ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  1  nonche'
dell'intero testo della legge della Regione Abruzzo 18  giugno  2018,
n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria),  promosso  dal  Presidente
del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato  il  17-20  agosto
2018, depositato in cancelleria il 24 agosto 2018, iscritto al n.  53
del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  16  aprile  2019  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti; 
    udito l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 17-20 agosto 2018 e  depositato  il
24 agosto 2018  (reg.  ric.  n.  53  del  2018),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questione   di   legittimita'
costituzionale della legge della Regione Abruzzo 18 giugno  2018,  n.
14 (Disposizioni in materia sanitaria),  in  riferimento  agli  artt.
117, secondo comma, lettera l), e 3 della Costituzione. 
    Il ricorrente rappresenta che  l'art.  l  della  legge  regionale
impugnata,   rubricato   «Disposizioni   in   materia   di    sanita'
convenzionata», dispone, al comma 1, il riconoscimento ai  medici  di
continuita' assistenziale,  fino  alla  data  di  approvazione  della
delibera della Giunta regionale 18 luglio 2017, n. 398,  un  compenso
aggiuntivo che, ai sensi dell'art. 13 (Trattamento economico),  comma
l, dell'Accordo integrativo regionale approvato  con  delibera  della
Giunta regionale 9 agosto 2006, n. 916, e' pari ad  euro  4  all'ora,
quale indennita' per i rischi legati alla tipologia dell'incarico. 
    Il successivo comma 2 precisa che detta  indennita'  «si  intende
finalizzata  alla  remunerazione  delle  particolari   e   specifiche
condizioni  di  disagio  e  difficolta'  in  cui  vengono   rese   le
prestazioni sanitarie al fine di garantire i  livelli  essenziali  di
assistenza  e  del  contributo   offerto,   anche   in   termini   di
disponibilita', allo svolgimento di tutte le attivita' [...]». 
    1.1.-   Secondo   l'Avvocatura   generale    dello    Stato    il
riconoscimento, ad opera  dell'art.  1  della  legge  impugnata,  del
predetto  compenso  aggiuntivo  si  discosterebbe  dai  principi  che
ispirano l'Accordo collettivo nazionale (ACN) di settore  che  regola
le  attribuzioni   degli   incarichi   ai   medici   di   continuita'
assistenziale,  preposti  ad  assicurare  prestazioni   assistenziali
territoriali non differibili. 
    In proposito, il  ricorrente  espone  che  l'art.  67,  comma  l,
dell'ACN 29 luglio 2009, di modifica  dell'ACN  del  23  marzo  2005,
stabilisce che «[i]l medico di continuita' assistenziale assicura  le
prestazioni  sanitarie  non  differibili   ai   cittadini   residenti
nell'ambito territoriale afferente alla sede di servizio»  e  che  il
successivo  comma  17  prevede  che  «[i]l  medico   di   continuita'
assistenziale  partecipa  alle  attivita'  previste   dagli   Accordi
regionali e aziendali. Per queste attivita'  vengono  previste  quote
variabili aggiuntive di compenso, analogamente agli altri  medici  di
medicina generale  che  ad  esse  partecipano.  Tali  attivita'  sono
primariamente orientate, in  coerenza  con  l'impianto  generale  del
presente Accordo, a promuovere la piena integrazione  tra  i  diversi
professionisti   della   Medicina   generale,   anche   mediante   la
regolamentazione di eventuali attivita' ambulatoriali». 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  da  tali   disposizioni
contrattuali «deriva  che  ai  medici  di  continuita'  assistenziale
possono essere attribuite altre  attivita'  che  si  aggiungono  alle
normali funzioni istituzionali, ma queste ulteriori attivita'  devono
essere stabilite dagli Accordi collettivi regionali e aziendali e per
la remunerazione delle stesse devono essere previste quote  variabili
aggiuntive di compenso»  e  che,  conseguentemente,  «[n]on  possono,
invece, essere previsti compensi aggiuntivi, volti ad indennizzare il
medico per le  particolari  e  specifiche  condizioni  di  disagio  e
difficolta' in cui vengono rese  le  prestazioni  sanitarie  da  esso
svolte, posto che, come sopra indicato, le predette  quote  variabili
aggiuntive  costituiscono  la  possibile  remunerazione  delle   sole
attivita'  attribuite  al  medico  in  aggiunta  rispetto  a   quelle
istituzionali e la corresponsione  del  relativo  compenso  prescinde
dalle   particolari   condizioni   in   cui   e'   resa   l'attivita'
assistenziale». 
