ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 103,  comma
1-bis, della legge della Regione  Lombardia  11  marzo  2005,  n.  12
(Legge per il governo del  territorio),  promosso  dal  Consiglio  di
Stato,  sezione  prima,  nel  procedimento  vertente   tra   Nicandro
Cavagliotti e il Comune di Sondrio,  con  ordinanza  dell'8  novembre
2017, iscritta al n. 156 del registro  ordinanze  2018  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima   serie
speciale, dell'anno 2018. 
    Visti l'atto di costituzione di Nicandro Cavagliotti e l'atto  di
intervento del Presidente della Giunta della Regione Lombardia; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  14  gennaio  2020  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Enrico Muffatti  per  Nicandro  Cavagliotti  e
Piera Pujatti per la Regione Lombardia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 14 gennaio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 novembre 2017, iscritta al  n.  156  del
registro ordinanze  2018,  il  Consiglio  di  Stato,  sezione  prima,
nell'esercizio della propria funzione consultiva in sede  di  ricorso
straordinario  al  Presidente  della  Repubblica,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 103, comma 1-bis, della legge della  Regione  Lombardia  11
marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella  parte
in cui deroga alla distanza  pari  all'altezza  del  fabbricato  piu'
alto. 
    1.1.-  Il  Consiglio  di  Stato  premette   di   dover   decidere
sull'impugnazione della variante del piano di governo del  territorio
del Comune di Sondrio, adottata con delibera del  Consiglio  comunale
del 28 novembre 2014, n. 81 e volta a sottrarre  «le  zone  di  nuova
edificazione  ed  urbanizzazione»,  poste  all'interno  del  "tessuto
urbano consolidato", all'applicazione della disciplina piu' rigorosa,
che impone la maggiore distanza pari all'altezza  dell'edificio  piu'
alto. 
    La parte  ricorrente  nel  giudizio  principale  si  duole  della
violazione di legge e, in particolare, dell'art. 9  del  decreto  del
Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile  1968,  n.  1444   (Limiti
inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza  fra  i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati  agli  insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attivita'
collettive, al verde pubblico o a  parcheggi  da  osservare  ai  fini
della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.
765),  dell'arbitrarieta'  e  della  carenza  di  motivazione   della
variante approvata, che determinerebbe,  inoltre,  «deviazione  dalla
funzione». Il Comune di Sondrio, allo scopo di emendare  gli  «errori
materiali riscontrati in fase applicativa»,  avrebbe  introdotto  una
innovazione rilevante,  in  contrasto  con  i  «tassativi  limiti  di
legge». 
    1.2.- In punto di  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
proposte, il Consiglio di Stato richiama la giurisprudenza di  questa
Corte,  che  riconduce  la  disciplina  delle  distanze  minime  alla
competenza esclusiva statale nella  materia  «ordinamento  civile»  e
ammette  un  intervento  regionale  in  senso  derogatorio   soltanto
mediante «strumenti urbanistici, funzionali a conformare  un  assetto
complessivo e unitario di determinate zone del territorio». 
    Il rimettente muove dal presupposto che la disposizione censurata
non  affidi  «l'operativita'   dei   suoi   precetti   a   "strumenti
urbanistici"» e non sia «funzionale ad  un  "assetto  complessivo  ed
unitario di determinate zone del territorio"». Essa derogherebbe alla
disciplina delle  distanze  minime  anche  con  riguardo  a  «singoli
edifici». 
    Sulla base di tali premesse, il Consiglio di  Stato  denuncia  la
violazione dei limiti che alla «competenza regionale  concorrente  in
materia di "governo del territorio"» (art. 117, terzo  comma,  Cost.)
pongono  i  principi  enunciati  dalla  normativa   statale   e,   in
particolare, l'art. 9, ultimo comma, del d.m.  n.  1444  del  1968  e
l'art. 2-bis del decreto del Presidente  della  Repubblica  6  giugno
2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia. (Testo A)». 
    Sarebbe violata anche la competenza esclusiva statale in  materia
di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l,  Cost.),
che ricomprende la disciplina delle distanze minime fra costruzioni. 
    1.3.- In punto di rilevanza, il rimettente reputa  l'applicazione
della disposizione censurata «decisiva ai fini della decisione  della
controversia in esame». 
    2.- Si e' costituita, con atto depositato il 27 novembre 2018, la
parte ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto  di  accogliere
le questioni di legittimita' costituzionale sollevate  dal  Consiglio
di Stato. 
