ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 4,
lettera e), della legge della Regione Umbria 4 dicembre 2018,  n.  11
(Norme in materia di sostegno alle imprese  che  operano  nell'ambito
dell'informazione locale), promosso dal Presidente del Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato l'11-14 febbraio 2019, depositato  in
cancelleria il 18 febbraio 2019,  iscritto  al  n.  25  del  registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  ottobre  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    udito  l'avvocato  dello  Stato  Gianfranco  Pignatone   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato l'11-14 febbraio 2019 e depositato  il
18  febbraio  2019,  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
impugnato l'art. 6, comma 4, lettera e), della  legge  della  Regione
Umbria 4 dicembre 2018, n. 11 (Norme  in  materia  di  sostegno  alle
imprese   che   operano   nell'ambito   dell'informazione    locale),
ritenendolo in contrasto con l'art. 117, secondo comma,  lettera  l),
nonche' con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione. 
    2.-  Secondo  il  ricorrente,   la   disposizione   impugnata   -
nell'escludere dai finanziamenti previsti dalla legge «le  imprese  i
cui titolari o editori abbiano riportato condanna, anche in  via  non
definitiva, per i reati di cui al libro II, titolo II, capo  II  (Dei
delitti dei privati contro la  pubblica  amministrazione)  ovvero  al
titolo XIII, capo II  (Dei  delitti  contro  il  patrimonio  mediante
frode) del codice penale» -  invaderebbe  la  competenza  legislativa
esclusiva  dello  Stato  in  materia  di   ordinamento   penale.   La
disposizione in parola  sancirebbe  infatti  un  effetto  extrapenale
della  condanna,  collegando  l'esclusione  dai   finanziamenti   «ad
un'asserzione di  responsabilita'  non  necessariamente  coperta  dal
giudicato». 
    3.- La disposizione impugnata, inoltre, sarebbe in contrasto  con
il principio di  non  colpevolezza  sino  alla  condanna  definitiva,
sancito  dall'art.  27,  secondo  comma,  Cost.,   ricollegando   per
l'appunto tale esclusione a una condanna anche non definitiva. 
    4.- La Regione Umbria non si e' costituita in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato  l'art.  6,
comma 4, lettera e), della legge  della  Regione  Umbria  4  dicembre
2018, n. 11 (Norme in materia di sostegno alle  imprese  che  operano
nell'ambito dell'informazione locale), ritenendolo in  contrasto  con
l'art. 117, secondo comma, lettera l), nonche' con l'art. 27, secondo
comma, della Costituzione. 
    2.- La legge reg. Umbria n. 11 del  2018  prevede,  tra  l'altro,
finanziamenti alle imprese che operano nell'ambito  dell'informazione
locale. In forza della  disposizione  impugnata,  tuttavia,  da  tali
finanziamenti sono escluse «le  imprese  i  cui  titolari  o  editori
abbiano riportato condanna, anche in via non definitiva, per i  reati
di cui al libro II, titolo II,  capo  II  (Dei  delitti  dei  privati
contro la pubblica amministrazione) ovvero al titolo  XIII,  capo  II
(Dei delitti contro il patrimonio mediante frode) del codice penale». 
    Secondo  il  ricorrente,  tale   esclusione   comporterebbe   una
invasione della  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di ordinamento penale di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera l),  Cost.,  nonche'  la  violazione  del  principio  di  non
colpevolezza sino  alla  condanna  definitiva  di  cui  all'art.  27,
secondo comma, Cost. 
    3.- La prima censura non e' fondata. 
    Vero e' che una norma regionale  deve  ritenersi  invasiva  della
competenza statale esclusiva in materia  di  ordinamento  penale  non
solo quando incida su fattispecie penali, modifichi i presupposti per
la loro applicazione o  introduca  nuove  cause  di  esenzione  dalla
responsabilita'  penale,  ma   anche   allorche'   produca   «effetti
sanzionatori ulteriori conseguenti  alla  commissione  di  un  reato»
(sentenza n. 172 del 2017). 
    La disposizione impugnata, tuttavia, non introduce alcun  effetto
sanzionatorio ulteriore rispetto a quelli gia' previsti  dalle  norme
penali richiamate, limitandosi piuttosto a stabilire  una  condizione
soggettiva  per  l'accesso  ai  finanziamenti  previsti  dalla  legge
regionale. Tale condizione non produce  in  capo  all'interessato  le
conseguenze caratteristiche di ogni sanzione, e cioe' la privazione o
limitazione di un diritto del quale l'interessato gia' sia  titolare,
ovvero la perdita di uno status o di una capacita'.  Piuttosto,  essa
si  atteggia  come  mero  requisito  di  "onorabilita'"  (si  vedano,
analogamente, le sentenze n. 36 del 2019, n. 276 del 2016  e  n.  236
del 2015, in tema di sospensione e decadenza dalle cariche  elettive)
per l'ottenimento di un beneficio economico erogato dalla Regione  in
materie di competenza legislativa  concorrente  (quali  l'ordinamento
della comunicazione e  il  sostegno  all'innovazione  per  i  settori
produttivi), rispetto al quale  l'interessato  non  potrebbe  vantare
alcun diritto in assenza della legge impugnata. 
    La disposizione non incide, pertanto, sulla competenza  esclusiva
dello Stato in materia di  ordinamento  penale,  la  quale  non  puo'
essere intesa in senso tale da precludere alle Regioni di  stabilire,
negli  ambiti  riservati  alla  propria  competenza   concorrente   o
residuale, requisiti soggettivi connessi  all'assenza  di  precedenti
penali, per chi voglia fruire di benefici previsti dalla legislazione
regionale. 