    In proposito il ricorrente evidenzia che, pur  avendo  l'art.  23
dell'ACN 29 luglio  2009  (di  modifica  all'articolo  72,  comma  l,
dell'ACN del 23 marzo 2005) eliminato  il  riferimento  ai  «compensi
lordi omnicomprensivi per ogni ora di attivita' svolta», tuttavia  la
nuova formulazione dell'art.  72  suddetto  contiene  pur  sempre  il
riferimento  alla   rideterminazione   dell'onorario   professionale,
prevedendo  che  «[a]  far  data  dal  l  gennaio   2008   l'onorario
professionale di cui all'art. 72, comma l dell'ACN 23 marzo  2005  e'
rideterminato in euro 22,03 per ogni ora di attivita' svolta  [...]»;
riferimento  che,  secondo  la  difesa  dello  Stato,  deve  comunque
intendersi quale trattamento onnicomprensivo. 
    Cio'  premesso,  il  ricorrente  assume  che  con  le   ricordate
previsioni dell'art. l della legge impugnata il legislatore regionale
dell'Abruzzo eserciterebbe una competenza non propria, atteso che, ai
sensi dell'art. 8, comma l, prima parte, del decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421), il rapporto tra il Servizio sanitario regionale,  i  medici  di
medicina generale e i pediatri di libera scelta  e'  disciplinato  da
apposite convenzioni  di  durata  triennale,  conformi  agli  accordi
collettivi nazionali. 
    L'Avvocatura dello Stato al riguardo deduce che  «quando  -  come
nel caso in esame -  un  contratto  collettivo  nazionale  determina,
negli ambiti di disciplina ad  esso  riservati  da  una  legge  dello
Stato, le materie  e  i  limiti  entro  i  quali  deve  svolgersi  la
contrattazione collettiva integrativa, non e' consentito ad una legge
regionale derogare a quanto  in  tal  senso  disposto  dal  contratto
collettivo nazionale». 
    Secondo il ricorrente, dunque, «l'art. l della legge in esame,  e
l'intera legge regionale avente carattere normativo omogeneo (essendo
composta di soli due articoli tra  loro  inscindibilmente  connessi),
invadono la competenza esclusiva statale in materia  di  "ordinamento
civile", alla quale e' riconducibile  la  contrattazione  collettiva,
violando in tal modo l'art. 117, secondo  comma,  lett.  l),  Cost.»,
ledendo, al contempo, «l'esigenza connessa al precetto costituzionale
di eguaglianza di cui all'art. 3, Cost., di garantire  l'uniformita',
sul territorio nazionale, delle regole fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti in questione». 
    2.- In prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato
ha presentato memoria  nella  quale  ha  ribadito  le  argomentazioni
addotte,   insistendo   per   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della legge regionale impugnata. 
    3.- La Regione Abruzzo non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
depositato il 24 agosto 2018, ha promosso questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, nonche' dell'intera legge  della  Regione
Abruzzo 18 giugno 2018, n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria), in
riferimento agli artt. 117, secondo comma,  lettera  l),  e  3  della
Costituzione. 
    L'art. 1  (Disposizioni  in  materia  di  sanita'  convenzionata)
stabilisce al comma 1: «[f]ino all'approvazione della  Delib.G.R.  n.
