ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  1-bis,
commi 1 e 2, e  2,  comma  1,  della  legge  24  marzo  2001,  n.  89
(Previsione di equa riparazione in caso  di  violazione  del  termine
ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del  codice  di
procedura civile), promosso dalla  Corte  d'appello  di  Bologna  nel
procedimento vertente tra F. M. e il Ministero della  giustizia,  con
ordinanza del  6  luglio  2018,  iscritta  al  n.  152  del  registro
ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 43, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 4 dicembre  2019  il  Giudice
relatore Mario Rosario Morelli; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 gennaio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Nel corso di  un  giudizio  proposto  per  ottenere  un  equo
indennizzo per l'eccessiva durata  di  una  precedente  procedura  di
liquidazione  coatta  amministrativa,  l'adita  Corte  d'appello   di
Bologna, in composizione monocratica  -  premessane  la  rilevanza  e
ritenutane la non manifesta infondatezza «in relazione agli  articoli
3, 24 e 117 Cost.» -  ha  sollevato,  con  l'ordinanza  in  epigrafe,
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1-bis, commi 1 e
2, e 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa
riparazione  in  caso  di  violazione  del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile). 
    Ad avviso della rimettente, le  norme  denunciate  -  in  quanto,
secondo  l'interpretazione  consolidatasi  in  termini   di   diritto
vivente, riconoscono il diritto  ad  equo  indennizzo  per  eccessiva
durata (oltre i sei anni) di "procedure concorsuali" con  riferimento
alle sole procedure fallimentari e non anche a quelle di liquidazione
coatta amministrativa (Corte di  cassazione,  sezione  prima  civile,
sentenze 10 giugno 2011, n. 12729; 30  dicembre  2009,  n.  28105;  3
agosto 2007, n. 17048) - violerebbero, appunto, i parametri evocati. 
    Quanto agli artt. 3 e 24  Cost.,  «posto  che  a  fronte  di  una
identica situazione soggettiva di vantaggio (l'essere creditore di un
fallimento o di una lca), la legge n. 89 del 2001 attribuisce solo al
primo (e non al secondo) la possibilita' di ottenere tutela (a  causa
del ritardo nella chiusura della procedura concorsuale)  nelle  forme
previste dalla legge stessa». 
    Quanto all'art.  117,  primo  comma,  Cost.  -  in  relazione  al
richiamato (ancorche' solo in motivazione) art. 13 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,  n.  848  -  in  ragione  del
sopravvenuto contrasto del riferito diritto vivente con  la  sentenza
della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  11   gennaio   2018,
Cipolletta  contro  Italia,  che  ha  equiparato  le   procedure   di
liquidazione coatta amministrativa alle  procedure  fallimentari,  ai
fini del riconoscimento del pari diritto (del creditore) ad  un  equo
indennizzo per l'eccessiva correlativa durata. 
    2. - Nel giudizio  innanzi  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello   Stato,   che   ha   concluso   per
l'inammissibilita' delle questioni - per  omesso  previo  esperimento
del tentativo di interpretazione  costituzionalmente  conforme  della
normativa denunciata - e, in subordine, per la loro infondatezza,  in
ragione della erroneita' della premessa interpretativa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- L'art. 1-bis della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione  di
equa riparazione in caso di violazione del  termine  ragionevole  del
processo  e  modifica  dell'articolo  375  del  codice  di  procedura
civile), al suo comma 1, dispone che «[l]a parte di  un  processo  ha
diritto  a  esperire  rimedi   preventivi   alla   violazione   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955,
n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole
di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa». E, nel
successivo comma 2, stabilisce che  «[c]hi,  pur  avendo  esperito  i
rimedi preventivi di cui  all'articolo  1-ter,  ha  subito  un  danno
patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del
processo ha diritto ad una equa riparazione». 
    A sua volta, l'art. 2 della stessa legge, sub comma 1,  sanziona,
con l'inammissibilita' della  domanda,  il  mancato  esperimento  dei
rimedi  preventivi  volti  ad  evitare  l'irragionevole  durata   del
«processo». 
    L'art. 2,  comma  2-bis,  tra  l'altro,  poi  precisa  (al  terzo
periodo) che «[s]i considera rispettato il termine ragionevole  [...]
se la procedura concorsuale si e' conclusa in sei anni». 
