ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  20  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  26  aprile  1986,  n.  131
(Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro), «come risultante dagli  interventi  apportati
dall'art. 1, comma 87» [rectius comma 87, lettera a)], della legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020)  e
dall'art. 1, comma  1084,  della  legge  30  dicembre  2018,  n.  145
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e
bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), promosso dalla Corte
di cassazione, sezione quinta civile, nel procedimento  vertente  tra
la Saint Gobain Distribuzione srl a socio  unico  e  l'Agenzia  delle
entrate, con ordinanza del 23 settembre 2019, iscritta al n. 212  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti l'atto di costituzione della Saint Gobain Distribuzione srl
a socio unico, nonche' l'atto di intervento delle societa' Total  E&P
Italia spa e Mitsui E&P Italia A srl e del Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    uditi il Giudice relatore Luca Antonini e  gli  avvocati  Antonio
Tomassini e Andrea Di Dio per la Saint  Gobain  Distribuzione  srl  a
socio unico, Massimo Luciani per la Total E&P Italia spa e la  Mitsui
E&P Italia A srl, e l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri, nell'udienza pubblica  del  10
giugno 2020, svolta, ai sensi  del  decreto  della  Presidente  della
Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e d), in  collegamento
da remoto, su richiesta degli avvocati Antonio Tomassini,  Andrea  Di
Dio, Massimo Luciani e Alberto Mula pervenute in data 14, 20, 27 e 29
maggio 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Corte di cassazione, sezione quinta civile, con  ordinanza
del 23 settembre 2019, n. 23549 (reg.  ord.  n.  212  del  2019),  ha
sollevato  d'ufficio,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  53   della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  20
del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile  1986,  n.  131
(Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di  registro),  cosi'  «come  risultante  dagli  interventi
apportati dall'art. 1, comma 87»  [rectius  comma  87,  lettera  a)],
della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2018  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2018-2020)  e  dall'art.  1,  comma  1084,  della  legge  30
dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il  triennio  2019-2021),
nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di  registro
«secondo la intrinseca  natura  e  gli  effetti  giuridici  dell'atto
presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il  titolo
o  la  forma  apparente,  si  debbano  prendere   in   considerazione
unicamente gli elementi desumibili dall'atto stesso, "prescindendo da
quelli extratestuali e degli atti ad  esso  collegati,  salvo  quanto
disposto dagli articoli successivi"». 
    1.1.-  Il  rimettente  riferisce,  in  punto  di  fatto,  che  le
questioni sono sorte nel corso di un giudizio  promosso  dalla  Saint
Gobain Distribuzione srl (SGD srl) - incorporante la Di Trani  srl  -
avverso  l'avviso  di  liquidazione  per  imposta  proporzionale   di
registro   emesso   dall'Agenzia   delle   entrate   a   seguito   di
«riqualificazione giuridica ex art. 20, decreto del Presidente  della
Repubblica n. 131/1986, in termini  di  cessione  di  azienda,  della
seguente   operazione»:   a)   costituzione   di   una   societa'   a
responsabilita' limitata  a  socio  unico  (cosiddetta  newcompany  o
newco) da parte della Di Trani srl (poi incorporata dalla  SGD  srl);
b) successiva  delibera  di  aumento  di  capitale  della  newco,  da
liberarsi mediante conferimento in natura di tre rami di azienda;  c)
conferimento nella newco del proprio ramo d'azienda da parte della Di
Trani srl (socio unico della conferitaria, poi incorporata dalla  SGD
srl) e dei  rami  di  azienda  da  parte  di  altre  due  societa'  a
responsabilita' limitata, con conseguente loro acquisizione di  quote
di partecipazione nella newco; d) cessione alla SGD srl  delle  quote
di partecipazione cosi' acquisite nella  newco  da  parte  delle  due
suddette societa' conferenti. 