398 del 18 luglio 2017, l'indennita' aggiuntiva di  cui  al  Capo  II
art. 13, comma 1, dell'Accordo Integrativo  Regionale  approvato  con
Delib.G.R. n.  916  del  9  agosto  2006,  e'  confermata  in  quanto
correlata   allo   svolgimento   della   attivita'   di   Continuita'
Assistenziale a garanzia del miglioramento dei servizi ai cittadini e
dell'integrazione  tra  professionisti  operanti  nel  settore  delle
prestazioni assistenziali della Medicina Convenzionata»; al comma  2:
«[n]el rispetto delle competenze assegnate ai medici  di  Continuita'
Assistenziale ed in  linea  con  gli  obiettivi  posti  dall'art.  67
dell'Accordo Collettivo Nazionale del 23 marzo 2005 e  s.m.i.  e  dei
Principi  Generali  di  cui  all'art.  14,  comma   9,   dell'Accordo
Collettivo Nazionale del 23 marzo 2005 e s.m.i., l'indennita' di  cui
al  comma  1  si  intende  finalizzata   alla   remunerazione   delle
particolari e specifiche condizioni di disagio e difficolta'  in  cui
vengono rese le prestazioni sanitarie al fine di garantire i  livelli
essenziali di assistenza e del contributo offerto, anche  in  termini
di disponibilita', allo svolgimento di tutte  le  attivita',  essendo
prioritariamente  orientate,  in  coerenza  con  l'impianto  generale
dell'Accordo Collettivo Nazionale  vigente,  a  promuovere  la  piena
integrazione tra i diversi professionisti della Medicina Generale e a
garantire migliori standard qualitativi delle prestazioni sanitarie». 
    1.1.- Ad  avviso  del  ricorrente,  le  predette  disposizioni  e
l'intera  legge  regionale,  in  quanto  avente  carattere  omogeneo,
comportano  una  lesione  della  competenza  statale  in  materia  di
«ordinamento civile», ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
l), Cost., poiche' a tale ambito di  competenza  deve  ricondursi  la
disciplina del rapporto di lavoro tra il Servizio sanitario regionale
e i medici di medicina generale e i pediatri di libera  scelta.  Cio'
in quanto l'art. 8, comma 1,  del  decreto  legislativo  30  dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre  1992,  n.  421),  demanda  la
disciplina  di  tale  rapporto  ad  apposite  convenzioni  di  durata
triennale conformi agli accordi collettivi nazionali di settore. 
    In  particolare,  le  disposizioni  in  materia  di   trattamento
economico  dei  medici  di  continuita'  assistenziale  dettate   dal
legislatore regionale contrasterebbero con quelle previste  dall'art.
67, commi 1 e 17, dell'Accordo  collettivo  nazionale  (ACN)  del  29
luglio 2009, modificativo dell'ACN del  23  marzo  2005.  Secondo  la
difesa  dello  Stato,  tali   disposizioni   contrattuali,   infatti,
escludono che possano essere previsti compensi aggiuntivi  al  medico
di continuita' assistenziale, volti ad indennizzarlo per  particolari
e specifiche condizioni di disagio e difficolta' in cui vengono  rese
le prestazioni sanitarie, in quanto  le  quote  variabili  aggiuntive
previste dallo stesso Accordo collettivo costituiscono  la  possibile
remunerazione delle sole attivita' attribuite al medico  in  aggiunta
rispetto a quelle  istituzionali,  e  prescindono  dalle  particolari
condizioni in cui e' resa l'attivita'. 
    1.2.-   Inoltre,   l'intervento   del   legislatore    regionale,
nell'incidere cosi' su  una  disciplina  di  competenza  statale,  ad
avviso del ricorrente, lede  altresi'  il  principio  di  uguaglianza
posto  dall'art.  3  Cost.,  poiche'  pregiudica   l'uniformita'   di
trattamento sul territorio nazionale delle regole che disciplinano il
rapporto di lavoro in questione. 