    2.- In sede di interpretazione delle  suddette  disposizioni,  la
Corte di legittimita' ha enucleato il principio per  cui  il  diritto
all'equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 e' configurabile solo con
riguardo  all'eccessiva  durata   di   un   «processo»   (comportante
l'esercizio di un'attivita' giurisdizionale) e non anche, quindi, con
riferimento  all'irragionevole  protrarsi  di  un   procedimento   di
carattere meramente amministrativo (ex plurimis, Corte di cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 25 febbraio  2014,  n.  4429;  sezione
prima civile, sentenze 28 maggio 2010, n. 13088; 16 novembre 2007, n.
23754; 15 gennaio 2004, n. 483). 
    In linea con tale principio,  la  stessa  Corte  ha,  quindi,  in
particolare, affermato che il diritto all'indennizzo di che  trattasi
non  e'  configurabile  in   relazione   alla   liquidazione   coatta
amministrativa che e' procedimento a carattere amministrativo, in cui
si innestano solo eventuali fasi di carattere giurisdizionale,  quali
la dichiarazione dello stato di  insolvenza,  le  relative  eventuali
impugnazioni  e  le  opposizioni  allo  stato   passivo   (Corte   di
cassazione, sezione prima civile, sentenze 10 giugno 2011, n.  12729;
30 dicembre 2009, n. 28105; 3 agosto 2007, n. 17048). 
    3.- Chiamata a decidere su una domanda di equo indennizzo traente
causa dalla eccessiva durata di una procedura di liquidazione  coatta
amministrativa,  la  Corte  d'appello  di  Bologna,  in  composizione
monocratica, con l'ordinanza di cui si  e'  in  narrativa  detto,  ha
sollevato, «in relazione agli articoli 3,  24  e  117,  primo  comma,
Cost.», questioni di legittimita' costituzionale degli  artt.  1-bis,
commi 1 e 2, e 2, comma 1, della legge n. 89 del 2001,  nella  parte,
appunto, in cui, alla stregua della riferita  esegesi,  consolidatasi
in termini  di  diritto  vivente,  esclude  la  configurabilita'  del
diritto all'equo indennizzo da detta legge previsto  ove  l'eccessiva
durata, di cui la parte si dolga, attenga a procedure di liquidazione
coatta amministrativa. 
    Secondo   la   rimettente,   la   normativa   denunciata,   cosi'
interpretata, si porrebbe, per un verso, in contrasto con gli artt. 3
e 24 Cost., per la ragione che, «a fronte di una identica  situazione
soggettiva di vantaggio (l'essere creditore di un fallimento o di una
lca), la legge n. 89 del 2001 attribuisce solo al  primo  (e  non  al
secondo) la possibilita' di ottenere  tutela  (a  causa  del  ritardo
nella chiusura della  procedura  concorsuale)  nelle  forme  previste
dalla legge stessa». 
    E, per altro verso, violerebbe l'art. 117, primo comma,  Cost.  -
in relazione all'art. 13 (non richiamato in dispositivo ma evocato in
motivazione)  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848 - in ragione del sopravvenuto contrasto del  riferito  diritto
vivente con la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo  11
gennaio 2018, Cipolletta contro Italia,  che  avrebbe  equiparato  le
procedure  di  liquidazione  coatta  amministrativa  alle   procedure
fallimentari, ai  fini  del  riconoscimento  dal  pari  diritto  (del
creditore) ad un equo indennizzo per l'eccessiva correlativa durata. 
    4.-   Viene   preliminarmente    in    esame    l'eccezione    di
inammissibilita'  della  questione  formulata  dall'Avvocatura  dello
Stato sul rilievo che la rimettente avrebbe omesso  il  tentativo  di
«dare alla norma di cui  si  tratta  una  lettura  costituzionalmente
orientata,   si'   da   sottrarla   al    prospettato    dubbio    di
costituzionalita'». 
    L'eccezione non e' suscettibile di accoglimento. 
    La Corte bolognese ha pur preso in considerazione la possibilita'
di leggere l'espressione «procedura concorsuale» (sub art.  2,  comma
2-bis, terzo periodo, della legge  n.  89  de  2001)  nel  senso  che
«comprenda in se anche la lca». 
