ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della
legge  della  Regione  Calabria  31  maggio  2019,  n.  14,   recante
«Interpretazione autentica del comma 1 dell'articolo 10  della  legge
regionale 2 marzo 2005, n.  8  (Collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2005)», promosso dal  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, con ricorso notificato  il  30  luglio-5  agosto  2019,
depositato in cancelleria il 6 agosto 2019, iscritto  al  n.  86  del
registro ricorsi 2019 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria; 
    udito il Giudice relatore Giovanni Amoroso ai sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in  data  9
giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 6 agosto 2019,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri  ha  impugnato  l'art.  1  della  legge  della
Regione Calabria 31 maggio  2019,  n.  14,  recante  «Interpretazione
autentica del comma 1 dell'articolo 10 della legge regionale 2  marzo
2005, n. 8 (Collegato alla manovra di finanza  regionale  per  l'anno
2005)», denunciandone il contrasto con  gli  artt.  3  e  97,  quarto
comma, della Costituzione. 
    Premette il ricorrente che l'art. 11 della  legge  della  Regione
Calabria  13  maggio  1996,   n.   8   (Norme   sulla   dirigenza   e
sull'ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale)  ha  previsto,
al comma  1,  l'istituzione  di  una  struttura  speciale  denominata
«Ufficio Stampa», inclusiva delle testate  giornalistiche  edite  dal
Consiglio regionale, struttura nella quale, fatti espressamente salvi
i rapporti di lavoro  gia'  in  corso,  «possono  essere  chiamati  a
contratto giornalisti professionisti  e  pubblicisti  iscritti  negli
albi professionali. Con deliberazione dell'Ufficio di  Presidenza  e'
definito il contingente di personale. L'incarico e' conferito per  la
durata della legislatura e puo' essere rinnovato». 
    Su tale norma, si evidenzia nello stesso ricorso  principale,  e'
in seguito intervenuto l'art. 10 della legge della Regione Calabria 2
marzo 2005, n. 8, concernente «Provvedimento generale  recante  norme
di tipo  ordinamentale  e  finanziario  (Collegato  alla  manovra  di
finanza regionale per l'anno 2005,  art.  3,  comma  4,  della  legge
regionale n. 8/2002)», eliminando l'ultimo periodo del comma  1  che,
in ordine alla durata dell'incarico,  stabiliva  che  lo  stesso  era
conferito  per  quella  della  legislatura  e   che   poteva   essere
eventualmente rinnovato. 
    A propria volta la disposizione impugnata  stabilisce  che  «[i]l
comma 1 dell'art. 10  della  legge  regionale  2  marzo  2005,  n.  8
(Collegato alla manovra di finanza regionale  per  l'anno  2005),  di
soppressione dell'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo  11  della
legge regionale 13  maggio  1996,  n.  8  (Norme  sulla  dirigenza  e
sull'ordinamento  degli  Uffici  del   Consiglio   regionale),   deve
intendersi come confermativo, senza  soluzione  di  continuita',  dei
rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore». 
    Il ricorso statale denuncia, in primo luogo, il  contrasto  della
norma  con  l'art.  97,  comma  quarto,  Cost.,  trattandosi  di  una
disposizione volta alla stabilizzazione dei  rapporti  di  lavoro  di
giornalisti  professionisti  e  pubblicisti   che   gia'   prestavano
servizio, giusta la stipula di contratti individuali non preceduti da
un  pubblico  concorso  o  da  altra  selezione  comparativa,  presso
l'Ufficio stampa del Consiglio regionale al momento  dell'entrata  in
vigore dell'art. 10, comma 1, della legge  reg.  Calabria  n.  8  del
2005. Il  ricorrente  sottolinea  che,  per  costante  giurisprudenza
costituzionale, il concorso pubblico costituisce la forma generale  e
ordinaria  di  reclutamento  per  il  pubblico  impiego,  in   quanto
meccanismo strumentale al canone di efficienza  dell'amministrazione,
al quale puo' derogarsi solo  in  presenza  di  peculiari  situazioni
giustificatrici  aventi  il  proprio  limite  nella   necessita'   di
garantire il buon andamento della pubblica amministrazione e  il  cui
controllo di costituzionalita' implica un  vaglio  di  ragionevolezza
della scelta compiuta dal legislatore. 
