TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA 
 
    Il giudice sciolta la riserva assunta all'udienza  del  2  aprile
2019, ha pronunciato la seguente: ordinanza con  l'atto  introduttivo
del presente giudizio per convalida di sfratto, Palazzo  Foresti  Srl
ha allegato: 
      1) contratto di locazione ad uso abitativo dal 1° ottobre 2008,
registrato 23 ottobre 2008, stipulato con Riccardo Girardini; 
      2) l'inadempimento del conduttore in  relazione  ai  canoni  da
settembre 2018, fino alla notifica dell'atto di citazione. 
    All'udienza del 29 gennaio 2019, Riccardo Girardini ha chiesto il
termine ex art. 55, legge  n.  392/1978  per  il  pagamento  di  euro
1.702,00 per canoni scaduti, piu' canoni da scadere, ed  euro  604,10
oltre accessori a titolo di spese legali. 
    All'udienza del 2 aprile 2019 l'intimante ha  dato  atto  che  la
morosita' e' stata sanata ad eccezione delle spese processuali  e  ha
inserito per la convalida dello sfratto. 
    La norma che il Tribunale e' chiamato ad applicare e'  l'art.  55
legge n. 392/1978, ove si prevede: 
      la morosita' del conduttore nel pagamento  de  canoni  o  degli
oneri di cui all'articolo 5 puo' essere sanata in sede giudiziale per
non piu di tre volte nel corso di un  quadriennio  se  il  conduttore
alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni  scaduti
e per gli oneri accessori maturati, sino a tale data, maggirato dagli
interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal
giudice. 
    Ove il pagamento non avvenga in udienza, il  giudice,  dinanzi  a
compravate condizioni di difficolta' del conduttore,  puo'  assegnare
un termine non superiore a giorni novanta. 
    In tal caso rinvia l'udienza  a  non  oltre  dieci  giorni  dalla
scadenza del termine assegnato. 
    La morosita' puo' essere sanata, per non piu'  di  quattro  volte
complessivamente nel corso di un quadriennio, ed il termine di cui al
secondo comma e' di centoventi giorni, se l'inadempienza, protrattasi
per non oltre due  mesi,  e'  conseguente  alle  precarie  condizioni
economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto
e  dipendenti  da  disoccupazione,  malattie  o   gravi,   comprovate
condizioni di difficolta'. 
    II pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude  la
risoluzione del contratto. 
    La giurisprudenza di legittimita' e'  costante  nell'interpretare
la norma nel senso per cui «il comportamento del  conduttore  sanante
la morosita' deve consistere nell'estinzione di tutto  quanto  dovuto
per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del
termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile
di nuova verifica sotto il profilo della gravita'. Il giudice non  ha
infatti il potere di valutare se il  superamento,  ancorche'  esiguo,
del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per  sanare  la
morosita' costituisca inadempimento grave, ne' se il ritardo  dipenda
dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso  per  adempiere
[...] perche' il giudice ha soltanto la possibilita'  di  fissare  il
termine entro il limite minimo e massimo stabilito  dal  legislatore»
(tra le tante, Cassazione, sent. n. 5540/2012). 
    Tale interpretazione e' confortata  dal  tenore  letterale  della
nonna, in particolare nell'inciso  secondo  cui  la  risoluzione  del
contratto e' esclusa solo in  caso  di  «pagamento»,  parola  il  cui
significato allude in maniera univoca  all'atto  solutorio,  volto  a
estinguere il debito in base al valore nominale espresso nell'atto di
intimazione (o comunque nell'ordinanza di concessione del cd  termine
di grazia). 
    Sgombra ogni dubbio la precisazione successiva  «nei  termini  di
cui ai commi precedenti»; solo la prova di  aver  versato  «l'importo
dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori  maturati
sino a tale data, maggiorato degli interessi  legali  e  delle  spese
processuali liquidate in tale  sede  dal  giudice  [...]  esclude  la
risoluzione del contratto». 
