IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
            sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  441  del  2018,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da Terra Moretti S.p.A. e Societa' Agricola Bellavista S.S.,
entrambe  in  persona  del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Fontana e Italo Luigi
Ferrari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di  giustizia
e domicilio eletto presso lo studio Francesco Fontana in Brescia, via
Armando Diaz n. 28; 
    contro il Comune di Adro, rappresentato e difeso dall'avv.  Mauro
Ballerini,  con  domicilio  digitale  come  da  PEC  da  Registri  di
giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in  Brescia,  viale
della Stazione n. 37; 
    nei confronti della  Provincia  di  Brescia,  non  costituita  in
giudizio; 
    per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
    previa rimessione alla Corte costituzionale  della  questione  di
legittimita' costituzionale relativa  alla  previsione  dell'art.  9,
comma 12, della legge regionale della Regione Lombardia n. 12/2005: 
        della deliberazione del Consiglio comunale 15 febbraio  2018,
n. 11, pubblicata in data 23  febbraio  2018,  recante  «Approvazione
progetto definitivo/esecutivo e dichiarazione  di  pubblica  utilita'
dell'opera di realizzazione nuova strada di collegamento tra  la  via
Cattaneo  e  via  per   Torbiato   nel   Comune   di   Adro   -   CUP
F86G13000000007»; 
        della deliberazione di Giunta comunale 8 agosto 2017, n. 106,
recante l'approvazione dello  studio  di  fattibilita'  del  medesimo
progetto; 
        della deliberazione del Consiglio comunale 24 febbraio  2018,
n.  17,  di  approvazione  del  progetto  definitivo/esecutivo  e  di
dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera suddetta; 
    quanto al primo ricorso per motivi aggiunti: 
        della deliberazione della Giunta comunale n. 94 del 26 luglio
2018, mai formalmente comunicata ai ricorrenti, di approvazione della
modifica di progetto esecutivo della nuova strada di collegamento tra
via Cattaneo e via Torbiato del Comune di Adro; 
    quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti: 
        del decreto  di  esproprio  n.  2/2018  relativo  alle  «aree
coinvolte dal progetto per la realizzazione  della  nuova  strada  di
collegamento tra via Cattaneo e via per Torbiato nel Comune di Adro»; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Adro; 
    Vista la sentenza non definitiva di questo Tribunale n. 736 del 7
agosto 2019; 
    Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  4  luglio  2019  la
dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. Le societa'  ricorrenti  hanno  impugnato  l'atto  recante  la
dichiarazione di  pubblica  utilita'  e  i  successivi  provvedimenti
adottati nell'ambito del procedimento espropriativo preordinato  alla
realizzazione della nuova strada di collegamento tra la via  Cattaneo
e la via per Torbiato nel Comune di Adro, la  cui  localizzazione  e'
stata  in  parte  prevista  sulla  proprieta'  della  societa'  Terra
Moretti,  destinata  dalla  societa'  Bellavista  alla   coltivazione
dell'uva per la produzione di vino  con  denominazione  «Franciacorta
DOCG». 
    Piu' precisamente,  con  il  ricorso  introduttivo,  le  societa'
ricorrenti hanno censurato la  legittimita'  della  dichiarazione  di
pubblica utilita', mentre con il primo ricorso  per  motivi  aggiunti
hanno impugnato la successiva deliberazione di approvazione di alcune
modifiche progettuali e con il secondo il decreto di esproprio. 
    Al fine di ottenere l'annullamento  di  detti  provvedimenti,  le
ricorrenti hanno formulato una pluralita' di censure,  con  le  quali
sono stati dedotti vizi procedurali (censure 1, 4  e  5  del  ricorso
introduttivo, 1, 2 e 3 del primo ricorso per motivi aggiunti e 2  del
secondo ricorso per motivi aggiunti), oltre  che  la  violazione  dei
principi posti a tutela del suolo  agricolo  e  l'eccesso  di  potere
connesso alla scelta di realizzare un'opera che, separata dalla  piu'
ampia opera di cui era  originariamente  parte  (la  circonvallazione
dell'abitato), avrebbe  una  pubblica  utilita'  limitata,  recessiva
rispetto alla conservazione della pregiata coltura in  atto,  nonche'
l'illegittimita' costituzionale della norma in ragione della quale e'
stata ravvisata, nel  2018,  la  conformita'  urbanistica  dell'opera
prevista nel PGT del 2012. 