    Il rimettente, premesso  che  il  giudizio  avverso  il  suddetto
avviso  di  liquidazione  si  era  concluso   in   senso   favorevole
all'Agenzia delle entrate sia in primo che in secondo grado,  precisa
che il ricorso per cassazione presentato dalla SGD srl era articolato
in quattro motivi: a) violazione e falsa  applicazione  dell'art.  20
del d.P.R. n. 131 del 1986 per riqualificazione  di  atti  esterni  a
quello presentato alla registrazione; b)  violazione  della  medesima
disposizione in quanto l'operazione  posta  in  essere  rispondeva  a
reali  esigenze  di  riorganizzazione   aziendale   attraverso   atti
soggettivamente,  oggettivamente  e   finalisticamente   distinti   e
autonomi; c) violazione  di  legge  con  riguardo  al  principio  del
contraddittorio di cui agli artt. 6 e 12 della legge 27 luglio  2000,
n.  212  (Disposizioni  in  materia  di  statuto  dei   diritti   del
contribuente), 24 della legge 7 gennaio 1929, n.  4  (Norme  generali
per la repressione  delle  violazioni  delle  leggi  finanziarie),  e
37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle  imposte
sui redditi), non essendo stato l'avviso  di  liquidazione  preceduto
ne'  da  verbale  di  constatazione,   ne'   dall'instaurazione   del
contraddittorio preventivo; d) violazione  del  principio  dell'onere
della prova di cui all'art. 2697  del  codice  civile.  La  Corte  di
cassazione infine precisa che la  SGD  srl,  con  successiva  memoria
illustrativa, ha invocato lo ius superveniens costituito  dai  citati
artt. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 e 1, comma
1084, della legge n. 145 del 2018. 
    Cio' premesso, il giudice a quo: a) ricorda che il dato normativo
posto a base dell'impugnato avviso di liquidazione e' costituito  dal
previgente art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986,  ai  sensi  del  quale
«[l]'imposta e' applicata secondo la intrinseca natura e gli  effetti
giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se  non  vi
corrisponda il titolo o la forma  apparente»;  b)  precisa  che,  per
effetto del citato art. 1, comma 87, lettera a), della legge  n.  205
del 2017, il menzionato art. 20 «trova  oggi  una  piu'  circoscritta
definizione»; c) da' atto che  la  disposizione  del  2017  e'  stata
interpretata -  con  «un  monolitico  orientamento»  della  Corte  di
cassazione  -  come   norma   innovativa,   non   interpretativa,   e
conseguentemente priva di efficacia retroattiva;  d)  rileva  che  il
legislatore e' da ultimo intervenuto con il gia' citato art. 1, comma
1084, della legge n. 145 del 2018, stabilendo  che  «[l]'articolo  1,
comma  87,  lettera  a),  della  legge  27  dicembre  2017,  n.  205,
costituisce interpretazione autentica dell'articolo 20, comma 1,  del
testo unico di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  26
aprile 1986, n. 131», cosi' attribuendogli efficacia retroattiva. 
    Pertanto, ad avviso del rimettente, tale «nuova e piu' ristretta»
formulazione  del  citato  art.   20   porrebbe   rilevanti   e   non
manifestamente infondate questioni di legittimita' costituzionale. 
    1.2.- In punto di rilevanza, la Corte di  cassazione  rimettente,
dopo aver illustrato analiticamente  le  ragioni  per  le  quali  non
ritiene «potenzialmente assorbenti»  i  sopra  illustrati  motivi  di
gravame, diversi dalla questione interpretativa del  menzionato  art.
20, conclude che non e' possibile decidere la controversia senza fare
applicazione della norma denunciata, in quanto retroattiva. 
    1.3.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice  a  quo,
ritiene sussistenti «dubbi di incompatibilita' del  "nuovo"  art.  20
con quanto prescritto dagli articoli 3 e 53 della Costituzione». 
    Osserva il  rimettente  che  la  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione,   nell'interpretare   la   disciplina   in   esame,    ha
costantemente valorizzato  il  principio  «imprescindibile  ed  anche
storicamente radicato» della prevalenza della sostanza  sulla  forma,
che imporrebbe  di  qualificare  l'atto  secondo  parametri  di  tipo
sostanzialistico, e non nominalistico o di apparenza. Ad  avviso  del
rimettente   proprio   tale   principio   «comporta   la   necessaria
considerazione anche di elementi esterni all'atto e, in  particolare,
anche di elementi desumibili  da  atti  eventualmente  collegati  con
quello presentato alla registrazione», in  senso  opposto  a  «quanto
oggi portato dall'attuale formulazione dell'art. 20». 
    Dopo aver segnalato, quale «unica voce dissonante»,  la  sentenza
della Corte di cassazione, sezione quinta civile, 27 gennaio 2017, n.
