TRIBUNALE DI SALERNO
Sezione feriale
Il Tribunale di Salerno, Sezione feriale, nella persona del
Giudice assegnatario del ricorso ex art. 700 codice di procedura
civile dott. Mattia Caputo, all'esito della riserva formulata
all'udienza del 22 agosto 2019 e ha pronunciato la seguente ordinanza
nella causa iscritta al N.R.G. 5626/2019, avente ad oggetto: ricorso
d'urgenza ex art. 700 codice di procedura civile, tra F. D., nato in
... il ..., dimorante in ... alla Via ... presso la struttura ...,
rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al ricorso, dall'avv.
Gianluca De Vincentis, presso il cui studio sito in Telese Terme (BN)
alla Via Roma n, 85, elettivamente domicilia, ricorrente;
e Comune di ... (c.f. ... ), in persona del sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla comparsa di
costituzione e risposta, dagli avv.ti Emilio Grimaldi e Raffaele
Carpinelli, con i quali elettivamente domicilia in ... alla sede
comunale di Via Vittorio Emanuele n. 1, resistente.
Conclusioni delle parti
All'udienza del 22 agosto 2019 le parti si riportavano ai propri
scritti difensivi, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni in
essi contenute ed il Giudice si riservava.
All'esito della Camera di consiglio il ricorso puo' ora essere
deciso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso introduttivo.
Con ricorso depositato il 30 maggio 2019 il sig. F. D. ha
dedotto: che dimorerebbe da piu' di tre mesi a ... presso il centro
..., come risultante da autocertificazione allegata al ricorso, che
sarebbe titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo,
rilasciato dalla Questura di Salerno il 16 ottobre 2018 e che sarebbe
regolarmente soggiornante in Italia; che in data 15 aprile 2019 si
sarebbe presentato presso l'Ufficio anagrafe del Comune di ... per
formalizzare la sua domanda di iscrizione nell'anagrafe del comune
ove dimora; che il responsabile dell'Ufficio demografico gli avrebbe
comunicato di non poter accettare la richiesta ai sensi dell'art. 13
del decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 («Disposizioni urgenti in
materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza
pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», anche detto
«Decreto Sicurezza»), poiche' il permesso di soggiorno per richiesta
asilo non costituirebbe un valido titolo per procedere all'iscrizione
anagrafica; che il diniego alla richiesta di iscrizione nei registri
dell'anagrafe sarebbe avvenuta alla presenza di una serie di persone;
che con nota a mezzo pec del 9 maggio 2019 il difensore del
ricorrente, nell'evidenziare l'illegittimo comportamento tenuto dal
funzionario comunale, avrebbe invitato e diffidato il Comune ... a
procedere, nel termine perentorio di sette giorni, all'iscrizione del
sig. F. D. nel registro anagrafico della popolazione residente in
...; che poiche' il Comune non avrebbe provveduto a dare esecuzione a
tale diffida, egli si vedrebbe costretto ad adire l'Autorita'
giudiziaria ordinaria in via d'urgenza, anche in considerazione del
rischio, attuale ed evidente, di una grave compressione dei suoi
diritti costituzionalmente garantiti; che nel caso di specie
sussisterebbe la giurisdizione del Giudice ordinario, poiche' nelle
controversie in materia di iscrizione anagrafica l'Amministrazione
comunale non eserciterebbe alcun potere di carattere discrezionale,
essendo l'iscrizione e la cancellazione anagrafica atti dovuti in
presenza dei presupposti di legge, rispetto ai quali la pubblica
amministrazione sarebbe munita di un potere di mero accertamento;
che, dunque, tali controversie avrebbero ad oggetto posizioni di
diritto soggettivo e non di interesse legittimo; che il decreto-legge
n. 113 del 2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, convertito poi
in legge n. 132/2018, pur avendo recato significative modifiche alla
condizione giuridica del richiedente il riconoscimento della
protezione internazionale, non avrebbe previsto alcuna preclusione
all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, incidendo soltanto
sulla procedura semplificata di cui all'art. 5-bis del decreto
legislativo n. 142/2015 (c.d. «Decreto Minniti»), che sarebbe stata
abrogata implicitamente; che l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018
avrebbe aggiunto, tra l'altro, all'art. 4 del decreto legislativo n.
142/2015 il nuovo comma 1-bis, che testualmente recita: «Il permesso
di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del Presidente della Repubblica 30
maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286»; che da una prima analisi della nuova norma
emergerebbe come essa non conterrebbe alcun divieto esplicito di
iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, ma si limiterebbe solo
ad escludere che la particolare tipologia del permesso di soggiorno,
motivata sulla richiesta di asilo, possa costituire documento utile
per la formalizzazione della domanda di residenza; che, infatti,
l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 richiamerebbe espressamente
il «Nuovo Regolamento anagrafico della popolazione residente»
(Decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989)
ed al «Testo unico Immigrazione» (art. 6, comma 7, decreto
legislativo n. 286/1998), le cui norme non richiedono, ne'
richiamano, «titoli per l'iscrizione anagrafica», perche'
nell'ordinamento italiano non vi sarebbero situazioni di fatto o
titolarita' di documenti costituenti «titolo» per l'iscrizione
anagrafica nei registri della popolazione residente; che, in
particolare, l'iscrizione anagrafica sarebbe l'esito di un
procedimento amministrativo ben descritto nel «Regolamento anagrafico
della popolazione residente», che all'art. 13 evidenzierebbe che
l'iscrizione anagrafica non avviene in base a «titoli», ma a
«dichiarazioni degli interessati», «accertamenti di ufficio» (art.
15), ad accertamenti di ufficio in caso di omessa dichiarazione delle
parti ed accertamenti sulle dichiarazioni rese e ripristino delle
posizioni anagrafiche precedenti (art. 18-bis) e «comunicazioni degli
ufficiali di stato civile» (art. 19); che, dunque, la registrazione
anagrafica registrerebbe la volonta' delle persone, italiane o
straniere, le quali avendo una dimora, avrebbero fissato in un
determinato comune la propria residenza oppure, non avendo una
dimora, avrebbero stabilito nello stesso comune il proprio domicilio;
che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998
escluderebbe la possibilita' che si possa negare l'iscrizione
anagrafica ad uno straniero regolarmente soggiornante, ospitato in un
centro di accoglienza, prevedendo che «Le iscrizioni e variazioni
anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate
alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalita'
previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello
straniero si considera abituale anche in caso di documentata
ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza.
Dell'avvenuta iscrizione o variazione l'ufficio da' comunicazione
alla questura territorialmente competente»; che, pertanto, il
cittadino italiano e lo straniero, ai fini dell'iscrizione
anagrafica, si troverebbero sullo stesso piano, dovendo dimostrare
chi chiede l'iscrizione l'elemento oggettivo della stabile permanenza
in un luogo e l'elemento soggettivo della volonta' di rimanervi; che,
quindi, lo straniero in aggiunta a tali elementi dovrebbe dimostrare
solo di essere regolarmente soggiornante in Italia, con la
conseguenza che il permesso di soggiorno non sarebbe mai stato titolo
per l'iscrizione stessa, rilevando solo ai fini della regolarita' del
soggiorno; che per la giurisprudenza consolidata (Cass. Civ., SS.UU.
n. 499/2000) l'iscrizione anagrafica si configurerebbe quale diritto
soggettivo con corrispondente obbligo dell'Amministrazione comunale
di darvi corso, senza alcun potere discrezionale ma di mero
accertamento; che ai sensi dell'art. 2 della legge n. 1228/1954
l'iscrizione anagrafica costituirebbe un vero e proprio dovere per
ciascun individuo regolarmente soggiornate, il cui mancato
adempimento sarebbe espressamente sanzionato penalmente dal
successivo art. 11 della medesima legge; che occorrerebbe allora
interrogarsi sulla reale portata della modifica che l'art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 avrebbe apportato mediante l'inserimento
del comma 1-bis nel corpo dell'art. 4 del decreto legislativo n.
142/2015; che per comprendere la reale portata di questa aggiunta
normativa bisognerebbe considerare che il menzionato art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 ha abrogato la previsione dell'utilizzo per
i richiedenti asilo dell'istituto della convivenza anagrafica
contenuta nell'art. 5-bis del decreto-legge n. 142/2015, introdotto
con la legge n. 46/2017 che ha convertito a sua volta il
decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017, cosi' abolendo, di fatto,
la c.d. «procedura semplificata» prevista da tale norma; che l'art.
5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, ora abrogata, avrebbe
stabilito: «1. Il richiedente protezione internazionale ospitato nei
centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 e' iscritto nell'anagrafe
della popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del regolamento di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.
223, ove non iscritto individualmente. 2. E' fatto obbligo al
responsabile della convivenza di dare comunicazione della variazione
della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni
dalla data in cui si sono verificati i fatti»; che, quindi, in base a
tale disposizione, sarebbe stato introdotto un regime di iscrizione
anagrafica c.d. «semplificata», basata sulla semplice dichiarazione
del responsabile del centro ed in deroga al termine di tre mesi
previsti dal Testo unico Immigrazione; che, dunque, mentre l'art.
5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, ora abrogato, avrebbe
previsto un automatismo nell'iscrizione anagrafica, sganciandola sia
dalla dichiarazione dell'interessato sia dagli accertamenti
dell'ufficiale dell'anagrafe - basandosi cosi' solo sulla
comunicazione del responsabile del centro, il nuovo art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 avrebbe inteso soltanto abolire tale
automatismo, chiarendo che non vi sarebbe una speciale iscrizione
all'anagrafe dei residenti per i richiedenti asilo basata sul
«titolo» della domanda di protezione e dell'inserimento nella
struttura di accoglienza; che, del resto, laddove il legislatore
avesse voluto introdurre un esplicito divieto di iscrizione
anagrafica per lo straniero con permesso di soggiorno per asilo
richiesto, per coerenza sistematica avrebbe dovuto modificare l'art.
