ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  19,  comma
6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi), come introdotto dall'art. 6, comma  1,  lettera  c),
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori  misure  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo),  convertito,
con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011,  n.  148,  promosso
dal Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna,  sezione
staccata di Parma, nel procedimento vertente tra R. P. e altro  e  il
Comune di F. e altro, con ordinanza del 22 gennaio 2019, iscritta  al
n. 138 del  registro  ordinanze  2019  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 38,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2019. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito il Giudice relatore  Giancarlo  Coraggio  nella  camera  di
consiglio del 24 giugno 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sentenza parziale, il Tribunale amministrativo  regionale
per l'Emilia-Romagna, sezione staccata di  Parma,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter, della legge
7 agosto 1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). 
    1.1.- Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - i ricorrenti R. P. e M. A., proprietari di un  appartamento  al
piano  terreno   di   un   immobile   condominiale,   hanno   chiesto
l'annullamento di due  segnalazioni  certificate  d'inizio  attivita'
(SCIA) del 6 dicembre 2016  e  21  febbraio  2017,  presentate  dalla
condomina M. S., nonche' del verbale di sopralluogo effettuato il  31
ottobre 2017 presso il citato immobile e della comunicazione con  cui
il Comune di F. aveva loro trasmesso tale verbale; 
    - quest'ultimi atti  erano  stati  adottati  dall'amministrazione
comunale a seguito della «segnalazione di presunto abuso  edilizio  e
di irregolarita' nella presentazione di SCIA edilizie», inoltrata dai
ricorrenti il 26 ottobre 2017; 
    - nel merito, il ricorso si  basa  sui  seguenti  motivi:  1)  il
progetto edilizio contestato  avrebbe  previsto  una  sopraelevazione
della gronda e del colmo di circa sedici centimetri, in contrasto con
quanto  prescritto  dall'art.  80  del  regolamento  urbanistico   ed
edilizio (RUE) del Comune di F.;  2)  la  modificazione  dell'altezza
interna avrebbe comportato anche un aumento  di  quella  esterna,  in
violazione dell'art. 2 della legge  della  Regione  Emilia-Romagna  6
aprile 1998,  n.  11  (Recupero  ai  fini  abitativi  dei  sottotetti
esistenti); 3) la distanza, inferiore a dieci metri, esistente tra il
fabbricato oggetto dell'intervento e quello adiacente, avrebbe dovuto
impedire ogni maggiore altezza, ai  sensi  dell'art.  9  del  decreto
ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di  densita'
edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi
tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e
spezi pubblici  o  riservati  alle  attivita'  collettive,  al  verde
pubblico o a parcheggi, da osservare ai  fini  della  formazione  dei
nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai
sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967); 4) la  tesi  secondo
cui la maggiore altezza sarebbe legittima, data  la  possibilita'  di
realizzare un cordolo strutturale di venticinque centimetri,  sarebbe
erronea, in quanto, da un lato, il decreto  ministeriale  14  gennaio
2008 (Approvazione delle nuove norme  tecniche  per  le  costruzioni)
impedirebbe di considerare l'inserimento del cordolo sommitale  quale
sopraelevazione solo a fini sismici, e, dall'altro,  il  richiamo  al
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni
legislative e  regolamentari  in  materia  edilizia  (Testo  A)»  non
consentirebbe di derogare alle altre normative edilizie; 5) le  opere
realizzate avrebbero potuto essere eseguite solo con l'autorizzazione
di tutti i condomini; 6) l'intervento  sarebbe  una  vera  e  propria
sopraelevazione, non attuabile tramite SCIA ma autorizzabile solo una
volta verificato il rispetto delle distanze e acquisite le necessarie
certificazioni sismica e sulla sicurezza; 
    - il Comune di F. si e' costituito in giudizio, instando  per  il
rigetto del ricorso; 
    - il Collegio ha  disposto  una  verificazione  tecnica,  che  e'
giunta alle seguenti conclusioni: l) vi e' stata una  sopraelevazione
media di  quindici/sedici  centimetri  in  gronda  e  di  quattordici
centimetri in colmo; 2) il progetto contrasta con l'art. 80  del  RUE
del  Comune  di  F.,  nella  versione  vigente   al   momento   della
presentazione della  SCIA  n.  256  del  2016;  3)  la  modificazione
dell'altezza interna ha comportato anche un aumento di quella esterna
di circa venti centimetri;  4)  la  distanza  esistente  rispetto  al
fabbricato adiacente e' inferiore a dieci metri, ma  l'intervento  di
mero recupero della preesistenza non e'  assoggettato  alle  distanze
minime previste dal d.m. n. 1444 del 1968;  5)  la  maggiore  altezza
accertata  e'  contenuta  nello  spessore   del   cordolo   sommitale
realizzato, per cui l'intervento, ai fini sia dell'applicazione della
normativa antisismica sia della sua classificazione edilizia, non  si
configura  quale   sopraelevazione   e   rimane   nell'ambito   della
ristrutturazione; 6) sono state prodotte le necessarie attestazioni e
certificazioni sismica e sulla sicurezza. 
    1.2.- Cio' premesso in punto di  fatto,  il  rimettente  afferma,
innanzitutto,  di  condividere   le   considerazioni   tecniche   del
verificatore, in virtu' dell'accurata ricostruzione della fattispecie
e della corretta metodologia seguita. 