2054,  il  giudice  a  quo  ripercorre  i  passaggi  essenziali   del
menzionato  «vastissimo  e  del   tutto   consolidato»   orientamento
giurisprudenziale di legittimita': 
    a)  la  natura  di  "imposta  d'atto"  propria  dell'imposta   di
registro, confermata dalla formulazione dell'art. 1 del d.P.R. n. 131
del  1986,  relativo  all'oggetto  dell'imposta,   «non   osta   alla
valorizzazione complessiva di elementi interpretativi  esterni  e  di
collegamento  negoziale»,   poiche'   per   «atto   presentato   alla
registrazione» deve intendersi l'insieme delle  previsioni  negoziali
preordinate  alla  regolazione  unitaria  degli   effetti   giuridici
derivanti dai vari negozi collegati; 
    b) il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all'atto
presentato alla registrazione risponde all'esigenza di evidenziare la
«causa reale di tale atto [...] che, per sua natura, non puo'  essere
lasciata alla discrezionalita' delle parti contribuenti ne' a  quello
che le parti abbiano dichiarato»; 
    c) tale «processo  di  riqualificazione»  discende  dal  richiamo
degli  istituti  civilistici  generali  della  «causa  concreta»  del
contratto e del «collegamento negoziale», per cui,  «pur  conservando
una  loro  causa  autonoma,  i  diversi  contratti  legati  dal  loro
collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento  dei
reciproci interessi»; 
    d) il riferimento testuale del censurato art.  20  agli  «effetti
giuridici» dell'atto non preclude  che  si  attribuisca  rilevanza  a
quello «scopo economico unitario» raggiunto dalle parti attraverso la
combinazione e il coordinamento degli effetti giuridici  dei  singoli
atti, cosi' disvelandone l'«intrinseca natura»; peraltro,  posto  che
la riqualificazione tributaria del contratto «lascia comunque intatta
la validita' e  l'efficacia  del  contratto  stesso  e  dello  schema
negoziale liberamente prescelto dalle parti, risolvendosi  unicamente
nell'applicazione  della  disciplina  impositiva  piu'  appropriata»,
nessuna menomazione, ai sensi dell'art. 41 Cost.,  e'  rilevabile  in
relazione  alla  «libera  iniziativa  economica»   e   all'«autonomia
negoziale delle parti». 
    Cio'  premesso,  il  rimettente,  ricordata   l'ampia   casistica
giurisprudenziale in tema di  riqualificazione  dell'atto  presentato
alla registrazione, illustra i dubbi di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 20 del d.P.R.  n.  131  del  1986,  come  risultante  dalle
menzionate modifiche normative, con riferimento agli  artt.  3  e  53
Cost. 
    1.3.1.- Avuto riguardo al parametro di cui all'art. 53 Cost.,  il
giudice a quo osserva che l'interpretazione  del  censurato  art.  20
seguita  dal  prevalente   orientamento   della   giurisprudenza   di
legittimita' e' «imposta dal criterio  generale  dell'interpretazione
costituzionalmente    conforme»,    in    relazione    al    rispetto
dell'effettivita' dell'imposizione. 
    Per il rimettente, infatti, il tributo di registro «non  e'  piu'
(se non in minima parte)» una tassa con  funzione  corrispettiva  del
servizio di registrazione, assumendo i connotati di un'imposta il cui
presupposto e' rivelatore di una determinata forza economica,  indice
di capacita' contributiva proprio in ragione del «contenuto reale»  e
della «natura sottostante» dell'atto. 
    Nell'ordinanza  di  rimessione   viene   richiamato   l'indirizzo
consolidato di questa Corte, per cui rientra  nella  discrezionalita'
del legislatore la determinazione dei singoli fatti espressivi  della
capacita' contributiva, al fine di concludere che «nel caso di specie
il dubbio verte proprio sul corretto esercizio della discrezionalita'
legislativa». E infatti, per effetto del censurato art. 20, viene  in
dubbio la «"coerenza interna della struttura dell'imposta con il  suo
presupposto economico"»,  in  quanto  «l'esenzione  del  collegamento
negoziale dall'opera di qualificazione  giuridica  dell'atto  produce
l'effetto  pratico   di   sottrarre   ad   imposizione   una   tipica
manifestazione di capacita' contributiva», senza che tale effetto sia
riconducibile ad altri principi di rango costituzionale. 