    Che  poi  la  disposizione  impugnata   precluda   l'accesso   al
finanziamento  anche  a  chi  abbia  riportato  condanne  ancora  non
definitive, e' questione che non attiene al parametro  costituzionale
relativo al riparto di competenze tra Stato e  Regioni,  bensi'  alla
presunzione di innocenza di cui all'art. 27,  secondo  comma,  Cost.,
che  vincola  in  egual  misura  la  legislazione  statale  e  quella
regionale. 
    4.- Nemmeno la censura ex  art.  27,  secondo  comma,  Cost.  e',
peraltro, fondata. 
    Il principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva e'
violato allorche' la legge preveda una misura che costituisca,  nella
sostanza, una sanzione  anticipata  in  assenza  di  un  accertamento
definitivo di responsabilita' (ex plurimis, sentenze n. 206 del 1999,
n. 239 e n. 141 del 1996). 
    Tale pero' non puo' essere  considerata,  per  i  rilievi  appena
svolti,  l'esclusione  dai  finanziamenti  pubblici  prevista   dalla
disposizione impugnata, che costituisce piuttosto  un  requisito  per
l'accesso a tali finanziamenti. 
    Il requisito in  esame  risponde  a  una  logica  in  senso  lato
cautelare, come in altre occasioni ritenuto da questa Corte (sentenze
n. 276 del 2016, in tema di sospensione  dalle  cariche  elettive  in
caso di condanne non definitive per taluni reati; n. 454 del 2000, in
tema  di  inabilitazione  del  notaio   sottoposto   a   procedimento
disciplinare; n. 206 del 1999, in tema  di  sospensione  dall'ufficio
dei dipendenti pubblici sottoposti a procedimento penale; n. 563  del
1989, in tema di  sospensione  provvisoria  dell'iscrizione  all'albo
nazionale dei costruttori in caso  di  condanna  non  definitiva  per
determinati reati); in particolare, tale logica e' qui identificabile
nella prevenzione del pericolo di abuso di denaro pubblico  da  parte
di soggetti gia' condannati, ancorche' in  via  non  definitiva,  per
reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio. 
    Una simile logica e', in quanto tale, certamente compatibile  con
la presunzione di non colpevolezza, come dimostra la stessa esistenza
delle misure cautelari previste dal codice di procedura penale, della
cui legittimita' costituzionale in linea di principio nessuno dubita,
e che pure limitano in  misura  assai  intensa  una  vasta  gamma  di
diritti fondamentali della persona che ne  e'  colpita,  tra  cui  la
stessa liberta' personale, in assenza di un  accertamento  definitivo
di colpevolezza. 
    Rispetto allora a una misura ispirata ad una finalita' cautelare,
«[l]a presunzione di non colpevolezza  potrebbe  essere  chiamata  in
causa solo indirettamente, in quanto la misura, per i suoi  caratteri
di irragionevolezza assoluta o di sproporzione o di eccesso  rispetto
alla funzione cautelare, dovesse in realta' apparire,  non  come  una
cautela ma come una sorta di sanzione  anticipata,  conseguente  alla
commissione del reato» (sentenza n. 206 del 1999; significative sotto
questo profilo, peraltro, anche le sentenze n. 141 del 1996 e n.  172
del 2012, le quali - pur ritenendo assorbite le censure ex  art.  27,
secondo  comma,   Cost.   -   caducano,   la   prima,   la   radicale
incandidabilita' a cariche elettive di coloro per i quali fosse stato
disposto il mero rinvio a giudizio per determinati reati, in  ragione
degli   «effetti   irreversibili»   di   tale   misura,   come   tali
giustificabili soltanto sulla base  di  una  sentenza  definitiva  di
condanna; nonche', la seconda, la previsione dell'impossibilita'  per
il lavoratore extracomunitario di ottenere  la  regolarizzazione  del
proprio titolo di soggiorno in caso di condanna, definitiva  o  meno,
per tutti i reati per i quali e' previsto l'arresto  obbligatorio  in
flagranza, anche in ragione delle «conseguenze  molto  gravi,  spesso
irreversibili» provocate dalla  disciplina  censurata,  giudicata  da
questa  Corte  manifestamente  irragionevole  rispetto   agli   scopi
perseguiti  dal  legislatore).   In   simili   ipotesi,   la   misura
contrasterebbe del resto non  solo  con  l'art.  27,  secondo  comma,
Cost., ma anche con  le  previsioni  costituzionali  che  tutelano  i
singoli diritti incisi dalla misura medesima, nonche' con gli  stessi
principi di ragionevolezza e proporzionalita' di cui all'art. 3 Cost.
(in quest'ultimo senso, sentenza n. 239 del 1996). 
    Non e' pero' questo il caso della  disposizione  in  questa  sede
impugnata, che non comporta alcuna restrizione di diritti  dei  quali
gli interessati gia'  godano,  ne'  comporta  alcuna  interdizione  o
sospensione dell'attivita' dell'impresa di cui essi sono titolari, ma
semplicemente esclude tali  soggetti  dai  finanziamenti  annualmente
previsti dalla  legge  regionale  nell'ipotesi  in  cui  siano  stati
condannati in primo o in secondo grado - sulla base di  un  compiuto,
per quanto ancora non definitivo, accertamento giudiziale della  loro
responsabilita' - per reati contro la pubblica amministrazione  o  il
patrimonio, al legittimo scopo di prevenire il rischio  di  possibili
abusi del denaro pubblico da parte di costoro. 
    La  disposizione  impugnata  non  eccede,  dunque,  le  legittime
finalita'  cautelari  perseguite  dal  legislatore  regionale,  e  si
sottrae anche alla censura di incompatibilita' con l'art. 27, secondo
comma, Cost.