    Il Tribunale e' consapevole che: 
      1) l'art. 663 comma III cpc subordina la convalida,  quando  lo
sfratto  e'  stato  intimato  per  mancato  pagamento   del   canone,
all'attestazione in giudizio dei locatore o del suo  procuratore  che
la morosita' persiste; 
      2)  l'art.  5  legge  n.  392/1978  indica  quale   motivo   di
risoluzione del contratto di locazione ad uso  abitativo  il  mancato
pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza; 
      3)  l'art.  55  della  medesima  legge  costituisce  una  norma
eccezionale che neutralizza le conseguenze del principio per cui, una
volta che il creditore abbia chiesto la risoluzione del contratto, il
debitore  inadempiente  «non   puo'   piu'   adempiere   la   propria
obbligazione» (art. 1453 comma III cc). 
    La rigidita' del  meccanismo  introdotto  dalla  concessione  del
termine  ex  art.  55,  ben   descritto   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', pare costituire  una  sorta  di  compensazione  per  il
sacrificio,   normalmente   non   contemplato,   dell'interesse   del
creditore, che abbia  chiesto  la  risoluzione,  al  venir  meno  del
rapporto contrattuale. 
    Non puo'  sottacersi,  pero',  che  il  gia'  menzionato  art.  5
introduce una qualificazione legale  della  «non  scarsa  importanza»
dell'adempimento, precludendo la valutazione ex art  1455 del  codice
civile del giudice in senso obiettivamente favorevole al locatore, se
si considera che e'  sufficiente  il  ritardo  di  venti  giorni  nel
pagamento di un solo canone. 
    Questa definizione dell'equilibrio tra gli interessi contrapposti
si prolunga inalterata dal 1978 al giorno d'oggi. Nei  quaranta  anni
di  vigenza  delle  due  norme  menzionate  il  contesto  sociale  ed
economico ha subito mutamenti che difficilmente  il  legislatore  del
1978 avrebbe potuto immaginare. La crisi del settore produttivo  e  i
tentativi di porre rimedio  a  questa  crisi  hanno  determinato  una
maggiore instabilita' dei rapporti di lavoro,  la  cui  remunerazione
appare, per chi non sia titolare di altre fonti di  reddito,  l'unica
via per ottenere la provvista per pagare i  canoni  di  locazione.  I
fenomeni migratori hanno ampliato le categorie di  persone  bisognose
di alloggio e, al tempo stesso, esposte alla difficolta'  di  trovare
le risorse economiche per adempiere alle proprie obbligazioni. 
    Sotto questo profilo,  l'impermeabilita'  letterale  e  semantica
dell'art. 55 l. cit. confligge con la  riflessione  giuridica,  ormai
giunta a compimento, in ordine alla clausola di buona fede  in  senso
obiettivo quale fonte di obblighi  di  considerazione  dell'interesse
della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio,  in  ogni
fase, anche quella patologica, del rapporto obbligatorio. 
    Sul  punto,  anche  per  l'autorevolezza  dell'estensore,   basti
menzionare, in termini generali, la  pronuncia  n.  21255/2013  della
Corte  di  Cassazione,  in  cui  si  chiarisce   che   «il   rapporto
obbligatorio precede e segue l'integrazione della vicenda negoziale -
intesa nella sua duplice dimensione di fatto storico e di fattispecie
programmatica - ed e' integrato nella  sua  piu'  intima  essenza  da
doveri di comportamento che [...]  appaiono  piuttosto  funzionati  a
governare secondo buona fede i  differenti  aspetti  della  complessa
vicenda interpersonale dipanatasi tra le parti, cosi' operando  nella
(diversa e piu' ampia) logica  del  rapporto  e  della  (complessita'
della) fattispecie». 
    Questi doveri di comportamento condizionano, piu' in particolare,
anche l'esercizio dei diritti potestativi, dal momento che «anche  in
presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti  a
rispettare il principio generale della buona fede ed  il  divieto  di
abuso del diritto, preservando  l'uno  gli  interessi  dell'altro.  E
potere  di  risolvere  di  diritto  il  contratto  avvalendosi  della
clausola risolutiva  espressa,  in  particolare,  e'  necessariamente
governato dal principio di buona fede,  da  tempo  individuato  dagli
interpreti sulla base del dettato normativa (art. 1175,  1375,  1356,
1366, 1371, c.c., ecc.)  come  direttiva  fondamentale  per  valutare
l'agire dei privati e come concretizzazione delle  regole  di  azione
per i contraenti in  ogni  fase  del  rapporto  (precontrattuale,  di
conclusione e di esecuzione del contratto).  Il  principio  di  buona
fede si pone allora, nell'ambito  della  fattispecie  dell'art.  1456
c.c.,    come    canone    di    valutazione    sia    dell'esistenza
dell'inadempimento,  sia  del  conseguente  legittimo  esercizio  del
potere unilaterale di risolvere il contratto,  al  fine  di  evitarne
l'abuso ed impedendone l'esercizio ove contrario ad essa (ad  esempio
escludendo i comportamenti  puramente  pretestuosi,  che  quindi  non
riceveranno   tutela   dall'ordinamento)»   (Cassazione,   sent.   n.