    2.- La questione e' fondata in quanto, per le ragioni di  seguito
illustrate, la legge regionale viola la competenza  statale  ex  art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    2.1.- Il servizio  di  continuita'  assistenziale  (gia'  guardia
medica) costituisce una articolazione della medicina generale,  e  si
configura come uno specifico livello  essenziale  di  assistenza,  in
quanto ha la funzione di garantire a tutti i  cittadini,  nell'ambito
territoriale  di  competenza  del  presidio  sanitario,  l'assistenza
svolta dal medico di medicina  generale  e  dal  pediatra  di  libera
scelta nelle ore in cui il servizio non e' da essi assicurato. 
    La prestazione e' resa da medici che sono, al  pari  degli  altri
medici  di  medicina  generale,  in  rapporto  convenzionale  con  il
Servizio sanitario nazionale, con  la  competente  azienda  sanitaria
locale. 
    La Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che il rapporto
convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto
privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica
amministrazione; rapporto  riconducibile  dunque  all'art.  2222  del
codice civile, che per la sua particolare disciplina si configura  in
termini di "parasubordinazione" (Corte di cassazione, sezioni  unite,
ordinanza 21 ottobre 2005,  n.  20344;  sezione  lavoro,  sentenza  8
aprile 2008, n. 9142). 
    2.2.- La disciplina del rapporto di lavoro in  oggetto  e'  stata
configurata, fin dalla legge 23 dicembre 1978,  n.  833  (Istituzione
del  servizio  sanitario  nazionale),  in   termini   di   necessaria
uniformita' sul territorio nazionale, assicurata attraverso la  piena
conformita' delle convenzioni alle previsioni dettate  dagli  accordi
collettivi. 
    L'art. 48 (Personale a rapporto convenzionale) della legge n. 833
del 1978 stabilisce, difatti, che  «[l]'uniformita'  del  trattamento
economico  e   normativo   del   personale   sanitario   a   rapporto
convenzionale  e'  garantita  sull'intero  territorio  nazionale   da
convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi
collettivi  nazionali  stipulati  tra  il  Governo,  le   regioni   e
l'Associazione  nazionale   dei   comuni   italiani   (ANCI)   e   le
organizzazioni  sindacali  maggiormente  rappresentative   in   campo
nazionale di ciascuna categoria. [...] L'accordo nazionale di cui  al
comma precedente e' reso esecutivo con decreto del  Presidente  della
Repubblica, su proposta del Presidente del  Consiglio  dei  Ministri.
[...] E' nullo qualsiasi atto, anche  avente  carattere  integrativo,
stipulato  con  organizzazioni  professionali  o  sindacali  per   la
disciplina  dei  rapporti  convenzionali.  [...]  E'  altresi'  nulla
qualsiasi convenzione con singoli appartenenti alle categorie di  cui
al presente articolo. Gli atti adottati in contrasto con la  presente
norma comportano la responsabilita' personale degli amministratori». 
    Il ricordato comma 1 dell'art. 8  (Disciplina  dei  rapporti  per
l'erogazione delle prestazioni assistenziali) del d.lgs. n.  502  del
1992 - evocato in particolare dal ricorrente come norma interposta  -
per un verso ha ribadito e precisato che il rapporto tra il  Servizio
sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i  pediatri  di
libera scelta e'  disciplinato  da  apposite  convenzioni  di  durata
triennale conformi agli accordi collettivi  nazionali  stipulati,  ai
sensi dell'art. 4, comma 9, della legge  30  dicembre  1991,  n.  412
(Disposizioni in materia di finanza pubblica), con le  organizzazioni
sindacali  di  categoria  maggiormente   rappresentative   in   campo
nazionale; e per altro verso ha stabilito che  tali  accordi  «devono
tenere conto dei seguenti principi: [...] d) ridefinire la  struttura
del compenso spettante al medico,  prevedendo  una  quota  fissa  per
ciascun soggetto iscritto alla sua lista, corrisposta su base annuale
in  rapporto  alle  funzioni  definite  in  convenzione;  una   quota
variabile  in  considerazione  del  raggiungimento  degli   obiettivi
previsti dai programmi di attivita' e del  rispetto  dei  conseguenti
livelli di spesa programmati  di  cui  alla  lettera  f);  una  quota
variabile in considerazione dei compensi  per  le  prestazioni  e  le
attivita' previste negli accordi nazionali  e  regionali,  in  quanto
funzionali allo sviluppo  dei  programmi  di  cui  alla  lettera  f);
[...]». 