    2. Con sentenza non definitiva n. 736/2019, questo  Tribunale  ha
ritenuto che le doglianze suddette fossero in parte  inammissibili  e
in parte infondate, con la sola esclusione della  censura  n.  2  del
ricorso introduttivo, riproposta anche nel primo ricorso  per  motivi
aggiunti (e, in termini di invalidita' derivata,  anche  nel  secondo
ricorso per motivi  aggiunti),  avente  ad  oggetto  l'efficacia  del
presupposto essenziale del procedimento espropriativo,  rappresentato
dal  vincolo  preordinato   all'esproprio:   efficacia   disciplinata
dall'art. 9, comma 12, della legge regionale n.  12/2005,  sospettato
di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt.  3,  42,
comma 2 e 117, comma 3 della Costituzione. 
    3. Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti per  sollevare
la questione avanti alla Corte costituzionale. 
    3.1. Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Come noto, l'art. 23 della legge n. 87 del 1953  prevede  che  il
giudice debba sospendere il giudizio in corso e trasmettere gli  atti
alla Corte costituzionale quando il giudizio non possa essere risolto
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Tale condizione risulta ricorrere nella fattispecie,  posto  che,
respinte  tutte  le  altre  censure,  ricorso  revoca  in  dubbio  la
legittimita'  costituzionale  della  disposizione   applicata   nella
fattispecie al fine di sostenere la efficacia del vincolo preordinato
all'esproprio sulla scorta del quale e' stata dichiarata la  pubblica
utilita' dell'opera in questione, cosi'  adottando  il  provvedimento
che ha degradato il diritto di proprieta' rendendolo aggredibile  con
la procedura espropriativa. 
    Se il dubbio sollevato da parte ricorrente fosse fondato, dunque,
il  vincolo  espropriativo  dovrebbe  essere  ritenuto  decaduto,  al
momento dell'adozione della dichiarazione di pubblica utilita',  che,
per cio' stesso,  dovrebbe  essere  dichiarata  illegittima,  perche'
priva del presupposto fondante l'esercizio del potere ablatorio  (cfr
la lettera a) dell'art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 327/2001, la quale afferma che il decreto di esproprio puo' essere
emanato qualora «l'opera da realizzare sia prevista  nello  strumento
urbanistico generale o in un atto di natura ed efficacia  equivalente
e sul bene da espropriare sia stato apposto  in  vincolo  preordinato
all'esproprio»). 
    Infatti, nel caso in esame, il vincolo preordinato  all'esproprio
e' divenuto efficace nel momento in cui ha  acquistato  efficacia  il
PGT del Comune di Adro approvato  nel  2012  e  cioe'  il  giorno  21
novembre 2012. Il primo comma dell'art. 9 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 327/2001 prevede espressamente che  «Un  bene  e'
sottoposto  al  vincolo  preordinato  all'esproprio  quando   diventa
efficace l'atto  di  approvazione  del  piano  urbanistico  generale,
ovvero una sua variante, che prevede  la  realizzazione  di  un'opera
pubblica o di pubblica utilita'». 
    I successivi commi stabiliscono che «2.  Il  vincolo  preordinato
all'esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale  termine,  puo'
essere emanato il provvedimento  che  comporta  la  dichiarazione  di
pubblica utilita' dell'opera. 3. Se non e' tempestivamente dichiarata
la pubblica utilita' dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio
decade e trova applicazione la disciplina  dettata  dall'art.  9  del
testo unico in materia edilizia approvato con decreto del  Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.  4.  Il  vincolo  preordinato
all'esproprio, dopo  la  sua  decadenza,  puo'  essere  motivatamente
reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e
tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard». 
    In base alla disposizione ora citata il vincolo sarebbe,  dunque,
venuto meno il 21 novembre 2017, mentre la dichiarazione di  pubblica
utilita' dell'opera e' intervenuta solo il 15 febbraio 2018. 
