IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO
(Sezione Seconda)
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 164 del 2017, proposto da Vania Carlan, Gianpaola
Carlan e Bertilla Donatello, rappresentate e difese dagli avvocati
Gianluca Ghirigatto e Anna Povolo, con domicilio digitale come da PEC
da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio
dell'avv. Enrico Tonolo in Venezia, San Polo 135;
Contro il Comune di Altavilla Vicentina, in persona del sindaco
pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Dario Meneguzzo,
con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e
domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Andrea Zuccolo in Mestre
- Venezia, via Giosue' Carducci n. 45;
Nei confronti di Gianluca Zordan, Mario Ercego non costituitisi
in giudizio;
Per l'annullamento del provvedimento prot. 581 del 17 gennaio
2017 di conferma del precedente ordine di non effettuare l'intervento
del 6 dicembre 2016; e dell'ordine di non effettuale l'intervento del
6 dicembre 2016 notificato il 9 dicembre 2016, n. prot. 17301 di cui
alla denuncia di inizio attivita' del DIA180-PC; nonche' di ogni atto
annesso, connesso o presupposto;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Altavilla
Vicentina;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2018 il
dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
1. Le ricorrenti espongono di essere titolari di diritti reali su
un immobile residenziale sito nel Comune di Altavilla Vicentina e di
aver presentato in data 1° dicembre 2016 una denuncia di inizio
attivita' avente ad oggetto la ristrutturazione e l'ampliamento
dell'edificio usufruendo dei benefici previsti dalla legge regionale
sul c.d. «piano casa» 8 luglio 2009, n. 14.
L'intenzione delle ricorrenti era nel senso di ampliare
l'abitazione usufruendo del bonus edificatorio del 20 per cento e
contestualmente ristrutturare, previa demolizione e ricostruzione, un
manufatto condonato, consistente in una baracca metallica a ridosso
del confine, al fine di dotare l'immobile di una piu' ampia
autorimessa idonea a consentire all'usufruttaria, anziana affetta da
invalidita' civile che necessita di maggiori spazi per la
deambulazione con ausili sanitari, l'accesso diretto dall'auto
all'abitazione in ambienti protetti dalle intemperie.
L'intervento prevede, specificandolo nella relazione tecnica, di
derogare alla distanza di cinque metri dai confini prevista dall'art.
10, comma 3, lettera b), delle norme tecniche operative allegate al
vigente Piano degli interventi.
2. Per chiarezza espositiva va fin da ora premesso che la legge
regionale sul piano casa n. 14 del 2009, ha previsto un'articolata
serie di incentivi e di premi volumetrici anche in deroga agli
strumenti urbanistici comunali al fine di riqualificare il patrimonio
edilizio esistente e sostenere il settore edilizio colpito da una
grave crisi economica.
L'efficacia temporalmente limitata di tali norme e' stata
ripetutamente prorogata fino al 31 dicembre 2018 (l'ultima proroga e'
stata disposta dall'art. 65 della legge regionale 30 dicembre 2016,
n. 30).
L'art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2009, prevede
che nell'applicazione della legge «sono fatte salve le disposizioni
in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente».
Il Tar Veneto inizialmente ha interpretato questa norma come
comportante il divieto di derogare alle distanze previste da
disposizioni statali, ma idonea a consentire la deroga alle distanze
dai confini previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti
locali (si vedano le sentenze Tar Veneto, Sez. II, 24 ottobre 2013,
n. 1213; id. 13 giugno 2013, n. 835; id. 21 ottobre 2010, n. 5694),
giungendo a ritenere manifestamente infondata la questione di
illegittimita' costituzionale della norma sotto questo secondo
profilo (si veda Tar Veneto, Sez. II, 6 febbraio 2014, n. 151).
Successivamente lo stesso Tribunale, con sentenza Tar Veneto,
Sez. II, 14 ottobre 2016, n. 1128, ha mutato il proprio orientamento
giungendo in via interpretativa alla conclusione che in base alla
legge regionale sul piano casa anche le distanze dai confini previste
dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti locali non potevano
ritenersi derogabili.