    Funzionale alla definizione di tale  assetto  regolatorio  e'  la
previsione recata dal comma  9  dell'art.  4  (Assistenza  sanitaria)
della legge n. 412 del 1991. 
    Nel testo modificato dall'art.  52,  comma  27,  della  legge  27
dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)»,
la citata previsione stabilisce, in particolare, che  «[c]on  accordo
in sede di Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di   Bolzano,   e'
disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo ai
predetti accordi tenendo conto di quanto previsto dagli articoli  40,
41, 42, 46, 47, 48 e 49 del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.
165». 
    Infine, l'art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo  2004,  n.  81
(Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di  pericolo  per  la
salute pubblica),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  26
maggio 2004, n. 138, ha confermato la cosi'  delineata  struttura  di
regolazione  del  contratto  del  personale  sanitario   a   rapporto
convenzionale,  «garantito  sull'intero   territorio   nazionale   da
convenzioni conformi  agli  accordi  collettivi  nazionali  stipulati
mediante il procedimento di contrattazione  collettiva  definito  con
l'accordo in sede di Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
previsto dall'articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre  1991,  n.
412, e successive  modificazioni»,  precisando  che  «[t]ale  accordo
nazionale e'  reso  esecutivo  con  intesa  nella  citata  Conferenza
permanente, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo  28  agosto
1997, n. 281». 
    2.3.- In base al riferito quadro  normativo,  la  disciplina  del
rapporto di lavoro del  personale  medico  di  medicina  generale  in
regime di convenzione, sebbene sia di natura  professionale,  risulta
dunque demandata all'intervento della negoziazione collettiva, il cui
procedimento e' stato modellato dal legislatore con espresso richiamo
a quello  previsto  per  la  contrattazione  collettiva  dal  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni  pubbliche)  per  il
personale della pubblica amministrazione il  cui  rapporto  e'  stato
privatizzato. 
    Particolare  rilievo  assume  il  ricordato   richiamo,   operato
dall'art. 4 della legge n.  412  del  1991,  all'art.  40  (Contratti
collettivi nazionali e integrativi) del d.lgs. n. 165  del  2001,  in
materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione  collettiva
(nazionale, regionale e aziendale),  secondo  cui  la  contrattazione
collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli  e  nei
limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e
con le procedure negoziali che questi ultimi  prevedono.  A  garanzia
del rispetto di tali stringenti vincoli, lo stesso art. 40 dispone la
nullita' e l'inapplicabilita' di clausole  dei  contratti  collettivi
integrativi difformi dalle previsioni del livello nazionale.  In  tal
senso, le previsioni gia' presenti nell'originario testo dell'art. 40
sono state poi rafforzate  dalle  modifiche  introdotte  dal  decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge  4  marzo
2009, n. 15, in materia di  ottimizzazione  della  produttivita'  del
lavoro  pubblico  e  di  efficienza  e  trasparenza  delle  pubbliche
amministrazioni). 