    Il  ricorrente  lamenta,  inoltre,  il  contrasto   della   norma
denunciata  con  l'art.  3  Cost.,  poiche'  la  stessa,   nonostante
l'auto-qualificazione  in  tal   senso,   non   puo'   ritenersi   di
interpretazione autentica della disposizione della  quale  assume  di
chiarire la portata,  essendo  priva  dei  caratteri  della  relativa
"categoria", sicche' si tratterebbe  di  una  previsione  retroattiva
priva di adeguata giustificazione sul piano  della  ragionevolezza  e
non sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (viene  citata
la sentenza di questa Corte n. 132 del 2016). 
    2.- In data 12 settembre 2019, si e' costituita  in  giudizio  la
Regione Calabria, a mezzo  della  propria  Avvocatura,  chiedendo  la
declaratoria di inammissibilita' e/o di infondatezza del ricorso. 
    La Regione ha premesso anch'essa  una  ricostruzione  del  quadro
normativo di riferimento, evidenziando che l'art. 11 della legge reg.
Calabria  n.  8  del  1996,  nell'istituire  la  struttura   speciale
denominata «Ufficio Stampa» regionale, ha voluto dotare il  Consiglio
regionale di una struttura ad hoc per assolvere alle proprie esigenze
comunicative utilizzando personale qualificato fino al termine  della
legislatura, salvo possibili rinnovi, per  l'ipotesi  di  persistenza
del carattere fiduciario del rapporto. 
    Nell'atto di costituzione si ricorda che, con la successiva legge
7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attivita' di  informazione  e
di comunicazione delle  pubbliche  amministrazioni),  il  legislatore
statale ha regolato la materia prevedendo all'art. 9,  comma  2,  che
gli uffici stampa  delle  pubbliche  amministrazioni  possono  essere
formati da personale iscritto  all'albo  nazionale  dei  giornalisti,
individuati tra dipendenti delle  pubbliche  amministrazioni,  ovvero
nell'ambito di personale  estraneo  alle  stesse  utilizzato  con  le
modalita' di cui all'art. 7,  comma  6,  del  decreto  legislativo  3
febbraio 1993, n.  29  (Razionalizzazione  dell'organizzazione  delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia  di
pubblico impiego, a norma dell'articolo  2  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421), ora confluito nell'art. 7 del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche). 
    Sottolinea  quindi  la  Regione  Calabria  che,   come   peraltro
riconosciuto dalla stessa Corte dei conti (viene citata la  pronuncia
della sezione giurisdizionale d'appello  per  la  Regione  Siciliana,
sentenza 1° febbraio 2012, n. 48), e' superflua l'apposizione  di  un
termine ai rapporti di lavoro con il personale  degli  uffici  stampa
per la peculiarita' degli stessi, che si fondano sulla persistenza di
un rapporto fiduciario di collaborazione con l'ente senza  che  possa
ipotizzarsi, ne' di  fatto  ne'  a  seguito  dell'introduzione  della
disposizione  impugnata,  alcuna  stabilizzazione,  con   conseguente
insussistenza della violazione dell'art. 97, quarto comma, Cost. 
    La Regione Calabria assume  inoltre  l'infondatezza  del  ricorso
anche con riferimento  all'art.  3  Cost.,  sottolineando  la  natura
interpretativa della norma  denunciata,  in  quanto  intervenuta,  in
conformita' alla giurisprudenza  costituzionale,  per  attribuire  un
significato plausibile alla disposizione medesima  nell'ambito  delle
possibili varianti del testo originario (viene citata la sentenza  di
questa Corte n. 525 del 2000). 