6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998, che equipara le
modalita' di iscrizione anagrafica degli stranieri regolarmente
soggiornanti ai cittadini italiani, prevedendo un'esplicita eccezione
per i richiedenti asilo; che, inoltre, qualsiasi diversa
interpretazione andrebbe a pregiudicare i diritti fondamentali
dell'uomo, affermati e riconosciuti a livello costituzionale; che
nell'ordinamento giuridico italiano la nozione e la disciplina del
diritto alla residenza sarebbe contenuta nella Costituzione (articoli
2, 3, 14, 16 e 32) e nel Codice civile (articoli 43 e ss.), nonche'
nella legislazione speciale (art. 223 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989); che, dunque, in virtu'
del principio di gerarchia delle fonti occorre partire dalle norme
costituzionali, che riconoscerebbero il diritto alla residenza come
un diritto soggettivo e, di conseguenza, attribuirebbero anche al
diritto all'iscrizione anagrafica consistenza di diritto soggettivo;
che il diritto all'iscrizione anagrafica (e, dunque, alla residenza)
rientrerebbe nei diritti inviolabili dell'uomo che la Repubblica
riconosce e garantisce ai sensi dell'art. 2 della Carta
costituzionale, norma strettamente connessa all'art. 3 della
Costituzione, ed in particolare al rispetto ed all'attuazione del
principio di uguaglianza formale e sostanziale; che anche l'art. 16
della Costituzione tutelerebbe il diritto all'iscrizione anagrafica
(e, dunque, alla residenza) laddove sancisce la liberta' di circolare
e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale, dovendosi ritenere che l'espressione «cittadino»
utilizzata dalla Carta costituzionale sia riferibile a tutti i membri
della comunita' dei residenti in Italia, purche' regolarmente
soggiornanti; che la mancata iscrizione nei registri dell'anagrafe
della popolazione residente comporterebbe una serie di disagi di
notevole rilievo per un cittadino, impedendogli l'esercizio dei
diritti fondamentali che l'ordinamento gli riconosce; che, in
particolare, la materia anagrafica sarebbe collegata ad esigenze di
interesse pubblico, quali l'accesso alle misure di politica attiva
del lavoro (art. 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n.
150/2015), per poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A.
(art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972), per la
determinazione del valore I.S.E.E. richiesto per potere accedere alle
prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma 125, legge n. 104/1990),
ai fini della decorrenza del termine di nove anni per l'ottenimento
della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1-ter, decreto
legislativo n. 286/1998, per il rilascio della patente di guida ai
sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992 (Codice
della strada), per poter procedere all'istruzione scolastica,
all'ottenimento di una concessione commerciale per il commercio
ambulante cd all'esercizio di un professione, nonche' per potere
accedere pienamente all'assistenza sanitaria nazionale, poiche' il
cittadino privo di residenza puo' accedere solo al servizio di pronto
soccorso; che da tutto quanto esposto emergerebbe come l'inerzia del
Comune di ... avrebbe ripercussioni gravissime per il ricorrente,
privandolo di un riconoscimento che gli spetta di diritto e, in tal
modo, impedendogli l'esercizio di diritti fondamentali connessi alla
residenza; che tutto cio' giustificherebbe il ricorso alla tutela
cautelare d'urgenza; che, del resto, non vi sarebbero altri strumenti
cautelari tipici che consentirebbero nella fattispecie concreta, la
specifica tutela richiesta; che il ricorrente avrebbe intenzione di
promuovere innanzi all'Autorita' giudiziaria adita un giudizio volto
ad accertare il comportamento ostruzionistico posto in essere dal
Comune atto ad impedire l'iscrizione anagrafica, con conseguente
condanna dello stesso alla cessazione di tale illegittima condotta;
che vi sarebbe altresi' il «fumus boni iuris», inteso come presenza
di elementi che, ad una cognizione sommaria, fondano l'opinione
positiva circa l'esistenza e la tutelabilita' del diritto azionato;
che ricorrerebbe anche il requisito del «periculum in mora»,
integrato dall'imminenza di un pregiudizio grave ed irreparabile che
puo' compromettere notevolmente il diritto azionato nel periodo
necessario a farlo valere in via ordinaria.
In virtu' di quanto innanzi esposto F. D. ha formulato le
seguenti conclusioni: con decreto «inaudita altera parte» e
contestuale fissazione di udienza di comparizione nel termine di cui
all'art. 669-sexies, comma 2, codice di procedura civile, ovvero con
ordinanza, previa convocazione delle parti in apposita udienza ai
sensi dell'art. 669-sexies, comma 1, codice di procedura civile, al
fine di emettere i provvedimenti che appariranno piu' idonei ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito;
ordinare al Sindaco del Comune ... anche nella sua qualita' di
ufficiale di governo responsabile della tenuta dei registri dello
stato civile e di popolazione, previo accertamento del diritto alla
residenza del ricorrente, l'immediata iscrizione del ricorrente nel
Registro anagrafico della popolazione residente nel Comune di ... ;
adottare ogni altro opportuno provvedimento utile e consequenziale al
fine di impedire la lesione dei diritti fondamentali del ricorrente;
condannare il Comune di ... al pagamento delle spese di lite ed
accessori di legge.
2. La comparsa di costituzione e risposta.
Si e' costituito in giudizio il Comune di ..., eccependo: che a
fronte della diffida del difensore di parte ricorrente con cui questi
aveva chiesto l'iscrizione anagrafica di F. D. nei registri
dell'anagrafe civile del Comune, con nota prot. n. 17228 del 23
maggio 2019 il responsabile dell'Area I - servizi demografici del
Comune di ..., avrebbe inoltrato apposita richiesta di parere
all'Ufficio territoriale di ... - Prefettura Area II bis - al fine di
fornire utili ed indispensabili indicazioni operative inerenti le
«Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica» ai richiedenti
asilo internazionale; che tale richiesta sarebbe, allo stato, rimasta
inevasa; che, ad ogni modo, la circolare del Ministero dell'interno
n. 15/2018, sancirebbe che «dall'entrata in vigore delle nuove
disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione
internazionale di cui all'art. 4, comma 1 del citato decreto
legislativo n. 142/2015, non potra' consentire l'iscrizione
anagrafica», e che la circolare del Ministero dell'interno n.
83744/2018, prevederebbe che «ai richiedenti asilo - che peraltro non
saranno piu' iscritti nell'anagrafe dei residenti (art. 13) - vengono
dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA E CAS)»; che il
decreto-legge n. 113/2018 in vigore dal 5 ottobre 2018, all'art. 13,
comma 1, avrebbe apportato modificazioni al decreto legislativo n.
142/2015, incidendo sull'iscrizione anagrafica dei richiedenti
protezione internazionale; che, in particolare, la lettera a) avrebbe
modificato l'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015, prevedendo -
al comma 1 - che il permesso di soggiorno ivi disciplinato,
conseguente alla richiesta di protezione internazionale, costituisce
documento di riconoscimento e stabilendo - nel nuovo comma 1-bis -
che lo stesso non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.
223 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998; che
la lettera b) avrebbe sostituito il comma 3 dell'art. 5 - che
individuava nei centri o strutture di accoglienza il luogo di dimora
abituale ai fini della iscrizione anagrafica dei richiedenti -
prevedendo (alla lettera b, n. 1) ora che l'accesso ai servizi
previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul
territorio ai sensi delle norme vigenti sarebbe assicurato nel luogo
di domicilio individuato ai sensi dei commi l e 2 (dell'art. 5,
decreto legislativo n. 142/2015) e modificando (alla lettera b, n. 2)
il successivo comma 4, disponendo che il Prefetto possa stabilire un
luogo di domicilio (non piu' di residenza) o un'area geografica ove
il richiedente puo' circolare; che la lettera c), infine, avrebbe
abrogato l'art. 5-bis che aveva riconosciuto l'applicabilita'
dell'istituto della convivenza anagrafica all'iscrizione dei
richiedenti protezione internazionale ospitati in strutture di
accoglienza. Pertanto, dall'entrata in vigore delle nuove
disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione
internazionale di cui all'art. 4, comma 1 del decreto legislativo n.
142/2015, non puo' consentire l'iscrizione anagrafica; che non vi
sarebbe il «fumus boni iuris», anche perche' non si evincerebbe con
chiarezza se lo stesso voglia continuare a risiedere nel Comune di
...; che difetterebbe anche il requisito del «periculum in mora»,
poiche' il presupposto del danno grave ed irreparabile non sarebbe
stato dimostrato dal ricorrente.
In virtu' di quanto innanzi esposto il Comune di ... ha formulato
le seguenti conclusioni: in sede cautelare, rigettare il ricorso
proposto, in quanto infondato; nel merito, disattesa ogni contraria
istanza, deduzione od eccezione, respingere il ricorso in quanto
infondato in fatto ed in diritto; condannare F. D. al pagamento delle
spese di lite ed accessori di legge.
3. La giurisdizione del Giudice ordinario.
In via del tutto preliminare e' opportuno chiarire che nel caso
di specie sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario e, dunque,
del Tribunale adito.
Infatti, come chiarito dalla Corte di cassazione civile a Sezioni
unite (cfr. Cassazione civ., SS.UU. n. 449/2000) le controversie in
materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della
popolazione coinvolgono posizioni giuridiche che hanno la consistenza
di diritto soggettivo, per le quali, dunque, secondo il generale
criterio di riparto di giurisdizione, ha cognizione il Giudice
ordinario. Come osservato dalle Sezioni unite civili l'ordinamento
delle anagrafi della popolazione residente (regolato dalla legge n.
1228/1954 e dal regolamento di esecuzione approvato con decreto del
Presidente della Repubblica n. 136/1958, a sua volta sostituito dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989) costituisce uno
strumento giuridico-amministrativo di documentazione e conoscenza (a
carattere notiziale), predisposto sia nell'interesse della pubblica
amministrazione, sia dei singoli individui. Da un lato, infatti, vi
e' l'interesse della pubblica amministrazione ad avere una certezza -
sia pure relativa - circa la composizione ed i movimenti della
popolazione che si trova sul territorio italiano, dall'altro lato
c'e' invece l'interesse dei privati ad ottenere le certificazioni
anagrafiche funzionali e necessarie per l'esercizio dei diritti
civili e politici che l'ordinamento attribuisce loro e, piu' in
generale, per provare la residenza e lo stato di famiglia. Tutta
l'attivita' svolta dall'Ufficiale dell'anagrafe civile e'
disciplinata dalle norme sopra richiamate in modo assolutamente
vincolato, senza che residui alcun margine o momento di
discrezionalita', essendo predeterminati in modo rigido i presupposti
per le iscrizioni, modificazioni e cancellazioni anagrafiche, per cui
la pubblica amministrazione ha soltanto il potere di accertare
l'effettiva sussistenza in concreto dei presupposti legali. Pertanto
la indubbia natura vincolata dell'attivita' amministrativa in questo
ambito unitamente alla circostanza che la disciplina (primaria e
secondaria) che regola la materia anagrafica e' dettata (anche)
nell'interesse della popolazione residente implicano che in tale
ambito il privato - cittadino o straniero che sia - vanti nei
confronti della pubblica amministrazione un autentico diritto
soggettivo, come tale devoluto alla giurisdizione del Giudice
ordinario.
Alla luce di quanto innanzi esposto consegue che il ricorso ex
art. 700 codice di procedura civile e' stato correttamente proposto
innanzi a questo Tribunale.
