ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 7,  comma
1, e 11 della legge della Regione Basilicata  13  marzo  2019,  n.  2
(Legge di stabilita' regionale 2019),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 10-16 maggio  2019,
depositato in cancelleria il 15 maggio 2019, iscritto al  n.  57  del
registro ricorsi 2019 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Basilicata; 
    udito il Giudice relatore Daria de Pretis ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  19
maggio 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 19 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 10-16 maggio 2019 e  depositato  il
15  maggio  2019,  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  7,
comma 1, e 11 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019,  n.
2 (Legge di stabilita' regionale 2019), in riferimento all'art.  117,
commi primo e secondo, lettera s), della Costituzione. 
    Il ricorrente, dopo aver  rilevato  che  le  disposizioni  recate
dalla legge impugnata riguardano  «svariati  ambiti  di  intervento»,
illustra le ragioni per le quali ritiene che due  di  esse  siano  in
contrasto con la Costituzione. 
    1.1.- L'art. 7, comma 1, della legge reg.  Basilicata  n.  2  del
2019 dispone il riconoscimento in favore dei comuni macrofornitori di
risorse idriche,  individuati  ai  sensi  della  deliberazione  della
Giunta della Regione Basilicata 10 aprile 2015,  n.  459  (Misure  di
compensazione ambientale - Annualita' 2015-2016), di un contributo di
compensazione ambientale pari a due centesimi di euro (euro 0,02) per
ogni metro cubo di acqua immessa  in  rete  eccedente  il  fabbisogno
comunale.  Questo  beneficio  e'  erogato  al  dichiarato   fine   di
assicurare il «mantenimento delle condizioni ambientali  delle  fonti
di  approvvigionamento  idrico  da  acquifero,  [di]   dare   seguito
all'implementazione  di  politiche  tese  allo  sviluppo  sostenibile
nonche' [di consentire] il completamento  delle  opere  afferenti  le
reti di distribuzione». 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri,  la  previsione
di un contributo di  compensazione  ambientale  destinato  ai  comuni
affinche' svolgano attivita' dirette al mantenimento delle condizioni
ambientali delle fonti di  approvvigionamento  idrico  «e'  in  linea
astratta  perfettamente  ammissibile  in  quanto   rientrante   nelle
politiche di sviluppo sostenibile». Si tratterebbe, infatti,  di  una
misura di tutela della risorsa idrica non confliggente con lo spirito
e le previsioni del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e del  mare  24  febbraio  2015,  n.  39  (Regolamento
recante i criteri per la definizione del costo ambientale e del costo
della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua). 
    Il ricorrente dubita, invece, della  legittimita'  costituzionale
di quella  parte  della  previsione  secondo  cui  il  contributo  di
compensazione ambientale e' destinato al  completamento  delle  opere
afferenti alle reti di distribuzione. Queste ultime, infatti,  quando
riguardano l'acqua ad uso potabile, sono elementi del servizio idrico
integrato  e  i  relativi  interventi  sono  realizzati  dal  gestore
affidatario del servizio e non dai comuni. Inoltre,  i  costi  devono
trovare copertura nella tariffa, secondo  quanto  disposto  dall'art.
154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme  in  materia
ambientale) e dalla normativa di settore  emanata  dall'Autorita'  di
regolazione per energia reti e ambiente (ARERA). 
    La difesa statale, pur ritenendo «in linea teorica ammissibile il
concorso di fondi  pubblici,  che  unitamente  alla  tariffa  possono
finanziare interventi infrastrutturali nel settore idrico»,  sostiene
che con la norma impugnata la  Regione  Basilicata  abbia  effettuato
«un'attribuzione   impropria   del   contributo   di    compensazione
ambientale, erogandolo ai comuni invece  che  al  gestore  unico  del
servizio, che nel caso di specie e' l'Acquedotto  Lucano  nell'ambito
dell'ATO regionale». 
    Il ricorrente ricorda in proposito che la  normativa  statale  ha
privato i singoli comuni delle competenze in  materia,  attribuendole
agli enti di governo dell'ambito, cui pure i primi partecipano  (art.
147 del d.lgs. n. 152 del  2006).  Spettano  pertanto  agli  enti  di
governo  dell'ambito  l'organizzazione  e  la  pianificazione   degli
interventi nel settore idrico, ivi compresa  la  loro  realizzazione.
Inoltre, la scelta legislativa censurata produrrebbe  l'inconveniente
della duplicazione  dei  costi  relativi  a  questi  interventi,  che
«ricadrebbero sia sul contributo sia sulla tariffa». 
    In definitiva, secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri,
la  norma  regionale  impugnata  si  porrebbe  in  contrasto  con  le
disposizioni in materia di tutela delle acque contenute  nella  Parte
III del d.lgs. n. 152 del  2006,  che,  per  costante  giurisprudenza
costituzionale, attengono alla materia della tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema. Di qui la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    1.2.- L'art. 11 della  legge  reg.  Basilicata  n.  2  del  2019,
rubricato «Disposizioni in materia di consorzi industriali»,  dispone
lo stanziamento  di  una  somma  a  valere  sul  bilancio  triennale,
finalizzata a garantire il conseguimento degli obiettivi del piano di
risanamento del consorzio per lo sviluppo industriale della Provincia
di Potenza, approvato dalla Giunta regionale con la deliberazione  10
settembre  2018,  n.  918  (Art.  1,  comma  4,  L.R.  n.  34/2017  -
Approvazione della proposta del Commissario Straordinario  del  Piano
di Risanamento per il Consorzio per  lo  Sviluppo  Industriale  della
Provincia di Potenza), e prevede le modalita' di erogazione di quelle
somme in favore del menzionato consorzio. 
    In proposito, il ricorrente rileva che,  ai  sensi  dell'art.  36
della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l'innovazione e lo
sviluppo delle piccole imprese) e  dell'art.  10  della  legge  della
Regione Basilicata 5 febbraio 2010,  n.  18  (Misure  finalizzate  al
riassetto  ed  al  risanamento   dei   consorzi   per   lo   sviluppo
industriale), i consorzi industriali sono enti pubblici economici; si
tratta quindi di soggetti che esercitano attivita' imprenditoriale. 