23868/2015). 
    Gia' da tempo, la S.C. aveva peraltro affermato che «il principio
di  buona  fede  (intesa,  questa,  nel  senso  sopra  chiarito  come
requisito  della  condotta)  costituisce  ad  un  tempo  criterio  di
valutazione  e  limite  anche  del  comportamento  discrezionale  del
contraente dalla cui volonta' dipende (in parte) l'avveramento  della
condizione», in quanto e' «proprio l'elemento potestativo  quello  in
relazione al quale il dovere di comportarsi  secondo  buona  fede  ha
piu' ragion d'essere, perche' e' con riguardo a quell'elemento che la
discrezionalita' contrattualmente attribuita alla parte  deve  essere
esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza»  (SS.UU.,
sent. n. 18450/2005). 
    Dal punto di vista processuale, la Corte di Cassazione, a partire
da SS.UU. n. 23726/2007, e' costante nell'affermare due principi: 
      «a) la regola  di  correttezza  e  buona  fede,  che  specifica
all'interno del rapporto obbligatorio la necessita' di soddisfare gli
«inderogabili  doveri  di  solidarieta'»,  il  cui   adempimento   e'
richiesto dall'art. 2 Cost.,  regola  che  viene  violata  quando  il
creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del debitore; 
      b) la garanzia del processo giusto e di durata  ragionevole  di
cui al novellato art. 111 Cost., la quale esclude, innanzi tutto, che
possa  ritenersi  «giusto»  il  processo  che  costituisca  esercizio
dell'azione in forme eccedenti,  o  devianti,  rispetto  alla  tutela
dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltreche' la ragione
dell'attribuzione,  al   suo   titolare,   della   potestas   agendf»
(Cassazione, sent. n. 4228/2015, ove pure si  scrive  che  l'art.  24
Cost. «tutelando il diritto di azione non esclude certamente  che  la
legge possa richiedere, nelle  controversie  meramente  patrimoniali,
che per giustificare l'accesso al giudice il valore  economico  della
pretesa debba superare una soglia minima di rilevanza, innanzi  tutto
economica e, quindi, anche giuridica»). 
    Se e' vero che (solo) il pagamento nei termini indicati dall'art.
55 comma I 1. cit. esclude la risoluzione,  cio'  significa  che,  in
sede di' udienza successiva  alla  concessione  del  termine  cd  «di
grazia», il giudice non potra' valutare se e in che misura: 
      1) per il peculiare atteggiarsi del caso concreto, anche  nella
fase patologica del rapporto, sussista  un  dovere  dei  locatore  di
considerare l'interesse del conduttore nei  limiti  dell'apprezzabile
sacrificio del proprio; 
      2) l'inadempimento del conduttore, per come allegato in atto di
intimazione  e  per  come  risultante  all'udienza  successiva   alla
concessione del termine ex art. 55 comma Il 1. cit., abbia  inciso  e
incida nella sfera giuridica del locatore; 
      3) il  pagamento  del  conduttore,  in  ipotesi  incompleto,  a
seguito  della  concessione  del  termine,  abbia  eroso  il   debito
complessivo; 
      4) l'esistenza di pregresse morosita', in ipotesi sanate, anche
tramite il necessario  ricorso  del  locatore  all'assistenza  di  un
legale, abbia contraddistinto la vita del rapporto; 
      5) conclusivamente, il persistere della richiesta di  convalida
di sfratto all'udienza successiva alla concessione del cd termine  di
grazia integri una modalita'  di  esercizio  del  diritto  di  azione
eccedente o deviante rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale,
o, peggio, in assenza di qualsiasi interesse sostanziale da tutelare. 