    Secondo  la  tesi  del  Comune,  pero',  la   sussistenza   della
necessaria conformita' urbanistica dell'opera rispetto allo strumento
urbanistico sarebbe garantita, nella fattispecie, come  espressamente
attestato nella deliberazione del Consiglio comunale che ha approvato
il  progetto  e  dichiarato  la  pubblica  utilita',  dalla   vigenza
dell'art. 9, comma 12, della legge regionale  n.  12/2005,  il  quale
recita:   «I   vincoli   preordinati   all'espropriazione   per    la
realizzazione,    esclusivamente    ad    opera    della     pubblica
amministrazione, di attrezzature e servizi  previsti  dal  piano  dei
servizi hanno la durata di cinque anni,  decorrenti  dall'entrata  in
vigore del piano stesso. Detti vincoli decadono qualora,  entro  tale
termine, l'intervento cui sono preordinati non sia inserito,  a  cura
dell'ente competente alla sua realizzazione, nel programma  triennale
delle opere pubbliche e relativo aggiornamento, ovvero non sia  stato
approvato lo strumento attuativo che ne preveda la realizzazione.». 
    Poiche',  nella  fattispecie,  il  piano  triennale  delle  opere
pubbliche 2017-2019 e' stato approvato, prevedendo  la  realizzazione
anche del collegamento tra le vie Cattaneo e per Torbiato, in data  6
aprile 2017 (con deliberazione del consiglio comunale n. 12 del 2017)
e, dunque, prima della scadenza  del  quinquennio  di  efficacia  del
vincolo espropriativo, quest'ultimo e' stato dichiaratamente  assunto
quale   presupposto   della   procedura   espropriativa    avversata:
circostanza, questa, rilevante ai fini dell'ammissibilita' sia  della
doglianza stessa, che della questione di legittimita' costituzionale.
Infatti, e' pur vero che, lo stesso giorno in cui e' stata dichiarata
la pubblica utilita', e' stata anche adottata (con  la  deliberazione
precedente, recante il numero 10 del 2018) una variante  urbanistica,
poi approvata solo con deliberazione del consiglio comunale n. 23 del
12 maggio 2018, con cui  il  Comune  di  Adro  ha  preso  atto  della
«conferma» dell'efficacia del vincolo  preordinato  all'esproprio  in
ragione dell'inclusione  dell'opera  nel  Programma  triennale  delle
opere pubbliche. Tale deliberazione ha un duplice  contenuto:  da  un
lato reitera i vincoli preordinati all'esproprio relativi  ad  alcune
opere  pubbliche  per  cui  erano  decaduti,  dall'altro,   per   una
pluralita' di opere pubbliche, tra cui il  collegamento  tra  le  vie
Cattaneo e per Torbiato in parola, da'  atto  dell'inserimento  delle
stesse  nel  Programma  triennale  delle  opere   pubbliche   e   del
conseguente  effetto  «confermativo»  dell'efficacia   del   vincolo,
derivante dall'art. 9, comma 12, della legge regionale n. 12/2005. In
tale seconda parte, il provvedimento risulta essere del tutto atipico
(dal momento che l'effetto della norma richiamata e'  automatico)  e,
dunque, al piu', sostanzialmente ricognitivo. L'assenza di  contenuto
dispositivo,  innovativo  dell'ordinamento,  congiuntamente  con   la
considerazione del fatto che la statuizione contenuta in tale atipica
variante urbanistica e' divenuta efficace ben dopo  la  dichiarazione
di pubblica utilita', rende, contrariamente a  quanto  sostenuto  dal
comune, irrilevante la sua mancata impugnazione. Non appare, infatti,
revocabile  in  dubbio  il   fatto   che,   nella   fattispecie,   la
dichiarazione di pubblica utilita' sia intervenuta sulla base  di  un
vincolo preordinato all'esproprio divenuto efficace  piu'  di  cinque
anni prima dell'approvazione del progetto, la cui  efficacia  risulta
prorogata automaticamente per effetto dell'inclusione dell'opera  nel
Programma delle opere pubbliche  triennale,  a  prescindere  da  ogni
motivazione circa l'interesse pubblico  alla  reiterazione,  da  ogni
garanzia partecipativa per il proprietario e dalla corresponsione  di
un adeguato indennizzo (cosi' come, invece, previsto dall'art. 39 del
testo unico del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001),
cosi come puntualmente rappresentato nella  stessa  dichiarazione  di
pubblica utilita' dell'opera. A nulla rileva che di tale  effetto  si
sia preso atto in un provvedimento successivo alla  dichiarazione  di
pubblica  utilita'  stessa,  privo  di  capacita'  innovativa   circa
l'efficacia del vincolo, il  quale,  per  cio'  stesso,  risulterebbe
inevitabilmente   ed    automaticamente    travolto    dall'eventuale
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  della  norma  che  ne
rappresenta il presupposto. 