4. La residualita' della tutela cautelare invocata.
Fermo quanto innanzi esposto, va ora verificata la sussistenza
del presupposto, indefettibile per l'ammissibilita' della tutela
cautelare richiesta dal ricorrente, della «residualita'» del ricorso
d'urgenza ex art. 700 c.p.c.
Il sistema normativo in materia di tutela cautelare, infatti,
individua lo strumento rimediale di cui all'art. 700 codice di
procedura civile quale rimedio a carattere «residuale» - come rivela
il dato letterale con cui si apre la norma, «Fuori dei casi regolati
nelle precedenti sezioni di questo capo» -, dunque ammissibile
soltanto nei casi in cui la situazione di cui il ricorrente invoca la
protezione da parte dell'ordinamento non possa essere salvaguardata
attraverso altri rimedi gia' prefigurati dal legislatore, tipici.
Nella fattispecie concreta ricorre il requisito della
«residualita'» della tutela invocata dalla parte ricorrente, che e'
stato correttamente azionato, mancando nella specie una tutela
cautelare tipica in grado di assicurare in modo pieno ed effettivo,
nelle more di un eventuale giudizio di merito, il diritto soggettivo
per cui questi ha agito ex art. 700 codice di procedura civile.
5. Il «fumus boni iuris» ed il «periculum in mora».
Occorre, pertanto, procedere alla verifica della sussistenza dei
presupposti della tutela d'urgenza, ovvero il «fumus boni iuris» e il
«periculum in mora».
Il «fumus boni iuris» viene generalmente inteso come l'esistenza
di elementi che, sulla base di una cognizione sommaria (cioe' ad un
esame «prima facie»), fondino l'opinione positiva in ordine alla
esistenza e tutelabilita' del diritto azionato in chiave di c.d.
«verosimiglianza» della pretesa azionata in via giudiziale («ex
multis» tribunale Roma, Sez. XI, 27 gennaio 2017).
Orbene, al fine di stabilire se sussista nell'ordinamento
italiano un diritto soggettivo del richiedente asilo titolare di
permesso di soggiorno ad ottenere l'iscrizione al registro
dell'anagrafe si rende necessario esaminare il complesso quadro
normativa attualmente vigente in tale materia.
Il Comune di ... resistente ha eccepito che ai sensi dell'art. 4,
comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 (c.d. «Codice
Minniti»), come modificato dall'art. 13 comma 1, lettera a), numero
2) del decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») poi
convertito in legge n. 132/2018 il permesso di soggiorno per
richiesta di protezione internazionale non potrebbe piu' consentire
allo straniero richiedente di ottenere l'iscrizione anagrafica.
La norma di cui al comma 1-bis, di nuovo conio, sancisce che «Il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
La questione controversia pone, dunque, all'interprete il
problema di individuare il significato di tale disposizione, al fine
di stabilire se lo straniero che abbia conseguito un permesso di
soggiorno in attesa della definizione della sua domanda di protezione
internazionale sia (ancora) titolare di un diritto soggettivo
perfetto ad ottenere l'iscrizione anagrafica nella popolazione
residente di un comune (cosi' come l'art. 6, comma 7, decreto
legislativo n. 286/1998, non modificato, prevede per lo straniero
regolarmente soggiornante).
In questa prospettiva occorre prendere in considerazione il
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, recante
«Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione
residente», che nel regolare l'iscrizione all'anagrafe, individua
puntualmente:
i soggetti che rendono le dichiarazioni e i presupposti
affinche' le possano rendere (art. 6);
i casi nei quali si puo' richiedere l'iscrizione anagrafica
(art. 7);
le dichiarazioni da rendere per ottenere l'iscrizione
all'anagrafe (art. 13);
gli accertamenti compiuti dall'ufficiale dell'anagrafe (art.
14).
L'art. 7 decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989
individua il novero dei soggetti che possono richiedere l'iscrizione
all'anagrafe della popolazione residente, stabilendo: «1.
L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente viene
effettuata: a) per nascita, presso il Comune di residenza dei
genitori o presso il Comune di residenza della madre qualora i
genitori risultino residenti in comuni diversi, ovvero, quando siano
ignoti i genitori, nel comune ove e' residente la persona o la
convivenza cui il nato e' stato affidato; b) per esistenza
giudizialmente dichiarata; c) per trasferimento di residenza
dall'estero dichiarato dall'interessato non iscritto, oppure
accertato secondo quanto e' disposto dall'art. 15, comma 1, del
presente regolamento, anche tenuto conto delle particolari
disposizioni relative alle persone senza fissa dimora di cui all'art.
2, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, nonche' per
mancanza di precedente iscrizione.
2. Per le persone gia' cancellate per irreperibilita' e
successivamente ricomparse devesi procedere a nuova iscrizione
anagrafica.
3. Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di
rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora
abituale nel Comune di residenza, entro sessanta giorni dal rinnovo
del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e,
comunque, non decadono dall'iscrizione nella fase di rinnovo del
permesso di soggiorno. Per gli stranieri muniti di carta di
soggiorno, il rinnovo della dichiarazione di dimora abituale e'
effettuato entro sessanta giorni dal rinnovo della carta di
soggiorno. L'ufficiale di anagrafe aggiornera' la scheda anagrafica
dello straniero, dandone comunicazione al questore».
L'art. 7, comma 1, lettera b) contempla dunque il trasferimento
della residenza dall'estero tra i casi che attribuiscono il diritto
all'iscrizione anagrafica. Lo straniero, peraltro, come si evince dal
terzo comma di tale norma, e' tenuto a rinnovare la dichiarazione di
dimora abituale nel comune ogni volta che ottiene il rinnovo del
permesso di soggiorno.
Tutti coloro che richiedono l'iscrizione anagrafica devono
rendere delle dichiarazioni, di cui sono responsabili: l'art. 13
individua il contenuto della dichiarazione e l'art. 6 richiede che
colui che rende la dichiarazione comprovi la propria identita'
mediante un documento di riconoscimento.
L'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989
prevede che «1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai
responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i
seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o
dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero;»;
b) (...)" mentre l'art. 6 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 223/1989 recita: «1. Ciascun componente della famiglia
e' responsabile per se' e per le persone sulle quali esercita la
potesta' la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13
(...). 2. (...). 3. Le persone che rendono dichiarazioni anagrafiche
debbono comprovare la propria identita' mediante l'esibizione di un
documento di riconoscimento».
A fronte delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13 di cui
sopra, in un caso rientrante tra quelli legittimanti individuati
dall'art. 7, da un soggetto munito di documento di riconoscimento ai
sensi dell'art. 6, l'ufficiale dell'anagrafe accerta l'effettiva
sussistenza dei requisiti e procede all'iscrizione.
Cio' si desume dal disposto dell'art. 18-bis che prevede: «1.
L'ufficiale d'anagrafe, entro quarantacinque giorni dalla ricezione
delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettere a),
b) e c), accerta la effettiva sussistenza dei requisiti previsti
dalla legislazione vigente per la registrazione. (...)».
L'art. 19 del decreto del Presidente della Repubblica n.
223/1989, poi, nel prevedere uno specifico adempimento compiuto
dall'ufficiale dell'anagrafe, individua un ulteriore requisito per
ottenere l'iscrizione ovvero quello, c.d. «oggettivo», della dimora
abituale nei comune in cui si chiede l'iscrizione: «2. L'ufficiale di
anagrafe e' tenuto a verificare la sussistenza del requisito della
dimora abituale di chi richiede l'iscrizione (o la mutazione)
anagrafica. Gli accertamenti devono essere svolti a mezzo degli
appartenenti ai corpi di polizia municipale o di altro personale
comunale che sia stato formalmente autorizzato, utilizzando un
modello conforme all'apposito esemplare predisposto dall'Istituto
nazionale di statistica.».
Per quanto concerne le persone che trasferiscono la propria
residenza dall'estero, l'art. 14, comma 1, richiede che «Chi
trasferisce la residenza dall'estero deve comprovare all'atto della
dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1, lettera a), la propria
identita' mediante l'esibizione del passaporto o di altro documento
equipollente», cosi' imponendo una ulteriore verifica ovvero il
possesso in capo al richiedente di un passaporto o un documento di
natura equipollente
Effettuata la ricognizione della normativa in materia di
anagrafe, deve ora passarsi all'esame dell'art. 6, comma 7, del
decreto legislativo n. 286 del 1998, «Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero», altra norma richiamata, al pari del succitato
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, dal nuovo art.
4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015, oggetto di esame in
questa sede.
L'art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998 sancisce che
«Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente
soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini
italiani con le modalita' previste dal regolamento di attuazione. In
ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in
caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro
di accoglienza. Dell'avvenuta iscrizione o variazione l'ufficio da'
comunicazione alla questura territorialmente competente».
La disposizione in esame stabilisce, quindi, in primo luogo che
lo straniero ha diritto alle iscrizioni anagrafiche alle stesse
condizioni del cittadino italiano; in secondo luogo che perche' cio'
avvenga lo straniero deve essere regolarmente soggiornante ed infine
che la dimora dello straniero si considera abituale (ai fini
dell'iscrizione nei registri dell'anagrafe civile e, dunque, della
fissazione della residenza), quando e' documentata la sua permanenza
per piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza.
Individuate le norme cui l'art. 4, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 142/2015 fa riferimento in punto di iscrizione
nell'anagrafe per gli stranieri che siano muniti di permesso di
soggiorno per asilo, si puo' ora passare a scrutinare la norma di
nuovo conio, al fine di comprenderne il reale significato.
L'art. 4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015,
introdotto all'interno del c.d. «Codice Minniti» dal decreto-legge n.
113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») sancisce: «Il permesso di
soggiorno di cui al comma l non costituisce titolo per l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286».
Tuttavia dalla disamina sopra svolta e' emerso che le norme di
cui al decreto del Presidente della Repubblica n, 223/1989 ed
all'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998 non
richiedono espressamente alcun «titolo» ai fini della loro
operativita'.
La normativa in materia di anagrafe, infatti, pone quali
presupposti ai fini dell'operativita' dell'iscrizione delle
«dichiarazioni», ricognitive di uno stato di fatto di natura
oggettiva (nel caso di specie, l'avvenuto trasferimento dall'estero)
e richiede «accertamenti» quale quello relativo all'effettiva
sussistenza della dimora abituale nel comune in cui si chiede
l'iscrizione anagrafica. A sua volta l'art. 6, comma 7, del Testo
unico Immigrazione si limita a chiarire quando la dimora di uno
straniero possa definirsi abituale e a quali condizioni lo straniero
possa ottenere l'iscrizione anagrafica.