    Rileva inoltre la Regione Calabria che, nel  caso  specifico,  vi
era un'obiettiva esigenza  di  fornire  un'interpretazione  autentica
della previsione normativa in considerazione delle diverse situazioni
giuridiche  esistenti   presso   l'Ufficio   stampa   regionale   (in
particolare tra i rapporti in corso fatti salvi dall'art.  11,  comma
1, della legge reg. Calabria n.  8  del  1996  e  quelli  incardinati
successivamente), dovendo ritenersi che  la  finalita'  dell'art.  10
della  legge  reg.  Calabria  n.  8  del  2005,   chiarita   mediante
interpretazione autentica dall'art. 1 della legge reg. Calabria n. 14
del 2019, era quella di evitare qualunque riferimento di  durata  per
sottolineare la natura fiduciaria del  rapporto,  che,  ribadisce  in
conclusione la resistente, di  per  se'  esclude  ogni  finalita'  di
stabilizzazione del medesimo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 6 agosto 2019,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  promosso  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della  legge  della  Regione  Calabria  31
maggio 2019, n. 14 recante «Interpretazione  autentica  del  comma  1
dell'articolo 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8  (Collegato
alla manovra di finanza regionale per l'anno 2005)». 
    La disposizione impugnata stabilisce che «[i]l comma 1  dell'art.
10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Collegato  alla  manovra
di finanza regionale per l'anno 2005),  di  soppressione  dell'ultimo
periodo del comma 1 dell'articolo 11 della legge regionale 13  maggio
1996, n. 8 (Norme sulla dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici del
Consiglio  regionale),  deve  intendersi  come  confermativo,   senza
soluzione di continuita', dei rapporti di lavoro in essere alla  data
della sua entrata in vigore». 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la violazione  da
parte di tale disposizione  normativa  dell'art.  97,  quarto  comma,
della  Costituzione,   laddove   sancisce   il   principio   generale
dell'accesso al pubblico impiego  mediante  concorso,  in  quanto  la
stessa avrebbe la finalita' di stabilizzare i rapporti di  lavoro  di
giornalisti  professionisti  e   pubblicisti   che   facevano   parte
dell'Ufficio Stampa regionale, a seguito di stipula di  un  contratto
individuale per "chiamata diretta", alla data di  entrata  in  vigore
dell'art. 10, comma 1, della legge reg. Calabria n. 8 del 2005. 
    Il ricorrente lamenta, inoltre, che la norma impugnata si pone in
contrasto con  l'art.  3  Cost.,  poiche'  la  stessa  e'  priva  dei
caratteri delle leggi di interpretazione autentica,  finendo  con  il
sostanziarsi in una legge retroattiva  che  non  ha  alcuna  adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non e' sostenuta  da
adeguati motivi di interesse generale. 
    2.- Le questioni di legittimita' costituzionale promosse  con  il
ricorso in esame sono ammissibili. 
    La difesa della Regione, pur concludendo  nella  sua  memoria  di
costituzione anche per l'inammissibilita' del ricorso, in realta' non
ne  indica  in  alcun  modo  le  ragioni,  diffondendosi  invece   in
argomentazioni per sostenere l'infondatezza delle questioni. 
    3.-  Passando  al  merito,  e'  opportuno  premettere  una  breve
ricostruzione del quadro normativo di riferimento. 
    La legge della Regione Calabria 13 maggio 1996, n. 8 (Norme sulla
dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale) ha
previsto - distintamente dagli uffici di diretta  collaborazione  con
gli  organismi  politico-istituzionali  del  Consiglio  (art.  10)  -
l'istituzione (all'art.  11,  comma  1)  di  una  struttura  speciale
denominata «Ufficio Stampa», inclusiva delle  testate  giornalistiche
edite dal  Consiglio  Regionale.  La  disposizione  precisava,  nella
formulazione originaria, che «[i]n detta  struttura,  fatti  salvi  i
rapporti di lavoro in corso,  possono  essere  chiamati  a  contratto
giornalisti professionisti iscritti  negli  albi  professionali.  Con
deliberazione dell'Ufficio di Presidenza e' definito  il  contingente
di personale. L'incarico e' conferito per la durata della legislatura
e puo' essere rinnovato». 
    Successivamente l'art. 1 della legge  della  Regione  Calabria  2
giugno 1999, n. 16 (Integrazione all'art. 11 della legge regionale 13
maggio 1996, n. 8, recante: «Norme sulla dirigenza e sull'ordinamento
degli uffici del consiglio regionale») ha esteso anche ai pubblicisti
la possibilita' di  chiamata  a  contratto  nell'Ufficio  stampa  del
Consiglio regionale. 