    Se i doveri sostanziali di comportamento  e  la  cd  «buona  fede
processuale», delineati  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  si
fondano sul principio di  solidarieta'  espresso  dall'art.  2  della
Costituzione, non vi e' ragione di ritenere che l'eccezionalita'  del
cd «sub procedimento di  sanatoria»  di  cui  all'art.  55  legge  n.
392/1978 lo renda immune dal vaglio di compatibilita'  con  questo  e
altri valori espressi dalla Carta Costituzionale. 
    I nodi critici sono due: 
      1) il conduttore non paga le spese processuali; 
      2) il conduttore paga quasi  del  tutto  la  somma  dovuta  per
canoni (oppure oneri accessori). 
    Per quanto riguarda il primo aspetto, il  Tribunale  ritiene  che
sia astrattamente  configurabile  un  dovere  «di  solidarieta'»  del
locatore di considerare l'interesse del conduttore alla  prosecuzione
del rapporto contrattuale ove il debito per  canoni/oneri  sia  stato
colmato a seguito della concessione del termine ex art. 55  comma  II
1. cit., ma residui il pagamento delle spese legali. 
    I presupposti di questo dovere sono evidenti:  le  condizioni  di
difficolta' economica del conduttore, nel caso di specie da ritenersi
implicite nella mancata  adduzione  di  altre  ragioni/eccezioni  che
giustifichino l'inadempimento dell'obbligo di pagare i canoni, tenuto
conto, altresi', che parte intimata in udienza non si e' opposta alla
richiesta del termine; la natura del suo interesse abitativo, il  cui
fondamento costituzionale (delineato da Corte  Costituzionale,  sent.
n. 404/1988) non puo' passare in secondo piano. 
    Per altro verso, anche ammettendo che la mancata rifusione  delle
spese processuali integri un  sacrificio  apprezzabile  (infatti,  se
dovessero rimanere a  carico  del  locatore,  i  costi  del  processo
«giusto», cioe' sorretto dall'esistenza di un  interesse  sostanziale
da tutelare, rimarrebbero a carico della parte  che  aveva  ragione),
tale sacrificio  non  e'  mai  attuale  all'udienza  successiva  alla
concessione del termine ex art. 55 comma.  II  1.  cit.,  perche'  le
spese ben potrebbero essere rifuse una volta definitasi la  procedura
(come accade, per esempio, in caso di pagamento della somma  ingiunta
in corso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in  cui  le
spese di lite, a fronte  di  una  pronuncia  di  revoca  del  decreto
ingiuntivo, di regola sono poste a  carico  dell'opponente,  nei  cui
confronti potranno essere recuperate in seguito). 
    Si tratta, a ben vedere, dell'unica ipotesi in cui  l'obbligo  di
pagare le spese processuali per  la  parte  virtualmente  soccombente
sorge prima delle definizione del  processo,  dal  momento  che,  per
l'inosservanza  di  tale  obbligo,  e'  prevista  una  sanzione   che
consiste, con un notevole salto logico, nella reale soccombenza. 
    Del resto, la norma non consente, in caso  di  mancato  pagamento
delle spese processuali a seguito della concessione  del  termine  ex
art. 55 comma II 1. cit,, ne'  di  «escludere  la  risoluzione»,  con
condanna dell'intimante al loro pagamento, ne' di mutare il rito  per
verificare in che misura il mancato pagamento, se protrattosi,  abbia
inciso sull'economia complessiva del rapporto. 
    L'apprezzabile sforzo di evitare una pronuncia  che  obblighi  il
conduttore al rilascio dell'immobile per il mancato pagamento di  una
somma (a tutto voler  concedere)  solo  indirettamente  collegata  al
rapporto di  locazione  e'  stato  di  recente  tradotto  in  termini
operativi dal Protocollo del Tribunale di Bologna per il procedimento
per convalida di sfratto (aggiornamento 2017, punto 14), ove e' stato
previsto che, se il conduttore intimato, in  prima  udienza,  paga  o
dimostra di aver pagato, dopo  la  notifica  dell'atto  introduttivo,
l'intero debito per canoni/oneri, ma non le  spese,  il  giudice,  se
richiesto,  «dichiarera'  cessata  la  materia   del   contendere   e
condannera' l'intimato  al  pagamento  delle  spese  processuali  con
ordinanza avente valore di sentenza». 