    La deroga prevista dal legislatore  regionale  presenterebbe  una
portata quanto mai ampia e non si  prefiggerebbe  di  «conformare  un
assetto complessivo ed unitario e di specifiche aree territoriali». 
    3.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente della Giunta  della
Regione Lombardia, con atto depositato  il  9  novembre  2018,  e  ha
chiesto  di  dichiarare  inammissibili  o,  comunque,  infondate   le
questioni di legittimita' costituzionale. 
    3.1.-   In   linea   preliminare,   la   Regione   ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni proposte, in  quanto  irrilevanti.
La disposizione censurata riguarderebbe la sola fase dell'adeguamento
dei piani alle previsioni della legge reg. Lombardia n. 12 del  2005,
e  non  gia'  la  successiva  revisione  dei  piani  di  governo  del
territorio gia' approvati. 
    Nel giudizio principale, verrebbe in  rilievo  una  variante  del
piano di  governo  del  territorio,  posteriore  all'adeguamento  dei
piani. A sostegno della rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale, il rimettente  non  avrebbe  offerto  motivazioni  di
sorta. 
    Le questioni sollevate sarebbero inammissibili anche «per mancata
e insufficiente indicazione del parametro di costituzionalita'»,  che
e' stato individuato nell'art. 9  del  d.m.  n.  1444  del  1968.  La
previsione citata, tuttavia, avrebbe rango di legge ordinaria  e  non
potrebbe assurgere a «parametro nel giudizio di costituzionalita'». 
    Il rimettente  non  avrebbe  chiarito  se  le  censure  investano
l'intera disposizione dell'art. 103, comma 1-bis,  della  legge  reg.
Lombardia n. 12 del  2005,  oppure  il  solo  enunciato  finale,  che
racchiude una deroga alla distanza minima tra i fabbricati. 
    3.2.- Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate. 
    La distanza minima pari all'altezza  del  fabbricato  piu'  alto,
prescritta dall'art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444  del
1968,  non  rappresenterebbe  una  previsione  inderogabile.  Sarebbe
inderogabile soltanto la distanza minima tra fabbricati pari a  dieci
metri, salvaguardata dalla legge regionale n. 12  del  2005  e  dallo
stesso piano di governo del territorio del Comune di Sondrio. 
    La  disposizione  censurata,  peraltro,  sarebbe  conforme   alla
legislazione   statale,   in   quanto   contemplerebbe   una   deroga
circoscritta a «un arco temporale limitato» e connessa  a  «strumenti
di revisione globale del territorio». Non si  tratterebbe,  pertanto,
di interventi «su singoli edifici», svincolati  dalla  pianificazione
urbanistica. 
    4.- In prossimita' dell'udienza, la parte ricorrente nel giudizio
principale  e  la  Regione   Lombardia   hanno   depositato   memorie
illustrative. 
    4.1.-  In  ordine  all'inammissibilita'  eccepita  dalla  Regione
Lombardia, la parte ricorrente nel giudizio principale  ha  replicato
che lo stesso  Comune  di  Sondrio,  nelle  deduzioni  difensive,  ha
fondato la legittimita' della variante  sulle  previsioni  censurate.
Anche il Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  avrebbe
negato l'operativita', nella Regione Lombardia, della  distanza  pari
all'altezza del fabbricato piu' alto. 
    Nel  merito,  l'interpretazione  «riduttiva»  prospettata   dalla
Regione  Lombardia  sarebbe  contraddetta  dal  dato  letterale,  che
menziona una generale disapplicazione delle disposizioni del d.m.  n.
1444 del 1968, con l'eccezione della distanza minima di dieci metri. 
    Le esigenze di adeguamento degli  strumenti  urbanistici  vigenti
comunque non giustificherebbero una deroga di tale latitudine, che si
applicherebbe "a regime" e non in  via  meramente  transitoria,  come
dimostra il fatto che la disciplina  censurata  e'  stata  introdotta
soltanto a distanza di circa tre anni «dall'approvazione della  legge
urbanistica regionale n. 12/2005». 
    4.2.- La Regione Lombardia ha ribadito  l'inammissibilita'  delle
questioni per omessa motivazione sulla rilevanza. In particolare,  il
giudice a quo avrebbe  trascurato  di  indicare  le  ragioni  che  lo
inducono a  fare  applicazione  della  disposizione  censurata  e  di
motivare in merito all'incidenza delle  questioni  sulla  definizione
del giudizio principale. 