A ben vedere, tuttavia, entrambe le normative sono accomunate da
un minimo comune denominatore, che si pone quale presupposto
indefettibile per l'operativita' delle stesse, e cioe' che lo
straniero richiedente soggiorni regolarmente sul territorio italiano
e che sia in possesso di un documento di riconoscimento.
Il requisito della regolarita' del soggiorno viene richiesto
dall'ordinamento da una parte per l'operativita' dell'art. 6 del
decreto legislativo n. 286/1998, cioe' per ottenere l'iscrizione
anagrafica alle medesime condizioni del cittadino italiano e
dall'altra per ottenere l'iscrizione stessa, dal momento che l'art.
7, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989
impone allo straniero di rinnovare gli adempimenti al rinnovo del
permesso di soggiorno.
Il requisito del possesso di un documento di riconoscimento e'
invece richiesto dall'ordinamento da un lato per provare l'identita'
per poter rendere le dichiarazioni di cui all'art. 6 decreto del
Presidente della Repubblica n. 223/1989 e dall'altro per dimostrare
l'identita' per poter trasferire la residenza dall'esterno ai sensi
dell'art. 14 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n.
223/1989.
Cosi' ricostruito, al fine di scrutinare la fondatezza oppure no
del ricorso ex art. 700 codice di procedura civile sotto il profilo
della sussistenza del «fumus boni iuris» il perimetro normativo di
riferimento, costituito dall'art. 4, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 142/2015, e dal decreto del Presidente della
Repubblica n. 223/1989 e dall'art. 6, comma 7, decreto legislativo n.
286/1998 (richiamati dal «Codice Minniti») ad una prima lettura, che
si arresti sul piano di una interpretazione letterale (che in base
all'art. 12 delle Preleggi e' il primo canone ermeneutico cui
l'interprete deve fare ricorso nell'applicare la legge) appare
evidente che l'espressione di nuovo conio contenuta nell'art. 4,
comma 1-bis decreto legislativo n. 142/2015, secondo cui «il permesso
di soggiorno non costituisce titolo» assume un immediato significato,
e cioe' che il permesso di soggiorno non prova, ai fini
dell'iscrizione nei registri dell'anagrafe del comune in cui si
intende risiedere, la regolarita' del soggiorno dello straniero in
Italia, ne' costituisce a tal fine documento di riconoscimento.
Quest'interpretazione letterale risulta confermata dall'intero
dettato normativo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 in
cui la novella disposizione e' stata innestata dal legislatore:
l'art. 4 del «Codice Minniti», infatti, e' volto a delineare il
permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo, individuandone
la valenza giuridica, stabilendo da una parte che il permesso di
soggiorno costituisce titolo di legittima permanenza dello straniero
sul territorio nazionale, dall'altra che esso e' un equipollente del
documento di riconoscimento ai sensi di legge (comma 1).
L'introduzione della disposizione oggetto di esame al comma 1-bis
dell'art. 4 decreto legislativo n. 142/2015, allora, non puo' essere
considerata casuale, e fornisce una conferma di quanto gia' evidente
sul terreno del dato letterale, ovvero che ai soli fini della
disciplina dell'iscrizione all'anagrafe il permesso di soggiorno non
attesta la regolarita' del soggiorno dello straniero sul territorio e
non costituisce documento di riconoscimento.
Il compito dell'interprete nell'individuare il significato di una
norma, specie se di nuova introduzione e dal significato «dubbio»,
come nella fattispecie concreta, non puo' pero' fermarsi soltanto al
criterio ermeneutico letterale; l'art. 12 delle Preleggi, infatti,
impone di fare ricorso anche al c.d. «criterio teleologico»,
imponendogli di tenere conto nell'attivita' interpretativa anche
dell'intenzione del legislatore.
Sotto questo profilo e' noto che con l'«intentio legis» non vada
intesa come la volonta' soggettiva di chi ha concorso in un
determinato momento storico ad emanare la norma, bensi' l'intenzione
obiettivizzata nella legge, cioe' la sua ragione, l'interesse
specifico che con essa si tende a salvaguardare.
L'«intentio legis» oggettiva si desume dai lavori preparatori e
dalle relazioni di accompagnamento delle leggi.
Ebbene, la relazione di accompagnamento al decreto-legge n.
113/2018 espressamente statuisce sul punto che «il permesso di
soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe
dei residenti, fermo restando che esso costituisce documento di
riconoscimento (...) l'esclusione dell'iscrizione anagrafica si
giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e
risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione
giuridica dello straniero».
Dalla relazione di accompagnamento emerge, dunque, in modo chiaro
ed inequivoco come il legislatore, attraverso l'introduzione del
comma 1-bis nel corpo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015
abbia avuto di mira un sensibile restringimento delle maglie
normative per l'iscrizione all'anagrafe dei residenti degli stranieri
muniti di permesso di soggiorno per richiesta asilo.
Tale scelta si spiega, come esplicitato dalla relazione di
accompagnamento, alla luce dell'esigenza di definire quale sia la
condizione giuridica dello straniero e se cioe' abbia diritto o meno
alla permanenza sul territorio nazionale a seguito del riconoscimento
di una delle forme di protezione internazionale. In altri termini,
secondo il legislatore la «precarieta'» ed «interinalita'» della
posizione in cui si trova lo straniero in attesa che sia definito il
suo procedimento di protezione internazionale, osta all'iscrizione
dello stesso nell'anagrafe del comune in cui questi intenda fissare
la propria residenza. Di conseguenza il legislatore ha
consapevolmente subordinato il diritto all'iscrizione anagrafica
dello straniero in possesso di un permesso di soggiorno per richiesta
di asilo, all'esito della definizione (positiva o negativa) della
richiesta di protezione dello straniero.
Questo dato e' ulteriormente confermato dalla circolare del
Ministero dell'interno n. 15 del 18 ottobre 2018 che, pur avendo
natura di atto amministrativo a carattere interno
all'amministrazione, come tale subordinato alla legge, puo' comunque
assumere un qualche rilievo nella vicenda che ci occupa, in quanto
emessa dal Ministero dell'interno, tra le cui prerogative rientra,
tra le altre, proprio la materia dell'anagrafe.
La circolare sancisce espressamente che «il permesso di soggiorno
per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma
1, del citato decreto legislativo n. 142/2015 non potra' consentire
l'iscrizione anagrafica».
A confermare vieppiu' l'interpretazione dell'art. 4, comma 1-bis
decreto legislativo n. 142/2015 come norma volta ad escludere che lo
straniero titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo
possa oggi ottenere l'iscrizione del suo nominativo nell'anagrafe del
comune ove risiede vi e' poi il Dossier n. 66/2 del 9 novembre 2018
redatto dal Servizio studi Ufficio ricerche sulle questioni
istituzionali, giustizia e cultura del Senato della Repubblica
(Dossier reperibile dal sito web del Senato della Repubblica) che,
pur non avendo alcuna rilevanza normativa, registra e documenta
l'attivita' degli organi parlamentari.
Il Dossier, alle pagine da 126 a 129 esamina le modifiche in
materia di iscrizione anagrafica, evidenziando che «la disposizione
in esame deroga al principio espresso nel testo unico per i titolari
di un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Secondo la relazione
illustrativa, l'esclusione dell'iscrizione anagrafica si giustifica
per la precarieta' del permesso di soggiorno per richiesta asilo e
risponde alla necessita' di definire in via preventiva la condizione
giuridica del richiedente. In relazione alle modifiche previste dalla
disposizione in esame, va richiamato che l'iscrizione anagrafica e'
comunque il presupposto per l'esercizio di alcuni diritti sociali
(...)».
Sia il canone dell'interpretazione letterale sia quello
dell'interpretazione telelogica conducono, dunque, allo stesso
risultato: per il legislatore il permesso di soggiorno per
richiedenti asilo non attesta (piu') la regolarita' del soggiorno ai
fini dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente.
Cosi individuato il significato della disposizione in esame, si
pone il problema di capire se l'art. 4, comma 1-bis del decreto
legislativo n. 142/2015 sia conforme oppure no alla Costituzione,
laddove si risolve nel privare, sia pure limitatamente all'iscrizione
all'anagrafe, il permesso di soggiorno dell'effetto giuridico
ontologicamente riconnesso al suo rilascio, ovvero quello di
attestare la regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia.
Un problema di legittimita' costituzionale, a ben vedere, si pone
ad avviso di questo Giudice in quanto e' precluso all'interprete fare
ricorso ad ulteriori canoni interpretativi, stante la soggezione del
giudice alla legge (art. 101 Cost.), nonche' considerato che
l'utilizzo di altri criteri interpretativi si risolverebbe in
un'interpretazione in evidente - e non consentito - contrasto con il
dato letterale della norma e con l'intenzione del legislatore sottesa
all'introduzione della stessa (che nel caso di specie conferma ed
avvalora il dato letterale).
Una tale operazione, infatti, finirebbe inevitabilmente per dare
luogo ad una «interpretatio abrogans», in palese contrasto con
l'esercizio della potesta' legislativa in capo all'organo a cio'
deputato.
Ogni forma di interpretazione consentita all'interprete, infatti,
non puo' mai essere sganciata dal dato letterale potendo, al massimo,
arrivare ad individuare un risultato che rientri tra i possibili
significati semantici delle parole utilizzate dal legislatore,
nonche' dalla loro connessione (art. 12 Preleggi).
Ed in particolare, occorre in questa sede interrogarsi circa la
possibilita' di fornire alla disposizione di cui occorre fare
applicazione nel caso di specie un'interpretazione conforme alla
Costituzione o «costituzionalmente orientata». Secondo la
giurisprudenza della Corte costituzionale («ex multis» Corte
costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007), infatti, la eventuale
questione di legittimita' costituzionale e' inammissibile laddove il
Giudice non abbia dapprima tentato la via dell'interpretazione
«costituzionalmente orientata», cioe' in grado di conciliare il
significato di una norma con la Costituzione e con i valori in essa
consacrati, in tal modo facendola salva.
Sul punto e' noto che vari Tribunali hanno seguito il tentativo
di una interpretazione costituzionalmente orientata: si tratta del
Tribunale di Bologna con l'ordinanza del 2 maggio 2019, del Tribunale
di Firenze con l'ordinanza del 18 marzo 2019 e del Tribunale di
Genova con l'ordinanza del 22 maggio 2019.
Queste pronunce sono tra loro accomunate dal medesimo percorso
argomentativo, giungendo al risultato per cui l'art. 4, comma 1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015 non pone un divieto espresso di
iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo titolare del permesso
di soggiorno. Alcuni Giudici di merito sono addivenuti a
quest'interpretazione - costituzionalmente orientata - muovendo da
due argomentazioni.