    Osserva poi il TAR che «le due  SCIA  edilizie  presentate  dalla
controinteressata sono equiparate dalla legge ad atti  di  iniziativa
privata e non ad atti costitutivi»  di  corrispondenti  provvedimenti
autorizzatori impliciti, sicche' di essi non  e'  possibile  ottenere
l'annullamento; e che, con gli altri due atti impugnati  (il  verbale
di sopralluogo e la sua comunicazione ai ricorrenti),  il  Comune  ha
verificato la conformita' dei lavori  edilizi  al  progetto  edilizio
presentato, decidendo «di non intervenire in autotutela». 
    Resterebbe quindi da  verificare  se  tali  ultimi  atti  possano
essere ritenuti veri e propri provvedimenti impugnabili. 
    Si  dovrebbe  considerare,  al  riguardo,  che  l'amministrazione
resistente e' intervenuta su sollecitazione dei terzi a  compiere  le
verifiche di cui all'art. 19, comma 6-ter, della  legge  n.  241  del
1990,  con  cui  e'  stata  denunciata,  «primariamente»,  un'altezza
esterna superiore a quella originaria del fabbricato  (non  rilevando
nel giudizio a quo le censure "privatistiche" relative  alla  mancata
autorizzazione condominiale). 
    In risposta a tale segnalazione, i tecnici del Comune di F. hanno
riscontrato  la  conformita'  delle  opere   realizzate   ai   titoli
abilitativi e tale riscontro e' stato condiviso  dall'amministrazione
comunale, si' che  la  manifestazione  di  volonta'  contenuta  nella
comunicazione  inviata  ai  ricorrenti  sarebbe  un  vero  e  proprio
provvedimento di diniego dell'intervento richiesto. 
    Vi  sarebbe,  poi,  un  profilo   di   inerzia   nella   condotta
dell'amministrazione, che ha rinviato  ad  ulteriori  approfondimenti
l'accertamento della conformita' dello stato di  fatto  dichiarato  a
quello preesistente. 
    Rispetto a tale profilo il TAR, ai sensi dell'ultimo periodo  del
citato comma 6-ter dell'art. 19,  potrebbe  accertare  la  fondatezza
della pretesa dei ricorrenti, con riqualificazione della  domanda  di
annullamento, seppure  nei  limiti  di  cui  all'art.  31,  comma  3,
dell'Allegato 1  (Codice  del  processo  amministrativo)  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo). 
    1.3.- Nel merito, sarebbe corretta la contestazione  secondo  cui
l'accertata modificazione dell'altezza interna dell'immobile  avrebbe
comportato  anche  un  aumento  di  quella  esterna  di  circa  venti
centimetri. 
    Tale maggiore altezza, tuttavia, come osservato dal verificatore,
in  quanto  «contenuta   nello   spessore   del   cordolo   sommitale
realizzato»,  non  integrerebbe   una   sopraelevazione,   e   quindi
l'intervento, non comportando  un  aumento  di  volumetria,  andrebbe
qualificato come ristrutturazione edilizia, legittimamente realizzata
a mezzo SCIA. 
    Ne' avrebbe alcun rilievo la distanza inferiore a dieci metri tra
il fabbricato ristrutturato e quello  adiacente,  trattandosi  di  un
intervento concretizzatosi «in un mero recupero della  preesistenza»,
non assoggettato al divieto posto dal citato d.m. n. 1444 del 1968. 
    Sarebbe invece accertata  la  violazione  dell'art.  80  del  RUE
vigente all'epoca della presentazione della SCIA, poiche' il recupero
a fini abitativi del sottotetto esistente  sarebbe  avvenuto  tramite
illegittima modificazione in aumento sia dell'altezza di gronda  (tra
i dieci e i tredici centimetri), sia  dell'altezza  di  colmo  (circa
dieci centimetri). 
    Riepilogando, il rimettente ritiene di dovere respingere tutti  i
motivi  di  ricorso,  fatta  eccezione  per  quello  afferente   alla
violazione della norma regolamentare, che  vietava,  all'epoca  della
presentazione della SCIA, la modificazione delle altezze di  colmo  e
di gronda  nel  caso  di  interventi  edilizi  per  il  recupero  dei
sottotetti a fini abitativi. 
    Sarebbe dunque accertata  l'illegittimita'  in  parte  qua  della
posizione  negativa  «o  comunque  di  inerzia»  tenuta  dal   Comune
resistente  sulla  richiesta  di  verifica  degli  interessati,   cui
conseguirebbe l'obbligo dell'amministrazione di provvedere. 
    1.4.- Il TAR ritiene, a questo punto, di  dovere  specificare  la
natura e i limiti del contenuto concreto dell'obbligo posto a  carico
del Comune resistente e discendente dall'effetto  conformativo  della
sentenza. 
    Si tratta, secondo il rimettente, di stabilire se  l'accertamento
giudiziale costringa l'amministrazione a rimuovere sic et simpliciter
gli    eventuali    effetti    dannosi    dell'attivita'     edilizia
illegittimamente intrapresa, ai sensi del comma 3 dell'art. 19  della
legge n. 241 del 1990, oppure le  imponga  l'obbligo  di  adottare  i
provvedimenti previsti dal citato comma 3 soltanto in presenza  delle
condizioni previste dall'art. 21-novies della medesima legge. 
    Secondo   il   rimettente,   il   dato    normativo    deporrebbe
inequivocabilmente nel secondo senso: in forza dell'art. 31, comma 3,
dell'Allegato 1 al d.lgs. n. 104 del  2010  (d'ora  in  avanti:  cod.
proc. amm.), non sarebbe  possibile  accertare  anche  la  fondatezza
della pretesa fatta valere in giudizio dai ricorrenti, residuando  in
capo all'amministrazione ulteriori margini di discrezionalita'. 