    Tale disposizione normativa consentiva, pertanto, la possibilita'
di conferire con chiamata a contratto, senza alcun concorso  o  altra
piu' agile forma di procedura selettiva, incarichi  a  giornalisti  e
pubblicisti "esterni" aventi una durata limitata, pari a quella della
legislatura, caratterizzati dal rapporto fiduciario con il  Consiglio
regionale, ferma la facolta' del Consiglio successivo di rinnovare, o
no, il rapporto con la stipula di un nuovo contratto con  i  medesimi
collaboratori. 
    Parallelamente, l'art. 9 della legge della  Regione  Calabria  13
maggio  1996,  n.   7   (Norme   sull'ordinamento   della   struttura
organizzativa della Giunta regionale  e  sulla  dirigenza  regionale)
istituiva l'Ufficio stampa della Giunta regionale  che  parimenti  si
avvaleva, a contratto, di giornalisti  professionisti  e  pubblicisti
iscritti negli albi professionali con incarichi di durata limitata  e
con possibilita', alla scadenza, di  conferma  per  la  durata  della
legislatura. 
    E' successivamente intervenuto  il  legislatore  statale  con  la
legge  7  giugno  2000,  n.  150  (Disciplina  delle   attivita'   di
informazione e di  comunicazione  delle  pubbliche  amministrazioni),
che, introducendo nel nostro ordinamento la definizione giuridica  di
comunicazione pubblica, ha disciplinato  alcuni  uffici  fondamentali
per la realizzazione della stessa, tra i quali gli uffici stampa. 
    In particolare, l'art. 9 della legge n. 150 del  2000  stabilisce
che le  amministrazioni  pubbliche  possono  dotarsi  di  un  ufficio
stampa,  la  cui  attivita'  primaria  e'  quella  di  comunicare   e
manifestare la volonta' dell'amministrazione attraverso l'impiego dei
mezzi di informazione di massa. 
    Quanto alla composizione degli uffici stampa, occorre considerare
il comma 2 del medesimo art. 9, secondo cui «[g]li uffici stampa sono
costituiti da personale iscritto all'albo nazionale dei  giornalisti.
Tale  dotazione  di  personale  e'  costituita  da  dipendenti  delle
amministrazioni pubbliche anche  in  posizione  di  comando  o  fuori
ruolo, o da  personale  estraneo  alla  pubblica  amministrazione  in
possesso dei titoli individuati dal regolamento di  cui  all'art.  5,
utilizzato con le modalita' di cui all'art. 7, comma 6,  del  decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e  successive  modificazioni,  nei
limiti  delle   risorse   disponibili   nei   bilanci   di   ciascuna
amministrazione per le medesime finalita'». 
    Pertanto, in conformita' alla legislazione statale,  puo'  essere
chiamato  a  far  parte   degli   uffici   stampa   delle   pubbliche
amministrazioni anche personale esterno alle stesse iscritto all'albo
dei giornalisti, entro i limiti posti al  conferimento  di  incarichi
esterni nel pubblico  impiego  dall'art.  7,  comma  6,  del  decreto
legislativo   3   febbraio    1993,    n.    29    (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina in materia di pubblico impiego, a  norma  dell'articolo  2
della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e successive  modificazioni,  e,
quindi, attualmente, dall'art. 7 del  decreto  legislativo  30  marzo
2001,  n.  165  (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche). 
    Peraltro, la  giurisprudenza  ha  precisato  che,  ai  sensi  del
predetto art. 9 della legge n. 150 del 2000, la scelta tra  personale
interno ed esterno  all'amministrazione,  che  sia  in  possesso  dei
requisiti  professionali  previsti,  ha  carattere  alternativo,  non
sussistendo un ordine di priorita' tra le  due  categorie  (Corte  di
cassazione, sezione lavoro, ordinanza 11 settembre 2017, n. 21060). 
    Sotto tale profilo, quindi, e' stata introdotta, per il personale
degli  uffici  stampa,  una  deroga  rispetto  alla  regola  generale
stabilita dall'art. 7 del  t.u.  pubblico  impiego  che,  di  contro,
subordina  la  possibilita'  per  le  pubbliche  amministrazioni   di
avvalersi   di   personale   esterno   all'accertamento,   da   parte
dell'amministrazione, dell'impossibilita' oggettiva di utilizzare  le
risorse umane disponibili all'interno. 
