TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA Sezione civile Nella causa civile iscritta al n. r.g. 1199/2019 promossa da: U. Y. (c.f. ...), con il patrocinio dell'avv. Bassi Andrea elettivamente domiciliato presso il difensore avv. Bassi Andrea, ricorrente; contro: Comune di Ferrara in persona del sindaco pro tempore (c.f. 00297110389), con il patrocinio dell'avv. Montini Barbara, dell'avv. Nannetti Edoardo e dell'avv. Indelli Matilde elettivamente domiciliato presso i difensori, resistente; ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione - APS (c.f. 97086880156), con il patrocinio dell'avv. Guariso Alberto e dell'avv. Neri Livio elettivamente domiciliata presso i difensori, intervenuto. Il Giudice Marianna Cocca, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 21 agosto 2019, ha pronunciato la seguente ordinanza. Letto il ricorso; letta la memoria difensiva depositata dal resistente, la comparsa di intervento, nonche' le note depositate; letta la documentazione in atti; Osserva 1. Inquadramento della domanda e svolgimento del processo. Il sig. Y. U. ha fatto ingresso in Italia in data 6 ottobre 2017, formulando in data 23 ottobre 2017 richiesta di protezione internazionale (doc. 2) e per tale ragione e' titolare di permesso di soggiorno per richiesta asilo (doc. 3), con rinnovo semestrale. Quale richiedente asilo, risulta ospitato presso la struttura C.A.S. sita in ..., via ... gestita dalla Cooperativa sociale «...» (doc. 4). Il ricorrente risulta avere avanzato, in data 21 febbraio 2019, per il tramite del responsabile della struttura, richiesta di residenza in convivenza, presso il Comune di Ferrara (doc. 5). Con comunicazione a mezzo pec del 20 marzo 2019, il funzionario comunale designato per l'istruttoria comunicava che «la richiesta di residenza inviata in data 22 febbraio 2019 per le persone in oggetto e' irricevibile in quanto rientrano nella casistica del decreto-legge n. 113/2018 art. 13». Ha chiesto quindi di ordinare - in via principale con decreto inaudita altera parte e in via subordinata previa fissazione dell'udienza, al Sindaco del Comune di Ferrara, anche nella sua qualita' di ufficiale di governo responsabile della tenuta dei registri dello stato civile e della popolazione anagrafica residente - la immediata iscrizione del proprio nome nel registro della popolazione anagrafica residente nel Comune di Ferrara a far data dal 21 febbraio 2019 e comunque disporre ogni altro provvedimento di urgenza che appaia, secondo le circostanze, piu' idoneo ad eliminare il pregiudizio subito et subendo. All'udienza del 13 giugno 2019, dichiarata la contumacia del Comune, e' stato concesso termine per note, al fine di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 comma 1, lettera a) n. 2 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni nella legge 1° dicembre 2018, n. 132. In data 4 luglio 2019 si e' costituita con atto di intervento ad adiuvandum ex art. 105, comma 2, codice di procedura civile a sostegno delle ragioni di parte ricorrente l'associazione ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, chiedendo di accogliere il ricorso del sig. Y. U. ed emettere ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della presente istanza ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 concernente le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 13 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 per violazione degli articoli 2, 3, 10,16,117 Cost. e dell'intero decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 per violazione dell'art. 77, disponga l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospenda il giudizio in corso. Con comparsa depositata il 12 agosto 2019 si e' costituito il Comune di Ferrara, chiedendo di dichiarare l'inammissibilita' dell'intervento di ASGI e, comunque, l'inammissibilita' della domanda formulata dall'interveniente di promozione del giudizio incidentale di costituzionalita'; dichiarare il litisconsorzio necessario del Ministero dell'interno e conseguentemente ordinare l'integrazione del contraddittorio ex art. 102 del codice di procedura civile; nel merito respingere tutte le domande del ricorrente e dell'interveniente perche' infondate e mancanti dei requisiti del fumus e del periculum in mora; dichiarare manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' proposte dall'interveniente e conseguentemente respingere la richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Si procede all'esame delle singole questioni. 