitali; per altro verso, invece, ne scoraggia la formazione, imponendo vincoli financo sulla concreta determinazione della compagine sociale, con inevitabili distorsioni sul piano della concorrenza tra imprese. Il livellamento operato dal legislatore, quindi, finisce per contrarre notevolmente il mercato degli investitori, riducendo la possibilita' di raccolta e investimento di capitali. Il che si traduce, da un lato, in una concreta dissuasione dalla costituzione di societa' di capitali, rendendo di fatto superflua e inattuabile la previsione normativa; per altro verso, in una possibile concentrazione della titolarita' delle farmacie in capo alle poche societa' di capitali in grado di soddisfare i rigorosi (ed ingiusti) requisiti di legge in tema di partecipazione societaria. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, il principio di liberta' di iniziativa economica privata deve essere bilanciato da contrapposti interessi di utilita' sociale, purche' l'individuazione degli stessi non appaia arbitraria e gli interventi del legislatore non prevedano misure palesemente incongrue. In ogni caso, l'intervento legislativo non deve comportare sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attivita' economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 548 del 1990). Ben ci si avvede, invece, che l'estensione della incompatibilita' in esame anche ai soci di societa' di capitali renderebbe del tutto sproporzionato e irragionevole l'intervento del legislatore. E non sarebbe d'ausilio il richiamo a preminenti esigenze di tutela della salute sottese all'organizzazione del servizio farmaceutico; esigenze che, nella specie, non sono affatto sacrificate dall'apertura delle societa' di capitali alla partecipazione di soci che svolgano qualsiasi altra attivita' lavorativa. Le restrizioni contenute nella normativa italiana, infatti, non appaiono giustificate - come gia' diffusamente rilevato sopra - dall'esigenza di salvaguardare la tutela della salute della popolazione, in quanto lo strumento individuato (esclusioni di chi svolga qualsiasi attivita' lavorativa dalla compagine sociale di una societa' di capitali costituita per la gestione di farmacie) e' manifestamente inidoneo e sproporzionato al raggiungimento dello scopo. Inoltre, non v'e' nessuna sostenibile ragione per ritenere che la partecipazione a societa' di capitali aventi ad oggetto la gestione di farmacie di soggetti impegnati in altra attivita' lavorativa possa ledere le finalita' proprie del servizio farmaceutico, soprattutto laddove la direzione tecnica, la gestione e la relativa responsabilita' sia affidata ad un farmacista (anche) non socio, in possesso dei requisiti di idoneita' previsti dalla legge. Come ha evidenziato la Corte costituzionale «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri». Ed infatti, «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come «primari» dei valori dell'ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorche' costituzionalmente tutelati, non gia' che gli stessi siano posti alla sommita' di un ordine gerarchico assoluto. Il punto di equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo, deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte cost. sentenza n. 85 del 2013). Tali coordinate non sono state, nel caso di specie, rispettate dal legislatore. 7.4. Secondo il Collegio, alla luce di quanto appena rilevato, si ritiene inoltre l'applicazione di una siffatta disciplina delle incompatibilita' contrasti con gli articoli 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (liberta' di impresa) e 49 (liberta' di stabilimento) TFUE, con conseguente violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost.. La Corte di giustizia dell'Unione europea, chiamata a pronunciarsi sull'interpretazione della liberta' di stabilimento con riguardo alle discipline nazionali in materia di farmacie, ha precisato che una normativa nazionale che subordini a precisi criteri il rilascio delle autorizzazioni all'istituzione di nuove farmacie e', in linea di principio, idonea a realizzare l'obiettivo di garantire alla popolazione un approvvigionamento di medicinali sicuro e di qualita' (v., in tal senso, Corte di giustizia, sentenza 1 giugno 2010, C-570/07 e C-571/07, Bianco Perez e Chao Gomez; cfr., inoltre, ordinanze del 17 dicembre 2010, Polisseni, C-217/09, punto 25, e del 29 settembre 2011, Grisoli, C-315/08, punto 31): la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato e spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute pubblica e il modo in cui tale livello debba essere raggiunto. Tuttavia, e' stato parimenti stabilito dal giudice europeo che un regime di autorizzazione amministrativa preventiva non puo' legittimare un comportamento discrezionale da parte delle autorita' nazionali, tale da privare del loro effetto utile le disposizioni di diritto dell'Unione, in particolare quelle relative ad una liberta' fondamentale come la liberta' di stabilimento. Inoltre, affinche' un regime di autorizzazione amministrativa preventiva sia giustificato anche quando deroghi ad una tale liberta' fondamentale, esso deve essere fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e previamente conoscibili, che garantiscano la sua idoneita' a circoscrivere sufficientemente l'esercizio del potere discrezionale delle autorita' nazionali (sentenza del 10 marzo 2009, Hartlauer, C-169/07). Calibrando il descritto esito giurisprudenziale alla fattispecie in esame, puo' ragionevolmente dubitarsi, per quanto gia' diffusamente evidenziato, che l'incompatibilita' alla partecipazione in societa' di capitali titolari di farmacie con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato risponda ad obiettivi di tutela della salute e della vita delle persone. Va messo in rilievo che il divieto per chiunque svolga attivita' lavorativa nel settore pubblico o privato di essere socio di capitale in societa' di farmacie si traduce, altresi', in una duplice discriminazione: a) lo svolgimento di attivita' lavorativa risulterebbe ostativo all'investimento meramente capitalistico in societa' di farmacie, laddove tale investimento, invece, e' consentito a soggetti ipoteticamente privi di un lavoro; b) si configura un'irragionevole discriminazione nei confronti di societa' di capitali che, costituite secondo le regole del diritto di uno degli Stati membri, volessero gestire una farmacia ma la cui compagine sociale annoveri soci capitalisti, che svolgano qualsivoglia altra attivita' lavorativa. 8. Il divieto per chiunque svolga attivita' lavorativa nel settore pubblico o privato di essere socio di capitale in societa' di farmacie si pone, altresi', in contrasto con l'art. 47 Cost. a norma del quale «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. [La Repubblica] favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese». Se si aderisce all'interpretazione secondo cui il risparmio e' un principio/valore del nostro ordinamento e la tutela del risparmiatore/investitore rappresenta l'attuazione da parte dello Stato-ordinamento della finalita' individuata dall'art. 47 Cost., ne discende che il legislatore deve salvaguardare qualsiasi forma di investimento a prescindere dalla forma giuridica che questo assume. Non v'e' dubbio che dal punto di vista soggettivo, il richiamo dell'art. 47 Cost. all' origine popolare del risparmio implica che la Costituzione voglia tutelare in primo luogo la figura dell'investitore medio, piuttosto che quella dell'investitore professionale. Ne deriva che vietare al soggetto che svolge qualsiasi attivita' lavorativa di acquisire quote o azioni in societa' di capitali di farmacie si traduce, per un verso, nella irragionevole limitazione della libera scelta di investire porzioni del proprio reddito nel capitale di societa' potenzialmente remunerative; per altro verso, nella discriminazione dell'investitore lavoratore (e non importa se Sia dipendente pubblico o privato) rispetto a chi pur non svolgendo alcuna attivita' lavorativa si trova ad avere, invece, capitali personali da investire.