La prima e' che la locuzione della nuova norma prevede che il
permesso di soggiorno «non costituisce titolo» ma, da una disamina
della normativa di settore, si evince che il permesso di soggiorno
non costituisce mai «titolo» per l'iscrizione all'anagrafe,
costituendo mera prova della regolarita' del soggiorno dello
straniero sul territorio.
La seconda motivazione risiede nella circostanza che il decreto
legislativo n. 142/2015 all'art. 5-bis - come introdotto dalla legge
n. 46/2017, poi abrogato proprio dal decreto-legge n. 113/2018 (c.d.
«Decreto Sicurezza») aveva introdotto una procedura c.d.
«semplificata» di iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo.
La norma oggi abrogata cosi recitava: «1. Il richiedente
protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9,
11 e 14 e' iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai
sensi dell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto
individualmente. 2. E' fatto obbligo al responsabile della convivenza
di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente
ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono
verificati i fatti. 3. La comunicazione, da parte del responsabile
della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza
o dell'allontanamento non giustificato del richiedente protezione
internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con
effetto immediato, fermo restando il diritto di essere nuovamente
iscritto ai sensi del comma 1».
Questa procedura, derogando alla disciplina c.d. «ordinaria» di
iscrizione all'anagrafe, prevedeva che fosse il responsabile del
centro di accoglienza che ospitava il migrante ad effettuare una
comunicazione all'ufficio dell'anagrafe e, quindi, che non fosse il
diretto interessato a richiedere l'iscrizione.
Secondo i Tribunali che hanno offerto un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 4, comma 1-bis decreto
legislativo n. 142/2015, dunque, considerato che il decreto-legge n.
113/2018 da un lato ha abrogato tale procedura di iscrizione c.d.
«semplificata» (abrogando l'art. 5-bis del decreto legislativo n.
142/2015) e stabilendo dall'altro che «il permesso di soggiorno "non
costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica..."», si sarebbe
limitata ad eliminare ogni automatismo tra il rilascio del permesso
di soggiorno e l'iscrizione all'anagrafe, automatismo che era posto a
fondamento dell'art. 5-bis sopra richiamato).
Secondo le pronunce in oggetto, questa soluzione interpretativa
troverebbe riscontro nel fatto che il decreto-legge n. 113/2018 non
ha apportato alcuna modifica all'art. 6 del decreto legislativo n.
286/1998 in punto di parificazione tra stranieri regolarmente
soggiornanti (ivi compresi quelli in possesso di permesso di
soggiorno quali richiedenti asilo) e cittadini italiani ai fini
dell'iscrizione all'anagrafe.
Tale interpretazione non appare a questo Giudice condivisibile.
Essa, infatti, ancorche' apprezzabile nel cercare di attribuire
alla norma in oggetto un significato costituzionalmente orientato,
finisce per svuotare la norma di qualsiasi portata innovativa,
realizzando, di fatto, un'abrogazione per via interpretativa della
stessa, operazione assolutamente non consentita al Giudice.
Non sembra potersi ritenere, infatti, che l'art. 4, comma 1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015 sia interpretabile nel senso di
essere norma diretta ad abolire la procedura di iscrizione c.d.
«semplificata» poiche' non vi era alcuna necessita' di ribadire
l'elisione dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed
iscrizione all'anagrafe, gia' realizzata mediante l'abrogazione
dell'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015 proprio ad opera
del decreto-legge n. 113/2018 attraverso l'introduzione di
un'ulteriore disposizione. Non si comprende, invero, per quale motivo
il legislatore avrebbe dovuto abrogate la procedura c.d.
«semplificata» di iscrizione all'anagrafe mediante un duplice
intervento sul medesimo testo normativo, ovvero il decreto
legislativo n. 142/2015.
Inoltre, tra tutti i possibili significati riconducibili ad una
norma, nei casi dubbi si deve optare per quello che riconnette alla
medesima un qualche effetto, se esistente, in ossequio al principio
generale di conservazione degli atti giuridici che governa
l'ordinamento italiano.
Ad ogni modo, poi, anche qualora si volesse attribuire alla norma
di cui all'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 il
significato attribuito dai suddetti Tribunali, non si comprende quale
sia il senso del richiamo da essa effettuato all'art. 6, comma 7, del
decreto legislativo n. 286/1998, laddove si afferma che il permesso
di soggiorno non e' titolo ai sensi di quella norma: l'art. 6, comma
7, del decreto legislativo n. 286/1998, infatti, non si occupa in
alcun modo dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed
iscrizione all'anagrafe, limitandosi piuttosto a enucleare la
regolarita' del soggiorno dello straniero quale condizione per la
parificazione al cittadino ai fini dell'applicazione della
disciplina.
Ne' appare rilevante la mancata modifica dell'art. 6, comma 7,
del decreto legislativo n. 286/1998 Testo unico immigrazione, che
viene evocata dall'orientamento «costituzionalmente orientato» a
riprova dell'applicazione della disciplina c.d. «ordinaria» in
materia di iscrizione all'anagrafe anche al richiedente asilo
titolare del permesso di soggiorno, non rileva in alcun modo. Anzi,
e' proprio l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015
che, in qualita' di norma di pari rango e posteriore introducendo una
deroga, sottrae uno spazio applicativo all'art. 6 del Testo unico
Immigrazione, cosi' escludendo che il permesso per richiesta asilo
sia prova della regolarita' del soggiorno ai fini della sua
applicazione.
Per tutte le ragioni innanzi esposte, dunque, si ritiene di non
poter dare continuita' all'interpretazione prospettata nelle pronunce
richiamate dal ricorrente nel ricorso, secondo la quale la norma in
questione «sancisce l'abrogazione, non della possibilita' di
iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un
permesso di soggiorno per richiesta asilo, ma solo della procedura
semplificata prevista nel 2017, che introduceva l'istituto della
convivenza anagrafica, svincolando l'iscrizione dai controlli
previsti per gli altri stranieri regolarmente residente e per i
cittadini italiani».
D'altra parte, se e' vero che il Giudice nell'esercizio del suo
potere di sindacato diffuso sulla legittimita' costituzionale delle
norme deve tentare sempre la strada dell'interpretazione adeguatrice
o costituzionalmente orientata della norma prima di sollevare la
questione di legittimita' costituzionale, e' altrettanto vero che
l'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata non puo'
mai risolversi in una attivita' che si risolva, di fatto,
nell'abrogare una norma, attivita' questa consentita soltanto al
legislatore e, in caso di contrasto della norma con la Costituzione,
alla Corte costituzionale mediante una pronuncia che espella «ex
tunc» la norma dal sistema normativo.
In ordine alla chiarezza del portato normativo si e' espresso
recentemente anche il Tribunale di Trento con l'ordinanza dell'11
giugno 2019, sancendo che l'attuale assetto normativo preclude
l'iscrizione all'anagrafe al richiedente asilo titolare del permesso
di soggiorno, arrivando ad affermare che la «palese chiarezza della
relativa normativa richiamata, di cui all'art. 4, comma 1-bis della
legge n. 142/2015, cosi' come modificato dall'art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018, che esclude, per tabulas, la possibilita'
per il richiedente protezione di ottenere l'iscrizione anagrafica nel
comune, ove e' di fatto residente».
Il Tribunale di Trento, inoltre, richiama il palese significato
della norma quale limite per l'interprete.
Cosi' ricostruita l'interpretazione della disposizione e chiarita
l'impossibilita' di riconnettere alla stessa un significato diverso -
ed opposto - rispetto a quello che conduce alla preclusione
all'iscrizione anagrafica per il richiedente, pena lo stravolgimento
non consentito del dettato normativa, si rende allora necessario
effettuare un'analisi circa la compatibilita' della norma con il
sistema costituzionale, tenuto conto che il Giudice ha sottoposto
all'attenzione delle parti in sede di udienza di comparizione, la
possibile illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del
decreto legislativo n. 142/2015.
Appare allora chiaro che alla luce dell'attuale assetto normativo
la domanda cautelare dovrebbe essere rigettata per difetto del
requisito indispensabile del «fumus boni iuris», essendo legittimo il
diniego di iscrizione anagrafica opposto dal Comune di ... nei
confronti del ricorrente, il quale non sarebbe titolare di alcun
diritto soggettivo ad ottenere la predetta iscrizione anagrafica.
Laddove si dovesse ritenere non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata «ex officio» si
renderebbe necessario indagare il rapporto tra tutela cautelare e
sospensione del processo per rimessione della questione alla Corte
costituzionale.
Tuttavia, prima di passare allo scrutinio della legittimita'
costituzionale della norma e della possibilita' di sollevare
questione di legittimita' costituzionale nell'ambito del giudizio
cautelare, appare utile soffermarsi sulla sussistenza del presupposto
indefettibile della tutela cautelare del «periculum in mora», e cio'
per due ragioni: la prima risiede nel fatto che, laddove non si
dovesse ritenere sussistente il «periculum in mora» si imporrebbe il
rigetto della domanda cautelare a prescindere dalla sussistenza del
«fumus boni iuris», rendendosi quindi ultronea qualsiasi valutazione
sulla (il)legittimita' costituzionale della norma e sulla conseguente
possibilita' di introdurre un incidente di legittimita'
costituzionale, poiche' la questione sarebbe allora irrilevante ai
fini del decidere. La seconda ragione sta nel fatto che l'esame del
«periculum in mora» potra' gia' fornire elementi in ordine alla
individuazione dei diritti che risultano eventualmente compromessi
dalla mancata iscrizione all'anagrafe e, dunque, indizi che potranno
risultare eventualmente utili a vagliare la non manifesta fondatezza
della questione.
Quanto all'ulteriore requisito di legge, parimenti indefettibile
ai fini dell'accoglimento del ricorso cautelare, del «periculum in
mora», si osserva che tale presupposto richiede, in particolare, la
prova da parte di chi invoca la tutela d'urgenza che i tempi
connaturati alla tutela in via ordinaria del diritto - fondatamente
azionato, secondo una valutazione sommaria - determinano il pericolo
di un pregiudizio imminente e irreparabile, da intendersi quale danno
incombente in concreto e non suscettibile di essere ristorato
mediante risarcimento per equivalente.
Il ricorrente ha argomentato la sussistenza del «periculum in
mora» nella propria impossibilita' di esercitare diritti e facolta',
che presuppongono l'avvenuta iscrizione all'anagrafe dei residenti,
impossibilita' che porterebbe quindi a pregiudizi non ristorabili per
equivalente monetario all'esito della definizione di un eventuale
giudizio di merito
Nel ricorso introduttivo i pregiudizi sono stati indicati dal
ricorrente, anche mediante il richiamo a quanto affermato dalla
giurisprudenza di merito, che ha evidenziato come la mancata
iscrizione anagrafica rischi di impedire l'esercizio effettivo di
diritti di rilievo costituzionale che potrebbero subire un
pregiudizio irreparabile.