    In ragione di cio', la dazione di denaro  pubblico,  al  fine  di
risanare la situazione economico-finanziaria dell'ente, si  configura
come aiuto di Stato. Peraltro -  aggiunge  la  difesa  statale  -  lo
stesso  legislatore  lucano  avrebbe  espressamente   ricondotto   le
erogazioni in questione alla materia degli aiuti di Stato (e'  citata
la legge reg. Basilicata n. 18 del 2010). 
    Pertanto, gli aiuti di cui alla norma impugnata avrebbero  dovuto
essere  notificati  alla  Commissione  europea  per   la   preventiva
autorizzazione  sulla  base  della  verifica  della  sussistenza  dei
presupposti stabiliti dalla Comunicazione  della  Commissione  stessa
«Orientamenti  sugli  aiuti  di  Stato  per  il  salvataggio   e   la
ristrutturazione di imprese non finanziarie in  difficolta'»  (2014/C
249/01). In ogni  caso,  la  norma  che  li  prevede  avrebbe  dovuto
contenere la cosiddetta clausola di stand still. Inoltre,  gli  aiuti
per il salvataggio e la ristrutturazione possono essere concessi solo
una volta nel decennio. 
    Per le ragioni anzidette la  norma  impugnata  violerebbe  l'art.
117, primo comma, Cost. 
    2.- La Regione Basilicata si e' costituita in giudizio  chiedendo
che le questioni promosse siano dichiarate inammissibili e,  in  ogni
caso, infondate. 
    2.1.- Quanto alla prima censura, la resistente sostiene che  essa
e' inammissibile in quanto il ricorrente avrebbe omesso di accedere a
un'interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione. 
    In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri  avrebbe
operato un'«evidente trasposizione concettuale e [un]  salto  logico»
ritenendo che la  norma  impugnata  attribuisca  illegittimamente  ai
comuni le funzioni relative al servizio idrico integrato. Inoltre, il
ricorrente  avrebbe  omesso  di  considerare  che  il  contributo  di
compensazione  ambientale  e'  dichiaratamente  finalizzato,  in  via
prioritaria, «all'implementazione di  politiche  tese  allo  sviluppo
sostenibile», a cui, secondo la  difesa  regionale,  «sono  partecipi
anche i Comuni». 
    La resistente rileva,  inoltre,  una  contraddizione  tra  quanto
riportato nel ricorso e quanto affermato nella delibera del Consiglio
dei ministri di impugnazione della disposizione in esame, la' dove si
afferma che «[i]n linea astratta, la norma puo' dirsi legittima nella
previsione dell'utilizzo dei contributi di "compensazione ambientale"
attribuito ai Comuni per lo  svolgimento  delle  attivita'  volte  al
mantenimento   delle   condizioni   ambientali   delle    fonti    di
approvvigionamento idrico ai fini delle politiche  per  uno  sviluppo
sostenibile». La difesa regionale aggiunge che la misura del compenso
potrebbe essere determinata «per destinarla  anche  interamente  alla
finalita' prioritaria»,  cioe'  per  la  tutela  e  la  garanzia  del
mantenimento   delle   condizioni   ambientali   delle    fonti    di
approvvigionamento idrico da acquifero. 
    Inoltre, la misura del  contributo  di  compensazione  ambientale
sarebbe stata determinata con la  deliberazione  della  Giunta  della
Regione Basilicata 22 luglio 2002, n. 1321 (Determinazione di  misure
di compensazione ambientale in  campo  idrico),  ben  prima,  quindi,
dell'intervento     della     previsione     normativa     impugnata.
Successivamente,  tale  contributo  sarebbe  stato   riconosciuto   e
liquidato ai comuni nei trienni 2008-2010 e 2011-2013 e  nel  biennio
2015-2016. In definitiva, la  misura  del  contributo  sarebbe  stata
stabilita  antecedentemente  alla  norma  in  esame,  con  atti   mai
impugnati, e non  produrrebbe  alcuna  duplicazione  di  costo,  come
sostenuto dal ricorrente. 
    Nel merito, la difesa regionale precisa che la competenza statale
in  materia  ambientale  non  assorbe  interamente  altre  competenze
comunque riconducibili anche alla Regione e che intersecano la prima;
fra queste rientrerebbero quelle relative al governo del territorio e
alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali (e' richiamata in
proposito  la  sentenza  n.  215  del  2015).  In   particolare,   la
sussistenza nella materia de qua della competenza regionale  relativa
al governo del territorio sarebbe desumibile dagli artt.  142,  comma
2, 153 e 157 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    La resistente aggiunge che il riferimento al «completamento delle
opere afferenti le reti di distribuzione» deve pur sempre  intendersi
come relativo «a quelle di residuata competenza comunale, vale a dire
- in una prospettiva costituzionalmente conforme - anche  alle  opere
di  completamento  adduttivo  di  risorse  idriche   dei   cosiddetti
"acquedotti rurali" e/o  captazioni  di  sorgenti  minori,  a  totale
carico  delle  Amministrazioni  Comunali  che  non  interferiscono  e
soprattutto  non  recapitano  nelle  reti  di  adduzione  primaria  e
secondaria gestite dal Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato». 
    Pertanto,  la  natura  del  contributo  regionale   non   sarebbe
desumibile dall'improprio nomen iuris utilizzato  nella  disposizione
impugnata, ma dalla sua funzione; esso,  infatti,  non  costituirebbe
propriamente un costo ambientale, bensi' «un mero sostegno  a  favore
di quei comuni nei cui territori ricadono le piu' importanti sorgenti
che alimentano gli schemi idrici della Basilicata». 
    2.2.- Quanto alla seconda  censura,  essa  sarebbe  inammissibile
«per la sua generica ed insufficiente prospettazione  ed  indicazione
delle norme interposte che si  assumono  violate».  Tale  sarebbe  il
riferimento   alla   Comunicazione    della    Commissione    europea
«Orientamenti  sugli  aiuti  di  Stato  per  il  salvataggio   e   la
ristrutturazione di imprese non finanziarie in  difficolta'»  (2014/C
249/01), stante il suo carattere non vincolante per gli Stati  membri
e le loro articolazioni interne. 
