ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  516  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Grosseto, nel procedimento penale a carico di B.  R.,  con  ordinanza
del 25 gennaio 2019, iscritta al n. 91 del registro ordinanze 2019  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  25,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio  2020  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 gennaio 2019, il Tribunale ordinario  di
Grosseto ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art.  516  del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede,  in  caso
di contestazione di un fatto diverso, la  facolta'  dell'imputato  di
richiedere  al  giudice   del   dibattimento   la   sospensione   del
procedimento con messa alla prova. 
    1.1.- Riferisce  il  giudice  a  quo  di  dover  giudicare  della
responsabilita' penale di B. R., rinviato a  giudizio  per  un  fatto
originariamente qualificato dal pubblico ministero come ricettazione,
ai sensi dell'art. 648 del codice penale, di oggetti  provenienti  da
un furto commesso in una chiesa. 
    Nel corso dell'istruttoria, il pubblico ministero aveva  tuttavia
ritenuto - senza peraltro che  fossero  emersi  elementi  di  novita'
rispetto agli atti d'indagine - di contestare all'imputato, ai  sensi
dell'art. 516, comma  1,  cod.  proc.  pen.,  di  avere  egli  stesso
sottratto gli oggetti in questione, e di essere pertanto responsabile
del delitto di furto in abitazione ai sensi  dell'art.  624-bis  cod.
pen. 
    L'imputato aveva quindi chiesto, a mezzo del  proprio  difensore,
di essere ammesso alla sospensione del procedimento  con  messa  alla
prova ai sensi dell'art. 168-bis cod. pen., previa  rimessione  delle
questioni di legittimita' costituzionale ora sottoposte all'esame  di
questa Corte, precisando altresi' che  tale  richiesta  -  che  egli,
invero, avrebbe potuto a suo tempo formulare  anche  con  riferimento
alla originaria imputazione ex art. 648 cod. pen. - era  legata  alla
considerazione che in caso di condanna per  furto  in  abitazione,  a
differenza di quanto accade in caso di condanna per ricettazione, non
e' consentita la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena  ai
sensi dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. 
    1.2.-  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
osserva anzitutto che il reato contestato  in  udienza  dal  pubblico
ministero rientra fra quelli per i quali, ai sensi dell'art.  168-bis
cod. pen., e' possibile la sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova. 
    Rileva infatti il giudice a quo che tale disposizione consente di
ammettere al rito speciale in parola gli imputati di reati puniti con
la pena detentiva non superiore a quattro  anni,  nonche'  di  quelli
indicati dall'art. 550, comma 2, cod. proc. pen. Il delitto di  furto
in abitazione prevede,  invero,  una  pena  detentiva  superiore  nel
massimo a quattro anni, e non e' espressamente  menzionato  dall'art.
550, comma 2, cod. proc. pen. nell'elenco dei reati per  i  quali  si
procede comunque con citazione diretta. Tuttavia, secondo la costante
interpretazione della Corte di cassazione, il  delitto  in  questione
rientra comunque tra quelli per i  quali  si  procede  con  citazione
diretta, atteso che la sua mancata espressa menzione  nell'art.  550,
comma 2, cod. proc. pen. deve ricondursi unicamente a un  difetto  di
coordinamento normativo,  conseguente  all'elevazione  a  fattispecie
autonoma - ad opera della legge 26 marzo  2001,  n.  128  (Interventi
legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini) - del
furto in abitazione, che in precedenza rientrava tra  le  ipotesi  di
furto aggravato di cui all'art. 625 cod. pen., cui  espressamente  si
riferisce l'art. 550, comma 2, lettera  f),  cod.  proc.  pen.  (sono
citate, tra le altre, Corte di  cassazione,  sezione  quinta  penale,
sentenza  28  novembre  2017-26  gennaio  2018,  n.  3807;  Corte  di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza  12  maggio-22  settembre
2017, n. 43958; Corte di cassazione, sezione sesta  penale,  sentenza
24 aprile-20 luglio 2012, n. 29815). 
    L'istanza  formulata  dall'imputato  dovrebbe,  tuttavia,  essere
respinta in quanto tardiva ai sensi dell'art. 464-bis, comma 2,  cod.
proc. pen., a tenore del quale  la  relativa  richiesta  puo'  essere
proposta, nel caso di procedimento con citazione diretta a  giudizio,
soltanto fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente rammenta che questa Corte, con sentenza n. 141  del  2018,
ha  dichiarato  l'art.  517  cod.   proc.   pen.   costituzionalmente
illegittimo, per contrasto con gli  artt.  3  e  24,  secondo  comma,
Cost., nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una
circostanza aggravante, non  prevede  la  facolta'  dell'imputato  di
richiedere  al  giudice   del   dibattimento   la   sospensione   del
procedimento con messa alla prova, considerata quale vero  e  proprio
rito alternativo. 
    A parere del giudice a quo, gli argomenti che  hanno  condotto  a
tale dichiarazione di illegittimita' costituzionale  varrebbero  allo
stesso modo con riferimento all'ipotesi di contestazione di un  fatto
diverso, contemplata dall'art. 516 cod. proc. pen. 