    Decorso, cioe', il termine per l'adozione  dei  provvedimenti  di
cui al comma 3, primo periodo, dell'art. 19 della legge  n.  241  del
1990, l'amministrazione competente potrebbe adottare i  provvedimenti
volti alla rimozione degli effetti dannosi soltanto in presenza delle
condizioni  previste  dall'art.  21-novies  per   l'annullamento   di
ufficio. 
    Tale orientamento, seguito dal  Consiglio  di  Stato  in  plurimi
arresti, sarebbe preferibile rispetto a quello secondo cui il  potere
sollecitato  dal  terzo  e'  sempre  quello  inibitorio,  non  avendo
quest'ultima tesi un fondamento normativo testuale nell'attuale  art.
19 della legge n. 241 del 1990. 
    Il Collegio afferma, al riguardo, di condividere le  perplessita'
espresse dal TAR Toscana, con l'ordinanza 11 maggio 2017, n. 667,  di
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter,  della  legge  n.  241  del
1990, a causa dell'assenza di una  previsione  espressa  del  termine
entro  cui  il  terzo   deve   sollecitare   il   potere   inibitorio
dell'amministrazione. 
    Il problema, tuttavia, non  riguarderebbe  soltanto  il  suddetto
termine, ma anche il tipo di procedimento attivato dal  terzo,  ossia
le cosiddette verifiche spettanti all'amministrazione. 
    Quanto al termine, non vi sarebbe alcuna  soluzione,  tra  quelle
proposte  in  giurisprudenza,  fondata  su  un  adeguato  riferimento
normativo. 
    In particolare, non sarebbero idonee a risolvere il  problema  in
questione:  1)  la  tesi  secondo  cui  il  termine  per   presentare
«l'istanza  sollecitatoria»  e'  lo  stesso  che  la  norma   assegna
all'amministrazione per l'esercizio del potere inibitorio  ufficioso,
in quanto il dies a quo  di  tale  ultimo  termine  coincide  con  il
ricevimento della segnalazione da parte  dell'amministrazione,  fase,
questa, cui e' del tutto estraneo il terzo; 2) la tesi  che  sostiene
che  la  facolta'  del  controinteressato   di   proporre   l'istanza
inibitoria e' soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni, in
quanto  vi  e'  diversita'  ontologica  tra  la  disciplina  invocata
(attinente alla proposizione di un atto processuale)  e  l'ambito  di
attivita' in esame (sollecitazione di poteri amministrativi);  3)  la
tesi che richiama il termine annuale di cui  all'art.  31,  comma  2,
cod. proc. amm., poiche' anche in questo caso si confonde un  termine
processuale con uno amministrativo. 
    Quanto alla sollecitazione del potere  di  verifica,  secondo  il
rimettente,  sarebbe  erronea  la  tesi   secondo   cui   si   tratta
dell'impulso all'avvio di un procedimento avente ad oggetto un potere
inibitorio analogo a quello di cui all'art. 19, comma 3, della  legge
n. 241  del  1990,  per  due  ordini  di  ragioni:  in  primo  luogo,
l'amministrazione beneficerebbe inammissibilmente  di  una  sorta  di
rimessione in termini, essendo nel frattempo definitivamente superato
il limite temporale entro cui intervenire con  il  potere  repressivo
(trenta giorni); in secondo luogo, sarebbe introdotto in via pretoria
un correttivo normativo per permettere al terzo controinteressato  di
sostituirsi all'amministrazione, tramite l'utilizzo di un potere  non
previsto dall'ordinamento. 
    Il dato testuale e la sottesa ratio legis  indurrebbero,  invece,
ad individuare, in materia di SCIA edilizia, un  diverso  sistema  di
tutela del terzo. 
    A seguito dell'intervento del legislatore - che ha introdotto  la
norma censurata con l'art. 6, comma 1, lettera c), del  decreto-legge
13  agosto  2011,  n.  138   (Ulteriori   misure   urgenti   per   la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, nella legge  14  settembre  2011,  n.  148  -  sarebbe
pacifico, innanzitutto, che la segnalazione certificata, in  adesione
alla tesi gia' sostenuta  dall'Adunanza  plenaria  del  Consiglio  di
Stato, non e' un provvedimento amministrativo a formazione  tacita  e
non da' luogo ad un titolo costitutivo, ma e' un atto privato volto a
comunicare l'intenzione di  intraprendere  un'attivita'  direttamente
ammessa dalla legge, sulla quale, pero',  l'amministrazione  conserva
un potere di  controllo  piu'  penetrante  di  quello  ordinariamente
esercitato. 
    Sarebbe connaturata a tale «nuova  prospettazione  giuridica  una
correlativa rimodulazione della tutela dei terzi dinanzi  al  Giudice
amministrativo»: l'assenza di un provvedimento amministrativo, con il
residuare di un mero potere di controllo ex post da  parte  dell'ente
pubblico, comporterebbe la possibilita' per il terzo di  avviare  una
controversia concernente  l'esercizio  o  il  mancato  esercizio  del
potere amministrativo, in aggiunta o in luogo degli  ordinari  rimedi
esperibili dinanzi al giudice ordinario a tutela della  proprieta'  e
del possesso. 