    Inoltre, il ricorrente non avrebbe indicato la  somma  stanziata,
indicazione, questa, che  sarebbe  rilevante  per  escludere  che  si
tratti di un aiuto in regime de minimis, ne'  avrebbe  specificato  a
quale delle disposizioni contenute nei vari commi dell'art. 11  della
legge reg. Basilicata n. 2 del 2019 faccia riferimento.  Al  riguardo
la difesa regionale precisa che il comma 1 dell'art. 11 prevede «solo
uno  "stanziamento"  di  risorse  triennale  per  l'attuazione  degli
obiettivi del Piano di risanamento approvato in linea  tecnica  dalla
Giunta regionale con D.G.R. n. 918 del 10 settembre 2018  e  che  non
interessa esclusivamente il  Consorzio  di  Sviluppo  Industriale  di
Potenza»; il comma 2 prevede le modalita' di impegno delle risorse  e
di liquidazione dell'importo al fine di dare immediata attuazione  al
piano di risanamento; i commi 3 e 4 si riferiscono al  rappresentante
legale del consorzio per lo sviluppo industriale della  Provincia  di
Potenza,  imponendogli,  rispettivamente,  di  presentare   «apposita
relazione  descrittiva  dello  stato  di  attuazione  del  Piano   di
risanamento» (comma 3) e di formulare una richiesta di  trasferimento
delle risorse entro il 15 febbraio, accompagnata dalla  relazione  di
cui al comma 3 (comma 4). 
    Sempre secondo la  Regione,  il  ricorrente  avrebbe  dedotto  la
qualificazione come aiuto di Stato dello stanziamento previsto  dalla
norma  impugnata  dalla  sua  natura  di  ente  pubblico   economico,
«omettendo di considerarne gli  ulteriori  elementi  costitutivi  che
connotano e qualificano l'intervento come aiuto di Stato,  sul  piano
soggettivo (soggetto beneficiario operatore economico che  agisce  in
libero mercato), finalistico (idoneita' dell'intervento  ad  incidere
sugli   scambi   tra   Stati   membri)   ed   effettuale   (idoneita'
dell'intervento a falsare o a minacciare di falsare la concorrenza)». 
    La resistente  sottolinea,  inoltre,  che  la  censurata  mancata
comunicazione alla Commissione europea del finanziamento al consorzio
di sviluppo industriale della  Provincia  di  Potenza  sarebbe  «atto
tutto da venire e non predeterminato nella sua precisa entita'». 
    Ancora, secondo la difesa regionale,  un'attenta  disamina  delle
funzioni  attribuite  al  consorzio  di  sviluppo  industriale,  ente
strumentale della Regione, «avrebbe evidenziato che non  si  tratt[a]
di effettivo operatore economico sul  libero  mercato  o  di  vera  e
propria "impresa",  come  afferma  semplicisticamente  la  Presidenza
ricorrente e che il finanziamento concesso alla Provincia di Potenza,
per la sua specifica destinazione e configurazione, per un verso  non
incide assolutamente negli scambi fra Stati e non altera  minimamente
la concorrenza, ne' costituisce rischio di sua alterazione». 
    In particolare, il ricorrente  trascurerebbe  di  considerare  il
nucleo essenziale di esclusive  funzioni  assegnate  ai  consorzi  di
sviluppo industriale e la  loro  configurazione  quali  organismi  di
diritto pubblico ai sensi dell'art. 3, comma  1,  lettera  i),  della
legge reg. Basilicata n. 18 del 2010. Ed ancora,  la  difesa  statale
non  avrebbe  considerato  la  specifica  finalita'  dei   contributi
previsti  dalla  norma  impugnata,   che   non   sono   destinati   a
sovvenzionare attivita' imprenditoriali ma il conseguimento  generale
degli obiettivi del piano di  risanamento  approvato  con  la  delib.
Giunta reg. n. 918 del 2018. 
    La resistente sottolinea, quindi,  come  la  Comunicazione  della
Commissione  europea  sulla  nozione  di  aiuto  di  Stato   di   cui
all'articolo  107,  paragrafo  1,  del  trattato  sul   funzionamento
dell'Unione europea (2016/C  262/01),  «legittim[i]  una  valutazione
sostanziale di impresa, che prescinde da qualificazioni formali o dal
nomen juris, valorizzando l'esercizio effettivo di produzione di beni
e servizi destinati allo scambio sul mercato». 
    Muovendo da questa prospettiva la difesa regionale sostiene che i
consorzi industriali di sviluppo industriale  della  Basilicata  «non
sono attivi sul mercato di produzione e scambio di beni o servizi»  e
quindi «non sono configurabili quali impresa pubblica».  Inoltre,  le
principali funzioni a essi assegnate «non costituiscono "servizi"  in
senso economico; [...] si svolgono  limitatamente  al  territorio  di
competenza e nell'interesse generale; sono di competenza esclusiva  e
non si svolgono in regime concorrenziale».  In  definitiva,  la  loro
natura di enti strumentali all'esercizio di  «funzioni  precipuamente
pubbliche» escluderebbe che la previsione di finanziamenti volti alla
ristrutturazione dei suddetti consorzi possa incidere sugli scambi  e
sul mercato falsando la concorrenza. 
    Per le ragioni esposte  la  Regione  resistente  ritiene  che  la
censura mossa dal ricorrente «si  limiti  ad  asserire  una  presunta
natura di aiuto di stato incompatibile col regime comunitario,  senza
alcun approfondimento in ordine agli elementi  che  concretamente  lo
connotano, anche in ragione  di  una  puntuale  considerazione  della
disciplina comunitaria atta a costituire parametro interposto nemmeno
indicata nel ricorso».  Di  conseguenza,  la  questione  promossa  si
rivelerebbe inammissibile e infondata. 
    Da ultimo, la difesa regionale precisa che, in caso di «dubbi  in
ordine alla qualificazione esatta del contenuto  della  previsione  e
della  riconducibilita'  alla  violazione  di   norme   comunitarie»,
occorrerebbe sollevare «una questione comunitaria pregiudiziale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 7, comma 1, e 11 della  legge
della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n.  2  (Legge  di  stabilita'
regionale 2019), in riferimento all'art. 117, commi primo e  secondo,
lettera s), della Costituzione. 