    Nel quadro di sistema posto dalla legge statale n. 150  del  2000
e' nuovamente intervenuto il  legislatore  regionale  con  l'art.  10
della legge reg. Calabria  n.  8  del  2005,  che  ha  modificato  il
richiamato art. 11, comma 1, della legge reg. Calabria n. 8 del 1996,
eliminando  interamente  il  suo  ultimo  periodo,  ossia  la   frase
«[l]'incarico e' conferito per la durata  della  legislatura  e  puo'
essere rinnovato». 
    Sono state eliminate, quindi, la durata fissa  e  predeterminata,
pari a  quella  della  legislatura,  e  la  possibilita'  di  rinnovo
dell'incarico a contratto. 
    Su tale norma e' infine  intervenuta  la  disposizione  impugnata
che, auto-qualificandosi  in  termini  di  norma  di  interpretazione
autentica, stabilisce che «[i]l comma  1  dell'art.  10  della  legge
regionale 2 marzo 2005, n.  8  (Collegato  alla  manovra  di  finanza
regionale per l'anno 2005), di soppressione dell'ultimo  periodo  del
comma 1 dell'articolo 11 della legge regionale 13 maggio 1996,  n.  8
(Norme sulla dirigenza e sull'ordinamento degli Uffici del  Consiglio
regionale), deve intendersi come  confermativo,  senza  soluzione  di
continuita', dei rapporti di lavoro in essere  alla  data  della  sua
entrata in vigore». 
    4.- Cio' premesso, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
sono fondate con riferimento a entrambi gli evocati parametri. 
    5.-  Occorre  innanzitutto  osservare,   quanto   al   denunciato
contrasto con l'art. 3 Cost., che la disposizione impugnata e'  priva
dei caratteri della legge di interpretazione autentica e ha invece la
portata di una norma innovativa con efficacia retroattiva. 
    5.1.- In generale, la disposizione di  interpretazione  autentica
e' quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore,
esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente  a  quelli
riconducibili  alla  previsione  interpretata  secondo  gli  ordinari
criteri dell'interpretazione della legge. Si crea cosi'  un  rapporto
duale tra le disposizioni,  tale  che  il  sopravvenire  della  norma
interpretativa non fa venir meno, ne'  sostituisce,  la  disposizione
interpretata, ma l'una  e  l'altra  si  saldano  dando  luogo  ad  un
precetto normativo unitario (sentenza n. 397 del 1994). 
    Questa Corte, sin dalla sentenza n. 118 del 1957, ha riconosciuto
che la funzione legislativa (art. 70 Cost.) puo' esprimersi, ad opera
del  legislatore  statale  o  regionale,   anche   con   disposizioni
interpretative,  selezionando  un  significato   normativo   di   una
precedente  disposizione,   quella   interpretata,   la   quale   sia
originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e quindi sia
potenzialmente suscettibile di esprimere piu' significati secondo gli
ordinari criteri di interpretazione della legge. La norma che risulta
dalla  saldatura  della  disposizione   interpretativa   con   quella
interpretata ha quel contenuto fin dall'origine  e  in  questo  senso
puo' dirsi retroattiva. 
    E' infatti ricorrente nella giurisprudenza  di  questa  Corte  il
principio  secondo  cui  il  legislatore  puo'  adottare  norme   che
precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza  di
contrasti giurisprudenziali, purche' la scelta "imposta" dalla  legge
interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso  del  testo
originario (ex plurimis, sentenze n. 167 del 2018, n. 15 del  2018  e
n. 525 del 2000). 
    5.2.-  In  virtu'  dei   principi   espressi   dalla   richiamata
giurisprudenza di questa Corte, la disposizione  impugnata  non  puo'
ritenersi autenticamente interpretativa dell'art. 10, comma 1,  della
legge reg. Calabria n. 8 del 2005, che, modificando l'art. 11,  comma
1, della legge reg. Calabria  n.  8  del  1996,  si  e'  limitato  ad
eliminarne  l'ultimo  periodo,  ossia  la  frase   «[l]'incarico   e'
conferito per la durata della legislatura e puo'  essere  rinnovato»;
cio' perche' a tale soppressione non puo' assegnarsi il  significato,
attribuito dalla disposizione  interpretativa,  di  conferma,  «senza
soluzione di continuita', dei rapporti di lavoro in corso  alla  data
della [...]  entrata  in  vigore»  della  legge  stessa  (legge  reg.