    Nel  merito,  la  Regione  Lombardia  ha  posto  in  risalto   la
legittimita'  costituzionale  di  una  deroga   che   considera   «il
complessivo tessuto urbano», non  si  applica  «al  caso  di  edifici
isolatamente  considerati»  e  interviene  «solamente  in  una   fase
transitoria, temporalmente limitata», al solo scopo di  adeguare  gli
strumenti urbanistici vigenti alle previsioni della  legge  regionale
n. 12 del 2005. 
    5.- All'udienza pubblica del 14  gennaio  2020,  le  parti  hanno
confermato  le  conclusioni  gia'  rassegnate  e  hanno  ribadito  le
argomentazioni illustrate nei rispettivi scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  156  del
2018), il Consiglio di Stato,  sezione  prima,  nell'esercizio  della
propria funzione consultiva  in  sede  di  ricorso  straordinario  al
Presidente della Repubblica, dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 103, comma 1-bis, della legge della  Regione  Lombardia  11
marzo  2005,  n.  12  (Legge  per  il  governo  del  territorio),  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma,
della Costituzione. 
    1.1.- La disposizione censurata e' stata  aggiunta  dall'art.  1,
comma 1, lettera xxx), della legge della Regione Lombardia  14  marzo
2008, n. 4, recante «Ulteriori modifiche e  integrazioni  alla  legge
regionale  11  marzo  2005,  n.  12  (Legge  per   il   governo   del
territorio)», e prevede che,  ai  fini  dell'adeguamento,  «ai  sensi
dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti  urbanistici  vigenti,
non si applicano le disposizioni del decreto  ministeriale  2  aprile
1968, n. 1444». 
    La disciplina in esame salvaguarda,  per  i  soli  interventi  di
nuova costruzione, «il rispetto della distanza minima tra  fabbricati
pari a dieci metri» e ne consente la deroga soltanto «tra  fabbricati
inseriti all'interno di piani attuativi e di  ambiti  con  previsioni
planivolumetriche oggetto di convenzionamento unitario», in base alla
previsione introdotta dall'art. 4, comma 1, lettera k),  della  legge
della Regione Lombardia 26 novembre 2019, n. 18, recante  «Misure  di
semplificazione  e  incentivazione  per  la  rigenerazione  urbana  e
territoriale,  nonche'  per  il  recupero  del  patrimonio   edilizio
esistente. Modifiche e integrazioni alla  legge  regionale  11  marzo
2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e  ad  altre  leggi
regionali». 
    La distanza  minima  di  dieci  metri,  nel  rispetto  di  quanto
previsto dagli artt.  873  e  907  del  codice  civile,  e'  altresi'
«derogabile per lo stretto necessario alla realizzazione  di  sistemi
elevatori a pertinenza di fabbricati esistenti che non  assolvano  al
requisito di accessibilita' ai vari  livelli  di  piano»  (art.  103,
comma 1-ter, della legge regionale n. 12 del 2005, aggiunto dall'art.
12, comma 1, della legge della Regione Lombardia 13 marzo 2012, n. 4,
recante  «Norme  per  la  valorizzazione  del   patrimonio   edilizio
esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia»). 
    1.2.- Il giudice a quo muove dalla premessa che, in virtu'  della
disposizione censurata, non si applichino nella Regione Lombardia  le
distanze minime tra fabbricati  sancite  dall'art.  9,  primo  comma,
numero 3), del decreto del Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile
1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,
di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra  spazi  destinati
agli insediamenti  residenziali  e  produttivi  e  spazi  pubblici  o
riservati alle attivita' collettive, al verde pubblico o a  parcheggi
da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici
o della revisione di quelli esistenti, ai sensi  dell'art.  17  della
legge 6 agosto 1967, n. 765). 
    La previsione citata riguarda le zone  territoriali  omogenee  C,
che l'art. 2 del d.m. n. 1444 del 1968 identifica  nelle  «parti  del
territorio destinate a nuovi  complessi  insediativi,  che  risultino
inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i
limiti di superficie e densita'» delle zone B, caratterizzate da  una
«superficie coperta degli edifici esistenti» non inferiore «al  12,5%
(un ottavo) della superficie fondiaria della zona» e da una «densita'
territoriale [...] superiore ad 1,5 mc/mq». 
    Per le zone territoriali  omogenee  C,  l'art.  9,  primo  comma,
numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968 prescrive «tra pareti finestrate
di edifici  antistanti,  la  distanza  minima  pari  all'altezza  del
fabbricato piu' alto», anche nell'ipotesi in cui «una sola parete sia
finestrata, qualora gli  edifici  si  fronteggino  per  uno  sviluppo
superiore a ml 12». 