    Ma ha poi ritenuto  che  una  tale  "lettura  alternativa"  trovi
appunto ostacolo non superabile nel "diritto  vivente",  diversamente
orientatosi. E, secondo quanto piu' volte affermato da questa  Corte,
in presenza di  un  orientamento  giurisprudenziale  consolidato,  il
giudice a quo - se pure e' libero di non uniformarvisi e di  proporre
una diversa esegesi del dato normativo, essendo la "vivenza"  di  una
norma una vicenda per definizione aperta, ancor piu' quando si tratti
di  adeguarne  il  significato  a  precetti   costituzionali   -   ha
alternativamente, comunque, la facolta' di assumere l'interpretazione
censurata in termini di "diritto vivente" e di richiederne,  su  tale
presupposto,  il  controllo  di  compatibilita'   con   i   parametri
costituzionali (sentenze n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 e  n.
122 del 2017, n. 200 del 2016 e n. 11 del 2015). 
    5.- Nel merito, la  questione  e',  sotto  ogni  suo  prospettato
profilo, non fondata. 
    5.1.- La liquidazione coatta amministrativa  e',  come  noto,  al
pari del fallimento, un "contenitore" di procedure, nel contesto  del
quale la connotazione giurisdizionale sopravviene -  per  effetto  di
eventuali opposizioni, impugnazioni o  insinuazioni  tardive  -  solo
dopo il deposito dello  stato  passivo,  che  conclude  l'iniziale  e
centrale fase di  verifica  dei  crediti  da  parte  del  commissario
liquidatore, avente natura, invece, di procedimento amministrativo. 
    La  peculiarita'  della   liquidazione   coatta   amministrativa,
rispetto  al  fallimento  -  come  da  questa  Corte  gia'  da  tempo
sottolineato  -  rinviene  la  sua  giustificazione  nelle  finalita'
pubblicistiche di tale procedura (sentenze n. 363 del  1994,  n.  159
del 1975 e n. 87 del 1969), che infatti  riguarda  imprese  che,  pur
operando  nell'ambito  del  diritto   privato,   involgono   tuttavia
molteplici  interessi  o  perche'  attengono  a  particolari  settori
dell'economia nazionale, in relazione ai quali  lo  Stato  assume  il
compito della difesa del pubblico affidamento, o perche'  si  trovano
in rapporto di complementarieta', dal punto di  vista  teleologico  e
organizzativo, con la pubblica amministrazione. Segnatamente  l'avvio
della procedura di liquidazione coatta amministrativa  dipende  dalla
natura  del  soggetto  debitore  (banche,   assicurazioni,   societa'
cooperative, enti sottoposti a vigilanza e simili). 
    La ragione della sottrazione di siffatte  imprese  alla  funzione
propriamente giurisdizionale sta dunque nel fatto che la liquidazione
coatta  amministrativa  coinvolge   interessi   pubblici   preminenti
(rispetto a quelli  prettamente  esecutivi)  legati  a  finalita'  di
politica economica, industriale o sociale. 
    E cio', appunto, comporta che tra le due comparate procedure  non
sussista quella "identita'" delle  rispettive  posizioni  creditorie,
che il giudice a quo presuppone e adduce  a  motivo  della  censurata
disparita' di trattamento delle stesse in tema di equo indennizzo  ex
lege n. 89 del 2001. 
    La tutela dei creditori di  imprese  sottoposte  a  procedura  di
liquidazione coatta amministrativa assume, infatti, una  connotazione
doppiamente differenziata, rispetto a quella di  altri  creditori  in
sede concorsuale, in quanto gli interessi pubblici  che  giustificano
la  procedura  amministrativa,  per  un  verso,  in  qualche   misura
attenuano il rilievo del singolo diritto  di  credito  e,  per  altro
verso, rafforzano, pero', la prospettiva finale di soddisfazione  del
credito,  come  effetto  riflesso  del  concorrente   obiettivo,   di
mantenimento  in  attivita'  del  complesso  produttivo  dell'azienda
debitrice, perseguibile dalla procedura amministrativa. 