    2.- L'art. 7, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 2 del  2019
dispone il riconoscimento in  favore  dei  comuni  macrofornitori  di
risorse idriche,  individuati  ai  sensi  della  deliberazione  della
Giunta della Regione Basilicata 10 aprile 2015,  n.  459  (Misure  di
compensazione ambientale - Annualita' 2015-2016), di un contributo di
compensazione ambientale pari a due centesimi di euro (euro 0,02) per
ogni metro cubo di acqua immessa  in  rete  eccedente  il  fabbisogno
comunale. Questo beneficio e' riconosciuto  «[p]er  la  tutela  e  la
garanzia del mantenimento delle condizioni ambientali delle fonti  di
approvvigionamento   idrico   da   acquifero,   per   dare    seguito
all'implementazione di  politiche  tese  allo  sviluppo  sostenibile,
nonche' per  il  completamento  delle  opere  afferenti  le  reti  di
distribuzione». 
    Il Presidente del Consiglio dei  ministri  non  contesta  ne'  la
generale previsione di «un  contributo  di  compensazione  ambientale
destinato  ai  Comuni»,  ne'  le  sue  specifiche  destinazioni   «al
mantenimento   delle   condizioni   ambientali   delle    fonti    di
approvvigionamento idrico» e «all'implementazione di  politiche  tese
allo  sviluppo  sostenibile».  Piuttosto,  le  censure   statali   si
appuntano su quella parte della disposizione in cui si fa riferimento
al «completamento delle opere afferenti le reti di distribuzione». 
    Secondo il ricorrente, infatti, queste ultime, quando  riguardano
l'acqua ad uso potabile, sono elementi del servizio idrico  integrato
e i relativi interventi sono realizzati dal gestore  affidatario  del
servizio e non dai comuni. Si determinerebbero quindi, per un  verso,
«un'attribuzione   impropria   del   contributo   di    compensazione
ambientale, erogandolo ai comuni invece  che  al  gestore  unico  del
servizio, che nel caso di specie e' l'Acquedotto  Lucano  nell'ambito
dell'ATO  regionale»,  e,  per  altro  verso,  «il  non  trascurabile
inconveniente  della  duplicazione  dei  costi»  relativi  a   questi
interventi, che «ricadrebbero sia sul contributo sia sulla tariffa». 
    Di qui il contrasto con l'art.  147  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),  che  avrebbe
privato i singoli comuni delle competenze in  materia,  attribuendole
agli enti di governo dell'ambito,  e  con  l'art.  154  dello  stesso
decreto, secondo cui i costi devono trovare copertura nella  tariffa.
Sarebbe quindi violato l'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,
in  ragione  della  costante  giurisprudenza  costituzionale  che  ha
ricondotto la normativa in tema di tutela delle  acque  alla  materia
della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    La  Regione  Basilicata,  costituita  in  giudizio,  si   difende
sostenendo l'inammissibilita' della questione per le ragioni indicate
nel Ritenuto in fatto e precisando, nel  merito,  che  la  competenza
statale  in  materia  ambientale  non   assorbe   interamente   altre
competenze  comunque  riconducibili  anche   alla   Regione   e   che
intersecano  la  prima,  tra  cui  quelle  relative  al  governo  del
territorio e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali.  In
particolare, la sussistenza nella materia  de  qua  della  competenza
regionale relativa al governo del territorio sarebbe desumibile dagli
artt. 142, comma 2, 153 e 157 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Inoltre, il riferimento al «completamento delle  opere  afferenti
le  reti  di  distribuzione»  dovrebbe  pur  sempre  intendersi  come
relativo «a quelle di residuata competenza comunale, vale a dire - in
una prospettiva costituzionalmente conforme -  anche  alle  opere  di
completamento adduttivo di risorse idriche dei cosiddetti "acquedotti
rurali" e/o captazioni di sorgenti  minori,  a  totale  carico  delle
Amministrazioni Comunali che non  interferiscono  e  soprattutto  non
recapitano nelle reti di adduzione primaria e secondaria gestite  dal
Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato». 
    Pertanto,  la  natura  del  contributo  regionale   non   sarebbe
desumibile dall'improprio nomen iuris utilizzato  nella  disposizione
impugnata, ma dalla sua funzione; esso,  infatti,  non  costituirebbe
propriamente un costo ambientale, bensi' «un mero sostegno  a  favore
di quei comuni nei cui territori ricadono le piu' importanti sorgenti
che alimentano gli schemi idrici della Basilicata». 
    3.- Preliminarmente, devono  essere  esaminate  le  eccezioni  di
inammissibilita' formulate dalla difesa regionale. 
    Quanto all'asserita contraddizione tra il  testo  del  ricorso  e
quello della delibera di impugnazione, dalla lettura di  quest'ultima
si evince che il Governo ha inteso distinguere le diverse  previsioni
recate dalla  disposizione  impugnata,  affermando  che  solo  quella
relativa  al  completamento  delle  opere  afferenti  alle  reti   di
distribuzione e' passibile  di  censura  di  incostituzionalita',  in
linea  quindi  con  quanto  indicato  nel  ricorso.  Non  e'   dunque
riscontrabile  alcuna  contraddizione  e  pertanto  l'eccezione  deve
essere dichiarata non fondata. 
    Parimenti infondata e' l'eccezione  di  inammissibilita'  che  fa
leva  sul   mancato   accesso   a   un'interpretazione   conforme   a
Costituzione. Secondo la  difesa  regionale,  il  ricorrente  avrebbe
operato un'«evidente trasposizione concettuale e [un] salto  logico»,
deducendo dalla finalita'  indicata  (il  completamento  delle  opere
afferenti alle reti di distribuzione) l'affermazione della competenza
degli enti locali. In realta' - anche a prescindere  dall'inesistenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   promosso   in   via
principale di un onere di esperire un  tentativo  di  interpretazione
conforme a Costituzione (tra le tante, sentenze n. 156 del 2016 e  n.
62 del 2012) - dal dato letterale  della  disposizione  impugnata  si
ricava chiaramente che il contributo di compensazione  ambientale  e'
riconosciuto ai comuni  (anche)  per  il  completamento  delle  opere
afferenti alle reti di distribuzione, sul presupposto che essi  siano
competenti a tal fine. Se cosi' non fosse (come appunto  contesta  il
ricorrente),  non  si  capirebbe  perche'  questo  contributo   debba
spettare ai comuni. 