2. L'ammissibilita' dell'intervento di ASGI. L'associazione ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione ha svolto un intervento adesivo dipendente, da ritenersi senza dubbio ammissibile. La situazione legittimante tale tipo di intervento e' un interesse che corrisponde ad una situazione piu' sfumata del diritto soggettivo, tant'e' vero che il terzo non esperisce una propria azione, cui e' sotteso un diritto, bensi' si limita a chiedere l'accoglimento della domanda gia' avanzata da taluna delle parti originarie. Nel caso di specie, l'associazione ASGI - Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione legittimamente, intervenendo in adesione alla domanda del ricorrente, cerca di allontanare gli effetti negativi del giudicato che potrebbe formarsi sul diritto principale tra le parti originarie e potrebbe avere sulla situazione dipendente (nella specie rappresentata dai diritti che statutariamente la citata Associazione si propone di tutelare), mediante la propria partecipazione al giudizio e un conseguente controllo dell'iter di formazione del provvedimento. 3. La richiesta di integrare il contraddittorio nei confronti del Ministero dell'interno. Proseguendo nell'esame delle eccezioni preliminari, posto che l'accertamento relativo alla sussistenza, o meno, di una situazione di litisconsorzio necessario va effettuata sulla base della domanda dell'attore, nella specie, il diritto all'iscrizione anagrafica (oggetto della domanda) attiene ai poteri del Sindaco, il che, sebbene lo stesso agisca in questa materia quale ufficiale di Governo, non determina una situazione rilevante ai sensi dell'art. 102 codice di procedura civile: il Ministero dell'interno, pur legittimato all'intervento, non e' litisconsorte necessario. Non v'e' dubbio infatti - perche' la circostanza discende dalla legge ed in particolare dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - che il sindaco, in questa materia agisca come ufficiale di governo. All'art. 14 il citato Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali prevede, fra i compiti del comune per servizi di competenza statale che «il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo, ai sensi dell'art. 54». Al comma 3 dell'art. 54 e' previsto che «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende, altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica». Orbene, richiamando la giurisprudenza consolidata in tema di ordinanze contingibili e urgenti, deve rilevarsi che, anche quando il Sindaco agisca come ufficiale di Governo, l'imputazione giuridica allo Stato degli effetti dei suoi atti non modifica lo status del Sindaco nell'ambito dell'Ente locale: si richiama sul punto quanto statuito dal Consiglio di Stato, in quanto «anche quando agisca come Ufficiale di Governo, l'imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto del Sindaco ha natura meramente formale, restando il Sindaco incardinato nel complesso organizzativo dell'ente locale, senza alcuna modifica del suo status» (Cons. Stato Sez. III sentenza, 1° dicembre 2016, n. 5048). Va quindi rigettata la richiesta di chiamare in causa il Ministero dell'interno, posto che nella presente controversia non risulta emanato alcun atto riconducibile ad amministrazioni statali, cosi' che non v'e' la legittimazione necessaria del Ministero (cfr. nella medesima materia Tribunale Bologna 8 agosto 2019, est. Baraldi; Tribunale Bologna 1° agosto 2019, est. Cardarelli; Tribunale Firenze, 27 maggio 2019, est. Breggia). 4. I presupposti della domanda cautelare. Il periculum in mora. Venendo all'esame nel merito della domanda, e' noto che i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile presuppongono il pericolo di una situazione attuale di danno, derivante dall'attesa del giudizio, e mirano a scongiurarla con l'anticipazione degli effetti di esso. La domanda va proposta al giudice competente per il giudizio di merito. Nella specie, certamente competente e' il Tribunale adito, considerato che, come chiarito dalla suprema Corte, «le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, e non di mero interesse legittimo, attesa la natura vincolata dell'attivita' amministrativa ad essa inerente, con la conseguenza che la cognizione delle stesse e' devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario». (Cass. civ., Sez. Unite, sentenza n. 449 del 19 giugno 2000). Il fumus boni iuris e il periculum in mora sono ad un tempo condizioni della domanda cautelare nonche' requisiti fondamentali perche' possa essere concesso un provvedimento d'urgenza. Non e' contestato che il sig. Y. U., al momento della richiesta di iscrizione anagrafica, fosse qualificabile come richiedente asilo. Egli risulta titolare di permesso di soggiorno per richiesta asilo (doc. 3), con rinnovo semestrale, valido, che garantisce la regolarita' della sua permanenza fino alla decisione definitiva sul suo status. Come e' noto, il periculum in mora consiste nel possibile pregiudizio che possa derivare al suddetto diritto nelle more del giudizio ordinario e, nel caso dei provvedimenti d'urgenza, viene identificato nel fondato timore che, in dette more, il diritto che forma oggetto della richiesta di tutela sia esposto ad un pericolo imminente ed irreparabile. Nel caso di specie, il diritto soggettivo di iscrizione anagrafica costituisce presupposto necessario per l'accesso a servizi ricollegabili all'esercizio di diritti fondamentali, la cui dimostrazione non richiede particolari