Calabria n. 8 del 2005). 
    In  vero,  da  una  parte  diverso  e'  l'ambito  soggettivo   di
applicazione, perche' la disposizione interpretativa si riferisce  ai
"rapporti di lavoro" in corso alla data di entrata  in  vigore  della
disposizione interpretata (2 marzo  2005),  mentre  quest'ultima,  in
ragione del generale principio secondo cui la legge non  dispone  che
per l'avvenire e, di norma, non  ha  effetto  retroattivo  (art.  11,
primo comma, disp. prel. cod. civ.), riguardava i nuovi  incarichi  a
contratto, per i quali quindi non era piu' prescritta la durata  pari
a quella della legislatura, ne'  la  possibilita'  di  rinnovo.  Tale
principio trova applicazione  anche  alle  leggi  regionali,  poiche'
l'art. 11 citato non puo' assumere per il legislatore regionale altro
e diverso significato da  quello  che  esso  ha  per  il  legislatore
statale (sentenza n. 376 del 2004). 
    Inoltre,   la   previsione   da    parte    della    disposizione
interpretativa,  ossia  quella  impugnata,  della   conferma   «senza
soluzione di continuita'» dei «rapporti in essere» alla  data  del  2
marzo 2005 implica testualmente una unificazione ex lege di  distinti
rapporti che avevano avuto durata limitata e che, in  ipotesi,  erano
stati rinnovati. Questo effetto  legale  di  saldatura  dei  rapporti
pregressi e' del tutto estraneo alla disposizione interpretata. 
    La quale, in vero, poteva  si'  far  sorgere  qualche  dubbio  in
ordine alla portata della soppressione della  durata,  quale  termine
apposto al contratto, pari a quella della legislatura  del  Consiglio
regionale:  se  in  tal  modo  era  prevista  una  durata  non   piu'
predeterminata per  legge  ovvero  se  il  contratto  potesse  essere
finanche privo di alcun termine di durata. Ma di cio' la disposizione
interpretativa si disinteressa, essendo proiettata solo a regolare  i
rapporti in corso alla data suddetta e non gia'  i  (nuovi)  rapporti
sorti nella vigenza della disposizione interpretata. 
    Trovava comunque applicazione la gia' richiamata  norma  speciale
statale prevista per tutti gli uffici  stampa  delle  amministrazioni
pubbliche, la cui dotazione di personale  puo'  essere  costituita  -
oltre che, in ipotesi, da chi e' gia' pubblico dipendente,  anche  in
posizione di comando o  fuori  ruolo  -  da  soggetti  estranei  alla
pubblica amministrazione, utilizzando le modalita' di accesso di  cui
all'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 29  del  1993,  poi  riferibili  a
quelle di cui all'art. 7, comma  6,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001.
Entrambe queste ultime disposizioni prevedono un  necessario  termine
di durata dell'incarico. Del resto la norma parallela  dettata  dallo
stesso  legislatore  regionale  per  l'Ufficio  stampa  della  Giunta
regionale (art. 9 della legge reg.  Calabria  n.  7  del  1996,  come
sostituito dall'art. 5, comma 1, della legge della Regione Calabria 7
ottobre 2011, n. 36, recante «Riduzione dei  costi  della  politica»)
richiama  espressamente  l'utilizzazione  delle  modalita'   di   cui
all'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    In breve, nell'ambito delle varianti di senso della  disposizione
interpretata non poteva rientrare, mancando ogni riferimento in  tale
direzione, il significato alla medesima attribuito dalla disposizione
interpretativa denunciata, ossia quello di unificare i rapporti  gia'
in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 8 del 2005 tra
i giornalisti e i  pubblicisti  esterni  facenti  parte  dell'Ufficio
stampa presso il Consiglio regionale e di confermarli quali "rapporti
di lavoro" alle dipendenze del Consiglio stesso. 