Tenendo conto dei numerosi argomenti critici offerti sul punto
dalla dottrina che si e' occupata di quelle precedenti pronunce o del
commento della legge regionale, tale conclusione e' stata motivata
con riferimento:
a) alla necessita' di dare un'interpretazione restrittiva
alle disposizioni sul piano casa alla luce della natura peculiare
delle sue norme in ragione della loro natura derogatoria e
temporanea, senza interpretazioni estensive che potrebbero condurre a
stravolgere l'ordinata pianificazione del territorio (su tali
principi si vedano le recenti pronunce Consiglio di Stato, Sez. VI,
30 maggio 2018, n. 3249; id. 21 marzo 2016, n. 1153; sulla natura
eccezionale del Piano Casa cfr. altresi' Sez. VI 28 gennaio 2016, n.
335; Tar Veneto, Sez. II, 14 dicembre 2015, n. 1329), con la
conseguenza che, in mancanza di una espressa previsione in merito
alla derogabilita' delle distanze dai confini previste dagli
strumenti urbanistici e dai regolamenti locali nel corpo della legge
sul piano casa, e' necessario ritenere non ammissibile la loro
deroga;
b) alla necessita' di dare una lettura costituzionalmente
orientata della norma di cui all'art. 9, comma 8, della legge
regionale n. 14 del 2009, essendo quantomeno dubbio che la legge
regionale possa intervenire in un ambito normativo, quale e' quello
delle maggiori distanze tra gli edifici che possono dettare i
regolamenti locali con norme integrative dell'art. 873 c.c.,
riconducibile all'ordinamento civile riservato alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
3. Il Comune di Altavilla Vicentina, a fronte della sopra citata
denuncia di inizio attivita' del 1° dicembre 2016, con provvedimento
prot. n. 17301 del 6 dicembre 2016, ha inibito i lavori sulla scorta
di quanto affermato dalla citata pronuncia Tar Veneto, Sez. II, 14
ottobre 2016, n. 1128, non ritenendo derogabile, in base alla legge
regionale sul piano casa, la distanza di 5 metri dai confini prevista
dall'art. 10, comma 3, lettera b), delle norme tecniche operative
allegate al vigente Piano degli interventi.
Tale provvedimento non e' stato impugnato ed ha consolidato i
suoi effetti.
4. Successivamente e' intervenuto il legislatore regionale con
l'art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, il quale ha
dato un'interpretazione autentica delle norme sul piano casa
disponendo che le stesse devono essere interpretate "nel senso che
esse consentono di derogare ai parametri edilizi di superficie,
volume, altezza e distanza, anche dai confini, previsti dai
regolamenti e dalle norme tecniche di attuazione di strumenti
urbanistici e territoriali, fermo restando quanto previsto all'art.
9, comma 8 della medesima legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 con
esclusivo riferimento a disposizioni di emanazione statale" e
disponendo altresi' al comma 2 che «gli eventuali provvedimenti di
rigetto o di annullamento emessi dal comune sulla base di una
interpretazione degli articoli 2, comma 1, 6, comma 1, e 9, comma 8,
della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14, diversa da quella
indicata al comma 1, sono riesaminati alla luce di quanto previsto
dai medesimi».
5. Alla luce di tale disposizione le ricorrenti con atto prot. n.
391 del 12 gennaio 2017, hanno presentato un'istanza di riesame del
precedente atto di inibitoria della denuncia di inizio attivita' e il
Comune con provvedimento prot. n. 581 del 16 gennaio 2017, l'ha
respinta facendo riferimento alla natura integrativa delle norme
locali rispetto agli articoli 872 e 873 c.c., e alla possibile
illegittimita' costituzionale della legge regionale di
interpretazione autentica.
6. Con il ricorso in epigrafe il diniego e' impugnato con due
motivi.
Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione
dell'art. 64, comma 1, della legge regionale n. 30 del 2016, ed il
difetto di motivazione perche' il Comune non ha tenuto conto della
sopravvenuta norma regionale e ad esso non compete sindacare la
legittimita' costituzionale delle leggi regionali che e' chiamato ad
applicare.
Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, le
ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 64, comma 2, della legge
regionale n. 30 del 2016, il difetto di istruttoria e la carenza di
motivazione, perche', quand'anche il provvedimento impugnato dovesse
essere qualificato come atto meramente confermativo del precedente
atto di inibitoria, dovrebbe comunque trovare applicazione l'obbligo
di riesame degli atti gia' emanati previsto dal comma 2 della norma
di interpretazione autentica.
6.1. Si e' costituito in giudizio il Comune di Altavilla
Vicentina eccependo l'illegittimita' costituzionale dell'art. 64
della legge regionale n. 30 del 2016, con la conseguente non
derogabilita' delle distanze dai confini previsti dalla normativa
locale per effetto della declaratoria di illegittimita'
costituzionale di tale norma, e concludendo pertanto per il rigetto
del ricorso.
Con ordinanza n. 116 del 16 marzo 2017, e' stata respinta la
domanda cautelare per mancanza del requisito del periculum in mora.
Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2018, la causa e' stata
trattenuta in decisione.
7. Cio' premesso, il Collegio non puo' esimersi dal sollevare la
questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art.
64 della legge regionale n. 30 del 2016, nella parte in cui dispone
la deroga della distanza dai confini prevista dagli strumenti
urbanistici e dai regolamenti dei Comuni.
La questione di legittimita' costituzionale deve ritenersi
senz'altro rilevante nel giudizio a quo, perche' il diniego e' stato
motivato con esclusivo riferimento alla non derogabilita' della
distanza dai confini, e un'eventuale dichiarazione
dell'illegittimita' costituzionale della norma regionale di
interpretazione autentica di cui al citato art. 64 comporterebbe il
rigetto del ricorso, dato che troverebbe in tal modo applicazione il
testo originario dell'art. 9, comma 8, della legge regionale n. 14
del 2009, con possibile esplicazione dell'interpretazione sistematica
del medesimo data dalla sentenza Tar Veneto, Sez. II, 14 ottobre
2016, n. 1128, e condivisa dal Comune di Altavilla Vicentina.
Un'eventuale dichiarazione di infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale comporterebbe invece l'accoglimento del
ricorso in epigrafe, il conseguente annullamento del diniego, con
l'obbligo per il Comune di riesaminare l'originaria denuncia di
inizio attivita' adeguandosi alla norma regionale sopravvenuta di
interpretazione autentica.
8. Quanto alla non manifesta infondatezza il Collegio ritiene
violati gli articoli 3, 5, 114, comma 2, 117, comma 2, lettera l), e
comma 6, nonche' 118 della Costituzione.
Il primo profilo da esaminare riguarda la violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione perche' il
legislatore regionale disponendo la deroga delle distanze dai confini
previste dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti comunali, e'
intervenuto in un ambito normativo riservato alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile».
L'art. 873 c.c. «Distanze nelle costruzioni» dispone che «le
costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono
essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti
locali puo' essere stabilita una distanza maggiore».
L'art. 872, comma 2, c.c. prevede che «colui che per effetto
della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la
facolta' di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della
violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa
richiamate».
Per pacifica giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cass. Civ.
Sez. II, 3 novembre 2000, n. 14351) «le norme edilizie locali le
quali prescrivono maggiori distanze nelle costruzioni fissandole in
relazione al confine, anziche' direttamente tra le costruzioni
medesime, hanno anch'esse carattere integrativo della disciplina
codicistica, con la conseguenza che la loro violazione da' diritto a
pretendere la riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei danni
(v., ex plurimis, sent. 24.6.96 n. 5831, 8.7.96 n. 6209, 2.5.97 n.
3820, 18.6.98 n. 6088, 28.11.98 n. 12103)».
I medesimi concetti sono ribaditi anche dalla giurisprudenza piu'
recente (cfr. Cassazione civile, sez. II, 28 settembre 2018, n.