    1.3.-  Ad  avviso  del  rimettente,  la  deroga   sancita   dalla
disposizione   censurata   riguarderebbe   «qualsiasi   ipotesi    di
intervento, quindi anche su singoli edifici» e non sarebbe  demandata
a  strumenti  urbanistici  «funzionali  a   conformare   un   assetto
complessivo e unitario di determinate zone del territorio». 
    Il Consiglio di Stato, alla luce di tali  premesse,  denuncia  la
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., sul presupposto che  la
disposizione   censurata   travalichi   la   «competenza    regionale
concorrente in materia  di  "governo  del  territorio"»  e  i  limiti
dell'art. 9, ultimo comma, del d.m. n.  1444  del  1968  e  dell'art.
2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno  2001,  n.
380,  recante  «Testo  unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia edilizia. (Testo  A)»,  che  subordinano  la
legittimita' delle deroghe alle distanze minime alla loro  previsione
nel contesto di strumenti urbanistici, funzionali  a  conformare  «un
assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio». 
    Il  giudice  a  quo  assume  che  la  previsione  censurata,  nel
delineare una deroga di tale ampiezza, si ponga  in  contrasto  anche
con l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto lederebbe
la «competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato»  in  materia  di
«ordinamento civile», che include la disciplina delle distanze minime
tra costruzioni, nel rispetto delle prescrizioni imperative dell'art.
9 del d.m. n. 1444 del 1968. 
    2.- Ai fini dell'odierno scrutinio, e' necessario ricostruire nei
suoi  tratti  salienti  gli  antecedenti  di   fatto   del   giudizio
principale. 
    Il rimettente e' chiamato a rendere un parere  vincolante  su  un
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che oggi,  dopo
le innovazioni apportate dall'art. 69, comma 1, della legge 18 giugno
2009,  n.  69   (Disposizioni   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', nonche' in  materia  di  processo
civile),  si  atteggia  come  «un   rimedio   giustiziale,   che   e'
sostanzialmente assimilabile ad un  "giudizio",  quantomeno  ai  fini
dell'applicazione dell'art. 1 della legge  cost.  n.  1  del  1948  e
dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n.  73  del  2014,
punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza  n.
133 del 2016, punto 3.4.1. del Considerato in diritto). 
    Nel giudizio principale e' impugnata la variante, adottata il  28
novembre 2014, del piano di governo  del  territorio  del  Comune  di
Sondrio, a sua volta approvato con delibera  del  Consiglio  comunale
del 6 giugno 2011. 
    Le questioni vertono sulla scelta di sottrarre le aree  di  nuova
edificazione poste all'interno di un ambito  territoriale  denominato
"tessuto urbano consolidato" «all'applicazione della disciplina  piu'
restrittiva (quella che impone una distanza minima  pari  all'altezza
dell'edificio piu' alto)». 
    3.-  Occorre,  preliminarmente,   esaminare   le   eccezioni   di
inammissibilita' formulate nell'atto di intervento. 
    4.- La Regione Lombardia  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni   alla   luce   dell'incerta   individuazione   sia   della
disposizione censurata sia dell'intervento  caducatorio  richiesto  a
questa Corte. 
    L'eccezione deve essere disattesa. 
    Il rimettente ha individuato in modo inequivocabile il  tema  del
decidere, che attiene  alla  distanza  minima  pari  all'altezza  del
fabbricato piu' alto, prescritta nelle zone territoriali  omogenee  C
tra edifici antistanti, uno almeno dei quali con parete finestrata. A
questa Corte il Consiglio di Stato ha richiesto una  declaratoria  di
illegittimita'   costituzionale   della   disciplina   che   consente
l'indiscriminata disapplicazione delle previsioni imperative  dettate
dall'art. 9, primo comma, numero 3), del d.m. n. 1444 del 1968. 
    Le censure si incentrano sul primo enunciato dell'art. 103, comma
1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, e non  sulla  disciplina
della distanza minima tra fabbricati, pari a dieci metri. 
    Non  dispiegano,  pertanto,  alcuna  influenza   le   innovazioni
successive all'ordinanza di rimessione, recate dall'art. 4, comma  1,
lettera k), della legge regionale n. 18 del 2019, che ha specificato,
solo per la distanza minima  pari  a  dieci  metri,  i  requisiti  di
legittimita' di eventuali deroghe. 