    Ad avviso del Tribunale, una pronuncia che obblighi  al  rilascio
diventa tanto  piu'  aspra  ove  il  conduttore,  nonostante  le  sue
condizioni  di  difficolta'  economica,  abbia  recuperato  le  somme
(spesso ingenti, tenuto conto della situazione reddituale) per pagare
i canoni dopo la concessione del termine ex art. 55 comma II I. cit.,
ripristinando,  seppure  faticosamente,  l'equilibrio   contrattuale,
mediante la soddisfazione, seppure tardiva, dell'interesse  economico
che aveva mosso il locatore alla stipula del contratto. 
    La  differenza  tra  cio'  che  e'  necessario   per   soddisfare
l'interesse del locatore (estinguere il debito  per  canoni/oneri)  e
cio' che e' necessario per «escludere la risoluzione», per quanto  in
origine spiegabile con  la  forzata  abdicazione  all'interesse  alla
caducazione del rapporto,  appare  oggi,  per  le  motivazioni  sopra
esposte, nella misura in cui  consente  al  locatore  di  chiedere  e
ottenere, comunque e in ogni caso, la convalida: 
      1) eccedente l'interesse sostanziale del  locatore  dedotto  in
contratto,   che   dovrebbe   costituire   l'oggetto   della   tutela
giurisdizionale; 
      2) connotata da un'ingiustificabile valenza di  emenda  per  il
conduttore, che contraddice il  riconoscimento  della  condizione  di
difficolta' economica da cui ha avuto origine  il  mancato  pagamento
dei canoni; 
      3) mortificante lo  sforzo  del  conduttore  che,  pur  essendo
riuscito, nonostante le sue condizioni di  difficolta'  economica,  a
recuperare la somma necessaria per pagare il debito per  canoni/oneri
(per esempio, destinando i primi stipendi di un nuovo lavoro,  oppure
vendendo beni di proprieta'), sarebbe destinatario di  una  pronuncia
identica a quella che' ci sarebbe stata qualora tale sforzo non fosse
stato profuso; 
      4) decisiva ai fini di una pronuncia  che  incide  sul  diritto
all'abitazione di persone per cui e' facile immaginare  l'assenza  di
alternative valide. 
    Si potrebbe obiettare che  queste  considerazioni  tengono  conto
dell'interesse solo di una delle parti e che, specie per  chi  tragga
dal rapporto di locazione la propria unica fonte di reddito,  la  non
fisiologica esecuzione del contratto,  unita  al  pericolo  di  dover
sostenere il costo delle spese processuali, costituisca di per se' un
sacrificio apprezzabile. 
    A tale obiezione potrebbe replicarsi che la  norma  impedisce  di
valutare  ogni  aspetto  della  specifica  situazione  all'esame  del
Tribunale, perche' e' evidente che la valutazione dell'interesse  del
conduttore  dovrebbe  essere  necessariamente  compiuta   in   chiave
comparativa con l'interesse del locatore. La valutazione  comparativa
potrebbe avere esito diverso a seconda, per esempio, che il  locatore
abbia o non abbia fonti di reddito alternative. 
    Il  Tribunale  e'  consapevole  che  la  Consulta  si   e'   gia'
pronunciata sulla legittimita' costituzionale dell'art. 551. cit.: 
      1) con ordinanza n. 315/1986, in cui  la  questione  posta,  in
epoca    risalente,    riguardava    aspetti    diversi,    afferenti
all'impossibilita' per il conduttore di chiedere il termine  ex  art.
55 comma II I.cit. anche nell'ulteriore corso del procedimento ovvero
per il giudice di concederlo in sede di ordinanza di rilascio ex art.
665 cpc; 
      2) con sentenza n.  2/1992,  in  cui  la  Consulta  ha  escluso
l'irragionevolezza dell'art. 55  nell'interpretazione  fornita  dalla
Corte di Cassazione, secondo cui la richiesta del cd termine ex  art.
55  comma  II  1.  cit.  puo'  essere  formulata  solo  in  sede   di
procedimento speciale di convalida di sfratto e non in  un  ordinario
giudizio a cognizione piena instaurato dal locatore per  ottenere  la
risoluzione del contratto; 
      3) con ordinanza n. 410/2001, in cui e' stata affrontata la non
irragionevole discriminazione di  disciplina  tra  locazioni  ad  uso
abitativo e locazioni ad uso non abitativo circa la  possibilita'  di
chiedere il termine ex art. 55 comma II 1. cit.. 