allegazioni, derivando la stessa da previsioni normative. L'irreparabilita' del pregiudizio che il sig. Y. U. verrebbe a subire in ragione di una iscrizione illegittima si esplica su un duplice piano, ossia, da un lato, quello dei diritti che vengono compressi in via immediata in ragione della negata residenza (accesso a tutti quei servizi che hanno quale presupposto l'identificazione del soggetto anche mediante il riferimento alla residenza) e dall'altro quello della preclusione della possibilita' di maturare le condizioni per accedere ad alcuni diritti che hanno nella «durata della residenza» il loro presupposto: si pensi al diritto di richiedere la cittadinanza per naturalizzazione, che richiede la residenza nel territorio dello Stato da almeno dieci anni o al diritto di accedere a prestazioni previdenziali/sociali vincolate alla residenza, quali quelle previste dalla legge n. 4/2019. Sussiste dunque il presupposto del periculum in mora, posto che il ricorrente si vedrebbe irrimediabilmente compresso, nelle more del giudizio, il diritto ad accedere a servizi che afferiscono a diritti fondamentali e a contemporaneamente maturare, se la sua richiesta di iscrizione anagrafica fosse legittima, il requisito di durata necessario per accedere ad altri diritti. 5. Segue. Il fumus bori iuris. Quanto alla sussistenza del secondo presupposto richiesto dall'art. 700 codice di procedura civile, esso consiste nell'apparenza del diritto a salvaguardia del quale si intende richiedere la tutela, la cui sussistenza deve apparire come verosimile e probabile alla luce degli elementi di prova esistenti prima facie. Come si e' gia' rilevato, il comune nel motivare l'irricevibilita' del provvedimento fa riferimento al fatto che la domanda rientra nella casistica del decreto-legge n. 113/2018, art. 13. Anche nella propria memoria di costituzione, il Comune di Ferrara ha chiarito che il rigetto della richiesta muove proprio dalla citata norma. Questa, nell'interpretazione del Comune, vieterebbe l'iscrizione anagrafica degli stranieri che abbiano, quale titolo di soggiorno, quello di richiedenti asilo. Occorre quindi esaminare la portata della citata norma ed il suo impatto sulla posizione del ricorrente Y. U., posto che essa si applica certamente alle domande presentate successivamente alla sua entrata in vigore, quale e' quella del ricorrente, presentata il 21 febbraio 2019. Si osserva che il citato art. 13, decreto-legge n. 113/2018 ha disposto che «Al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: all'art. 4 [...] 2) dopo il comma 1, e' inserito il seguente: 1-bis. Il permesso di soggiorno di' cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.». La richiesta cautelare proposta dal ricorrente, muovendo da un'interpretazione del contenuto letterale del nuovo comma 1-bis citato, evidenzia che, poiche' la norma si riferisce al permesso di soggiorno per richiedenti protezione internazionale quale titolo per l'iscrizione anagrafica, ma il sistema normativo di riferimento della stessa disposizione e, in particolare, il decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 e l'art. 6, comma 7 del decreto legislativo n. 286/1998, non richiede alcun «titolo» per l'iscrizione anagrafica (ma solo una determinata condizione soggettiva, quale quella di aver fissato la dimora nello Stato), non si potrebbe far derivare dalla disposizione alcun divieto di iscrizione. Quindi, posto che l'iscrizione anagrafica ha natura di attivita' amministrativa a carattere vincolato, in relazione alla quale il privato ha una posizione di diritto soggettivo, il ricorrente evidenzia come «l'iscrizione anagrafica registra la volonta' delle persone che, avendo una dimora, hanno fissato in un determinato comune la residenza oppure, non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio», sulla base non di titoli, ma delle dichiarazioni degli interessati o degli accertamenti ai sensi degli articoli 13, 15, 18-bis e 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989. Conseguentemente, la norma non andrebbe interpretata nel senso di aver introdotto un divieto, in quanto il solo «titolo» rilevante ai fini del riconoscimento della situazione giuridica soggettiva e' «il fatto o l'atto giuridico dal quale deriva l'acquisto della stessa da parte del soggetto giuridico», non gia' il documento che comprova tale atto o fatto. Il senso della disposizione viene ricondotto dal ricorrente esclusivamente alla abrogazione della previsione dell'utilizzo per i richiedenti asilo dell'istituto della convivenza anagrafica contenuta nell'art. 5-bis dello stesso decreto legislativo n. 142/2015, che determinava che il richiedente fosse all'anagrafe sulla base della sola comunicazione del responsabile della convivenza, che determinava percio' una procedura semplificata e accelerata per il titolare di permesso di soggiorno richiedente la protezione. Ritiene il giudice che l'interpretazione prospettata dal ricorrente non sia condivisibile. Essa, come