    2.4.- In  vigenza  e  in  attuazione  delle  citate  disposizioni
statali, il 23 marzo 2005 e' intervenuto l'ACN per la disciplina  dei
rapporti con i medici di medicina generale, a seguito dell'intesa  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Tale Accordo, poi modificato e integrato dall'ACN del  29  luglio
2009,  stabilisce,  alla  lettera  o)   dell'art.   3   (Negoziazione
nazionale), che sia il livello di contrattazione nazionale a definire
la struttura del compenso, mentre l'art. 4  (Negoziazione  regionale)
individua  gli  specifici  aspetti  rimessi  alla  definizione  della
negoziazione regionale. 
    Riguardo al  trattamento  economico  dei  medici  di  continuita'
assistenziale,  e'  l'art.  72  dell'Accordo  nazionale  a  stabilire
l'entita' del compenso orario per l'attivita' svolta,  mentre  l'art.
67,  comma  17,  prevede  quote  aggiuntive  di   compenso   per   la
partecipazione del  medico  alle  attivita'  previste  dagli  accordi
regionali e aziendali. 
    Il successivo  comma  18  prevede  poi  che  «[c]on  gli  accordi
regionali e aziendali sono individuati gli  ulteriori  compiti  e  le
modalita' di partecipazione del medico di  continuita'  assistenziale
alle attivita' previste nelle equipes territoriali, nelle Utap, nelle
altre forme organizzative delle cure primarie». 
    2.5.-  Nel  contesto  cosi'   illustrato   interviene   l'Accordo
integrativo regionale (AIR) abruzzese per la disciplina dei  rapporti
con i medici di medicina generale, approvato con deliberazione  della
Giunta regionale 9 agosto 2006, n. 916, il cui art. 13, comma 1,  del
Capo II,  recante  la  disciplina  della  continuita'  assistenziale,
stabilisce in materia di trattamento economico che  «[a]l  medico  di
continuita' assistenziale spetta il compenso aggiuntivo di euro 4/ora
quale indennita' per i rischi legati alla tipologia dell'incarico». 
    2.6.- L'art. 1 della legge impugnata, nel confermare la  predetta
disposizione dell'art. 13, comma 1, Capo II, dell'AIR abruzzese  fino
alla data di entrata in vigore della delibera della Giunta  regionale
18 luglio 2017, n. 398,  fornisce  poi  una  "interpretazione"  della
finalizzazione  del  compenso  aggiuntivo   ivi   riconosciuto   alle
«particolari e specifiche condizioni di disagio e difficolta'» in cui
vengono rese le prestazioni sanitarie,  e  del  «contributo»  offerto
allo svolgimento di tutte le attivita'. 
    Cosi' disponendo, la legge regionale impugnata incide,  con  ogni
evidenza, su un aspetto  del  trattamento  economico  dei  medici  di
continuita' assistenziale che l'ordinamento  nazionale  demanda  alla
fonte negoziale collettiva ai sensi, in particolare, dell'art. 8  del
d.lgs. n. 502 del 1992. 
    Le ragioni  di  un  tale  intervento  del  legislatore  regionale
abruzzese si evincono dalla lettura congiunta dei lavori  preparatori
e della ricordata delibera della Giunta regionale n. 398 del 2017. 
    Emerge  difatti  che,  a  seguito  dell'indagine  disposta  dalla
competente Procura regionale della Corte dei  conti  in  ordine  agli
oneri  a  carico  della  finanza  pubblica  prodotti   dalla   citata
previsione dell'art. 13, comma 1, Capo II,  dell'Accordo  integrativo
regionale, in quanto ritenuta  difforme  dalle  ricordate  previsioni
dell'art. 72 dell'ACN, la Giunta regionale ha  innanzitutto  adottato
la delibera n. 398 del 2017, con cui si e'  disposta  la  sospensione
dell'erogazione della indennita'  sospettata  di  illegittimita'.  Al
contempo,  e'   stato   attivato   il   percorso   che   ha   portato
all'approvazione della legge regionale in esame che,  nel  confermare
la indennita' in questione fino all'adozione della predetta delibera,
ne "sostituisce" la fonte negoziale e amministrativa  (AIR,  recepito
dalla delibera della Giunta Regione Abruzzo 9 agosto 2006,  n.  916),
legittimandone l'avvenuta erogazione. 