23543) che ha avuto modo di affermare che «in tema di distanze
legali, le norme degli strumenti urbanistici integrano la disciplina
dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli articoli 873
c.c. e seguenti, ove tendano ad armonizzare l'interesse pubblico ad
un ordinato assetto urbanistico del territorio con l'interesse
privato relativo ai rapporti intersoggettivi di vicinato, sicche'
vanno incluse in tale novero le disposizioni del piano regolatore
generale dell'ente territoriale che stabiliscano la distanza minima
delle costruzioni dal confine del fondo e non tra contrapposti
edifici (cfr. Cass. sez. un. 24.9.2014, n. 20107)" e che "la
violazione delle norme degli strumenti urbanistici integrative della
disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli
articoli 873 c.c. e seguenti, conferisce senz'altro al vicino la
facolta' di ottenere la riduzione in pristino (Cass. 5.11.1990, n.
10615; Cass. 30.7.1984, n. 4519)» (cfr. tra le tante Cass. Civ. sez.
II, 12 maggio 2011, n. 10459; id. 23 luglio 2009, n. 17338; id. 16
gennaio 2009, n. 1073; id. 30 agosto 2004, n. 17390; id. 9 dicembre
1996, n. 10935).
Ancora la giurisprudenza ha chiarito che al pari dei regolamenti
locali, anche le disposizioni del decreto ministeriale 2 aprile 1968,
n. 1444 devono ritenersi immediatamente operative nei rapporti tra
privati in quanto integrative dell'art. 873 c.c. (cfr. Cass. civ.,
sez. II, 23 gennaio 2018, n. 1616; Cass. civ. 26 luglio 2016, n.
15458; Cass. Civ. 15 luglio 2016, n. n. 14552; Cass. Civ. sez. II, 29
marzo 2007, n. 7702).
Ritiene pertanto il Collegio di poter affermare che sul piano
delle fonti il rapporto di integrazione che si instaura tra l'art.
873 c.c. e i regolamenti locali, non e' dissimile al rapporto di
integrazione che intercorre, in forza dell'art. 41-quinquies della
legge 17 agosto 1942, n. 1150, tra l'art. 873 c.c. e il decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.
Pertanto anche per la distanza dai confini, cosi' come per la
distanza tra costruzioni, devono valere i medesimi consolidati
principi anche di recente affermati dalla Corte costituzionale (cfr.
la sentenza 24 febbraio 2017, n. 41) la quale ha ribadito che
«secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disciplina delle
distanze fra costruzioni ha la sua collocazione anzitutto nella
sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del codice civile,
intitolata appunto "Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e
scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra fondi". "Tale
disciplina, ed in particolare quella degli articoli 873 e 875 che
viene qui in piu' specifico rilievo, attiene in via primaria e
diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. [...] Non si
puo' pertanto dubitare che la disciplina delle distanze, per quanto
concerne i rapporti suindicati, rientri nella materia
dell'ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello
Stato" (sentenza n. 232 del 2005)».
Ne discende che tutte le norme integrative delle disposizioni di
cui all'art. 873 c.c., e pertanto anche quelle dei regolamenti locali
oltre a quelle previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.
1444, concorrendo alla configurazione del diritto di proprieta' nella
disciplina dei rapporti di vicinato al fine di assicurare un'equita'
nell'utilizzazione edilizia dei suoli privati attribuendo un vero e
proprio diritto soggettivo al reciproco rispetto, che in quanto tale
gode di tutela reale mediante la riduzione in pristino in caso di
violazione, rientrano nella materia dell'ordinamento civile.
Sotto questo profilo la norma regionale di cui all'art. 64 della
legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella parte in cui consente
di non rispettare le distanze dai confini stabilite dagli strumenti
urbanistici e dai regolamenti locali integrative dell'art. 873 c.c.,
a giudizio del Collegio risulta pertanto invasiva della competenza
legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile.
Invero una norma di tale tenore non appare poter essere
ricondotta alla competenza ricorrente in materia di governo del
territorio perche', come anche recentemente chiarito dalla Corte
costituzionale (cfr. la gia' citata Corte costituzionale n. 41 del
2017) «nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza − statale in
materia di "ordinamento civile" e concorrente in materia di "governo
del territorio" − questa Corte ha individuato il punto di equilibrio
nell'ultimo comma dell'art. 9 del decreto ministeriale n. 1444 del
1968, piu' volte ritenuto dotato di particolare "efficacia precettiva
e inderogabile" (sentenza n. 185 del 2016, ma anche sentenze n. 114
del 2012 e n. 232 del 2005), in quanto richiamato dall'art.