    Nondimeno, il Tribunale ritiene che il profilo qui sollevato  sia
diverso,  anche  alla  luce  del  mutamento  della  cornice  storica,
economica e sociale, per cui ha ragione di porsi il dubbio in  ordine
al se la contropartita alla deroga all'art. 1453 comma  III  cc,  che
consiste nella possibilita' per il locatore di utilizzare, in sede di
procedimento per convalida di sfratto, un meccanismo rigido  sia  dal
punto di vista dell'onere imposto al conduttore (pagamento  di  tutto
il debito per canoni e oneri), sia dal punto di vista  temporale  (un
pagamento  effettuato  all'ottantanovesimo  giorno  escluderebbe   la
risoluzione, un pagamento  effettuato  al  novantunesimo  giorno  no,
senza verificare  se  cio'  sia  dipeso  meno  da  comportamenti  del
conduttore ispirati a buona fede),  sia  dal  punto  di  vista  della
regolazione delle spese processuali, singolarmente  da  pagare  prima
della definizione del processo, resista: 
      1) all'esame del tempo; 
      2) alle, ormai compiute, riflessioni giurisprudenziali che, per
un verso,  muovono  dal  dovere  di  solidarieta'  per  integrare  il
contenuto  del  rapporto  obbligatorio   evitando   che   la   tutela
giurisdizionale consenta di approdare a un  equilibrio  inaccettabile
degli interessi in gioco  e,  per  un  altro,  attribuiscono  rilievo
centrale al concreto modo di atteggiarsi del rapporto tra  le  parti,
anche nei suoi  risvolti  patologici,  per  individuare  risposte  di
giustizia calibrate sulla diversita' delle situazioni. 
    Se, come e' stato osservato  dalla  Consulta  nella  sentenza  n.
2/1992,  la  ratio  della  legge  n.  392/1978  e'   di   «conservare
continuita'  al  rapporto   di   locazione»,   appare   difficilmente
giustificabile,  nel  presente  contesto  storico,  alla   luce   dei
menzionati  principi  costituzionali,  che   tale   continuita'   sia
pregiudicata in tutte le ipotesi in cui non  sia  accertata,  se  del
caso tramite un processo  a  cognizione  piena,  la  reale  incidenza
dell'inosservanza, quantitativa e/o  temporale,  del  cd  termine  di
«grazia» sull'equilibrio del rapporto. 
    Tanto premesso, occorre sospendere la causa promossa  da  Palazzo
Faresti S.r.l.,  promuovendo,  nell'ambito  della  stessa,  questione
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Tale questione, stante quanto fin qui  esposto,  ha  per  oggetto
l'art. 55 legge n. 392/1978 nella parte in cui,  prevedendo  che  «il
pagamento, nei  termini  di  cui  ai  commi  precedenti,  esclude  la
risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi  di  esclusione
della risoluzione in sede di procedimento per convalida  di  sfratto,
ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo
articolo per le sue condizioni di difficolta' economica, l'ipotesi in
cui residui il pagamento delle spese processuali. 