    La scelta del rito costituirebbe, d'altra parte, una  delle  piu'
qualificanti modalita' di esplicazione del diritto di difesa  di  cui
all'art. 24 Cost. (sono citate le sentenze n. 237 del 2012, n. 219  e
n. 148 del 2004, n. 70 del 1996, n. 497 del 1995 e n. 76  del  1993),
il cui esercizio dovrebbe sempre essere garantito in ogni ipotesi  di
mutamento, "patologico" o "fisiologico"  che  sia,  della  fisionomia
originaria dell'accusa, pena la violazione - altresi' - del principio
di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri non  e'  intervenuto
in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Grosseto ha sollevato questioni  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  24  della
Costituzione, dell'art. 516 del codice  di  procedura  penale,  nella
parte in cui non prevede,  in  caso  di  contestazione  di  un  fatto
diverso,  la  facolta'  dell'imputato  di  chiedere  al  giudice  del
dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    Secondo il rimettente, la disposizione  censurata  violerebbe  il
diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24  Cost.,  non   consentendo
all'imputato di  chiedere  di  essere  ammesso  al  rito  speciale  a
contenuto premiale della sospensione del procedimento con messa  alla
prova nell'ipotesi in cui, nel  corso  del  dibattimento,  gli  venga
contestato un  fatto  diverso  da  quello  oggetto  della  originaria
imputazione. 
    Avendo poi questa Corte dichiarato, con sentenza n. 141 del 2018,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 517 cod. proc. pen.,  nella
parte in cui non prevedeva la facolta' dell'imputato di richiedere al
giudice del dibattimento la sospensione del  procedimento  con  messa
alla prova nell'ipotesi di contestazione  di  una  nuova  circostanza
aggravante, la mancata previsione di analoga facolta' per  l'imputato
al quale venga contestato un fatto diverso  durante  il  dibattimento
lederebbe, altresi', il principio di eguaglianza di  cui  all'art.  3
Cost. 
    2.- Le questioni sono  fondate,  con  riferimento  a  entrambi  i
parametri evocati. 
    2.1.- Come da ultimo estesamente ricapitolato nella  sentenza  n.
141 del 2018, una risalente giurisprudenza di questa Corte,  muovendo
dalla premessa per cui  la  scelta  dei  riti  alternativi  da  parte
dell'imputato costituisce una delle piu' qualificanti espressioni del
suo diritto di difesa, ha di volta in  volta  dichiarato  illegittimi
gli artt. 516  e  517  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
prevedevano la facolta' dell'imputato di essere  ammesso  a  un  rito
speciale a contenuto premiale allorche', nel  corso  dell'istruttoria
dibattimentale, fosse emerso - rispettivamente - un fatto diverso  da
quello originariamente contestato, ovvero un  reato  connesso  o  una
circostanza aggravante non previamente contestati all'imputato.  Tali
preclusioni sono apparse alla Corte lesive, altresi',  del  principio
di eguaglianza, «venendo l'imputato  irragionevolmente  discriminato,
ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali,  in  dipendenza  dalla
maggiore  o  minore  esattezza  o  completezza  della   discrezionale
valutazione delle risultanze delle indagini preliminari  operata  dal
pubblico ministero» (sentenza n. 265 del 1994). 
    In  una  prima  fase,  per  la  verita',  le   dichiarazioni   di
illegittimita'  costituzionale  erano   state   spesso   circoscritte
all'ipotesi in cui la diversa o nuova  contestazione  concernesse  un
fatto  gia'  risultante   dagli   atti   di   indagine   al   momento
dell'esercizio dell'azione penale (cosi' le sentenze n. 184 del 2014,
n. 333 del 2009 e n. 265 del 1994).  Questo  criterio  limitativo  e'
stato pero' progressivamente abbandonato dalle pronunce piu'  recenti
(sentenze n. 82 del 2019, n. 141 del 2018, n. 206 del  2017,  n.  273
del 2014  e  n.  237  del  2012),  nelle  quali  si  e'  in  sostanza
sottolineato  che,  in  ogni  ipotesi  di   nuove   contestazioni   -
indipendentemente  dalla  circostanza  per  cui  cio'  sia   o   meno
addebitabile   alla   negligenza   del   pubblico   ministero   nella
formulazione dell'originaria imputazione -, all'imputato deve  essere
restituita la possibilita' di esercitare le proprie scelte difensive,
comprensive della decisione di chiedere un rito alternativo. 
    Tale generale principio  e'  stato  applicato  dalla  piu'  volte
menzionata sentenza n. 141 del 2018 all'ipotesi di  contestazione  di
nuove   circostanze    aggravanti    nel    corso    dell'istruttoria
dibattimentale di cui all'art. 517  cod.  proc.  pen.,  in  relazione
all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova;
istituto che, ha osservato questa  Corte,  «ha  effetti  sostanziali,
perche' da' luogo  all'estinzione  del  reato,  ma  e'  connotato  da
un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un  nuovo
procedimento speciale, alternativo al giudizio» (sentenza n. 240  del
2015, nonche', nello stesso senso, sentenze n. 68 del 2019  e  n.  91
del 2018). 
    2.2.-  Il  principio  non  puo'  ora  che  essere  esteso   anche
all'ipotesi - strutturalmente identica,  sotto  il  profilo  che  qui
rileva - prevista dall'art. 516  cod.  proc.  pen.,  in  questa  sede
censurato;   il   quale    deve,    pertanto,    essere    dichiarato
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui,  in  seguito  alla
modifica  dell'originaria  imputazione,  non  prevede   la   facolta'
dell'imputato  di  richiedere  al   giudice   del   dibattimento   la
sospensione del procedimento con messa alla prova.