I diritti che costituzionalmente rilevanti che risulterebbero
impediti a causa del rifiuto del Comune di ... di iscrivere il
ricorrente nel registro dell'anagrafe del Comune sono stati cosi'
individuati:
il diritto ad accedere alle misure di politica attiva del
lavoro (art. 11, comma 1, lettera c del decreto legislativo n.
150/2015);
il diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita
I.V.A. (art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972);
il diritto di ottenere la determinazione del valore I.S.E.E.
necessario per potere accedere alle prestazioni sociali agevolate
(art. 1, comma 125, legge n. 104/1990);
il diritto di ottenere, decorsi dieci anni dall'iscrizione
nel registro dell'anagrafe di un comune italiano, la cittadinanza
italiana ex art. 9, comma 1, legge n. 91/1992;
il diritto ad ottenere il rilascio della patente di guida ai
sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992 (Codice
della strada);
il diritto di accedere all'istruzione scolastica;
il diritto all'ottenimento di una concessione commerciale per
il commercio ambulante ed all'esercizio di un professione;
il diritto di accedere pienamente all'assistenza sanitaria
nazionale, poiche' il cittadino privo di residenza puo' accedere solo
al servizio di pronto soccorso.
Stante la pacifica possibilita' per legge di esercitare tali
diritti e facolta' solo successivamente all'iscrizione di un soggetto
nell'anagrafe di un comune italiano, risulta provata la sussistenza
del «periculum in mora», poiche' al di la' del concreto ed effettivo
esercizio di tali diritti, eventualmente negato, va considerato che
il diniego opposto dall'Amministrazione comunale al ricorrente sta
indubbiamente impedendo a quest'ultimo ed impedira', almeno fino alla
definizione del suo procedimento di richiesta di asilo (o di un
ordinario giudizio di merito) l'esercizio di tutti diritti e le
facolta' sopra indicate la cui violazione, essendo tali diritti e
facolta' inerenti alla persona in quanto tale, non puo' essere
riparate per equivalente, «ex post», all'esito di un eventuale
giudizio di merito che stabilisca la illegittimita' del rifiuto.
In virtu' di quanto innanzi esposto, dunque, che nel caso di
specie sussiste il presupposto del «periculum in mora».
6. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma
1-bis, del decreto legislativo n. 142/2015 inserito dall'art. 13,
comma 1, lettera a), numero 2), dei decreto-legge n. 113/2018
convertito in legge n. 132/2018.
L'accertamento della sussistenza del requisito del «periculum in
mora» richiesto dall'art. 700 codice di procedura civile per
l'accoglimento del ricorso cautelare implica che la prospettata
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015 inserito dall'art. 13, comma 1,
lettera a), numero 2), del decreto-legge n. 113/2018 convertito in
legge n. 132/2018 assume il carattere della «rilevanza» nel presente
giudizio.
«Rilevanza» della questione che ai sensi dell'art. 23, comma 3,
della legge n. 87/1953 costituisce insieme alla «non manifesta
infondatezza» della stessa uno dei due requisiti di ammissibilita'
della questione incidentale di costituzionalita' di una legge o di un
atto avente forza di legge.
La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe correre
fra la soluzione della questione e la definizione del giudizio in
corso» (Corte cost. sentenza n. 13/1965) o «il nesso di
pregiudizialita' fra la risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale e la decisione del caso concreto» (Corte cost.
sentenza n. 77/1983), ragion per cui essa ricorre nella vicenda in
esame, dal momento che il procedimento cautelare in oggetto non puo'
essere definito senza fare applicazione della norma sospettata di
illegittimita' costituzionale.
Il ricorrente, infatti, ha adito l'autorita' giudiziaria a
seguito del rigetto della domanda di iscrizione all'anagrafe della
popolazione residente pronunciato dall'ufficiale dell'anagrafe del
Comune di ..., il quale ha fondato il diniego alla richiesta di
iscrizione proprio sull'applicazione della norma sospettata di
illegittimita' costituzionale.
Nella presente fase cautelare, quindi, il Giudice e' chiamato a
pronunciare provvedimenti opportuni, facendo applicazione di quella
norma.
Alla luce di tutto quanto sopra enunciato sub par. 4), si
dovrebbe addivenire al rigetto della domanda cautelare per difetto
del requisito del «fumus boni iuris», poiche' l'art. 4, comma 1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come interpretato sulla
base del criterio letterale e teleologico risulta avere il
significato per cui Io straniero in possesso di permesso di soggiorno
quale richiedente asilo non ha diritto ad ottenere l'iscrizione
anagrafica.
Tuttavia, proprio il fondato dubbio circa la legittimita'
costituzionale della norma, abilita il Giudice che e' chiamato a
farne applicazione a sollevare la relativa questione.
Infatti, se da un lato la rilevanza della questione appare
pacifica, dall'altro, occorre soffermarsi sul rapporto tra tutela
cautelare e questione di legittimita' costituzionale sollevata in via
incidentale nell'ambito del relativo giudizio.
E' evidente, infatti, che l'ontologica celerita' che permea il
rito cautelare entra in rotta di collisione con il meccanismo di
sospensione del processo per rimessione della questione al vaglio
della Corte costituzionale, cosi determinandone un arresto, sia pure
temporaneo.
L'interferenza tra i due giudizi non puo' essere risolta
accedendo alla soluzione che opta per la assoluta incompatibilita'
tra tutela cautelare e giudizio di legittimita' costituzionale, in
quanto e' evidente che la soluzione pecca per eccessivo formalismo ed
obbliga il Giudice della cautela - chiamato a fornire una tutela a
fronte di situazioni minacciate da pregiudizio imminente ed
irreparabile - a negare la tutela stessa, facendo applicazione di una
norma sospettata di illegittimita' costituzionale.
Allo stesso tempo, in un sistema giuridico di sindacato
costituzionale accentrato in capo alla Corte costituzionale, non
appare percorribile neanche la soluzione diametralmente opposta, e
cioe' quella del Giudice che concede la tutela cautelare mediante la
semplice disapplicazione della norma sospettata di illegittimita'
costituzionale. Quest'ultima soluzione finirebbe per trasformare il
Giudice di merito in «Giudice delle leggi», creando cosi' una vistosa
anomalia del sistema, per cui si assisterebbe ad un esercizio di un
potere costituzionale (quello di stigmatizzare le norme
incostituzionali, espellendole definitivamente dal sistema normativo)
riservato ad altro organo (appunto la Corte costituzionale) e
l'efficacia «inter partes», relativa, della pronuncia avrebbe dei
riflessi in tema di trattamento diversificato sul territorio. Si
aggiunga, inoltre, che alla luce della idoneita' del provvedimento ex
art. 700 codice di procedura civile a conservare la sua efficacia,
rientrando lo stesso nel novero dei provvedimenti cautelari c.d. «a
strumentalita' attenuata», non vi sarebbe la garanzia di un
successivo giudizio di merito nel quale la questione possa essere
portata all'attenzione della Corte costituzionale.
Una soluzione alla complessa problematica tra la celerita' della
tutela e del rito cautelare e la stasi del procedimento stesso
determinata dalla sospensione c.d. «necessaria» del giudizio «a quo»
in cui viene sollevato l'incidente di legittimita' costituzionale,
che questo Giudice ritiene di dover fare propria, trova origine nella
giurisprudenza amministrava. Si tratta della c.d. «tutela cautelare a
tempo», in cui cioe' la misura cautelare viene concessa, in via
provvisoria, condizionandone la conferma o la revoca all'esito dei
giudizio di legittimita' costituzionale. La giurisprudenza
costituzionale (cfr. Corte costituzionale n. 172/2012; Corte
costituzionale n. 274/2014) ha ribadito che l'esigenza di assicurare
l'effettivita' della tutela d'urgenza consente al Giudice ordinario
l'adozione in via provvisoria della tutela interinale «nel tempo
occorrente per la definizione del giudizio di incidentale di
costituzionalita' e con un contenuto che intanto, limitatamente a
questo lasso di tempo, schermi la norma indubbiata nella parte e
nella misura in cui il giudice adito abbia espresso dubbi di non
manifesta infondatezza della questione sollevata».
Questa soluzione, che prevede la scomposizione della fase
cautelare in una fase interinale, nella quale il Giudice concede la
cautela fino alla decisione della Corte costituzionale, ed una
seconda fase in cui il Giudice della cautela si pronuncia in via
definitiva, tenendo conto delle risultanze del giudizio davanti alla
Corte costituzionale, del giudizio costituzionale, permette, da un
lato, di preservare l'effettivita' e l'immediatezza della tutela
cautelare (articoli 24 e 111 Cost.; art. 6 C.E.D.U.) e, dall'altro,
di scongiurare una pronuncia di inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale per esaurimento della «potestas
iudicandi» del giudice rimettente.
Del resto una siffatta soluzione, oltre a rispondere ad esigenze
costituzionali e sovranazionali di effettivita' della tutela, non e'
neppure sconosciuta al sistema processualcivilistico: si pensi,
infatti, al meccanismo di cui all'art. 669-sexies, comma 2, codice di
procedura civile, laddove si prevede che proprio in caso di tutela
cautelare, quando la convocazione della controparte potrebbe
pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il Giudice provvede con
decreto motivato «inaudita altera parte» (prima fase), fissando con
il medesimo decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a
se', udienza in cui provvedera' poi a confermare, modificare o
revocare il provvedimento cautelare emanato in assenza di
contraddittorio (seconda fase).
La compatibilita' tra tutela cautelare e giudizio di legittimita'
costituzionale, nei termini anzidetti, ha superato il vaglio della
stessa Corte costituzionale, la quale ha ritenuto ammissibili
questioni di legittimita' costituzionale sollevate in via incidentale
nell'ambito di giudizi cautelari, sul presupposto che la tutela sia
stata concessa in via provvisoria proprio in ragione della non
manifesta infondatezza della questione. In questo senso il Giudice
delle leggi, con l'ordinanza n. 25 del 2006 ha stabilito che «deve
respingersi l'eccezione di inammissibilita' della questione sollevata
dall'Avvocatura generale dello Stato sul presupposto che, avendo
emesso il provvedimento cautelare richiestogli con l'appello proposto
avverso l'ordinanza di diniego del TAR, il Consiglio di Stato avrebbe
esaurito la potestas judicandi, quale ad esso compete nella sede
cautelare; che questa Corte ha piu' volte statuito che il giudice
amministrativo ben puo' sollevare questione di legittimita'
costituzionale in sede cautelare, sia quando non provveda sulla
domanda cautelare, sia quando conceda la relativa misura, purche'
tale concessione non si risolva, per le ragioni addotte a suo
fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale
in quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la conseguenza
che la questione di legittimita' costituzionale e' inammissibile -
oltre che, ovviamente, se la misura e' espressamente negata
(ordinanza n. 82 del 2005) - quando essa sia concessa sulla base di
ragioni, quanto al fumus boni juris, che prescindono dalla non
manifesta infondatezza della questione stessa (sentenza n. 451 del
1993); che la potestas judicandi non puo' ritenersi esaurita quando
la concessione della misura cautelare e' fondata, quanto al fumus
boni juris, sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale, dovendosi in tal caso la sospensione
dell'efficacia del provvedimento impugnato ritenere di carattere
provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare
dopo l'incidente di legittimita' costituzionale (ex plurimis,
sentenze n. 444 del 1990; n. 367 del 1991; numeri 24, 30 e 359 del
1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000)».