41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica),
introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche
ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150).
Pertanto, e' stata giudicata legittima la previsione regionale di
distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, ma
solo "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni
planovolumetriche" (ex plurimis, sentenza n. 231 del 2016). In
definitiva, le deroghe all'ordinamento civile delle distanze tra
edifici sono consentite "se inserite in strumenti urbanistici,
funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di
determinate zone del territorio" (sentenza n. 134 del 2014;
analogamente sentenze n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016),
poiche' "la loro legittimita' e' strettamente connessa agli assetti
urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece,
ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati"
(sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 232 del
2005)».
La medesima pronuncia ha altresi' osservato che «i medesimi
principi sono stati ribaditi anche dopo l'introduzione dell'art.
2-bis del TUE, da parte dell'art. 30, comma 1, lettera a), del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98. La disposizione, infatti,
ha sostanzialmente recepito l'orientamento della giurisprudenza
costituzionale, inserendo nel testo unico sull'edilizia i principi
fondamentali della vincolativita', anche per le Regioni e le Province
autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto ministeriale n.
1444 del 1968 e dell'ammissibilita' delle deroghe, solo a condizione
che siano "inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare
un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio"
(sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza
n. 189 del 2016)».
Alla luce di tali principi il Collegio ritiene pertanto che, al
di fuori di queste specifiche e limitate ipotesi previste dall'ultimo
comma dell'art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444,
una legge regionale che incida in maniera diretta su diritti
soggettivi gia' sorti in forza di norme integrative dell'art. 873
c.c., siano esse derivanti dal citato decreto ministeriale n. 1444
del 1968 o dai regolamenti locali, di fatto annullandoli, deve
ritenersi violare la potesta' legislativa statale in materia di
ordinamento civile.
9. Il secondo profilo che a giudizio del Collegio risulta al
contempo violato e' quello della lesione della sfera di autonomia
normativa comunale in violazione degli articoli 5, 114, comma 2, 117,
comma 6 e 118 della Costituzione (con riguardo a quest'ultima norma
per la violazione del principio della sussidiarieta' verticale).
Infatti la legge statale storicamente riconosce in capo al Comune
l'esercizio delle competenze pianificatorie e regolatorie dell'uso
del territorio (cfr. la legge 17 agosto 1942, n. 1150) e gli articoli
114, comma 2, e 117, comma 6, della Costituzione, nonche' l'art. 4
della legge 5 giugno 2003, n. 131, riconoscono un ambito di autonomia
regolamentare dei Comuni che, qualora come nel caso di specie sia da
esercitare in una funzione attribuita dalla legislazione dello Stato,
la Regione non puo' conculcare.
Sul punto devono pertanto ritenersi ancora validi i principi
affermati dalla Corte costituzionale in un contesto antecedente alla
riforma del Titolo V della Costituzione, ma che risultano ancor piu'
attuali per effetto dell'espresso riconoscimento, ad opera di tale
riforma, dell'autonomia normativa dei Comuni nella Costituzione.
La Corte costituzionale ha infatti affermato che "gli articoli 5
e 128 della Costituzione presuppongono una posizione di autonomia dei
comuni, che le leggi regionali non possono mai comprimere fino a
negarla" (sentenze nn. 286 e 83 del 1997), precisando che tale
principio deve essere inteso nel senso che "il potere dei comuni di
autodeterminarsi in ordine all'assetto e alla utilizzazione del
proprio territorio non costituisce elargizione che le regioni,
attributarie di competenza in materia urbanistica siano libere di
compiere", in quanto l'art. 128 della Costituzione "garantisce, con
previsione di principio, l'autonomia degli enti infraregionali, non
solo nei confronti dello Stato, ma anche nei rapporti con le stesse
regioni" (cfr. sentenza n. 83 del 1997; si vedano altresi' le
sentenze n. 157 del 1990; n. 212 del 1991; n. 61 del 1994).