    5.- Ad avviso della Regione  Lombardia,  le  questioni  sarebbero
inammissibili anche per carente motivazione in ordine alle ragioni di
contrasto con i parametri costituzionali evocati. 
    Neppure tale eccezione e' fondata. 
    Il  rimettente  ha  ricostruito  in  maniera  circostanziata   la
giurisprudenza di questa Corte che, sin dalla  sentenza  n.  232  del
2005,  ha  ricondotto  la  disciplina  delle  distanze  alla  materia
«ordinamento  civile»,  di  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato, e ha riconosciuto il  potere  delle  Regioni,  titolari  della
competenza concorrente nella materia  «governo  del  territorio»,  di
dettare discipline derogatorie in strumenti urbanistici funzionali  a
un assetto complessivo e unitario di determinate zone del  territorio
(fra le molte, sentenze n. 50 e n. 41 del 2017, n. 231, n. 185  e  n.
178 del 2016). 
    L'esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del
territorio e a una razionale pianificazione  urbanistica  circoscrive
rigorosamente  la  competenza  legislativa  regionale  relativa  alle
distanze tra gli edifici e ne vincola anche le modalita' di esercizio
(da ultimo, sentenza n. 41 del 2017, punto 4.1.  del  Considerato  in
diritto). 
    E' pertinente anche il richiamo, operato dal rimettente, all'art.
9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del  1968,  che  rappresenta  «[i]l
punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in  materia
di "ordinamento civile" e quella regionale in materia di "governo del
territorio"» (sentenza n. 6 del 2013, punto 3.2. del  Considerato  in
diritto) e consente di fissare distanze inferiori a quelle  stabilite
dalla normativa statale nel solo  caso  di  «gruppi  di  edifici  che
formino  oggetto   di   piani   particolareggiati   o   lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche». 
    Il Consiglio di  Stato  non  manca  di  soffermarsi  anche  sulle
previsioni dell'art. 2-bis del d.P.R. n.  380  del  2001,  che  hanno
recepito la giurisprudenza di  questa  Corte  e,  nel  confermare  la
vincolativita' delle distanze legali stabilite dal d.m. n.  1444  del
1968, consentono di derogarle  entro  limiti  puntuali,  «nell'ambito
della definizione  o  revisione  di  strumenti  urbanistici  comunque
funzionali a un assetto complessivo e unitario o di  specifiche  aree
territoriali». 
    Il rimettente ha dunque avvalorato le censure con  una  esaustiva
ricostruzione del quadro normativo di riferimento  e  della  costante
giurisprudenza di questa Corte. 
    6.- La Regione Lombardia  ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni  in  ragione  dell'inadeguata  motivazione  in   punto   di
rilevanza. 
    Il rimettente non avrebbe argomentato in  alcun  modo  in  ordine
alla  necessita'  di  applicare   una   disposizione   che   riguarda
specificamente la fase di  adeguamento  degli  strumenti  urbanistici
vigenti. 
    L'eccezione e' fondata. 
    6.1.- La  disposizione  censurata  esclude  l'applicazione  delle
previsioni  del  d.m.  n.  1444  del  1968  e  puntualizza  che  tale
disapplicazione  opera  «[a]i   fini   dell'adeguamento,   ai   sensi
dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli strumenti urbanistici vigenti». 
    L'art. 26, comma 2, della legge reg. Lombardia  n.  12  del  2005
dispone  che  i  Comuni  deliberino  l'avvio  del   procedimento   di
adeguamento dei piani  regolatori  generali  vigenti  entro  un  anno
dall'entrata  in  vigore  della  medesima   legge,   pubblicata   sul
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 16  marzo  2005,  n.
11, e destinata a entrare in vigore,  in  difetto  di  previsioni  di
segno diverso, il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione. 
    I Comuni sono poi obbligati ad approvare tutti gli atti  inerenti
ai piani  di  governo  del  territorio  in  conformita'  ai  principi
enunciati dalla nuova «Legge per il governo del territorio» e secondo
il procedimento che tale legge delinea. 
    L'art. 26, comma 3, della stessa legge reg. Lombardia n.  12  del
2005,  nella  formulazione  originaria,  disciplinava  i   tempi   di
adeguamento dello strumento urbanistico generale, quando fosse  stato
approvato prima dell'entrata in  vigore  «della  legge  regionale  15
aprile 1975, n. 51 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e
misure di salvaguardia  per  la  tutela  del  patrimonio  naturale  e
paesistico)» (art. 25, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12  del
2005). Era previsto il termine piu' celere di sei  mesi  dall'entrata
in vigore della nuova «Legge per il  governo  del  territorio»  e  si
stabiliva che, successivamente, fossero approvati tutti gli  atti  di
piano di governo del territorio. 