Tanto premesso, il principio enunciato dalla Corte
costituzionale, sebbene relativo ad ipotesi nelle quali la tutela
cautelare era di tipo sospensivo, risulta perfettamente applicabile
anche ai casi di cautela di natura anticipatoria, come quella che ci
occupa.
Infatti, nel caso di specie, verrebbe concessa la misura
cautelare mediante l'ordine provvisorio di iscrivere il ricorrente
all'anagrafe della popolazione residente, con riserva di confermare
il provvedimento o di revocarlo, ordinando quindi la cancellazione
dell'iscrizione, all'esito della definizione del giudizio di
legittimita' costituzionale.
Non si rinviene, del resto, alcun alcun ostacolo normativo a tale
soluzione, poiche' l'art. 700 codice di procedura civile attribuisce
al Giudice della cautela il potere di adottare «i provvedimenti
d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze piu' idonei», per cui
proprio la natura «atipica» dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700
codice di procedura civile, il cui contenuto spetta di volta in volta
al Giudice individuare al fine di assicurare che la posizione
giuridica soggettiva non venga pregiudicata dal pericolo di un
pregiudizio imminente ed irreparabile permette, di fatto, di adottare
un provvedimento cautelare «provvisorio».
La concessione del provvedimento anticipatorio, inoltre, per la
natura dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente, non
determinerebbe effetti irreversibili - come tali suscettibili di una
modifica successiva -, ma garantirebbe l'iscrizione almeno fino
all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale, momento nel
quale si stabilira' se confermare definitivamente la misura o
disporne la cancellazione.
In applicazione del principio avallato dalla Corte
costituzionale, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale
resterebbe comunque ammissibile, poiche' la misura cautelare verrebbe
provvisoriamente concessa proprio sul presupposto esclusivo secondo
cui si ritiene non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale.
Va rilevato, infine, che l'eventuale esclusione della c.d. tutela
cautelare a tempo per le misure cautelari di natura anticipatoria
determinerebbe un irragionevole discrimina rispetto a quelle di
natura sospensiva, che non si giustificata alla luce delle ragioni
richiamate.
Si evidenzia, tra l'altro, che la Corte di giustizia dell'Unione
europea, con pronunce risalenti, si e' pronunciata in modo favorevole
rispetto all'analoga ipotesi della possibilita' per i giudici che
sollevano rinvio pregiudiziale di adottare misure cautelari
provvisorie durante il tempo necessario alla pronuncia della Corte,
evidenziando come tale possibilita' fosse da estendere anche alle
misure di natura anticipatoria (cfr. C.G.U.E. 9 settembre 1995
C-465/93).
Orbene, anche considerata l'evidente affinita' tra il rinvio in
sede di incidente di illegittimita' costituzionale ed il rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea per
l'interpretazione e l'applicazione delle norme unionali, non si
ravvisano elementi tali da giustificare un diverso trattamento delle
due ipotesi, anche sotto il profilo della possibilita' per il Giudice
«a quo», rimettente, di somministrare al ricorrente una tutela
provvisoria.
Occorre premettere che l'art. 23, comma 2, della legge n. 87 del
1953, al comma secondo consente al Giudice di sollevare d'ufficio la
questione di legittimita' costituzionale delle norme che e' chiamato
ad applicare.
«La non manifesta infondatezza» della questione rappresenta un
filtro, un momento di controllo diretto ad evitare inutili rimessioni
alla Corte costituzionale ed implica per il Giudice «a quo» che la
questione debba essere sollevata ogni qualvolta non si presenti,
cosi' come dedotta dalle parti, palesemente infondata.
Nel caso del rilievo «ex officio» il requisito della «non
manifesta infondatezza» si risolve nell'impossibilita' per
l'interprete di dare alla norma sospettata di illegittimita'
costituzionale un'interpretazione compatibile con la Costituzione.
Tanto premesso, si ritiene sussistente anche il requisito della
«non manifesta infondatezza» della questione.
Ai sensi dell'art. 43 del Codice civile la residenza e' il luogo
in cui la persona ha la dimora abituale, cioe' il luogo in cui il
soggetto vive la quotidianita' dei suoi interessi e della propria
famiglia. L'atto con il quale si stabilisce la residenza e' un atto
giuridico in senso stretto nel quale cioe' l'elemento soggettivo non
rileva in se', ma si deve manifestare in un comportamento che, alla
stregua della valutazione sociale, corrisponde ad effettiva
abitazione abituale in un certo luogo («La residenza di una persona
e' determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un
determinato luogo, cioe' dall'elemento obiettivo della permanenza in
tale luogo e dall'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi
stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento
delle normali relazioni sociali» - cosi' «ex multis» Cassazione civ.,
n. 1738/1986).
L'iscrizione nel pubblico registro anagrafico tenuto presso ogni
comune italiano ha, dunque, mero valore pubblicitario o notiziale,
non costitutivo, in quanto e' noto che l'effettiva residenza di una
persona puo' essere accertata con ogni mezzo, anche contro le
risultanze anagrafiche.
L'iscrizione anagrafica pertanto ha mero valore ricognitivo di
una situazione di fatto, che esiste a prescindere dalla sua
manifestazione formale. La preclusione all'iscrizione, pertanto, si
risolve in un ostacolo ad ottenere la pubblicizzazione di uno stato
di fatto, che si pone quale imprescindibile presupposto di esercizio
di una molteplicita' di diritti e di facolta', sia nell'ambito del
settore pubblico, che nell'ambito del settore privato.
Se da una parte l'iscrizione anagrafica, in quanto priva di
valore costitutivo potrebbe apparire come una mera formalita'
irrilevante, dall'altra, nel fondare la presunzione (sia pure «iuris
tantum») di corrispondenza della realta' giuridica a quella effettiva
circa il luogo in cui un soggetto ha la sua stabile dimora, essa
assurge a strumento di primaria importanza laddove, tanto nel settore
pubblico, quanto in quello privato, si consente di dare prova della
propria residenza proprio attraverso il riferimento alla
dichiarazione anagrafica.
La preclusione all'iscrizione, allora, assume carattere ostativo
dapprima ed immediatamente alla pubblicita' di una situazione di
fatto e, in via successiva ed indirettamente, alla possibilita' di
fornirne la relativa prova ai fini dell'esercizio di diritti e
facolta' o dell'accesso a servizi pubblici o privati.
La giurisprudenza ha, infatti, chiarito che lo strumento
dell'anagrafe «e' predisposto nell'interesse sia della pubblica
amministrazione, sia dei singoli individui. Sussiste, invero, non
soltanto l'interesse dell'amministrazione ad avere una relativa
certezza circa la composizione ed i movimenti della popolazione (...)
ma anche l'interesse dei privati ad ottenere le certificazioni
anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti civili e
politici e, in generale, per provare la residenza e lo stato di
famiglia» (Cass. civ., n. 449/2000).
Tanto premesso, si rammenta che la preclusione all'iscrizione
anagrafica e' stata giustificata nella Relazione illustrativa al
decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto Sicurezza») in base alla
precarieta' del soggiorno del migrante richiedente asilo e con la
necessita' di definire in via prioritaria la sua condizione
giuridica. Sulla base di questa argomentazione il Tribunale di Trento
ha escluso profili di illegittimita' costituzionale della norma,
richiamando la diversa condizione dello straniero richiedente asilo.
A ben vedere, pero', la posizione dello straniero in possesso di
un permesso di soggiorno quale richiedente asilo, non giustifica un
siffatto trattamento normativo. Il soggiorno dello straniero
richiedente asilo, legittimato dal rilascio del relativo permesso, e'
pacificamente non di breve durata. I tempi di accertamento delle
condizioni che costituiscono il presupposto del riconoscimento della
protezione internazionale che includono il procedimento dinanzi alle
Commissioni territoriali, l'eventuale impugnativa dinanzi al
Tribunale e poi innanzi alla Corte di cassazione sono, infatti, di
gran lunga superiori rispetto al tempo minimo necessario per poter
definire il luogo in cui lo straniero ha fissato la propria dimora
come abituale. Tra i parametri di legge che si possono utilizzare al
fine di riconoscere l'abitualita' di una dimora, vi e' sicuramente
quello indicato dall'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998, che
fissa a tal fine il termine di tre mesi.
Pertanto, se e' innegabile che la condizione del richiedente
asilo e' connotata da precarieta', e' altrettanto innegabile che il
suo soggiorno si protrae legittimamente sul territorio italiano per
un tempo che di regola supera l'anno, tempo in cui viene impedita la
pubblicizzazione e la prova di una residenza che pero', di fatto,
viene acquisita.
E' noto che al legislatore e' consentito dettare norme che
regolino l'ingresso e la permanenza dei cittadini extracomunitari in
Italia, purche' non palesemente irragionevoli e non contrastanti con
gli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano. Sul punto,
la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito il principio secondo
cui il legislatore puo' subordinare l'erogazione di determinate
prestazioni alla circostanza che lo straniero sia soggiornante con un
titolo non episodico e non di breve durata (cfr. Corte
costituzionale, n. 306/2008).
Nel caso in esame, il legislatore sembra aver riservato un
trattamento deteriore in riferimento ad uno straniero, quello
richiedente asilo, legalmente soggiornante ma con titolo che non e'
ne' episodico, ne' di breve durata.
I dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 1,
lettera a) n. 2) del decreto-legge n. 113/2018 laddove ha introdotto
il comma 1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015
appaiono quindi non manifestamente infondati con riferimento ai
seguenti parametri costituzionali.
Il primo parametro rispetto al quale si ritiene fondato il dubbio
di legittimita' e' rappresentato dall'art. 2 della Costituzione.