correttamente rilevato dal Comune di Ferrara nella memoria di costituzione, si traduce in una sostanziale interpretatio abrogans della norma, che finirebbe per non avere alcun significato posto che l'abolizione della procedura semplificata poteva senz'altro ottenersi con la sola abrogazione del citato art. 5-bis. Va notato infatti che proprio la contestuale abrogazione dell'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015, ove si disponeva che «Il richiedente protezione internazionale ospitato nei centri [di accoglienza] e' iscritto nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente», induce a ricostruire la disciplina introdotta nel 2018 nel senso dell'introduzione di un divieto dell'iscrizione anagrafica del richiedente la protezione. Ai sensi dell'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, «l'anagrafe della popolazione residente e' la raccolta sistematica dell'insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonche' delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio». Pare errato sostenere che l'iscrizione anagrafica dello straniero non richieda alcun titolo, dovendo comunque rilevarsi che, anche ai sensi dell'art. 4, decreto legislativo n. 142/2015, il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento dello straniero, ma anche attestazione che il soggetto abbia legittimamente fissato dimora nel territorio dello Stato, in quanto legittimamente vi soggiorna. La locuzione secondo cui «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica» non pare che potersi interpretare nel senso che la situazione giuridica posta alla base del rilascio del permesso di soggiorno di cui al comma 1 (vale a dire l'essere regolarmente soggiornante in Italia per aver richiesto la protezione internazionale) non legittima piu' l'iscrizione anagrafica. A favore di tale interpretazione depone anche la relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del predetto decreto-legge, ove si legge che «l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente» (cfr. Lavori preparatori - Atto del Senato della Repubblica n. 840 del 2018). Appare chiaro che il legislatore abbia voluto vietare l'iscrizione anagrafica, ritenendo che la stessa debba avere quale presupposto la «definizione» della posizione del richiedente. A conferma di tale interpretazione, la lettura della norma fornita dalla circolare del Ministero dell'interno n. 15/2018 che evidenzia come «dall'entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all'art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 142/2015 non potra' consentire l'iscrizione anagrafica». Il significato della previsione appare dunque non suscettibile di interpretazione diversa da quella che si sostanzia nella esclusione della possibilita' di iscrizione anagrafica di soggetti che, pur regolarmente soggiornanti in Italia, lo sono in virtu' di uno specifico titolo, ossia il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale. L'effetto abrogante prodotto dalla lettura «costituzionalmente orientata» della norma prospettata dal ricorrente appare incompatibile con le ordinarie regole ermeneutiche. In questo senso, appare dunque corretta l'interpretazione della norma fatta propria dal Comune di Ferrara nel ritenere irricevibile la domanda di Y. U. Ciononostante, sussistono le condizioni per disporre in senso favorevole alla domanda cautelare, apparendo necessario rimettere alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 13, comma 1, lettera a) n. 2, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 - Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata (in Gazzetta Ufficiale n. 231 del 4 ottobre 2018), convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 (in Gazzetta Ufficiale 3 dicembre 2018, n. 281), per violazione degli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione, apparendo questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di seguito esposto. 5.1. La questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare. Preliminarmente, non puo' dubitarsi della possibilita' per il giudice comune di sollevare questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando non provveda sulla domanda cautelare, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva, per le ragioni addotte a suo fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice fruisce. Nel caso di specie, la rilevanza della questione non e' esclusa dalla natura cautelare del giudizio, considerato che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la questione di legittimita' costituzionale sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, qualora essa sia sollevata dopo l'adozione del provvedimento cautelare, perche', in tal caso, la rimessione alla Corte stessa sarebbe tardiva in relazione al giudizio cautelare, ormai concluso, e prematura in relazione al giudizio di merito. Tuttavia, per evitare che la legge sospettata di illegittimita' costituzionale possa precludere definitivamente la tutela cautelare, si ritiene che