    Infine,  la  Regione  Basilicata  eccepisce  che  la  misura  del
contributo di compensazione ambientale sarebbe stata determinata  con
la deliberazione della Giunta  della  Regione  Basilicata  22  luglio
2002, n. 1321 (Determinazione di misure di  compensazione  ambientale
in campo idrico), ben prima, quindi, dell'intervento della previsione
normativa impugnata. Pertanto, la misura del contributo sarebbe stata
stabilita  antecedentemente  alla  norma  in  esame,  con  atti   mai
impugnati. 
    Nemmeno questa eccezione puo' essere accolta. Secondo la costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,  infatti,  nei  giudizi   in   via
principale non si applica l'istituto dell'acquiescenza, atteso che la
norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte,  di  una
norma anteriore non impugnata, ha comunque l'effetto di reiterare  la
lesione da cui deriva l'interesse a ricorrere (tra le  piu'  recenti,
sentenze n. 56 e n. 16 del 2020, n. 290, n. 286 e n. 178 del 2019). 
    4.- Nel merito la questione e' fondata. 
    4.1.- L'art. 9,  paragrafo  1,  della  direttiva  2000/60/CE  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  23  ottobre  2000,  che
istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, ha
previsto per la prima volta il principio del recupero dei  costi  dei
servizi idrici, compresi i costi ambientali e  quelli  relativi  alle
risorse  (Environmental  and  Resource  Costs,  cosiddetti  ERC).  La
direttiva e' stata recepita dall'Italia con le disposizioni contenute
nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 (ai sensi  dell'art.  170,
comma 4, lettera r, di quest'ultimo). 
    L'art. 119, comma 1, del d.lgs. n.  152  del  2006  riproduce  la
formulazione dell'art. 9 della direttiva 2000/60/CE,  e  impegna  «le
Autorita' competenti» a tenere conto «del principio del recupero  dei
costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi  alla
risorsa, prendendo in considerazione l'analisi  economica  effettuata
in base all'Allegato 10 alla parte terza del presente decreto  e,  in
particolare, secondo il principio "chi inquina paga"». 
    L'art. 154, comma  1,  del  medesimo  d.lgs.  n.  152  del  2006,
stabilisce  che  «[l]a  tariffa  costituisce  il  corrispettivo   del
servizio idrico integrato  ed  e'  determinata  tenendo  conto  della
qualita' della risorsa idrica e del servizio fornito, delle  opere  e
degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di gestione delle
opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonche' di
una quota parte dei  costi  di  funzionamento  dell'ente  di  governo
dell'ambito, in modo che sia assicurata la  copertura  integrale  dei
costi di  investimento  e  di  esercizio  secondo  il  principio  del
recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga"». 
    Il  decreto  del  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela   del
territorio e del mare 24 febbraio 2015, n. 39 (Regolamento recante  i
criteri per la definizione del costo ambientale  e  del  costo  della
risorsa per i vari  settori  d'impiego  dell'acqua)  ha  stabilito  i
criteri tecnici e metodologici per determinare i costi  ambientali  e
della risorsa tenendo conto dei diversi utilizzi. 
    In particolare, questi criteri sono definiti dall'Allegato  A  al
d.m. n. 39 del  2015  (Linee  guida  per  la  definizione  del  costo
ambientale e del costo della risorsa per  i  vari  settori  d'impiego
dell'acqua, in attuazione degli obblighi di cui agli articoli 4, 5  e
9 della direttiva comunitaria 2000/60/CE). 
    4.2.- Nell'ambito  della  Regione  Basilicata,  stando  a  quanto
risulta dall'epigrafe della  deliberazione  della  Giunta  10  aprile
2015,  n.  459  (Misure  di  compensazione  ambientale  -  Annualita'
2015-2016), con la delib. Giunta reg. n. 1321  del  2002  sono  state
determinate le misure di compensazione ambientale in campo idrico.  A
quest'ultima deliberazione hanno fatto seguito altre  recanti  misure
attuative della prima e provvedimenti analoghi  anche  per  gli  anni
successivi. 
    Sul piano legislativo, l'art. 39,  comma  1,  della  legge  della
Regione Basilicata 18 agosto 2014, n. 26 (Assestamento  del  bilancio
di  previsione  per  l'esercizio  finanziario  2014  e  del  bilancio
pluriennale 2014/2016),  ha  previsto  il  riconoscimento  ai  comuni
macrofornitori di un contributo di compensazione ambientale  per  gli
esercizi  2015  e  2016  «[p]er  garantire  il   mantenimento   delle
condizioni ambientali delle fonti  di  approvvigionamento  idrico  da
acquifero e per dare seguito all'implementazione  di  politiche  tese
allo sviluppo  sostenibile»,  quindi  per  le  stesse  finalita'  non
censurate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in
esame. Alla legge reg. Basilicata n. 26 del 2014 e'  poi  stata  data
attuazione con la citata delib. Giunta reg. n. 459 del 2015. 