    Dopo le novita' apportate dall'art. 1, comma 1, lettera f), della
legge della Regione Lombardia 10 marzo 2009, n.  5  (Disposizioni  in
materia di territorio e opere pubbliche -  Collegato  ordinamentale),
l'art. 26, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 oggi  regola
l'avvio del procedimento di approvazione del  piano  di  governo  del
territorio, che  deve  essere  deliberato  dai  Comuni  entro  il  15
settembre 2009. 
    6.2.- Il Consiglio di Stato, sin dalle premesse dell'ordinanza di
rimessione, evidenzia che e' stata impugnata la variante adottata con
delibera del Consiglio comunale di Sondrio 28 novembre 2014, n. 81, e
destinata a modificare il piano di  governo  del  territorio,  a  sua
volta approvato con delibera del Consiglio comunale 6 giugno 2011, n.
40. 
    6.3.- A fronte di una  variante  risalente  al  novembre  2014  e
relativa a un piano di governo  del  territorio  gia'  approvato  nel
giugno 2011, il  rimettente  non  illustra  le  ragioni  che  rendono
necessaria l'applicazione di una disciplina volta a regolare la  sola
fase transitoria di adeguamento degli strumenti urbanistici  vigenti,
modulata secondo precise scansioni temporali, e non la revisione  dei
piani di governo del territorio gia' approvati. 
    La disposizione censurata, pur  posteriore  alla  «Legge  per  il
governo  del  territorio»  del  2005,  si  colloca  in  un  orizzonte
temporale   definito,   legato   all'adeguamento   degli    strumenti
urbanistici vigenti e alla successiva transizione ai piani di governo
del  territorio,  che  si  configurano  come  i  nuovi  strumenti  di
pianificazione urbanistica previsti dalla legislazione regionale. 
    In tal senso depone l'univoco  dettato  letterale,  che  richiama
l'adeguamento, secondo le cadenze predeterminate dall'art. 26,  commi
2 e 3, della legge regionale n. 12 del 2005, e postula  un  nesso  di
strumentalita' della disapplicazione rispetto all'adeguamento stesso. 
    Sull'elemento temporale  e  sulla  correlazione  finalistica  con
l'adeguamento,  che   integrano   requisiti   imprescindibili   della
disposizione sospettata di  incostituzionalita',  il  rimettente  non
offre ragguagli di sorta. Il Consiglio di Stato non dimostra  che  il
provvedimento  impugnato,  posteriore  alla   fase   transitoria   di
adeguamento, rinviene il suo fondamento nella  disciplina  sottoposta
al  vaglio  di  questa  Corte  e   contraddistinta   da   presupposti
applicativi rigorosi. 
    Ne' a tali carenze possono supplire - secondo  la  giurisprudenza
di questa Corte - le argomentazioni  del  Comune  di  Sondrio  e  del
Ministero delle infrastrutture  e  dei  trasporti,  menzionate  dalla
parte  privata  nella  memoria  illustrativa  depositata   in   vista
dell'udienza.  Peraltro,  tali   argomentazioni,   che   negherebbero
l'applicabilita' della distanza pari all'altezza del fabbricato  piu'
alto, non soltanto non sono state vagliate  dal  giudice  a  quo,  ma
neppure si cimentano con gli  elementi  di  ordine  testuale  addotti
dalla  Regione  Lombardia   in   merito   all'interpretazione   della
disposizione censurata. 
    Il giudice a  quo,  nella  parte  conclusiva  dell'ordinanza,  si
limita   a   indicare   che   la   rilevanza   delle   questioni   di
costituzionalita' sarebbe innegabile,  poiche'  l'applicazione  della
legge  regionale  «e'  decisiva  ai  fini   della   decisione   della
controversia in esame». Le indicazioni  tratteggiate,  tuttavia,  non
superano la valutazione che e' demandata a questa Corte con  riguardo
al presupposto della rilevanza (fra le molte,  sentenza  n.  208  del
2019, punto 3.1. del Considerato in diritto). 
    La motivazione del rimettente incorre, pertanto, nel  profilo  di
inammissibilita' eccepito dalla Regione Lombardia.