    Secondo il rimettente, dunque, le iniziative spettanti  al  terzo
«si    riflettono     interamente     nei     poteri     esercitabili
dall'amministrazione: se entro trenta giorni dal deposito della  SCIA
edilizia l'amministrazione non si e' attivata, i terzi hanno  azione,
entro  i  termini  di  prescrizione  ordinaria,  per   l'accertamento
dell'obbligo  dell'amministrazione  di   verificare   e   manifestare
(tramite  provvedimento  espresso)  la  sussistenza  o   meno   delle
condizioni previste dall'art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990». 
    Sotto altro profilo,  il  TAR  afferma  che  la  norma  censurata
introdurrebbe per legge una ipotesi  di  inerzia  sanzionabile  della
pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 31, commi 1, 2 e 3, cod.
proc. amm: si rientrerebbe, cioe', in uno degli «altri casi  previsti
dalla  legge»,  in  cui  «chi   vi   ha   interesse   puo'   chiedere
l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere». 
    Sarebbe stato previsto, cioe', un caso di  obbligatorieta'  della
risposta  pubblica  rispetto  alla  sollecitazione  dei  poteri   «di
autotutela» da parte del privato e l'obbligo di provvedere, una volta
accertato, non potrebbe  che  portare  ad  un  esercizio  del  potere
conforme alle norme che lo regolano. 
    Ove, pertanto, come nel caso di specie, sia  decorso,  alla  data
della   sollecitazione   del   terzo,   il    termine    entro    cui
l'amministrazione   avrebbe   potuto    vietare    la    prosecuzione
dell'attivita' edilizia intrapresa e ordinare la rimozione  dei  suoi
effetti  dannosi,  l'accertamento  dell'obbligo  di  provvedere   non
potrebbe che costituire il presupposto per l'esercizio del potere  di
annullamento di cui all'art. 21-novies della legge n. 241 del 1990. 
    Correlativamente,   il   giudice   non    potrebbe    «conformare
l'amministrazione»  ad  una  specifica  condotta,  ne'   tanto   meno
condannarla all'emissione di un determinato provvedimento,  dovendosi
limitare ad accertare la sussistenza dell'inerzia e la necessita'  di
un riesame da parte della stessa pubblica amministrazione. 
    Confermerebbe  tale   ricostruzione   la   circostanza   che   il
legislatore abbia espressamente  riconosciuto  ai  terzi  interessati
«esclusivamente»   la   possibilita'   di   esperire   l'azione    di
accertamento,  con  preclusione,  dunque,  non  solo  di  quella   di
annullamento, ma anche di  quella  di  condanna  al  rilascio  di  un
provvedimento, ai sensi dell'art. 34, comma 1, lettera c), cod. proc.
amm. 
    Questa soluzione avrebbe il pregio di  depotenziare  i  dubbi  di
legittimita' costituzionale sollevati dal TAR  Toscana  in  relazione
alla mancata previsione di un termine  decadenziale  per  l'esercizio
del potere sollecitatorio da parte del terzo, in quanto  l'intervento
repressivo  dell'amministrazione  dovrebbe  sottostare  ai   rigorosi
limiti temporali e motivazionali  di  cui  all'art.  21-novies  della
legge n. 241 del 1990, in modo da non  lasciare  il  privato  esposto
sine die a quell'intervento. 
    Cosi' rettamente  interpretata,  tuttavia,  la  nuova  disciplina
recata dall'art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990 farebbe
sorgere dubbi di legittimita' costituzionale, perche'  non  idonea  a
tutelare in modo efficace la sfera giuridica del terzo. 
    Quest'ultimo, infatti, avrebbe  innanzitutto  l'onere,  prima  di
agire in giudizio, di presentare  apposita  «istanza  sollecitatoria»
alla pubblica amministrazione,  cosi'  subendo  una  procrastinazione
dell'accesso alla tutela giurisdizionale, in spregio ai  principi  di
cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost. 
    Inoltre e soprattutto,  l'istanza  -  qualora,  come  normalmente
accade,  siano  gia'   decorsi   trenta   giorni   dall'invio   della
segnalazione di cui il terzo non ha  diretta  conoscenza  -,  sarebbe
diretta ad attivare non il potere inibitorio di natura vincolata (che
si estingue decorso il termine perentorio di legge) ma il  cosiddetto
potere di autotutela, cui fa riferimento l'art. 19,  comma  4,  della
legge n. 241 del 1990. 
    Tale ultimo potere, tuttavia,  e'  ampiamente  discrezionale,  in
quanto   postula    la    ponderazione    comparativa,    da    parte
dell'amministrazione, degli interessi  in  conflitto,  «con  precipuo
riferimento al riscontro» di un interesse pubblico concreto e attuale
che non coincide con il mero ripristino della legalita' violata,  con
il corollario che nel giudizio conseguente al silenzio o  al  rifiuto
di intervento dell'amministrazione,  il  giudice  amministrativo  non
potrebbe che limitarsi  ad  una  mera  declaratoria  dell'obbligo  di
provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento
da adottare. 
    Evidente sarebbe,  allora,  la  compressione  dell'interesse  del
terzo ad ottenere una  pronuncia  che  impedisca  lo  svolgimento  di
un'attivita' illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale  e
vincolante,   che    non    subisca    l'intermediazione    aleatoria
dell'esercizio di un potere discrezionale. 
    Di qui il dubbio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  19,
comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990, per violazione degli  artt.