    La disposizione interpretativa ha, invece,  un  chiaro  contenuto
innovativo con efficacia retroattiva. 
    5.3.- La circostanza  che  una  disposizione,  a  dispetto  della
propria   auto-qualificazione,   non   abbia   in   realta'    natura
interpretativa puo' essere sintomo dell'uso improprio della  funzione
legislativa di interpretazione autentica, ma non la  rende  per  cio'
solo costituzionalmente illegittima, bensi' incide sull'ampiezza  del
sindacato che la Corte deve effettuare sulla norma in  ragione  della
sua retroattivita'. 
    Come ha di recente sottolineato  questa  Corte,  con  riferimento
alle norme che pretendono di avere natura  meramente  interpretativa,
la erroneita' di tale auto-qualificazione puo' costituire un  indice,
sia pure non  dirimente,  della  loro  irragionevolezza  quanto  alla
retroattivita'  del  novum  da  esse  introdotto  nel  contesto   del
bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalita'  che
abbia ad oggetto norme retroattive. Si e' infatti affermato che se  i
valori costituzionali  in  gioco  sono  quelli  dell'affidamento  dei
consociati e della certezza  dei  rapporti  giuridici,  e'  di  tutta
evidenza che  l'esegesi  imposta  dal  legislatore,  assegnando  alle
disposizioni interpretate un  significato  in  esse  gia'  contenuto,
riconoscibile come  una  delle  loro  possibili  varianti  di  senso,
influisce sul positivo apprezzamento sia della sua ragionevolezza sia
della  non  configurabilita'  di  una  lesione  dell'affidamento  dei
destinatari (sentenze n. 108 del 2019 e 73 del 2017). 
    Nella fattispecie la retroattivita', conseguente alla natura solo
apparente di interpretazione autentica, della disposizione  censurata
svela - anche per quanto si dira' oltre  -  l'intrinseco  difetto  di
ragionevolezza  di  quest'ultima  nella  misura  in  cui  prevede  la
stabilizzazione ex tunc dei  giornalisti  e  pubblicisti  chiamati  a
contratto. 
    6.- La norma impugnata, recante il contenuto innovativo di cui si
e' finora detto, si pone in aperta violazione  dell'art.  97,  quarto
comma, Cost., oltre a contrastare con il principio di  ragionevolezza
di cui all'art. 3, primo comma, Cost. 
    6.1.- Come questa Corte ha ripetutamente affermato,  il  concorso
pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale  dei  piu'
capaci, costituisce il metodo migliore per  l'accesso  alla  pubblica
amministrazione in condizioni d'imparzialita'; valore,  quest'ultimo,
in relazione al quale il principio sancito dall'art. 97 Cost.  impone
che l'esame  del  merito  sia  indipendente  da  ogni  considerazione
connessa alle condizioni personali dei concorrenti (sentenza n. 1 del
1999). Il concorso pubblico costituisce, quindi, la forma generale  e
ordinaria di reclutamento  per  il  pubblico  impiego  (ex  plurimis,
sentenze n. 40 del 2018, n. 190 del 2005 e n. 34 del 2004). 
    E' vero che il legislatore  ordinario  puo'  contemplare  deroghe
rispetto alla regola generale del pubblico  concorso.  Tuttavia  cio'
deve avvenire entro i  limiti  derivanti  dalla  stessa  esigenza  di
garantire il buon andamento dell'amministrazione (sentenza n. 477 del
1995), fermo il necessario vaglio di ragionevolezza (sentenza  n.  34
del 2004) e la rigorosa delimitazione dell'area  delle  eccezioni  al
concorso (sentenza n. 7 del 2015). 
    Tali deroghe, pero', non possono trovare  fondamento  nella  sola
esigenza di stabilizzare il personale precario  dell'amministrazione,
in quanto non puo' assumere a tal fine rilevanza la sola  tutela  del
(pur legittimo) affidamento  dei  lavoratori  sulla  continuita'  del
rapporto (sentenze n. 205 e n. 81 del 2006); finalita' questa che non
e' di per se'  sola  funzionale  al  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione e non sottende straordinarie  esigenze  di  interesse
pubblico idonee a giustificare le deroghe in questione  (sentenza  n.