    1.3.2.- Avuto riguardo al parametro  di  cui  all'art.  3  Cost.,
secondo il rimettente,  la  norma  censurata  «provoca  ripercussioni
anche  sul  principio  di  uguaglianza,  dal  momento  che   a   pari
manifestazioni  di   forza   economica   (e   quindi   di   capacita'
contributiva)  non  possono  corrispondere  imposizioni  di   diversa
entita'».  Piu'  precisamente,  non  sarebbe  ragionevole   che   una
disparita' di imposizione dipenda  dalla  circostanza  che  le  parti
abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto di  interessi  con
un solo atto negoziale  «piuttosto  che  con  piu'  atti  collegati».
L'esclusione, tramite il censurato art. 20  del  d.P.R.  n.  131  del
1986, della rilevanza interpretativa del  collegamento  negoziale  ai
fini  dell'applicazione  dell'imposta,   legittimerebbe   quindi   un
trattamento non omogeneo delle due situazioni prese a comparazione. 
    1.4.- Il rimettente afferma  che  non  e'  dirimente  l'eventuale
obiezione  per   cui   l'amministrazione   finanziaria,   a   seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 10-bis della legge n. 212 del  2000,
potrebbe contestare  il  collegamento  negoziale  quando  questo  sia
sintomatico di abuso del diritto (per reprimere l'elusione fiscale) e
«non  anche  di  semplice  qualificazione  giuridica  dell'atto».  Il
rimettente,  dopo  aver  precisato  che  il  citato  art.  10-bis  e'
sopravvenuto all'avviso di liquidazione opposto, riconosce  che,  sul
tema della rinvenibilita' della funzione antielusiva direttamente nel
censurato  art.  20,  «l'orientamento  di  legittimita'   e'   stato,
all'analisi  diacronica,  effettivamente  oscillante».  Tuttavia,  lo
stesso rimettente conclude l'esame  dei  suoi  precedenti  osservando
che, da ultimo, la propria giurisprudenza si e' consolidata nel senso
della «indifferenza dell'art. 20 all'abuso del diritto e all'elusione
fiscale», tanto che le due disposizioni operano su piani distinti, in
quanto «l'espressa inclusione nell'art. 10-bis, comma 2, lettera  a),
legge n. 212/2000 della fattispecie di collegamento negoziale (invece
mancante  nella  struttura  testuale  dell'art.  20)»,  da  un   lato
consente, «previa l'osservanza delle tutele procedimentali  contenute
nella legge», all'amministrazione  finanziaria  di  disconoscere  gli
effetti degli atti collegati in quanto elusivi e, come tali, privi di
sostanza economica diversa dal mero risparmio d'imposta;  dall'altro,
pero', non esclude che il collegamento negoziale continui a  rilevare
- al di fuori da considerazioni antielusive -  «sul  piano  obiettivo
della mera qualificazione  giuridica»,  ai  sensi  dell'art.  20  del
d.P.R. n. 131 del 1986. 
    1.5.- Per le suesposte  argomentazioni,  il  rimettente  afferma,
infine,    che    non     e'     prospettabile     un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della   norma   censurata,   sia   per
l'inequivoca «lettera, ratio e contesto di emanazione»,  sia  perche'
essa «dovrebbe  alternativamente  identificarsi  proprio  con  quella
cosi' espulsa  dall'ordinamento»,  ancorche'  costantemente  adottata
dalla giurisprudenza di legittimita'. 
    2.-  Con  atto  depositato  in  data  16  dicembre   2019,   sono
intervenute la Total E&P Italia  spa  e  Mitsui  E&P  Italia  A  srl,
estranee al giudizio principale. 
    2.1.- A sostegno dell'ammissibilita' dell'intervento le  societa'
richiamano la giurisprudenza di questa Corte in cui questo  e'  stato
consentito anche a soggetti terzi, purche' «titolari di un  interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale  dedotto
in giudizio e non semplicemente regolato,  al  pari  di  ogni  altro,
dalla norma oggetto di censura (sentenze n. 98 e n. 13 del  2019,  n.
180 del 2018)» (vengono  citate  l'ordinanza  n.  204  del  2019,  la
sentenza n. 13 del 2019 e l'ordinanza 5  marzo  2019,  allegata  alla
sentenza n. 141 del 2019). 