    4.3.- Quanto allo specifico tema delle opere afferenti alle  reti
di  distribuzione  delle  risorse  idriche,  occorre  richiamare   la
normativa recata dal citato d.lgs. n. 152 del 2006, secondo la quale:
«[g]li enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano
obbligatoriamente all'ente di governo dell'ambito, individuato  dalla
competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale
e' trasferito l'esercizio  delle  competenze  ad  essi  spettanti  in
materia  di  gestione  delle  risorse  idriche,   ivi   compresa   la
programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo  143,
comma 1» (art. 147, comma 1, secondo periodo); «[g]li acquedotti,  le
fognature, gli impianti di  depurazione  e  le  altre  infrastrutture
idriche di  proprieta'  pubblica,  fino  al  punto  di  consegna  e/o
misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli  articoli  822  e
seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e  nei
limiti stabiliti dalla legge» e «[s]petta anche all'ente  di  governo
dell'ambito la tutela [di questi] beni» (art.  143,  commi  1  e  2);
«[...] l'ente di governo dell'ambito  provvede  alla  predisposizione
e/o  aggiornamento  del  piano  d'ambito»,  che  e'  costituito,  tra
l'altro, dal «programma degli interventi»,  il  quale  «individua  le
opere di manutenzione straordinaria e le nuove opere  da  realizzare,
compresi  gli  interventi  di  adeguamento  di  infrastrutture   gia'
esistenti, necessarie al raggiungimento almeno dei livelli minimi  di
servizio,  nonche'  al  soddisfacimento  della  complessiva   domanda
dell'utenza, tenuto conto di quella collocata nelle  zone  montane  o
con minore densita' di  popolazione»,  inoltre  il  «programma  degli
interventi, commisurato all'intera gestione, specifica gli  obiettivi
da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i
tempi di realizzazione» (art. 149, commi 1 e 3); «[i]l  rapporto  tra
l'ente di governo dell'ambito ed il  soggetto  gestore  del  servizio
idrico integrato e' regolato da una convenzione predisposta dall'ente
di  governo  dell'ambito  sulla  base  delle  convenzioni  tipo,  con
relativi  disciplinari,   adottate   dall'Autorita'   per   l'energia
elettrica, il gas ed  il  sistema  idrico  [...]»,  le  quali  devono
prevedere,  tra   l'altro,   «g)   l'obbligo   di   provvedere   alla
realizzazione del Programma degli interventi» (art. 151, commi 1 e 2,
lettera g); «[n]el Disciplinare allegato alla Convenzione di gestione
devono  essere  anche  definiti,  sulla  base  del  programma   degli
interventi, le opere e  le  manutenzioni  straordinarie,  nonche'  il
programma temporale e finanziario di esecuzione» (art. 151, comma 4);
«[l]e infrastrutture idriche di proprieta' degli enti locali ai sensi
dell'articolo 143 sono affidate in concessione  d'uso  gratuita,  per
tutta la durata  della  gestione,  al  gestore  del  servizio  idrico
integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei  termini  previsti
dalla convenzione e dal relativo disciplinare» (art. 153,  comma  1);
«[...]  [i]l  gestore  e'  tenuto  a  versare  i  relativi  proventi,
risultanti  dalla   formulazione   tariffaria   definita   ai   sensi
dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'ente di governo
dell'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione
degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti  di
depurazione previsti dal piano d'ambito» (art. 155,  comma  1);  «[i]
progetti definitivi delle opere, degli interventi previsti nei  piani
di investimenti compresi nei piani d'ambito di cui  all'articolo  149
del presente decreto, sono approvati  dagli  enti  di  governo  degli
ambiti  o  bacini  territoriali  ottimali  e  omogenei  [...]»  (art.
158-bis, comma 1). 
    Dal quadro normativo riassunto  emerge  una  generale  competenza
degli enti di governo dell'ambito quanto alle reti di distribuzione e
agli interventi ordinari  e  straordinari  sulle  stesse.  Le  uniche
eccezioni  a  questo  assetto  sono  costituite  da  quanto  previsto
dall'art. 147, comma 2-bis, che fa salve alcune gestioni autonome del
servizio idrico,  e  dall'art.  157,  comma  1,  che  riconduce  alla
competenza degli enti locali  «le  opere  necessarie  per  provvedere
all'adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici
ed a concessioni per nuovi edifici in zone gia' urbanizzate [...]». 
    Questa Corte e' stata chiamata piu' volte a definire gli spazi di
competenza degli enti locali e degli enti di governo dell'ambito e  a
pronunciarsi sul regime giuridico cui soggiacciono le  infrastrutture
idriche (sentenze n. 114 del 2012, n. 320 del 2011, n. 325 del 2010 e
n. 246 del 2009), e in questo contesto ha affermato, tra l'altro, che
il d.lgs.  n.  152  del  2006  «non  prevede  ne'  espressamente  ne'
implicitamente la possibilita' di separazione  della  gestione  della
rete idrica da quella di erogazione del servizio  idrico;  mentre  in
varie disposizioni del decreto  sono  riscontrabili  chiari  elementi
normativi nel senso della loro non separabilita'»  (sentenza  n.  307
del 2009), e che, «[a]i sensi dell'art. 153, comma 1, del  d.lgs.  n.
152 del 2006, le infrastrutture  idriche  di  proprieta'  degli  enti
locali devono essere affidate in concessione d'uso gratuita per tutta
la durata della gestione al gestore del servizio idrico integrato che
ne assume i  relativi  oneri  secondo  le  clausole  contenute  nella
convenzione (che regola i rapporti tra ente locale e gestore)  e  nel
relativo disciplinare» (sentenza n. 93 del 2017). 
    4.4.- A fronte del quadro normativo  descritto,  la  disposizione
regionale impugnata non distingue tra la  generale  competenza  degli
enti di governo dell'ambito e  quella  marginale  degli  enti  locali
nelle circoscritte ipotesi sopra  indicate,  e  utilizza  invece  una
formula  che,  per  la  sua  generalita',  e'  idonea  a  comprendere
qualsiasi opera afferente alle reti di  distribuzione  delle  risorse
idriche. 
    Per questa ragione, l'art. 7 della legge reg. Basilicata n. 2 del
2019 si pone in contrasto con le richiamate disposizioni  in  materia
di tutela delle acque, contenute nella Parte III del  d.lgs.  n.  152
del 2006, che, per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  sono
espressive  della   competenza   statale   in   materia   di   tutela
dell'ambiente ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost. (sentenze n. 153, n. 65 e n. 44 del 2019, n. 68 del 2018  e  n.
229 del 2017). 
    Si  tratta  infatti  di   «disposizioni   aventi   finalita'   di
prevenzione e  riduzione  dell'inquinamento,  risanamento  dei  corpi
idrici   inquinati,   miglioramento   dello   stato   delle    acque,
perseguimento di usi sostenibili e durevoli  delle  risorse  idriche,
mantenimento della capacita' naturale di  autodepurazione  dei  corpi
idrici e della capacita' di sostenere comunita'  animali  e  vegetali
ampie e diversificate, mitigazione degli effetti delle inondazioni  e
della  siccita',  protezione  e  miglioramento  dello   stato   degli
ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle  zone  umide
direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto  il  profilo
del fabbisogno idrico. Sono scopi  che  attengono  direttamente  alla
tutela delle condizioni intrinseche dei corpi idrici e che  mirano  a
garantire determinati livelli qualitativi e quantitativi delle acque»
(sentenze n. 229 del 2017 e  n.  254  del  2009;  in  senso  analogo,
sentenza n. 246 del 2009). 