    Considerato,  dunque,  che,  data   la   sua   formulazione,   la
disposizione   non   risulta   suscettibile   di   un'interpretazione
costituzionalmente orientata, rispettosa dei precetti costituzionali,
cosi' come enunciati nel ricordato art. 9 del decreto del  Presidente
della Repubblica n. 327/2001, il Collegio ravvisa la  necessita',  ai
fini  della  risoluzione  della   controversia,   di   accertare   se
nell'approvare l'art. 9 della  legge  regionale  della  Lombardia  n.
12/2005, la regione  abbia  violato  i  principi  fondamentali  della
materia  espropriativa  e,  dunque,  non   solo   l'art.   42   della
Costituzione, ma anche l'art. 1  del  Primo  protocollo  della  CEDU,
nonche' i limiti della potesta' legislativa regionale di cui all'art.
117 della Costituzione. 
    Solo   l'accoglimento    della    questione    di    legittimita'
costituzionale consentirebbe, infatti, al  Collegio  di  annullare  i
provvedimenti impugnati. 
    3.2. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Ritiene il Collegio che l'art. 9, comma 12, della legge regionale
lombarda n. 12/2005 violi gli artt. 117 e 42 della Costituzione,  per
le ragioni che si andranno ad esplicitare. 
    Con sentenza n.  575  del  1989,  la  Corte  costituzionale,  pur
rigettando la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  in
relazione alla violazione dell'art. 42 della  Costituzione,  affermo'
che l'indeterminatezza temporale del vincolo  espropriativo  (da  non
confondersi con il ben diverso vincolo conformativo)  desse  luogo  a
una situazione di incompatibilita' con la garanzia  della  proprieta'
privata e, di fatto, a un'espropriazione di valore,  con  conseguente
necessita' della previsione di un indennizzo. Piu'  precisamente,  il
giudice delle leggi, ha affermato  che  «e'  propria  della  potesta'
pianificatoria la possibilita' di rinnovare illimitatamente nel tempo
i  vincoli  su  beni  individuati,  purche',  come   ritenuto   dalla
giurisprudenza  amministrativa,  risulti  adeguatamente  motivata  in
relazione alle effettive esigenze  urbanistiche.  Tale  possibilita',
tuttavia, darebbe luogo  ad  un  sistema  non  conforme  ai  principi
affermati nella richiamata  sentenza  n.  55  del  1968,  qualora  il
vincolo venga protratto a tempo indeterminato senza la previsione  di
indennizzo. Come si evince dalla  stessa  sentenza  e  come e'  stato
ribadito piu' di recente (sent. n. 82  del  1982),  i  due  requisiti
della temporaneita' e della indennizzabilita' sono difatti  tra  loro
alternativi, per cui l'indeterminatezza temporale dei  vincoli,  resa
possibile dalla potesta'  di  reiterarli  indefinitamente  nel  tempo
anche  se  con   diversa   destinazione   o   con   altri   mezzi, e'
costituzionalmente legittima a condizione che  l'esercizio  di  detta
potesta' non determini situazioni incompatibili con la garanzia della
proprieta' secondo i principi affermati nelle sentenze n. 6 del  1966
e n. 55 del 1968.». 
    Sulla scorta di tale pronuncia, il  legislatore,  nel  modificare
l'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187,  stabili'  la  durata
quinquennale del vincolo preordinato all'esproprio, subordinandone la
reiterazione alla rappresentazione di una debita motivazione  fondata
sulla presenza di un elemento di novita' che la giustificasse. 
    A seguito del dubbio di costituzionalita' anche  in  relazione  a
tale disposizione (sollevato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio  di
Stato con ordinanza n. 20/1996), con sentenza n. 179  del  20  maggio
1999, il giudice  delle  leggi  dichiaro'  l'incostituzionalita'  del
combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40  della  legge
17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo  comma,  della
legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge
urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) «nella  parte  in  cui  consente
all'Amministrazione  di  reiterare  i  vincoli  urbanistici  scaduti,
preordinati all'espropriazione o  che  comportino  l'inedificabilita'
senza la previsione di indennizzo». In altri termini, si legge ancora
nella  sentenza  «una  volta  oltrepassato  il  periodo   di   durata
temporanea (periodo di franchigia da  ogni  indennizzo),  il  vincolo
urbanistico (avente  le  anzidette  caratteristiche),  se  permane  a
seguito  di  reiterazione,  non  puo'  essere  dissociato,   in   via
alternativa all'espropriazione  (o  al  serio  inizio  dell'attivita'
preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani
attuativi) dalla previsione di un indennizzo». 