    5.2.- Va poi  ancora  considerato  che  l'inapplicabilita'  della
disciplina dell'equo indennizzo alla liquidazione coatta (in  quanto)
amministrativa,  quale  risultante  dalla  normativa  censurata,  non
comporta che, in caso  di  non  giustificabile  eccessiva  durata  di
siffatta  procedura,  il  creditore  resti  privo  di  alcun  rimedio
riparatorio. 
    Fuori dal perimetro  del  "processo"  -  sul  quale  direttamente
incide il  precetto  dell'art.  6,  paragrafo  1,  CEDU  e  al  quale
propriamente ed esclusivamente si  rivolge  la  disciplina  dell'equo
indennizzo  ex  lege  n.  89  del  2001  -  l'area  del  procedimento
amministrativo non e', comunque, sottratta a  principi  e  norme  che
sanzionino  l'autorita'  amministrativa  e  le  sue   strutture   ove
ingiustificatamente ritardino il perseguimento degli  interessi  alla
cui cura sono preposti. 
    La legge 7 agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi) prevede, infatti, sub art. 2-bis,  comma  1,  che  le
pubbliche amministrazioni siano  tenute  al  risarcimento  del  danno
ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza  del  termine  di
conclusione del procedimento. 
    E,  ancorche'  per  il  procedimento   di   liquidazione   coatta
amministrativa  non  sussista  un  termine  predefinito  per  la  sua
conclusione, cio' non esclude che - in relazione alla peculiarita'  e
complessita' delle singole vicende liquidatorie - detto termine possa
essere, nel caso concreto, desunto alla luce  dei  principi  generali
che  governano  l'azione  amministrativa:  principi   -   regola   di
proporzionalita', divieto di  aggravio,  dovere  di  conclusione  del
procedimento e tutela dell'affidamento in cio' riposto  dai  soggetti
che vi sono coinvolti - da leggersi  anche  in  coerenza  ai  criteri
fissati dalla giurisprudenza della Corte EDU. 
    5.3.- Non sussiste, dunque, la prospettata violazione degli artt.
3 e 24 Cost. 
    6.- Le considerazioni che precedono valgono ad escludere anche la
violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  per  il  profilo,
prospettato dal rimettente, di sospettato contrasto  della  normativa
in esame, con la citata sentenza della Corte EDU 11 gennaio 2018. 
    Detta  sentenza  -  che,  come  osservato  dal  giudice  da  essa
dissenziente, si  discosta  dalla  giurisprudenza  consolidata  della
Corte EDU relativa alla procedura amministrativa  non  contenziosa  -
nel riconoscere al ricorrente il diritto  ad  un  compenso  (di  euro
24.000,00) a titolo risarcitorio del "danno morale"  subito,  per  un
verso, fonda la sua motivazione sulla premessa di principio, per  cui
la diversa natura attribuita a  livello  interno  alla  procedura  di
liquidazione   coatta   amministrativa,   rispetto   alla   procedura
fallimentare, non giustifica che solo a  quest'ultima,  e  non  anche
alla prima procedura, sia applicabile il rimedio riparatorio  interno
in linea con l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione. E,  per  altro
verso, fa leva sulla constatazione che il procedimento dal  quale  il
ricorrente attendeva la  risposta  alla  propria  pretesa  creditoria
durava gia' da "complessivamente quasi venticinque anni" e il Governo
non aveva esposto «alcun fatto  o  argomento  convincente  che  possa
giustificare un tale ritardo». 
    Si tratta, dunque, di una sentenza che, da  un  lato,  nella  sua
premessa,  non  tiene  compiutamente  conto  dei  rimedi   riparatori
apprestati dall'ordinamento italiano riferibili anche al procedimento
per cui e' causa; e, dall'altro lato, nel suo  decisum,  risponde  ad
una finalita' di tutela dell'interesse del ricorrente, che si ravvisa
leso in correlazione alla peculiarita'  del  caso  concreto:  tutela,
questa, "parcellizzata", che e' per  sua  natura  complementare  alla
tutela "sistemica" apprestata in sede nazionale (sentenze n.  67  del
2017, n. 264 del 2012). 
    Da qui, dunque, la non fondatezza della questione  sollevata  dai
rimettenti anche in relazione ai parametri da ultimo considerati.