TRIBUNALE DI CAGLIARI Prima Sezione Penale Il giudice dott.ssa Alessandra Angioni, letti gli atti del procedimento in epigrafe nei confronti di E. L. D. S. S. e di P. M., in atti generalizzati, imputati della contravvenzione di cui all'art. 712 del codice di procedura penale; Sull'eccezione sollevata dalla difesa di L., cui si e' associata anche la difesa del M., di illeggitimita' costituzionale dell'art. 162-bis del codice di procedura penale, per violazione degli articoli 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la possibilita' in capo al giudice di determinare la misura massima della pena in considerazione delle condizioni economiche dell'imputato e della gravita' del fatto contestato; Sentito il pubblico ministero; Osserva La difesa fonda le sue argomentazioni sul rilievo che il legislatore italiano, al fine di rendere operativi i principi di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione, ha introdotto degli strumenti di modulazione della pena pecuniaria, volti a rendere la pena proporzionata alle possibilita' economiche del reo. Tuttavia, in pregio alla ratio sottesa all'introduzione dell'art. 133-bis del codice di procedura penale, l'art. 162-bis non consente al giudice di individualizzare il trattamento sanzionatorio, sicche' nel caso di specie, la possibilita' di ottenere l'effetto estintivo dell'oblazione passa attraverso la dazione di euro 5.000,00, che e' la mdesima sia per le persone abbienti che per quelle indigenti. 1. Quanto alla rilevanza. La rilevanza della questione sottesa dalla eccezione di illeggitimita' costituzionale sollevata appare evidente, sia in fatto che in diritto, se si considera che gli odierni imputati, che hanno entrambi fatto domanda di oblazione, versano entrambi in una condizione di manifesta indigenza attestata, quanto al M., dal decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e, quanto alla L. di S. S. dall'attestazione Isee allegata alla memoria difensiva. Occorre preliminarmente sottolineare che la disposizione di cui all'art. 162-bis del codice di procedura penale stabilisce che il contravventore puo' essere ammesso a pagare, prima dell'apertura del dibattimento, una somma corrispondente alla meta' del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre alle spese del procedimento e che tale pagamento estingue il reato. Orbene, nel caso di specie P. M. e S. E. L. di S. S. sono imputati della contravvenzione di cui all'art. 712 del codice di procedura penale, punita alternativamente con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore ad euro 10,00. Ne consegue che il tetto massimo di detta pena pecuniaria deve essere individuato attraverso il richiamo dell'art. 26 del codice di procedura penale, che stabilisce che «la pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore ad euro 20,00 ne' superiore ad euro 10.000,00». Se ne deduce che il reato potra' essere dichiarato estinto solo a seguito del pagamento della non modica cifra di euro 5.000,00, somma cui gli imputati non possono far fronte, date le loro modeste condizioni economiche come sopra documentate. 2. Quanto alla non manifesta infondatezza. Appare, inoltre, altrettanto evidente che la disposizione di cui all'art. 162-bis citato, non prevedendo l'opportunita' per il giudice di determinare la pena tenendo in considerazione la capacita' economica dell'imputato, violi, in modo palese, il disposto dell'art. 27 della Costituzione, terzo comma, nella parte in cui stabilisce che la pena deve tendere alla rieducazione del reo. E' noto che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che rientra nella discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e della qualita' della pena; nel contempo, pero', il giudice delle leggi ha evidenziato in numerose pronunce (cfr., ad esempio, le ordinanze n. 438 del 2001, n. 207 del 1999, n. 368 del 1995) che l'esercizio di tale discrezionalita' puo' essere sindacato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo, quindi, a una disparita' di trattamento irragionevole. Ancora, con la sentenza n. 78 del 10-18 febbraio 2005, il giudice delle leggi ha ribadito che «a prescindere dal rispetto di altri parametri, la normativa deve essere anzitutto conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza». La sproporzione e l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio per casi come quello in esame, avente una modesta offensivita', confliggono anche con il principio della funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma della Costituzione). La realizzazione di detto principio, invero, impone l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio, attraverso la valorizzazione della figura del reo in ogni momento della dinamica punitiva, quindi sia nella previsione astratta che nella fase esecutiva. Questo perche', a mente dell'art. 27 della Costituzione, il fine della pena e' volto alla reintegrazione del reo ed una pena sproporzionata ed avvertita come ingiusta dal condannato non puo' che vanificare le finalita' suddette. Non puo', infine, non evidenziarsi che la disposizione in questione viola, in modo altrettanto palese, il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che impone di trattare in maniera differente situazioni tra loro diverse, al fine di scongiurare discriminazioni fondate sulle condizioni personali o sociali dell'individuo. Ed e' proprio cio' che accade nel caso concreto, posto che per una questione meramente economica, ed a causa della potenziale irrogazione di una pena decisamente sproporzionata rispetto alle loro capacita', gli imputati non possono ricorrere alla causa estintiva dell'oblazione ovvero, pur ricorrendovi, sentirebbero una frustazione tale da percepire come illegittima la pena inflittagli. Di fronte alla commissione di un medesimo reato, la causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-bis appare non accessibile a chiunque, ma solamente alle persone abbienti o che comunque versino in discrete condizioni economiche. Tale diversita' di trattamento appare illogica ed irrazionale, se si considera che per un medesimo fatto, anche se commesso in concorso, potrebbe essere applicata una pena per nulla incisiva per certi imputati (magari particolarmente abbienti) ed allo stesso tempo particolarmente gravosa per altri, magari indigenti o facenti parte, come nel caso della L. di S. S., di un nucleo familiare composto da sette persone con un reddito particolarmente basso. Peraltro, come osservato dalla difesa, si arriverebbe al paradosso che in caso di commissione di piu' contravvenzioni, ove verosimilmente e' piu' intensa la lesione del bene giuridico tutelato, il giudice, considerata la disciplina di cui agli articoli 78 e 81, comma 3 del codice di procedura penale, non potrebbe irrogare una pena superiore ad euro 3.098,00 con l'irragionevole ed illogica conseguenza che la domanda di oblazione presentata nell'ambito di un procedimento instaurato per piu' fatti di incauto acquisto potra' essere concessa dietro il pagamento di una somma inferiore a quella da corrispondere nel caso di contestazione unica. Sulla base delle considerazioni che precedono deve, pertanto, ritenersi la rilevanza, e la non manifesta fondatezza, della questione di legittimita' costituzionale sollevata.