    Tempestivamente il legislatore del 2001 fece propri tali principi
e introdusse, nel testo  unico  delle  espropriazioni  approvato  con
decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001: 
        a)  la  previsione  della  durata  quinquennale  del  vincolo
preordinato all'esproprio; 
        b) la possibilita' della reiterazione del vincolo seguendo un
procedimento che prevede la garanzia partecipativa per i  proprietari
interessati e si conclude con  un  provvedimento  motivato  che  deve
tenere conto, in particolar modo, delle esigenze  di  soddisfacimento
degli standard; 
        c) l'obbligo della corresponsione, nel caso di  reiterazione,
di un indennizzo, ancorche', come chiarito con sentenza dell'Adunanza
plenaria n. 7/2007, per la legittimita' della  reiterazione  non  sia
necessaria  la  puntuale   definizione   dell'indennizzo   da   parte
dell'Amministrazione,  subordinata   alla   prova,   da   parte   del
proprietario inciso, dell'effettivo danno subito e  alla  sua  esatta
quantificazione. 
    Venendo     alla     previsione     regionale     sospetta     di
incostituzionalita',  il  legislatore  lombardo  ha,  a  parere   del
Collegio, derogato al principio fondamentale affermato nella sentenza
della Corte costituzionale n. 179/1999, secondo  cui,  alla  scadenza
del  termine  di  efficacia  quinquennale  del  vincolo   preordinato
all'esproprio esso decade a meno che non ricorra una  delle  seguenti
condizioni: 
        A. il vincolo sia reiterato seguendo l'apposito  procedimento
a tal fine previsto dalla  legge,  con  le  conseguenti  garanzie  in
termini di partecipazione al procedimento e di indennizzo  del  danno
conseguente; 
        B. la sua  decadenza  sia  preclusa  dall'intervenire,  prima
della  scadenza,  dell'espropriazione  ovvero   del   «serio   inizio
dell'attivita' preordinata all'espropriazione».  Tale  condizione  e'
stata ravvisata dalla stessa sentenza in parola nell'approvazione  di
un piano attuativo e poi dal legislatore del  testo  unico  del  2001
nell'approvazione del provvedimento che dichiara la pubblica utilita'
dell'opera e, quindi, di un provvedimento che comunque garantisce  la
partecipazione in chiave collaborativa al proprietario/espropriando e
che  rappresenta  il  primo   atto   di   un   procedimento   (quello
espropriativo)  puntualmente  cadenzato,  che  delimita   nel   tempo
l'esercizio del potere espropriativo, prevedendo che, in  difetto  di
un piu' breve termine espressamente previsto, il decreto  d'esproprio
debba intervenire entro cinque anni decorrenti dal giorno in  cui  e'
divenuto  efficace  il  provvedimento  dichiarativo  della   pubblica
utilita'. 
    Da tutto il quadro sin qui delineato emerge chiaramente come, nel
corso del tempo,  sia  stato  chiarito  che  l'esercizio  del  potere
ablatorio  puo'  essere   ritenuto   conforme   all'art.   42   della
Costituzione (e oggi anche all'art. 1 del Primo  protocollo  allegato
alla CEDU, dal momento che si e'  chiarito  come  il  rispetto  della
norma pattizia, quale e' la Carta europea dei diritti dell'uomo, pone
dei precisi limiti alla potesta' legislativa dello Stato e a  maggior
ragione  delle  regioni,  la  cui  violazione  genera  questioni   di
legittimita' costituzionale attratte  nella  competenza  della  Corte
costituzionale - cfr. le sentenze numeri 348 e 349 del 2007) se e  in
quanto risulti limitato nel tempo e compensato  dalla  corresponsione
di un equo indennizzo. 