3, 24, 103 e 113 Cost., nella parte in cui consente ai terzi lesi  da
una SCIA edilizia illegittima di esperire  «esclusivamente»  l'azione
di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3, cod. proc. amm., e cio'  soltanto
dopo  aver  sollecitato   l'esercizio   delle   verifiche   spettanti
all'amministrazione. 
    1.5.- In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva  che  la
decisione sulle questioni di legittimita' costituzionale sollevate e'
indispensabile per accertare anche la fondatezza della pretesa  fatta
valere in  giudizio  dai  ricorrenti,  nel  senso  di  conformare  la
successiva attivita' dell'amministrazione ad un  obbligo  ineludibile
di rimozione degli eventuali effetti dannosi derivanti dall'attivita'
edilizia intrapresa. 
    In caso di rigetto delle questioni, il  rimettente  non  potrebbe
pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in  giudizio,  ne'
condannare l'amministrazione al rilascio del provvedimento richiesto,
residuando  in  capo  al  Comune  resistente  ulteriori  margini   di
discrezionalita' insiti nelle valutazioni da effettuare  in  sede  di
«autotutela». 
    In caso di accoglimento della questione,  invece,  il  rimettente
potrebbe pronunciarsi  sulla  fondatezza  della  pretesa  dedotta  in
giudizio, rientrandosi in un caso di attivita' vincolata  o  comunque
non residuando ulteriori margini di esercizio della  discrezionalita'
e/o  la  necessita'  di  adempimenti   istruttori   successivi   alla
pronuncia. 
    1.6.-  In  conclusione,  il   TAR   ritiene   rilevante   e   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
del comma 6-ter  dell'art.  19  della  legge  n.  241  del  1990  per
violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., «nella misura  in  cui
impedisce ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di  ottenere
dal  Giudice  amministrativo  una  pronuncia  di  accertamento  della
fondatezza  della  pretesa  dedotta  in  giudizio,  con   conseguente
condanna   o   comunque   effetto   conformativo   all'adozione   dei
corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui  sia  decorso  il
termine  concesso  all'amministrazione   per   azionare   il   potere
inibitorio di cui al comma 3 dell'art. 19» della  legge  n.  241  del
1990. 
    1.7.- In dispositivo, il rimettente, riqualificata la domanda  di
annullamento in «azione di accertamento» ai sensi dell'art.  31  cod.
proc. amm., la respinge parzialmente, nei sensi e nei limiti  di  cui
in motivazione, e solleva le  illustrate  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    2.- Con memoria depositata il 24 ottobre 2017, e' intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilita'  e
la non fondatezza delle questioni sollevate dal rimettente. 
    2.1.- Quanto all'inammissibilita', il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri  osserva  che,  secondo  il  giudice  a  quo,  la  norma
censurata sarebbe incostituzionale per via della  mancata  previsione
di un  rimedio  azionabile  avverso  le  altrui  iniziative  edilizie
illecite,  senza  la  necessita'  di  un  preventivo   coinvolgimento
dell'amministrazione. 
    Quello invocato dal rimettente sarebbe, pertanto,  un  intervento
additivo o manipolativo, afferente alla conformazione degli  istituti
processuali, ossia  ad  una  materia  di  esclusivo  appannaggio  del
legislatore, sottratta al sindacato costituzionale. 
    Secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  la  liberalizzazione
delle attivita' ora riconducibili all'ambito  di  operativita'  della
SCIA rappresenta  l'esito  di  un  bilanciamento  tra  gli  interessi
contrapposti che fanno capo,  rispettivamente,  al  segnalante  e  al
terzo, nella cui sfera giuridica sono destinati  a  riverberarsi  gli
effetti dell'attivita' del primo. 
    La  scelta  operata  in  materia  di  SCIA,  se,  da   un   lato,
soddisferebbe l'esigenza del segnalante  di  intraprendere  i  lavori
quanto prima, dall'altro, finirebbe con l'esporlo al rischio  che,  a
lavori gia' iniziati, l'amministrazione intervenga con  provvedimenti
che ne inibiscano la prosecuzione. 
    Il legislatore, dunque, avrebbe predisposto un meccanismo atto  a
recuperare  quella  stabilita'  della   situazione   soggettiva   del
segnalante   inevitabilmente   pregiudicata   dall'assenza   di    un
provvedimento amministrativo ex ante. 
    In questo stesso solco si collocherebbe la scelta di affidare  la
tutela del terzo leso alla sola azione di cui all'art. 31 cod.  proc.
amm. 
    Il legislatore, cioe', avrebbe effettuato un bilanciamento tra la
tutela del legittimo affidamento del segnalante - il  quale,  decorsi
trenta giorni dalla presentazione della  SCIA,  puo'  ragionevolmente
attendersi che non vi siano ostacoli alla prosecuzione dei lavori - e
quella del terzo, cui e' attribuita un'azione  che  gli  consente  in
ogni caso di ottenere un provvedimento espresso dell'amministrazione. 
    2.2.- Le questioni sarebbero anche infondate nel merito. 
    L'opinione del rimettente nascerebbe da  una  errata  valutazione
della effettiva ampiezza  della  tutela  assicurata  al  terzo  dalla
disposizione censurata. 
    L'art. 19, comma 3, della  legge  n.  241  del  1990  prevede  la
facolta' per la pubblica amministrazione di vietare  la  prosecuzione
dell'attivita' e disporre il ripristino della situazione  precedente,
ovvero, ove possibile, di intimare al privato l'adozione delle misure
necessarie  a  conformare  l'attivita'  intrapresa   alla   normativa
vigente. 