L'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo di ottenere
la certificazione anagrafica in ordine alla sua dimora abituale
comporta, per le ragioni enunciate, una condizione di «deminutio»
generale della sua persona, la quale si vede impossibilitata a dare
prova di una condizione di fatto esistente (la dimora abituale). Tale
limite si traduce a cascata in una preclusione all'accesso a tutti
quei diritti, facolta' e servizi per i quali l'ordinamento richiede
quale requisito costitutivo la prova della residenza (tra cui il
diritto ad accedere alle misure di politica attiva del lavoro ex art.
11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo n. 150/2015, il
diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A. ex
art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972, il diritto di
ottenere la determinazione del valore I.S.E.E. necessario per potere
accedere alle prestazioni sociali agevolate ex art. 1, comma 125,
legge n. 104/1990, il diritto di ottenere, decorsi dieci anni
dall'iscrizione nel registro dell'anagrafe di un comune italiano, la
cittadinanza italiana ex art. 9, comma l, legge n. 91/1992, il
diritto ad ottenere il rilascio della patente di guida ai sensi
dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992, il diritto di
accedere all'istruzione scolastica, il diritto all'ottenimento di una
concessione commerciale per il commercio ambulante ed all'esercizio
di un professione ed il diritto di accedere in modo pieno
all'assistenza sanitaria nazionale, poiche' il cittadino privo di
residenza puo' accedere solo al servizio di pronto soccorso), in tal
modo frapponendo significativi ostacoli allo sviluppo della persona,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalita'.
In secondo luogo, la questione di legittimita' costituzionale
appare non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 della
Costituzione sotto molteplici profili.
L'art. 3 della Carta costituzionale appare innanzitutto violato
sul versante del principio di ragionevolezza, in quanto il
legislatore con la norma censurata, al solo fine di impedire
l'iscrizione anagrafica ha privato il permesso di soggiorno
rilasciato al richiedente asilo, documento deputato ad attestare la
regolarita' del soggiorno di uno straniero sul territorio, della sua
ontologica natura, ovvero della sua attitudine a provare la legittima
permanenza sul territorio nazionale.
Orbene, e' noto che il canone della ragionevolezza puo' dirsi
rispettato solo laddove esista una «causa normativa» che legittimi
una differenziazione che, nel caso di specie, non puo' essere
ravvisata nella «precarieta' della condizione giuridica dello
straniero» richiedente asilo, in quanto tale precarieta' non
corrisponde, per tutte le ragioni innanzi esposte, ad un soggiorno di
breve durata.
La soluzione adottata dal legislatore appare quindi
sproporzionata rispetto al fine avuto di mira: il legislatore avrebbe
piuttosto dovuto piuttosto individuare puntualmente i diritti ed i
servizi rispetto ai quali il richiedente asilo non puo' accedere fino
alla definizione del procedimento volto ad ottenere la protezione
internazionale, ma non escludere radicalmente ed indiscriminatamente
nei suoi confronti ogni diritto e facolta' - in ambito pubblico e
privato - che si riconnette al possesso della residenza anagrafica,
di fatto equiparando il soggiorno dello straniero richiedente asilo a
quello di uno straniero «irregolare».
L'intervento sproporzionato rispetto al fine perseguito e'
rivelato da una contraddizione in cui e' caduto lo stesso
legislatore, palesando un ulteriore profilo di irragionevolezza. Da
un lato infatti, il legislatore ha previsto che il permesso di
soggiorno per richiesta asilo consente di svolgere attivita'
lavorativa (art. 22 decreto legislativo n. 142/2015 in base al quale
«Il permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all'art. 4
consente di svolgere attivita' lavorativa, trascorsi sessanta giorni
dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della
domanda non e' concluso ed il ritardo non puo' essere attribuita al
richiedente») - riconoscendo quindi l'importanza di tale profilo non
solo ai fini del sostentamento dello straniero, ma anche ai fini
della sua integrazione nel tessuto sociale - dall'altro, con la
preclusione all'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente,
ha impedito al titolare di permesso di soggiorno di interloquire con
l'ente deputato alla gestione ed alla ricerca di occasioni
lavorative. La mancata iscrizione all'anagrafe, infatti, preclude
l'accesso alle politiche attive del lavoro di cui all'art. 11,
decreto legislativo n. 150/2015, politiche riservate per espressa
previsione di legge ai residenti sul territorio (art. 11, comma 3,
lettera c decreto legislativo n. 150/2011), cosi' come preclude
l'inserimento del titolare del permesso per richiesta asilo nel
sistema informativo unitario delle politiche del lavoro che prevede
la formazione di una scheda anagrafica dei lavoratore (art. 13,
decreto legislativo n. 150/2011). Allo stesso tempo, e' preclusa la
possibilita' di stipulare contratti di lavoro di prestazione di
lavoro occasionale, come disciplinati dal decreto-legge n. 50/2017 e
dal decreto-legge n. 87/2018, in quanto ai lavoratore privo di
residenza e' preclusa la registrazione al portale telematica
dell'I.N.P.S.
In definitiva, quindi, il diritto al lavoro, che e' stato
riconosciuto anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta
asilo risulta compromesso dagli ostacoli che la norma «sub iudice» -
impedendo in modo assoluto allo straniero richiedente asilo
l'acquisizione di una residenza formale - frappone tra il lavoratore
e i canali di accesso alle occasioni lavorative, con evidenti profili
di irragionevolezza.
L'art. 3 della Carta costituzionale appare poi violato anche «sub
specie» di principio di uguaglianza e non discriminazione, nonche' di
diversita' di trattamento a fronte di situazioni eguali.
Infatti l'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo di
ottenere l'iscrizione anagrafica nel comune in cui pure ha, di fatto,
fissato la propria, si risolve in un trattamento deteriore, non
giustificato, rispetto al cittadino italiano, ma anche e soprattutto
rispetto allo straniero regolarmente soggiornante in Italia con altro
titolo, al quale l'ordinamento consente di chiedere ed ottenere
l'iscrizione nei registri dell'anagrafe del comune ove intende
fissare la propria dimora abituale.
La «precarieta'» della condizione giuridica dello straniero
richiedente asilo, infatti, non sembra in grado di giustificare il
diversa trattamento normativa, dal momento che, per le ragioni gia'
individuate, tale precarieta' non equivale ad una breve durata del
soggiorno - comunque legittimo sul territorio nazionale - e pertanto
non inficia il presupposto posto a base della residenza, e cioe' la
dimora abituale nel suo elemento oggettivo e soggettivo.
La discriminazione realizzata mediante l'introduzione del comma
1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 risulta ancora
piu' evidente rispetto agli altri stranieri regolarmente
soggiornanti, cioe' muniti di permesso di soggiorno di altro tipo.
Rispetto a quest'ultimi la disparita' di trattamento dello straniero
richiedente asilo deteriore risulta ancora piu' ingiustificata ed
evidente, poiche' gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia
non incontrano limitazioni di sorta nell'accesso alle iscrizioni
anagrafiche e possono ottenerle con il decorso del tempo minimo
necessario a considerare la loro dimora come abituale, anche a fronte
di un soggiorno di durata inferiore rispetto a quello dei richiedenti
asilo.
Ebbene, se e' certo che la «precarieta'» - intesa come
provvisorieta' - che caratterizza la condizione giuridica dello
straniero richiedente asilo costituisce senz'altro un elemento
discretivo rispetto alla condizione dei cittadini italiani o degli
stranieri titolari di un permesso di soggiorno di altro tipo, ragion
per cui puo' fondare un trattamento normativo differente tra i
soggetti sopra richiamati, essa pero' puo' avere incidenza solo ed
esclusivamente rispetto a quegli aspetti in cui la suddetta
«precarieta'» risulta incompatibile con gli effetti di una situazione
giuridica da riconoscere.
Rispetto al diritto a vedersi riconosciuta mediante
certificazione anagrafica la propria residenza (cioe' la dimora
abituale), la precarieta' della condizione giuridica dello straniero
richiedente asilo non produce alcun effetto e, comunque, non appare
in grado di giustificare secondo il canone della razionalita' la
scelta legislativa di sancire l'impossibilita' per quest'ultimo di
ottenere prova di una residenza che e' gia' effettivamente abituale e
che puo' protrarsi anche per anni.
Peraltro, a sostegno dell'introduzione del comma 1-bis dell'art.
4 del decreto legislativo n. 142/2015 ad opera dell'art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 non possono invocarsi neanche esigenze di
certezza delle risultanze anagrafiche, poiche' l'art 7, comma 3, del
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 - laddove pone
l'obbligo di rinnovare la dichiarazione di dimora abituale entro
sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno e prevede che
l'ufficiale dell'anagrafe aggiorna la scheda anagrafica dello
straniero - assicura un meccanismo di cancellazione della residenza
laddove il permesso di soggiorno non dovesse essere rinnovato.
Infine, dubbi di legittimita' costituzionale si avanzano anche in
riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1, della
Costituzione in relazione all'art. 2 del Protocollo n. 4 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (che costituisce norma interposta la cui
violazione impone al Giudice «a quo» di sollevare la questione di
legittimita' costituzionale, cosi' Corte costituzionale nn. 348/2007
e 349/2007) in base al quale «chiunque si trovi legalmente nel
territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla
liberta' di scelta della residenza in quel territorio» nonche'
all'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione all'art. 12
del Patto internazionale sui diritti civili e politici in base al
quale «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno
Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta
della residenza in quel territorio».
Tali norme, dunque, impongono all'Italia, quale Stato membro che
ha aderito alle suddette Convenzioni, di assicurare a «chiunque» e ad
«ogni individuo» che si trovi legalmente nel suo territorio, dunque
certamente anche allo straniero richiedente asilo, il diritto alla
liberta' di scelta della propria residenza nel territorio italiano:
diritto che, con ogni evidenza, viene ad essere completamente
cancellato per effetto della novella normativa sospettata di
illegittimita' costituzionale.
Ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Carta costituzionale,
infatti, la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato (e dalle
regioni) «nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali», ragion per cui l'eventuale violazione degli impegni
assunti dallo Stato italiano a livello sovranazionale si risolvono
non solo in una violazione degli accordi assunti sul piano
internazionale, ma anche in una violazione della Costituzione che,
come tale, puo' comportare la declaratoria di illegittimita'
costituzionale delle norme censurate.
Alla luce di quanto innanzi esposto, dunque, si ritiene rilevante
e non manifestamente infondata con riferimento gli articoli 2, 3, e
117, comma 1, della Costituzione in riferimento ai parametri
interposti dell'art. 2 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. n. 4
ed all'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come introdotto dall'art.
13, comma 1, lettera a), n. 2), del decreto-legge n. 113/2018
convertito con legge n. 132/2018.