    Le  societa'  ritengono  di  essere  titolari  di  una  posizione
differenziata e legittimante l'intervento in quanto parti in un altro
giudizio attualmente pendente in Corte di cassazione  (in  attesa  di
udienza di trattazione), al quale la norma censurata si applicherebbe
unicamente in ragione della sua dichiarata natura  interpretativa  e,
conseguentemente, retroattiva,  cosicche'  l'eventuale  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale inciderebbe su quel  diverso  giudizio,
senza lasciar loro alcuna possibilita'  di  difesa  nel  giudizio  di
costituzionalita'. 
    2.2.- Le societa'  intervenienti,  premesse  diverse  ragioni  di
inammissibilita'   delle   questioni,   nel   merito   ne    deducono
l'infondatezza ritenendo che la norma denunciata rientri  nell'ambito
dell'ampia discrezionalita' che questa stessa Corte  ha  riconosciuto
al  legislatore  nell'individuazione  degli  indici   rivelatori   di
ricchezza, forza economica e, quindi, di capacita' contributiva,  non
avendo le caratteristiche di una  norma  derogatoria  o  agevolativa,
bensi' di accertamento del presupposto d'imposta. 
    Ad   avviso   delle   intervenienti,   quanto   sopra    comporta
l'infondatezza delle censure formulate  dal  rimettente,  cio'  anche
considerando   che,   ogniqualvolta   sorga   l'esigenza    di    una
rideterminazione d'imposta sulla base di piu' atti,  dovranno  essere
applicate le garanzie  sostanziali  e  procedimentali  imposte  dalla
disciplina generale antiabuso di cui all'art. 10-bis della  legge  n.
212 del 2000. 
    3.- Con atto depositato il 17 dicembre 2019, si e' costituita  la
contribuente  SGD  srl  a  socio  unico  (incorporante,   come   gia'
accennato,  la  Di  Trani  srl),  chiedendo   la   dichiarazione   di
inammissibilita'  o  il  rigetto  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale. 
    3.1.-  Preliminarmente  la  societa'   eccepisce   la   manifesta
inammissibilita'  delle  questioni   prospettate   dalla   Corte   di
cassazione in ragione della non corretta o  implausibile  motivazione
in  ordine  alla  rilevanza  della  questione,  in  quanto  essa   e'
incentrata sull'«addotta esistenza  di  un  consolidato  orientamento
giurisprudenziale  di  legittimita'  su  (una  delle  varie)  letture
interpretative dell'art. 20 D.P.R. 131/86 nella versione  pre-vigente
alle modifiche normative», oggetto dell'odierna  censura.  Ad  avviso
della contribuente il rimettente, a sostegno della rilevanza, avrebbe
dovuto argomentare non solo la compatibilita'  di  tale  orientamento
con la disposizione censurata, ma anche che esso  -  pur  consolidato
nella giurisprudenza di legittimita' - fosse  l'unico  imposto  dalla
Costituzione. Cio' a maggior ragione trattandosi di  un  orientamento
«invero avversato dalla unanime  dottrina  [...]  e  da  parte  della
giurisprudenza, sia della stessa Cassazione  -  cfr.  in  particolare
sent. 2054/2017 - sia, soprattutto, di merito». 
    3.2.- Ad avviso della parte privata, il rimettente  si  limita  a
sostenere l'irragionevolezza (senza motivare  un'eventuale  manifesta
irragionevolezza, arbitrarieta'  o  irrazionalita')  della  normativa
denunciata, rientrante invece nel  perimetro  della  discrezionalita'
legislativa. In particolare, con gli interventi normativi del 2017  e
2018, il legislatore, mediante una norma di interpretazione autentica
e  in  attuazione  del  canone  della  certezza  giuridica,   avrebbe
«semplicemente chiarito (circostanza  invero  gia'  ricavabile  dalla
natura e dalla storia dell'imposta del registro)  che  l'accertamento
dell'effettiva operazione negoziale valorizzando lo scopo economico o
la  causa  reale  trova  spazio  solamente  nell'ambito  delle  norme
anti-elusive». 