    E' appena il caso di osservare, inoltre, che la difformita' della
norma regionale impugnata rispetto a quanto disposto  dal  d.lgs.  n.
152 del 2006 non si traduce in una differenziazione del livello (piu'
o meno elevato)  di  tutela  dell'ambiente,  in  relazione  al  quale
potrebbe configurarsi  una  competenza  regionale  a  introdurre  una
maggior tutela del bene ambientale, ma nell'implicita  previsione  di
un  modello  organizzativo  di   gestione   delle   risorse   idriche
radicalmente diverso da quello predisposto dal legislatore statale in
attuazione della disciplina comunitaria. 
    Per le ragioni anzidette deve essere dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 2
del 2019, limitatamente alle parole  «nonche'  per  il  completamento
delle opere afferenti le reti di distribuzione». 
    5.- L'art.  11  della  legge  reg.  Basilicata  n.  2  del  2019,
rubricato «Disposizioni in materia di consorzi industriali»,  dispone
lo  stanziamento  di  una  somma  a  valere  sul  bilancio  triennale
2019-2021, finalizzata a garantire il conseguimento  degli  obiettivi
del piano di risanamento del consorzio per  lo  sviluppo  industriale
della Provincia di Potenza, approvato dalla Giunta regionale  con  la
deliberazione 10 settembre 2018, n. 918 (Art. 1,  comma  4,  L.R.  n.
34/2017 - Approvazione della proposta del  Commissario  Straordinario
del Piano di Risanamento per il Consorzio per lo Sviluppo Industriale
della Provincia di Potenza), e prevede le modalita' di erogazione  di
quelle somme in favore del menzionato consorzio. 
    La disposizione in parola e' impugnata  sull'assunto  che  questa
dazione di denaro pubblico consisterebbe in un  aiuto  di  Stato  che
avrebbe dovuto essere notificato  alla  Commissione  europea  per  la
preventiva autorizzazione. Sarebbe pertanto violato l'art. 117, primo
comma, Cost. 
    La Regione Basilicata eccepisce varie ragioni di inammissibilita'
della censura e nel merito contesta la riconducibilita' della  misura
finanziaria disposta dalla norma impugnata al novero degli  aiuti  di
Stato. 
    5.1.- Nelle more del presente giudizio l'intero art. 11 e'  stato
abrogato dall'art. 5, comma 2, della legge della  Regione  Basilicata
20 marzo 2020, n. 12 (Collegato alla legge  di  stabilita'  regionale
2020), a decorrere dal 24 marzo 2020 (ai  sensi  dell'art.  12  della
stessa legge reg. Basilicata n. 12 del 2020). 
    L'abrogazione dell'impugnato art. 11 si inserisce nel  quadro  di
un progetto piu' ampio perseguito dal legislatore lucano, finalizzato
a dotarsi di una legge di riordino per lo sviluppo industriale  (art.
5, comma 1), nelle more della cui approvazione, «al fine  di  evitare
l'interruzione dei servizi di interesse pubblico  indispensabili  per
la gestione delle aree industriali», lo stesso art. 5,  al  comma  3,
dispone «con le risorse gia' stanziate sul  Titolo  I,  missione  14,
programma 01, del bilancio regionale [...] un'assegnazione una tantum
di 2.500.000,00 euro al Consorzio Industriale di Potenza». 
    L'art. 11, oggetto dell'odierna impugnazione, e'  dunque  rimasto
in vigore dal 14 marzo 2019 (ai sensi dell'art. 23 della  legge  reg.
Basilicata n. 2 del 2019) al 24 marzo 2020 (data di entrata in vigore
della legge reg. Basilicata n. 12 del 2020). 
    Quanto alla sua applicazione medio tempore, occorre rilevare che,
per il 2019, il comma  2  dell'art.  11  stabiliva  che  «[p]er  dare
immediata attuazione al piano di  risanamento,  l'ufficio  competente
provvede, entro 15 giorni dall'entrata in vigore della presente legge
[id est, 29 marzo 2019],  all'impegno  delle  risorse  stanziate  nel
triennio  2019/2021  ed  alla  liquidazione  dell'importo   afferente
l'esercizio 2019». Mentre, per il 2020 (come pure per  il  2021),  il
comma 4 dell'art.  11  disponeva  che  «[l]e  risorse  afferenti  gli
esercizi finanziari 2020 e 2021 saranno trasferite entro il 31  marzo
dell'anno di riferimento, previa richiesta del legale  rappresentante
pro tempore del consorzio per lo sviluppo industriale della provincia
di Potenza, da produrre entro  il  15  febbraio,  accompagnata  dalla
relazione di cui al precedente comma». 
    Ne consegue che la norma censurata ha avuto applicazione  per  il
2019 ma non per il 2020, essendo intervenuta la sua abrogazione  poco
prima (24 marzo 2020) che scadesse il termine (31 marzo 2020) per  il
trasferimento  delle  risorse,  che  si  deve  ritenere  non   essere
avvenuto. Infatti, il legislatore regionale,  da  un  lato  (comma  2
dell'art. 5 della legge reg. Basilicata n. 12 del 2020), ha  abrogato
l'art. 11 della legge reg. Basilicata n. 2 del 2019, dall'altro  lato
(comma 3 dell'art. 5 della medesima legge reg. Basilicata n.  12  del
2020), ha stanziato, «nelle more dell'approvazione  della  legge  [di
riordino del comparto]», la stessa somma (2.500.000,00 euro) che  era
prevista per il 2020 dall'art. 11, comma 1, della legge reg. n. 2 del
2019, non imputandola espressamente all'anno 2020  ma  limitandosi  a
definirla «un'assegnazione una tantum». 