110 del 2017). 
    I richiamati principi trovano applicazione anche con  riferimento
all'accesso ai pubblici impieghi presso le Regioni. In vero,  sebbene
le modalita' di instaurazione del rapporto di lavoro rientrino  nella
materia dell'organizzazione amministrativa, di  competenza  regionale
residuale ai sensi dell'art. 117, quarto comma,  Cost.  (sentenze  n.
251 e n. 202 del 2016), nell'esercizio di tale competenza le  Regioni
devono rispettare la regola  espressa  dall'art.  97,  quarto  comma,
Cost.,  che  prevede  l'accesso   agli   impieghi   nelle   pubbliche
amministrazioni mediante concorso (sentenza n. 110 del 2017). 
    6.2.- Nella specie, la fondatezza del ricorso del Presidente  del
Consiglio dei ministri emerge,  con  evidenza,  dalla  gia'  indicata
portata  innovativa  della  norma  impugnata,  che   e'   quella   di
stabilizzare, senza  concorso  pubblico,  i  rapporti  di  lavoro  di
giornalisti e pubblicisti esterni alla pubblica  amministrazione  che
gia'  collaboravano,  con  incarichi  individuali  a  contratto,  con
l'Ufficio stampa del Consiglio regionale  alla  data  di  entrata  in
vigore della disposizione interpretata, ossia dell'art. 10, comma  1,
della legge reg. Calabria n. 8 del 2005. 
    Infatti, la  conferma  «senza  soluzione  di  continuita'»  degli
incarichi a contratto in corso alla data di entrata in  vigore  della
disposizione interpretata e  la  loro  qualificazione  ex  lege  come
«rapporti di lavoro», evidentemente  alle  dipendenze  del  Consiglio
regionale, ha il chiaro significato di stabilizzare  tali  incarichi,
posti in essere ai sensi dell'art. 11,  comma  1,  della  legge  reg.
Calabria n. 8 del 1996, in rapporti  di  pubblico  impiego  regionale
senza la previsione di alcun concorso pubblico, a differenza peraltro
di quanto previsto per il personale, con rapporto di diritto privato,
delle Strutture speciali regionali di cui al precedente  art.  10-bis
della stessa legge regionale, diverse dall'Ufficio stampa,  il  quale
poteva  essere  assunto  nella  dotazione  organica   del   Consiglio
regionale «previo concorso per titoli ed esami». 
    Puo'  aggiungersi,  infine,  che  l'Ufficio  stampa   presso   il
Consiglio regionale della Regione Calabria non rientra tra quelli  di
diretta collaborazione  delle  autorita'  politiche,  in  quanto  non
contemplato dall'art. 9 della piu' volte citata legge  reg.  Calabria
n. 8 del 1996, ne' indicato tra questi dall'art. 22  del  Regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi  dello  stesso  Consiglio
(approvato con deliberazione dell'Ufficio di Presidenza del 18 aprile
2001,  n.  67,  e  modificato  con  deliberazioni   dell'Ufficio   di
Presidenza del 19 febbraio 2002, n. 34, e del  22  ottobre  2019,  n.
57), che invece lo riconduce  alle  «Figure  professionali  speciali»
(art. 21), in sintonia con  l'espressa  qualificazione  recata  dallo
stesso art. 9. 
    In  ogni  caso,  la  conclusione,  quanto   alla   illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  denunciata   dal   ricorso   del
Presidente del Consiglio dei ministri, non  potrebbe  essere  diversa
anche qualora l'Ufficio stampa  potesse  ricondursi,  come  in  altre
amministrazioni, nell'ambito  di  quelli  di  diretta  collaborazione
delle autorita' politiche (sentenza n.  85  del  2016),  rispetto  ai
quali  questa  Corte  ha  piu'  volte  chiarito  che  una  successiva
stabilizzazione  dei  relativi  addetti  violerebbe  la  regola   del
pubblico concorso, posta dall'art. 97, quarto comma, Cost.  (sentenze
n. 53 del 2012, n. 7 del 2011 e, di recente, n. 43 del 2019). 
    6.- Va quindi dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione impugnata.