    Tali poteri devono essere esercitati entro il termine di sessanta
giorni dalla comunicazione (trenta, per la SCIA edilizia), decorso il
quale,  l'amministrazione  puo'  disporre  l'annullamento  d'ufficio,
purche' ricorrano le condizioni indicate  dall'art.  21-novies  della
stessa legge n. 241 del 1990. 
    I terzi  interessati,  dal  canto  loro,  non  possono  impugnare
direttamente la SCIA, trattandosi di un atto privato, ma il censurato
comma  6-ter  dell'art.  19  attribuisce  ad  essi  la  facolta'   di
«sollecitare     l'esercizio      delle      verifiche      spettanti
all'amministrazione e, in caso di  inerzia,  esperire  esclusivamente
l'azione di cui all'art. 31, commi l, 2 e 3 del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104». 
    Le verifiche cui si riferisce la norma sarebbero non solo  e  non
tanto quelle finalizzate all'adozione di provvedimenti  inibitori  di
cui al comma 3 dell'art. 19, ma soprattutto, ove si versi in  ipotesi
di SCIA edilizia, quelle richiamate dal comma  6-bis,  ai  sensi  del
quale  restano  «ferme  le  disposizioni  relative   alla   vigilanza
sull'attivita'  urbanistico-edilizia,  alle  responsabilita'  e  alle
sanzioni previste dal  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali». 
    Il richiamo sarebbe, in particolare, all'art. 27,  comma  2,  del
d.P.R. n. 380  del  2001,  a  mente  del  quale  il  dirigente  o  il
responsabile  comunale  incaricato  della  vigilanza   sull'attivita'
urbanistico-edilizia, in tutti i casi di difformita' dalle  norme  di
legge  e  di  regolamento  e  dalle  prescrizioni   degli   strumenti
urbanistici, provvede alla demolizione e al  ripristino  dello  stato
dei luoghi. 
    Alla   luce   della   disposizione   appena    citata,    sarebbe
incontestabile  il  carattere  vincolato  dei  poteri  di   controllo
dell'amministrazione sull'attivita' oggetto di SCIA edilizia,  per  i
quali la normativa di settore non commina decadenze. 
    Nulla osta, dunque,  secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, ad una  pronuncia  giurisdizionale  che,  all'esito  di  un
giudizio promosso dal terzo ai sensi dell'art. 31  cod.  proc.  amm.,
accerti   la   fondatezza   della   pretesa   azionata   e   condanni
l'amministrazione a rimuovere sic et simpliciter gli effetti  dannosi
della SCIA illegittima. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sentenza parziale, il Tribunale amministrativo  regionale
per l'Emilia-Romagna, sezione staccata di  Parma,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter, della legge
7 agosto 1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
ai  sensi  del  quale  «[l]a  segnalazione  certificata   di   inizio
attivita', la denuncia e la dichiarazione  di  inizio  attivita'  non
costituiscono  provvedimenti  taciti  direttamente  impugnabili.  Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di  inerzia,  esperire  esclusivamente
l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2
luglio 2010, n. 104». 
    Secondo il rimettente, la  norma  censurata  viola  gli  invocati
parametri costituzionali, in primo luogo, perche' l'avere subordinato
l'azione del terzo controinteressato alla presentazione di una previa
«istanza sollecitatoria» nei confronti della pubblica amministrazione
si  risolve  in  una  procrastinazione   dell'accesso   alla   tutela
giurisdizionale; e,  in  secondo  luogo,  perche'  -  «qualora,  come
normalmente accade», l'istanza del terzo sia inoltrata  quando  siano
gia' decorsi trenta giorni  dalla  presentazione  della  segnalazione
certificata  d'inizio  attivita'  (SCIA)   edilizia   -   il   potere
dell'amministrazione, ai sensi dell'art. 19, comma 4, della legge  n.
241 del 1990, non  e'  di  natura  vincolata  ma  «in  autotutela»  e
discrezionale, con la conseguenza che, ai sensi dell'art.  31,  comma
3, dell'Allegato 1 (Codice del processo  amministrativo)  al  decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44  della
legge 18 giugno 2009,  n.  69,  recante  delega  al  governo  per  il
riordino del processo amministrativo), il giudice amministrativo deve
limitarsi ad una mera declaratoria dell'obbligo di provvedere,  senza
potere predeterminare il contenuto  del  provvedimento  da  adottare,
cosi' non assicurando una tutela piena ed effettiva  della  posizione
giuridica del terzo. 
    2.- In via preliminare, va rilevato che  l'atto  di  promovimento
delle  odierne  questioni  di  legittimita'  costituzionale  e'   una
sentenza non definitiva, con cui  il  giudice  a  quo  -  dopo  avere
riqualificato la domanda di  annullamento  degli  atti  impugnati  in
«azione di accertamento» del silenzio della pubblica  amministrazione
sull'istanza  di  attivazione  dei  poteri  di  verifica  delle  SCIA
presentate dalla controinteressata -  ha  rigettato  cinque  dei  sei
motivi di ricorso. 
    Nonostante l'atto di  promovimento  abbia  la  veste  formale  di
sentenza anziche' di ordinanza, le questioni, da questa  angolazione,
sono ammissibili, dal momento che, in relazione al residuo motivo  di
gravame, «il giudice a quo - dopo la positiva valutazione concernente
la rilevanza e la non manifesta infondatezza [...] - ha disposto,  la
sospensione  del  procedimento  principale  e  la  trasmissione   del
fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicche' a tal[e]  att[o],
anche se assunt[o] con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta
sostanzialmente natura di ordinanza, in conformita' a quanto previsto
dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenza n.  256  del
2010; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 208 del 2019,  n.