l'esigenza di conciliare il carattere accentrato del controllo di legittimita' costituzionale delle leggi con il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, appare condivisibile l'orientamento che opta, anziche' che per la disapplicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale, per la scomposizione del giudizio cautelare in due fasi: nella prima fase si accoglie la domanda cautelare «a termine», fino alla decisione della questione di legittimita' costituzionale contestualmente sollevata; nella seconda, all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale, si decide «definitivamente», tenendo conto, per valutare la sussistenza del fumus boni iuris sulla domanda cautelare, della decisione della Corte costituzionale. La Corte costituzionale, aderendo a tale orientamento che vede l'articolazione bifasica del giudizio cautelare, ha chiarito che «la potestas iudicandi del giudice a quo non puo' ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare sia fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, dovendosi, in tal caso, ritenere di carattere provvisorio e temporaneo la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di legittimita' costituzionale» (Corte costituzionale, sentenze n. 83 del 2013; n. 236 del 2010; n. 351 e n. 161 del 2008; ordinanza n. 25 del 2006). E' quindi opportuno esaminare i profili di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione, dovendo essere consentito al giudice a quo - che nell'ambito di un procedimento cautelare ritenesse non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' posta a fondamento del ricorso - di pronunciare il provvedimento cautelare richiesto, con l'obbligo di rimettere contestualmente la relativa questione alla Corte e riservarsi di confermare o meno il proprio provvedimento all'esito del giudizio di costituzionalita'. 5.2. La rilevanza. Non v'e' dubbio in merito rilevanza della questione, considerato che il rigetto della domanda di iscrizione anagrafica presentata da Y. U. fa leva proprio sul disposto del citato art. 13 decreto-legge n. 113/2018, come confermato anche dal Comune nella propria memoria di costituzione. Come gia' detto, l'odierno ricorrente e' regolarmente soggiornante in Italia e risulta avere dimora nel Comune di Ferrara: la sua richiesta e' stata rigettata dall'anagrafe di Ferrara, in data 20 marzo 2019, con la seguente motivazione: «la richiesta di residenza inviata in data 22 febbraio 2019 per le persone in oggetto e' irricevibile, in quanto rientrano nella casistica del decreto-legge n. 113/2018, art. 5» (doc. 6). In buona sostanza, il rigetto della richiesta del ricorrente trova il suo fondamento proprio sulla norma di cui in questa sede di pone in dubbio la conformita' a Costituzione. 5.3. La non manifesta infondatezza. In primo luogo, la questione di legittimita' costituzionale non appare manifestamente infondata in relazione all'art. 2 Cost., nella sua accezione di «norma di apertura», idonea quindi a ricomprendere anche il diritto alla residenza, quale diritto al quale accedono anche gli stranieri come peraltro previsto dal citato art. 6, comma 7 del decreto legislativo n. 286/1998. A ben vedere, il diritto all'iscrizione anagrafica, sebbene non rientri nell'ambito dei diritti civili, costituisce una situazione giuridica, che costituisce il presupposto per l'esercizio di diritti fondamentali certamente spettanti anche al cittadino straniero, che, come nel caso di' specie, sia titolare di permesso di soggiorno. La questione si ricollega a diritti quali quello all'istruzione ed al lavoro, posto che l'iscrizione anagrafica costituisce il presupposto per l'inserimento nelle graduatorie per l'accesso alle scuole in relazioni alle quali vi sia competenza comunale, per l'iscrizione ai centri per l'impiego, nonche' per l'accesso a prestazioni previdenziali ed assistenziali. Ne deriva che il divieto di iscrizione all'anagrafe della popolazione residente di una particolare categoria di stranieri regolarmente soggiornanti, ossia i richiedenti asilo, divieto introdotto dall'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 introdotto dal decreto-legge 2018, pare tradursi in una compressione del diritto alla residenza per tale categoria di stranieri. Neppure - e di qui la non manifesta infondatezza anche rispetto all'art. 3 Cost. - la compressione del diritto all'iscrizione anagrafica che la norma in esame ha introdotto pare giustificata alla luce del principio di ragionevolezza, parametro che sostanzia il principio di eguaglianza. L'obiettivo che il legislatore persegue, precludendo l'iscrizione solo ad una particolare categoria di stranieri regolarmente soggiornanti, non appare chiaro, posto che, anzi, la possibilita' di una loro completa identificazione (possibile attraverso una loro precisa rintracciabilita' sul territorio) pare rispondere all'esigenza di controllo sociale e sicurezza che il legislatore si propone di perseguire, peraltro motivando in tal senso il ricorso alla decretazione