    Il legislatore regionale lombardo, quindi, risulta, a parere  del
Collegio, aver disatteso i limiti  imposti  alla  propria  competenza
legislativa,  violando  l'art.  117  della  Costituzione,  per  aver,
nell'esercizio di una competenza  legislativa  concorrente,  eluso  i
principi fondamentali della materia, desumibili anche dall'art. 1 del
Protocollo n. 1 della CEDU e affermati dal  legislatore  statale  nel
testo unico delle espropriazioni, sulla scorta  della  giurisprudenza
costituzionale che li ha estrapolati dall'art. 42 della Costituzione. 
    Piu' precisamente, la Regione Lombardia ha violato i limiti posti
dall'art. 117 della Costituzione, perche', esorbitando dalla  propria
competenza concorrente in materia, ha introdotto una nuova ipotesi in
cui il vincolo preordinato all'esproprio si  consolida,  che  per  le
ragioni che si andranno a meglio evidenziare, non puo'  rappresentare
un «serio inizio della procedura espropriativa», condizione  ritenuta
essenziale dalla Corte costituzionale e la cui  ricorrenza  e'  stata
individuata dal legislatore nazionale solo nell'intervento del  primo
atto della procedura espropriativa intesa in senso stretto, quale  e'
stata qualificata la dichiarazione di pubblica utilita'. 
    Il Collegio ritiene,  dunque,  che  la  Regione  Lombardia  abbia
travalicato  i   limiti   della   propria   competenza   legislativa,
disciplinando  una  nuova  ipotesi  di   «attuazione»   del   vincolo
espropriativo, in violazione dell'art. 117  della  Costituzione  che,
riserva al legislatore nazionale l'individuazione degli atti  la  cui
adozione equivale al serio avvio della procedura  espropriativa,  che
la Corte costituzionale ha indicato come  condizione  necessaria  per
ritenere rispettato  il  principio  della  temporaneita'  del  potere
espropriativo esercitabile su determinati beni. 
    L'esercizio  di  questo  potere  pare,   dunque,   porsi,   nella
fattispecie in esame, in contrasto con l'art. 42 della  Costituzione,
da  una  corretta  interpretazione  del  quale  discende,  come  gia'
anticipato, che il potere espropriativo puo' essere  esercitato  solo
nei limiti in cui cio' sia previsto dalla legge e,  come  evidenziato
nella sentenza della Corte costituzionale n. 575/1989 gia' ricordata,
a  condizione  che  l'assoggettamento  al  potere  espropriativo  sia
limitato nel tempo ovvero  che,  a  fronte  di  una  indeterminatezza
temporale del  vincolo,  il  proprietario  sia  indennizzato  per  la
perdita, in via di fatto, della proprieta'. 
    Ne discende che il  vincolo  preordinato  all'esproprio,  imposto
mediante un apposito procedimento che  garantisca  la  partecipazione
dell'interessato, deve avere durata determinata nel tempo e nell'arco
del  periodo  di  efficacia  deve  intervenire  la  dichiarazione  di
pubblica  utilita',  la  quale,  a  sua  volta,  e'   pronunciata   a
conclusione di un procedimento che  garantisce  la  partecipazione  e
deve essere attuata, con l'intervento del decreto di esproprio, entro
il termine  all'uopo  fissato  dall'Amministrazione  e  comunque  non
superiore ai cinque anni. 
    Nell'ipotesi di cui al comma 12 dell'art. 9 della legge regionale
lombarda n. 12/2005, invece, il potere ablatorio finisce  per  essere
esercitabile a tempo indeterminato, in ragione di  un  provvedimento,
l'approvazione del Piano triennale delle opere pubbliche che  preveda
la realizzazione anche di quella oggetto del vincolo in scadenza,  la
cui adozione non garantisce la  partecipazione  procedimentale  degli
interessati e che puo' essere rinnovato  all'infinito  senza  bisogno
ne' di motivazione, ne' di indennizzo. 