    Rispetto a tale norma, non  essendo  praticabile,  per  i  motivi
suesposti, un'interpretazione adeguatrice o  estensiva,  si  pone  un
dubbio - a parere del Tribunale, non manifestamente  infondato  -  di
conformita' rispetto: 
      1) al parametro costituito dal dovere di solidarieta' politica,
economica e sociale  ex  art.  2  Cost.,  che  costituisce,  come  la
giurisprudenza  di  legittimita'  ha  ripetutamente  argomentato,  il
fondamento della clausola generale di buona fede in senso  obiettivo,
che impone alla parte del rapporto obbligatorio, in ogni sua fase, di
considerare    l'interesse    della    controparte     nei     limiti
dell'apprezzabile sacrificio del proprio, in quanto non  consente  al
giudice di  valutare  l'entita'  di  questi  interessi  e  di  questi
sacrifici, imponendogli la pronuncia di risoluzione in sede  sommaria
anche nelle ipotesi in cui, a fronte della (sicura e  attuale,  salvo
prova  contraria)   compromissione   dell'interesse   abitativo   del
conduttore, il mancato pagamento  delle  spese  processuali,  che  il
locatore  potrebbe  comunque  ottenere  in  seguito  in   forza   del
provvedimento  definitorio  del  giudizio,   rappresenti   una   mera
eventualita'; 
      2) al parametro costituito dall'art. 3, comma 2  Cost.,  inteso
come ragionevolezza, che esclude il trattamento analogo di situazioni
differenti, quali, nella specie, devono essere ritenute: 
        2.1) la condizione del conduttore cui sia stato  concesso  il
termine ex art. 55 comma II 1. cit. e che non abbia pagato il  debito
per canoni e le spese processuali; 
        2.2) la condizione del conduttore cui sia stato  concesso  il
termine ex art. 55 comma II 1. cit. e che abbia pagato il debito  per
canoni e oneri ma non le spese processuali; infatti,  in  entrambi  i
casi, l'art. 55 comma V 1. cit. impone la risoluzione del contratto; 
      3) al parametro costituito dal principio del «giusto  processo»
di cui all'art. 111 Cost., inteso come  presidio  contro  l'esercizio
dell'azione in forme eccedenti,  o  devianti,  rispetto  alla  tutela
dell'interesse sostanziale, come  chiarito  dalla  giurisprudenza  di
legittimita', in quanto la norma impone la risoluzione del contratto,
cioe' la  compromissione  dell'interesse  abitativo  del  conduttore,
anche nei casi in cui, a fronte di un suo obiettivo sforzo,  date  le
condizioni di difficolta', la lesione  dell'interesse  economico  del
locatore, identificata dalla differenza  tra  quanto  determinato  in
sede di concessione del termine ex art. 55 comma II 1. cit. e  quanto
pagato dal conduttore, sia tollerabile nei  limiti  dell'apprezzabile
sacrificio,  avuto  riguardo  alle  condizioni  delle  parti,  oppure
soltanto eventuale, come nel caso delle spese processuali. 
    La questione, oltreche' non manifestamente infondata, per  quanto
fin qui esposto, appare  anche  dotata  di  rilevanza  rispetto  alla
fattispecie  in  esame:  dall'applicazione  della  norma,  dalla  cui
costituzionalita' si dubita, il Tribunale non puo' prescindere per la
definizione della controversia sottoposta al suo  esame,  in  cui  la
risoluzione del contratto dovrebbe essere pronunciata - a  fronte  di
un totale recupero dell'esposizione debitoria derivante dal contratto
e in assenza di approfondimenti meritevoli di cognizione piena  sulla
reale incidenza dell'inosservanza del  cd  termine  di  grazia  nella
sfera patrimoniale del locatore, qui una persona giuridica -  per  il
sol fatto del mancato pagamento  delle  spese  processuali  liquidate
all'udienza del 29 gennaio 2019. 
    Se  alla  logica  asimmetrica  e  perentoria  della   grazia   si
sostituisce la logica mite, paritetica e  costituzionalmente  fondata
della solidarieta', il risultato cui si perviene, nel caso di specie,
attraverso la pronuncia di risoluzione  imposta  dalla  norma  appare
tale da incidere in misura ingiustificata sull'interesse,  di  natura
personale, all'abitazione dell'intimato. 
    Ad avviso del Tribunale,  l'auspicata  scissione  tra  «sanatoria
della morosita'» (dovendosi ritenere compreso nella «morosita'» anche
il debito per spese processuali) ed «esclusione della risoluzione del
contratto» non dovrebbe avere ricadute sul tenore letterale dell'art.
55 comma I 1. cit., nel senso che, ferma  restando  la  spettanza  di
tutti i crediti - se ancora esistenti - il cui titolo  e'  costituito
dal  contratto  di  locazione  a  uso  abitativo,   la   liquidazione
«anticipata» delle spese  processuali  in  sede  di  concessione  del
termine di cui all'art. 55 comma II I. cit. potrebbe comunque  essere
opportuna per agevolare l'estinzione del giudizio prevenendo  ragioni
ulteriori di contenzioso. 
    Infine, nessuna preclusione alla proponibilita'  della  questione
incidentale puo' derivare dalla natura  sommaria  del  rito  esperito
dalla ricorrente, comunque annoverabile tra  i  possibili  giudizi  a
quibus, stante l'idoneita' ad assumere efficacia  omogenea  a  quella
del giudicato ex art.  2909  cc  del  provvedimento  definitorio  del
presente giudizio.