Pertanto a giudizio del Collegio l'art. 64 della legge regionale
30 dicembre 2016, n. 30, avendo esautorato i Comuni dal disciplinare
in conformita' con le specifiche esigenze di un ordinato sviluppo del
proprio territorio ed in modo equo i rapporti tra i proprietari
confinanti per una intera categoria di interventi edilizi che
corrispondono a quelli attuativi della legge sul piano casa, viola
l'autonomia normativa dei Comuni riconosciuta dagli articoli 5, 114,
comma 2, 117, comma 6, e 118 della Costituzione.
10. Infine risulta altresi' violato l'art. 3 della Costituzione
sotto il profilo della ragionevolezza e della disparita' di
trattamento che costituiscono un parametro particolarmente rilevante
rispetto alla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita
che e' una norma di interpretazione autentica al primo comma, e
retroattiva al secondo comma, che per essere costituzionalmente
legittima deve trovare adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non deve contrastare con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti (ex pluribus cfr. Corte costituzionale n.
73 del 2017; n. 170 del 2013, nonche' le sentenze n. 78 del 2012 e n.
209 del 2010).
Infatti la previsione, nell'ambito degli strumenti urbanistici e
nei regolamenti comunali, di una distanza di cinque metri dal confine
persegue chiaramente una finalita' di carattere perequativo,
imponendo una ripartizione equa, in parti uguali, del sacrificio
derivante dal necessario rispetto della distanza di dieci metri da
pareti finestrate prevista dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.
1444.
In mancanza dell'operativita' di una disposizione comunale di
questo tipo, il soggetto preveniente costringe infatti il prevenuto
ad arretrare per rispettare la distanza di dieci metri da pareti
finestrate compromettendo seriamente il suo diritto ad edificare
qualora lo stesso non possegga una superficie residua del lotto
sufficiente a conservare le facolta' edificatorie che il medesimo
lotto puo' esprimere in base allo strumento urbanistico.
Inoltre una tale eventualita' puo' potenzialmente compromettere
anche gli interessi pubblici coinvolti nella pianificazione
urbanistica creando elementi edilizi estemporanei e distonici
rispetto all'ordinato assetto urbanistico dato dalla presenza di
caratteristiche tipologiche e architettoniche omogenee in un
determinato ambito territoriale.
Pertanto la norma di cui all'art. 64 della legge regionale 30
dicembre 2016, n. 30, consentendo la deroga alle distanze dai confini
per i soli interventi di carattere eccezionale attuativi della legge
sul piano casa, risulta anche irragionevole e discriminatoria perche'
introduce una disciplina non imparziale che favorisce solo chi
intende dar corso ad un siffatto intervento edilizio a discapito del
vicino confinante, comprime la posizione giuridica di quest'ultimo
che ha la consistenza di un vero e proprio diritto soggettivo, e
finisce per comportare elementi di squilibrio e distorsione nelle
relazioni tra proprietari confinanti determinando situazioni di
iniquita' nei rapporti intersoggettivi.
Inoltre la posizione del terzo confinante nonostante abbia la
medesima natura di diritto soggettivo perfetto finisce in tal modo
per subire una diversa tutela a fronte di uno stesso intervento
edilizio a seconda che venga realizzato in attuazione delle norme
sulla legge regionale sul piano casa, o in forza delle ordinarie
norme del piano regolatore.
Nel primo caso il vicino non puo' che costruire in arretramento,
in quanto e' privo dei rimedi giuridici per reagire alla compressione
del proprio ius edificandi, nel secondo caso puo' ottenere una tutela
ripristinatoria reale.
Sotto questo profilo la norma di interpretazione autentica di cui
all'art. 64 comma 1, e la norma retroattiva di cui al comma 2,
risultano violare l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della
ragionevolezza e della disparita' di trattamento.
11. In conclusione il Collegio ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 64 della legge regionale 30 dicembre 2016, n. 30, nella
parte in cui dispone la non applicabilita' delle disposizioni
contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti dei Comuni
per gli interventi edilizi applicativi della legge regionale 8 luglio
2009, n. 14, per violazione degli articoli 3, 5, 114, comma 2, 117,
comma 2, lettera l), e comma 6, nonche' 118 della Costituzione.
Si deve pertanto disporre la sospensione del presente giudizio e
la rimessione della questione all'esame della Corte costituzionale,
ai sensi dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la
decisione sulla prospettata questione di costituzionalita'.