    Alla luce di quanto esposto si deve ritenere che sia  cessata  la
materia del contendere  in  ordine  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11 relativa alle  somme  stanziate  per  gli
anni 2020 e 2021. Per costante orientamento di questa Corte, infatti,
qualora  la  modifica  intervenuta  in  pendenza  di  giudizio  abbia
carattere satisfattivo  delle  pretese  del  ricorrente  e  la  norma
abrogata non abbia trovato medio tempore applicazione, e' pronunciata
la cessazione della materia del  contendere  (tra  le  piu'  recenti,
sentenze n. 78, n. 70, n. 25 e n. 5 del 2020, ordinanza  n.  101  del
2020). 
    Si  deve  invece  escludere  che  sia  cessata  la  materia   del
contendere in ordine alla questione  di  legittimita'  costituzionale
relativa alla parte della disposizione  impugnata  che  si  riferisce
all'anno 2019, dovendosi ritenere che essa abbia  avuto  applicazione
nel periodo di vigenza dell'art. 11 (tra le piu' recenti, sentenza n.
16 del 2020). 
    5.2.- Preliminarmente,  devono  essere  esaminati  i  profili  di
inammissibilita' eccepiti dalla difesa regionale. 
    La Regione resistente osserva, tra  l'altro,  che  il  ricorrente
avrebbe  dedotto  la  qualificazione  come  aiuto  di   Stato   dello
stanziamento previsto dalla norma  impugnata  dalla  natura  di  ente
pubblico economico del citato consorzio, «omettendo  di  considerarne
gli  ulteriori  elementi  costitutivi  che  connotano  e  qualificano
l'intervento come aiuti di  Stato,  sul  piano  soggettivo  (soggetto
beneficiario operatore  economico  che  agisce  in  libero  mercato),
finalistico (idoneita' dell'intervento ad incidere sugli  scambi  tra
Stati membri) ed effettuale (idoneita' dell'intervento a falsare o  a
minacciare di falsare la concorrenza)». 
    L'eccezione e'  fondata.  Il  ricorrente  si  limita  infatti  ad
affermare che  nel  caso  di  specie  si  tratta  di  «ente  pubblico
economico, soggetto quindi che esercita attivita' imprenditoriale», e
che «la stessa Regione Basilicata, nella sua legge n.  18/2020  [...]
espressamente riconduce le erogazioni in questione alla materia degli
aiuti di Stato». 
    Si tratta  di  una  motivazione  che  non  puo'  essere  ritenuta
sufficiente  a  sostenere  la  censura  prospettata,   gravando   sul
ricorrente l'onere di provare l'esistenza dei requisiti  che  possano
consentire di ritenere integrabile  la  nozione  di  aiuto  di  Stato
vietato dall'art. 107  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE) (sentenza n. 185 del 2011). 
    Gli aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno,  secondo
la nozione ricavabile dall'art. 107 TFUE, consistono in  agevolazioni
di natura pubblica, rese in qualsiasi forma,  in  grado  di  favorire
talune imprese o talune produzioni  e  di  falsare  o  minacciare  di
falsare in tal modo la concorrenza,  nella  misura  in  cui  incidono
sugli scambi tra gli Stati membri. 
    Questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  che   «i   requisiti
costitutivi di detta nozione, individuati dalla legislazione e  dalla
giurisprudenza comunitaria, possono  essere  cosi'  sintetizzati:  a)
intervento da parte dello Stato o di una sua articolazione o comunque
impiego di risorse pubbliche a favore di un operatore  economico  che
agisce in libero mercato; b) idoneita' di tale intervento ad incidere
sugli scambi tra Stati membri; c) idoneita' dello stesso a  concedere
un vantaggio al suo beneficiario in modo tale da falsare o minacciare
di falsare la concorrenza (Corte di  giustizia  dell'Unione  europea,
sentenza 17 novembre 2009, C-169/08); d)  dimensione  dell'intervento
superiore  alla  soglia  economica  minima  che  determina   la   sua
configurabilita' come aiuto "de minimis"  ai  sensi  del  regolamento
della Commissione n. 1998/2006, del  15  dicembre  2006  (Regolamento
della Commissione relativo all'applicazione degli articoli  87  e  88
del trattato agli aiuti d'importanza minore "de minimis")»  (sentenza
n. 299 del 2013; in senso analogo sentenze n. 179 del 2015 e  n.  249
del 2014). 
    Per un verso, dunque, la nozione di  aiuto  di  Stato  ha  natura
complessa, sicche'  la  sua  applicazione  richiede  una  valutazione
articolata, per altro verso l'ordinamento dell'Unione europea riserva
alla  competenza  esclusiva  della  Commissione  la  verifica   della
compatibilita' dell'aiuto con il mercato interno,  nel  rispetto  dei
regolamenti di procedura in vigore. Per parte sua,  questa  Corte  ha
gia' precisato che «[a]i giudici nazionali spetta solo l'accertamento
dell'osservanza dell'art. 108, n.  3,  TFUE,  e  cioe'  dell'avvenuta
notifica dell'aiuto. Ed e'  solo  a  questo  specifico  fine  che  il
giudice nazionale, ivi  compresa  questa  Corte,  ha  una  competenza
limitata a verificare se la misura rientri nella  nozione  di  aiuto»
(sentenza n. 185 del 2011) ed in particolare «se i soggetti  pubblici
conferenti gli aiuti rispettino adempimenti e  procedure  finalizzate
alle verifiche di competenza della Commissione europea» (sentenza  n.
299 del 2013). 
    Alla luce di queste considerazioni, l'onere  di  motivazione  che
grava  sul  ricorrente  non  puo'  ritenersi   assolto   dalla   mera
affermazione della natura di aiuto di Stato della misura  finanziaria
prevista dalla legge regionale, che finirebbe per far  gravare  sulla
resistente l'onere di dimostrare la  mancata  riconducibilita'  dello
stanziamento al novero degli aiuti di Stato  e  su  questa  Corte  un
indebito compito di ricostruzione della ratio e delle caratteristiche
della misura censurata, al fine della verifica del rispetto dell'art.
108, paragrafo 3, TFUE. 
    La mancata indicazione  degli  argomenti  atti  a  suffragare  la
censura proposta e' causa  di  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge reg.  Basilicata
n. 2 del 2019,  nella  parte  in  cui  fa  riferimento  all'esercizio
finanziario 2019.