86 del 2017, n. 151 e 94 del 2009, e n. 452 del 1997). 
    3.- Vi sono, tuttavia, ragioni di inammissibilita' fondate e,  in
primo luogo, quella di difetto di rilevanza. 
    4.- Va premesso che l'art. 19, comma 6-ter, della  legge  n.  241
del 1990 e' stato gia' scrutinato da questa Corte con la sentenza  n.
45  del  2019,  che,  in  quella  occasione,  ritenne  la   questione
ammissibile, ma - occorre subito precisare - in un contesto diverso. 
    L'azione esercitata davanti al giudice  amministrativo,  infatti,
era quella avverso il silenzio  della  pubblica  amministrazione,  ai
sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d'ora in avanti:  cod.
proc. amm.), prevista dalla norma in  esame  come  unica  tutela  del
terzo in caso di inerzia sulla sua istanza di sollecitazione. 
    4.1.- Sebbene le questioni allora poste dal TAR Toscana  avessero
ad oggetto un  presunto  difetto  di  tutela  del  segnalante,  nella
sentenza  si  e'  esaminato  anche  il  profilo  della   tutela   del
controinteressato, trattandosi di aspetti  necessariamente  connessi,
poiche' l'intera disciplina della SCIA e' volta alla  ricerca  di  un
equilibrio fra l'interesse del  segnalante  al  consolidamento  della
propria situazione giuridica  e  quello  dei  controinteressati  lesi
dall'attivita' segnalata. 
    Questa Corte ha  quindi  chiarito  che  «[l]e  verifiche  cui  e'
chiamata l'amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono [...] quelle
gia' puntualmente disciplinate dall'art. 19 [della legge n.  241  del
1990],  da  esercitarsi  entro  i  sessanta  o  trenta  giorni  dalla
presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i  successivi
diciotto mesi (comma  4,  che  rinvia  all'art.  21-novies).  Decorsi
questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si  consolida
definitivamente nei confronti dell'amministrazione,  ormai  priva  di
poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, e' titolare di  un
interesse   legittimo   pretensivo   all'esercizio   del    controllo
amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilita' di dialogo  con
il corrispondente potere, anche l'interesse si estingue» (sentenza n.
45 del 2019). 
    Con specifico riferimento alla  situazione  giuridica  soggettiva
del terzo, si  e'  poi  aggiunto  che  essa  va  riguardata  «in  una
prospettiva piu' ampia e sistemica che tenga conto dell'insieme degli
strumenti  apprestati»  a  sua  tutela:  «[i]n   particolare,   nella
prospettiva dell'interesse legittimo, il terzo potra' attivare, oltre
agli strumenti di  tutela  gia'  richiamati,  i  poteri  di  verifica
dell'amministrazione  in  caso  di  dichiarazioni  mendaci  o   false
attestazioni, ai sensi dell'art. 21, comma 1, della legge n. 241  del
1990 [...]. Esso avra' inoltre  la  possibilita'  di  agire  in  sede
risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio  del
doveroso potere di verifica (l'art. 21, comma 2-ter, della  legge  n.
241 del 1990 fa espressamente salva la connessa  responsabilita'  del
dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove  la  segnalazione
certificata non fosse conforme alle norme vigenti). Al di  la'  delle
modalita' di tutela dell'interesse legittimo, poi,  rimane  il  fatto
giuridico di un'attivita' che si assuma illecita, nei confronti della
quale  valgono  le  ordinarie  regole  di  tutela   civilistica   del
risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica». 
    Nella sentenza n. 45 del 2019 si e' infine affermato che «[t]utto
cio' [...] non esclude  l'opportunita'  di  un  intervento  normativo
sull'art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere  possibile
al terzo interessato una  piu'  immediata  conoscenza  dell'attivita'
segnalata e, dall'altra, di impedire il decorso dei relativi  termini
in presenza di una  sua  sollecitazione,  in  modo  da  sottrarlo  al
rischio   del   ritardo   nell'esercizio   del   potere   da    parte
dell'amministrazione e  al  conseguente  effetto  estintivo  di  tale
potere». 
    5.- Nel giudizio a  quo,  invece,  non  e'  l'azione  avverso  il
silenzio che entra in gioco, malgrado il tentativo del rimettente  di
dimostrarlo. 
    6.- Il TAR riferisce, in proposito,  di  essere  stato  investito
dell'azione di annullamento di due SCIA, del conseguente  verbale  di
sopralluogo  effettuato   dall'amministrazione   comunale   e   della
comunicazione  di  tale  verbale  ai  ricorrenti,   ma   (dopo   aver
correttamente rilevato che le segnalazioni, in quanto «atti privati»,
«non costituiscono provvedimenti  taciti  direttamente  impugnabili»)
ritiene  di   dover   riqualificare   l'azione   proposta   come   di
«accertamento ex art. 31» cod. proc. amm., assumendo  che,  in  forza
dell'art.  19,  comma  6-ter,  della  legge  n.  241  del  1990,  gli
interessati avessero solo questo tipo di tutela. 
    6.1.- La prospettazione e' implausibile. 
    Il   fatto   che   l'amministrazione,   su   sollecitazione   dei
controinteressati, abbia positivamente  riscontrato  la  legittimita'
delle opere si e' tradotto in  un  diniego  che,  secondo  le  regole
generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria  azione  di
annullamento, come infatti e' avvenuto. 