d'urgenza. Neppure la compatibilita' con il principio di uguaglianza del divieto in esame sembra potersi motivare sulla base della natura «provvisoria» del permesso di soggiorno connessa alla richiesta d'asilo: occorre chiedersi se il carattere provvisorio del permesso di soggiorno rilasciato al richiedente la protezione internazionale giustifichi una differenziazione di effetti tale da escludere il diritto all'iscrizione anagrafica e se sia, sotto tale profilo, conforme a Costituzione. L'interpretazione fornita sul punto dalle pronunce del Tribunale di Trento richiamate dal Comune di Ferrara non convince. L'art. 2 del decreto legislativo n. 286/1998 prevede che «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». La parita' di trattamento di tutti gli stranieri presenti sul territorio dello Stato trova copertura negli articoli 2, 3 e 10 Cost., dal momento che, come chiarito dalla Corte costituzionale (sent. n. 306/2008), al legislatore italiano e' certamente consentito di subordinare «non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, pero', che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini». Lo straniero che abbia richiesto protezione internazionale e' titolare di un permesso che non pare pero' potersi definire «episodico», posto che si tratta di un permesso di soggiorno di natura rinnovabile (fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui e' autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell'art. 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015) ne' di breve durata, essendo vincolato alla durata del procedimento. Peraltro, va considerato che qui si controverte non della «erogazione di servizi», ma del godimento di liberta' fondamentali, quali la liberta' di soggiorno di cui all'art. 16 Cost. che sembra non irragionevole riferire a tutti i soggetti titolari previamente autorizzati al soggiorno in Italia e che vede quale sola eccezione «i motivi di sanita' e di sicurezza». Inoltre, e questo e' il profilo che pare decisivo, la posizione del richiedente asilo e', si', provvisoria come «richiedente», ma e' tale non in re ipsa, ma in quanto prodromica a quella di titolare dello status di riconoscimento della protezione. La «richiesta» e' provvisoria non per se' stessa, ma in quanto presupposto del «riconoscimento», destinato a stabilizzarsi, producendo effetti ex ante (quindi dalla richiesta). In cio' pare cogliersi il profilo di irragionevolezza dettato dal ricollegare alla provvisorieta' della richiesta il divieto di iscrizione: cio' considerato anche che il tempo per il quale il soggetto permane nella posizione di richiedente e' tutt'altro che trascurabile e collegato a ragioni del tutto indipendenti dalla volonta' del soggetto, che resta titolare di permesso di soggiorno (semestrale e rinnovabile) fino alla conclusione del procedimento di riconoscimento dello status, nella sua fase amministrativa ed in quella contenziosa, eventuale, ma la cui durata non appare compatibile con una (quand'anche ragionevole) compressione del diritto alla residenza. A cio' deve aggiungersi che, ai sensi dell'art. 5, comma 2, decreto legislativo n. 142/2015 «l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio»: il divieto di iscrizione anagrafica di cui all'art. 13 si tradurrebbe nello svuotamento di questa disposizione per la categoria di stranieri costituita dai richiedenti asilo. Peraltro, la citata disciplina attua due direttive, ossia la 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e la direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionali. Concludendo sul punto, l'unica possibilita' per superare questo profilo di disparita' rispetto agli altri stranieri parrebbe essere quello di prevedere che - per i titolari del permesso di soggiorno per richiesta asilo - ove la residenza sia prevista quale presupposto del godimento del diritto questa vada sostituita col domicilio, ma cio' produrrebbe una sostanziale inutilita' della disciplina introdotta. Diversamente non pare che potersi ritenere la non manifesta infondatezza di tale profilo di incostituzionalita', legato all'esito discriminatorio, per i richiedenti asilo, rispetto al godimento di diritti che vengono formalmente riconosciuti (peraltro dalla stessa legge). Sotto un altro decisivo profilo, viene in rilievo la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 117 Cost., in punto di compatibilita' della norma con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e in particolare con il quarto protocollo addizionale e con l'art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Quanto al primo aspetto, e' noto che la Convenzione EDU, come i relativi protocolli (il quarto e' stato adottato il 16 settembre 1963 e ratificato dall'Italia il 27 maggio 1982), si configura come un trattato internazionale multilaterale - pur con le caratteristiche peculiari che saranno esaminate piu' avanti - da cui derivano «obblighi» per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema piu' vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorita' interne degli Stati membri. (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 348/2007). Le norme Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, in quanto norme pattizie, vanno quindi escluse dall'ambito di operativita' dell'art. 10, primo comma, Cost., per cui la questione di legittimita' costituzionale non puo' che essere sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. Invero, va rilevato che la previsione di una compressione del diritto alla residenza per una particolare categoria di stranieri appare - oltre che irragionevole nell'ottica dell'art. 3 Cost. - anche incompatibile con l'art. 14 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che prevede che «il godimento dei diritti e delle liberta' riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione». Per discriminazione - secondo la giurisprudenza convenzionale - si intende il fatto di trattare in maniera diversa, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano, in un determinato campo, in situazioni comparabili (cfr. 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, § 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia, § 124). Dunque, sono due i profili che vengono in rilievo. Il primo e' verificare se il diritto alla residenza deve considerarsi inserito nel novero dei diritti riconosciuti dalla Convenzione: la risposta e' affermativa. L'art. 2 del citato IV Protocollo Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali prevede che «chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza». Con il termine «residenza», diverso dal termine «domicilio» utilizzato dall'art. 8 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il legislatore sovranazionale pare indiscutibilmente riferirsi alla «dimora abituale», ricollegando a tale concetto gli effetti giuridici che il legislatore italiano ricollega alla nozione di residenza. Il secondo profilo oggetto di indagine e' se, alla base del diverso trattamento, vi sia una giustificazione ragionevole. Disponendo che il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente la protezione internazionale non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica, il comma 1, lettera a) n. 2) decreto-legge n. 113/2018 convertito in legge n. 132/2018 pare inibire illegittimamente a tale categoria di stranieri il diritto di fissare liberamente la residenza nel territorio dello Stato, sebbene vi soggiornino liberamente ed in assenza di una giustificazione ragionevole, posto che la stessa non puo' consistere nella precarieta' del soggiorno per le ragioni gia' esposte e che non e' rispettata la riserva di legge prevista dai commi successivi dell'art. 2. Analogamente, l'art. 12, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall'Assemblea generale dell'ONU il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, anch'esso vincolante ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta della residenza in quel territorio». L'effetto sostanziale che l'art. 13, comma 1, lettera a), n. 2) del decreto-legge n. 113/2018 convertito in legge n. 132/2018 produce, nonche' l'assenza di restrizioni «previste dalla legge» e che «siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale l'ordine pubblico, la sanita' o le moralita' pubbliche ovvero gli altrui diritti e liberta' e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti nel presente Patto» paiono fondare l'incompatibilita' della norma introdotta nel 2018 anche con tale norma internazionale. Concludendo, la sussistenza del fumus boni iuris si fonda sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale e, in ossequio alla struttura bifasica del procedimento cautelare di cui si e' detto al paragrafo 5.1 e la misura va quindi concessa. Le ragioni di urgenza del procedimento e la necessita' di concedere la misura cautelare richiesta inducono a rimettere la questione alla Corte costituzionale, nonostante essa risulti gia' rimessa alla Corte da altri Tribunali, dovendo in via provvisoria ordinarsi all'ufficiale dell'anagrafe del Comune di Ferrara di iscrivere il ricorrente Y. U. all'anagrafe della popolazione residente del Comune di Ferrara. Poiche' il fumus boni iuris importa, nel caso di specie, l'accertamento della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', non si vedono alternative processuali all'obbligo di cui all'art. 23, legge n. 87/1953 di rimettere la relativa questione alla Corte. Difatti, la sospensione ex art. 295 del codice di procedura civile senza rimessione puo' essere impugnata con regolamento di competenza, mentre la mancata rimessione che si accompagni ad un rinvio ad una data successiva alla pronuncia del Giudice costituzionale, sembra incompatibile con l'urgenza propria del procedimento cautelare e con il funzionamento del sistema di controllo della legittimita' costituzionale delle leggi. Concessa la misura in via provvisoria, la decisione definitiva non potra' che rendersi all'esito dell'incidente di costituzionalita'.