    3.- Sulla  scorta  di  quanto  fin  qui  esaminato,  l'intervento
normativo  impugnato  risulta  chiaramente  lesivo  della  competenza
statale in materia di «ordinamento civile», in quanto  la  disciplina
del rapporto di lavoro dei medici  di  continuita'  assistenziale  e'
riconducibile a tale materia, prevedendone il  legislatore  nazionale
una regolazione  uniforme,  garantita  dalla  piena  conformita'  del
rapporto alle previsioni dettate dagli accordi collettivi di settore. 
    Indubbiamente la costante giurisprudenza di  questa  Corte  sulla
riconduzione all'ambito della  predetta  competenza  statale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., della disciplina  del
rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni si e' formata  in
riferimento al lavoro subordinato "contrattualizzato"  (ex  plurimis,
da ultimo, sentenze n. 10 del 2019 e n. 196 del 2018), ed e' riguardo
a tale tipo di  rapporto  che  si  e'  riconosciuto  il  ruolo  della
contrattazione collettiva come «imprescindibile fonte» cui  la  legge
demanda aspetti di notevole rilievo (in particolare, sentenza n.  178
del 2015). 
    Tuttavia, gia' con la sentenza n. 186 del 2016  questa  Corte  ha
affermato che,  pur  qualificandosi  il  rapporto  convenzionale  dei
medici di medicina generale con il Servizio sanitario  nazionale  nei
ricordati  termini  di  "parasubordinazione"  prima   indicati,   non
sussistono   apprezzabili   differenze   rispetto   alla    ricordata
giurisprudenza elaborata in ordine al  rapporto  di  lavoro  pubblico
contrattualizzato. 
    Nella citata decisione si afferma, difatti, che la contrattazione
collettiva  nazionale  del  settore,  che  si  esprime   nell'accordo
collettivo,   fondata   sulle   previsioni   delle   norme    statali
precedentemente illustrate,  «e'  certamente  parte  dell'ordinamento
civile», in quanto «si  inserisce  nel  peculiare  sistema  integrato
delle  fonti  cui  la  legge  statale  pone  un  forte  presidio  per
garantirne la necessaria uniformita'». Pertanto,  si  configurano  le
stesse esigenze di disciplina uniforme dei rapporti convenzionali dei
medici con il Servizio sanitario nazionale,  poiche'  la  regolazione
specifica e' la risultante di una forte integrazione tra la normativa
statale e la contrattazione collettiva nazionale,  con  una  rigorosa
delimitazione degli ambiti della contrattazione decentrata e  con  un
limitato rinvio alla legislazione regionale per aspetti e materie ben
definite,   secondo   lo   schema   comune   al   pubblico    impiego
contrattualizzato, come reso evidente dal ricordato richiamo  operato
dall'innovato art. 4 della legge n. 412 del 1991 alla disciplina  del
procedimento di contrattazione collettiva dettata dal d.lgs.  n.  165
del 2001. 
    3.1.-  Resta  assorbita  la  censura  formulata  in   riferimento
all'art. 3 Cost. 
    3.2.-  La   riscontrata   illegittimita'   costituzionale   delle
previsioni dell'art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 14 del  2018,  per
violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  si
estende all'intera legge, in quanto le disposizioni recate  dall'art.
2 (Disposizioni finanziarie) e dall'art. 3 (Entrata in  vigore)  sono
con ogni evidenza prive  di  una  loro  autonoma  portata  normativa,
essendo meramente funzionali all'attuazione delle  previsioni  recate
dall'art. 1 (ex plurimis, per analoghe estensioni, sentenze n. 228  e
n. 81 del 2018, n. 14 del 2017 e n. 201 del 2008).