    La reale natura dell'azione esercitata comporta che le  questioni
sollevate,    avendo    tutte    per    presupposto    un    silenzio
dell'amministrazione, sono estranee al thema decidendum del  giudizio
principale e pertanto sono inammissibili per difetto di rilevanza. 
    7.- La conclusione non muta alla luce della  circostanza  che  il
rimettente,  in  un  passaggio  dell'ordinanza,  fa  riferimento   al
silenzio  dell'amministrazione   sull'istanza   dei   ricorrenti   di
accertamento della conformita' dello  stato  di  fatto  dichiarato  a
quello  originariamente  esistente,  e   quindi   dell'esistenza   di
dichiarazioni mendaci,  dal  momento  che  avverso  tale  silenzio  i
ricorrenti non hanno spiegato alcun motivo di ricorso,  sicche'  esso
e' estraneo al thema decidendum del giudizio a quo. 
    8.- Il difetto di rilevanza  sussiste,  peraltro,  anche  ove  si
ritenga che il TAR, attraverso l'art. 19, comma 6-ter, abbia  inteso,
in realta', censurare l'art. 19, comma 4, cui il primo implicitamente
rimanda (unitamente ai commi 3  e  6-bis)  ed  in  forza  del  quale,
decorso il termine di cui all'art. 19, comma 3, l'intervento (non «in
autotutela»    ma)    conformativo,    inibitorio    o     repressivo
dell'amministrazione,   quand'anche   sollecitato   dal   terzo,   e'
subordinato alla positiva valutazione  discrezionale  della  presenza
delle condizioni previste  dall'art.  21-novies  (interesse  pubblico
ulteriore rispetto al ripristino della legalita',  bilanciamento  fra
gli interessi coinvolti e, per i provvedimenti ampliativi della sfera
giuridica dei privati, esercizio del potere entro il termine  massimo
di diciotto mesi). 
    L'amministrazione, infatti, con il  provvedimento  impugnato  non
solo non ha esaminato  la  dedotta  difformita'  dalla  legge  e  dal
regolamento delle  opere  realizzate,  limitandosi,  con  motivazione
incongrua - ad avviso del TAR - ad affermare la loro conformita' alla
SCIA, ma nemmeno ha operato alcuna  valutazione  discrezionale  (come
pure   avrebbe   dovuto,   essendo   decorsi,   al   momento    della
sollecitazione, i trenta giorni di cui all'art. 19, comma 6-bis). 
    Correlativamente, i ricorrenti nel giudizio a quo hanno lamentato
l'illegittimita' del diniego per violazione non dell'art.  19,  comma
4, della legge n. 241 del 1990 ma delle norme edilizie e  (quanto  al
motivo residuo)  del  regolamento  comunale,  e  non  hanno  chiesto,
contestualmente  all'azione  di   annullamento,   di   accertare   la
fondatezza  della  pretesa  e  di  ordinare  all'amministrazione   di
adottare  un  provvedimento  di  rimozione  delle  opere,  ai   sensi
dell'art. 34, comma 1, lettera  c),  cod.  proc.  amm.,  secondo  cui
«[l]'azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto  e'
esercitata,  nei  limiti   di   cui   all'articolo   31,   comma   3,
contestualmente  all'azione  di  annullamento  del  provvedimento  di
diniego o all'azione avverso il silenzio». 
    8.1.- Anche dell'art. 19, comma 4, quindi, il rimettente non deve
fare applicazione per  decidere  sulla  domanda  proposta  dai  terzi
controinteressati. 
    9.- Vi e' poi un altro profilo d'inammissibilita' che attiene  al
petitum delle questioni sollevate. 
    In alcuni passaggi dell'ordinanza di  rimessione  il  TAR,  senza
censurare la prima parte della disposizione, che  afferma  la  natura
privatistica delle segnalazioni d'inizio attivita', sembra mirare  ad
una modifica del secondo periodo, volta  all'introduzione,  a  tutela
del  terzo,  di  un'azione  sganciata  dalla  previa   sollecitazione
dell'intervento dell'amministrazione e che consenta  al  giudice,  in
ogni caso, di accertare la fondatezza (o meno) della pretesa. 
    In  altri  passaggi,  tuttavia,   il   rimettente   sembra   piu'
radicalmente richiedere una caducazione totale  dell'art.  19,  comma
6-ter, o quanto meno del suo secondo periodo, che consenta, a  tutela
del terzo, la riespansione dell'azione di accertamento - quale azione
che   il   codice   del   processo    amministrativo    residualmente
assicurerebbe, ove non vi siano altre azioni a tutela della posizione
giuridica dedotta  in  giudizio  -  ovvero  finanche  il  ritorno  al
complesso meccanismo delineato dall'Adunanza plenaria  del  Consiglio
di Stato con  la  nota  sentenza  29  luglio  2011,  n.  15,  e  alla
pluralita' di azioni da esso previste. 
    10.-  Le  questioni  sono  dunque  inammissibili  anche   perche'
l'ordinanza di rimessione ha un petitum  incerto  e  contraddittorio,
che oscilla tra una  pronuncia  caducatoria  ed  una  manipolativa  e
creativa (tra le piu' recenti, sentenze n. 21 e n. 7 del 2020, n. 239
del  2019;  ordinanza  n.  250  del  2019),  in  un  ambito,   quello
processuale,  notoriamente  riservato   alla   discrezionalita'   del
legislatore.