    L'art.  21  del  codice  degli   appalti,   infatti,   disciplina
l'approvazione  del  piano  triennale  delle  opere  pubbliche  senza
particolari  formalita'  che  garantiscano   la   partecipazione   al
procedimento dei soggetti interessati dalla realizzazione delle opere
in  esso  inserite,  anche  in  considerazione  della  sua   funzione
prettamente programmatica, strettamente connessa alla  programmazione
finanziaria  e  di  bilancio  e   alla   sua   natura   organizzativa
dell'attivita' dell'ente, individuando  le  opere  da  eseguirsi  con
priorita'. Tant'e' che anche a seguito  dell'entrata  in  vigore  del
decreto ministeriale 16 gennaio 2018, n. 14, recante  il  regolamento
relativo  alle  procedure  e  schemi  tipo  per  la  redazione  e  la
pubblicazione del piano triennale dei lavori  pubblici,  pur  essendo
ribadita la necessita' della pubblicazione  del  piano,  la  garanzia
partecipativa risulta essere minima, dal momento che l'art. 5 prevede
che  l'amministrazione  «possa»  consentire  la  presentazione  delle
osservazioni entro trenta giorni dalla pubblicazione, facendo ricorso
a un subprocedimento che la  norma  definisce  come  «consultazioni»,
che, quindi, e' eventuale,  rimesso  alla  scelta  dell'ente  e  puo'
concludersi  senza  che   sul   comune   gravi   un   preciso   onere
motivazionale, nel caso in cui le prospettazioni del privato  vengano
disattese. 
    Inoltre, nessuna disposizione normativa limita la possibilita' di
riproporre,  negli  aggiornamenti  annuali,  il  mantenimento   delle
previsioni di realizzazione della stessa opera, che, dunque, potrebbe
essere procrastinata all'infinito, di fatto  svuotando  completamente
di contenuto il diritto di proprieta' e, cosi', espropriando  il  suo
titolare, cui e' preclusa ogni utilizzazione che non sia  quella  per
la coltivazione agricola, pur in assenza di alcun indennizzo. 
    In questo modo si finisce per  eludere  sia  il  principio  della
temporaneita'    del     potere     espropriativo,     sia     quello
dell'indennizzabilita' in caso di un  potere  che  si  consolidi  nel
tempo pur non  essendo  intervenuta  l'espropriazione,  espressamente
indicati come alternativi dal giudice delle leggi nelle sentenze gia'
piu' volte ricordate. 
    L'inserimento nel piano triennale delle opere pubbliche, infatti: 
        se da un lato non  puo'  essere  qualificato  come  un  serio
inizio della procedura espropriativa,  in  quanto  non  offre  alcuna
garanzia circa il fatto che l'opera  sia  effettivamente  realizzata,
non comportando alcun impegno di spesa e non essendo  previsto  alcun
termine di efficacia entro cui i lavori debbono essere conclusi; 
        dall'altro,  viola   anche   il   fondamentale   presupposto,
introdotto dal legislatore in recepimento del  principio  individuato
dalla Corte  costituzionale  nella  citata  sentenza  n.  179/1999  e
trasfuso nel primo comma dell'art. 39 del testo unico del decreto del
Presidente della Repubblica n. 327/2001, secondo  cui  «nel  caso  di
reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un  vincolo
sostanzialmente  espropriativo  e'   dovuta   al   proprietario   una
indennita',  commisurata   all'entita'   del   danno   effettivamente
prodotto.». 
    4. In conclusione questo Tribunale ritiene che  l'art.  9,  comma
12,  della  legge  regionale   della   Lombardia   n.   12/2005   sia
costituzionalmente  illegittimo  laddove  ricollega   all'inserimento
dell'opera pubblica nella  programmazione  triennale  prevista  dalla
normativa in materia di lavori pubblici, l'effetto  preclusivo  della
decadenza del vincolo preordinato all'esproprio. 
    5. Cio'  premesso,  questo  Tribunale  solleva  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  12,  della  legge
regionale  della  Lombardia  n.  12/2005,  nella  parte  in  cui,  in
violazione dei limiti alla propria competenza legislativa concorrente
definiti dall'art. 117 Cost. e  comunque  dei  principi  fondamentali
relativi ai limiti del potere espropriativo discendenti dall'art.  42
Cost.,   attribuisce   all'inserimento   della    previsione    della
realizzazione di un'opera pubblica nella programmazione triennale  di
cui  all'art.  21  del  decreto  legislativo  n.  50/2016   l'effetto
preclusivo  della  decadenza  del  vincolo  quinquennale  preordinato
all'esproprio per la sua esecuzione,  secondo  i  profili  e  per  le
ragioni sopra  indicate,  con  sospensione  del  giudizio  fino  alla
pubblicazione nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  italiana
della decisione della Corte costituzionale sulle questioni  indicate,
ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 ed 80  del  c.p.a.  e
art. 295 c.p.c. 
    Riserva al definitivo la decisione nel merito e sulle spese.