    3.3.- La contribuente  argomenta,  inoltre,  le  ragioni  per  le
quali, a  suo  avviso,  sarebbe  «del  tutto  erronea  e  fuorviante»
l'affermazione del rimettente per  cui,  in  materia  tributaria,  il
principio  della  prevalenza  della  sostanza  sulla  forma   sarebbe
«imprescindibile ed anche storicamente radicato». 
    Sul punto  la  societa'  osserva:  a)  quanto  al  profilo  della
imprescindibilita', che (eccettuate alcune specifiche ed  eccezionali
ipotesi introdotte nell'ambito dell'imposizione sui redditi, anche  a
seguito dell'adeguamento della  disciplina  nazionale  ai  cosiddetti
principi contabili internazionali)  non  solo  la  "prevalenza  della
sostanza sulla forma" non  costituisce  un  principio  della  materia
tributaria, ma un suo affermarsi nei termini auspicati dal rimettente
sovvertirebbe le fonti del diritto,  sostituendole  «con  un  diritto
vivente   del   caso   singolo   e    del    (mutevole)    precedente
giurisprudenziale»; b) quanto al profilo del radicamento storico, che
il principio affermato dal rimettente e' stato espressamente superato
dall'evoluzione normativa, poiche',  a  fronte  di  un  originario  e
generico riferimento, negli antecedenti normativi (art. 7 della legge
21 aprile 1862, n. 585, recante «Sulla tassa di  Registro»,  trasfuso
nell'art. 8 del regio decreto 30  dicembre  1923,  n.  3269,  recante
«Approvazione del testo di legge del registro»), agli «effetti  degli
atti», si e' successivamente specificato (con l'art. 20 del d.P.R. n.
131 del 1986) il rilievo dei soli «effetti giuridici»  degli  stessi,
con cio' espungendo la tesi dell'interpretazione economica degli atti
prospettata nel vigore della disciplina anteriore. 
    Sotto un distinto  profilo  la  societa'  contesta  la  tesi  del
rimettente per  cui  la  valorizzazione  del  collegamento  negoziale
sarebbe attuazione del menzionato principio della  "prevalenza  della
sostanza sulla  forma",  al  fine  dell'individuazione  della  "causa
reale" del singolo atto, poiche' essa e'  contraddetta  dalla  stessa
natura di "imposta d'atto" del tributo di  registro  e  comporta,  in
violazione  dell'art.  53  Cost.,  la  tassazione  della   «capacita'
contributiva reddituale due volte, con le imposte sul reddito e [...]
con l'imposta di registro». 
    3.4.-  Ad  avviso  della  contribuente,  pertanto,  la  questione
prospettata dal rimettente  in  riferimento  all'art.  53  Cost.  non
sarebbe  fondata,  poiche'   finalizzata   a   eludere   l'intervento
interpretativo del legislatore,  in  contrasto  con  il  criterio  di
tassativita' e predeterminazione normativa che, in forza dell'art. 23
Cost., caratterizza il diritto tributario. 
    Parimenti  non  fondata  sarebbe  la  questione  prospettata   in
riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  disparita'  di
trattamento. Osserva, infatti, la parte privata  che  laddove  e'  la
disciplina dell'imposta di registro a non parificare le  fattispecie,
prevedendo per alcune la tassazione proporzionale e per altre  quella
in misura fissa, il contribuente sarebbe libero di scegliere come far
circolare un complesso aziendale senza che possa ritenersi violato il
canone dell'uguaglianza. 
    3.5.-  La  contribuente  osserva,  inoltre,  che  la   disciplina
dell'imposizione  indiretta  sui  conferimenti  di  azienda   e   sul
trasferimento di partecipazioni e' regolata dalla direttiva 2008/7/CE
del Consiglio, del 12 febbraio 2008, concernente le imposte indirette
sulla raccolta di capitali. Pertanto, la tassazione proporzionale dei
conferimenti di azienda seguiti dalla cessione  della  partecipazione
nella societa' conferitaria - in adesione alla tesi del rimettente  -
si porrebbe in contrasto con l'art. 5 della menzionata direttiva  che
vieta di assoggettare a forme di imposizione indiretta le  operazioni
di costituzione di una societa' di capitali e quelle di  aumento  del
capitale sociale mediante conferimento di beni. 
    3.6.- La parte privata precisa, poi, che  la  riqualificazione  -
prospettata dal rimettente - come cessione  di  azienda  o  di  beni,
della cessione di una partecipazione di controllo, anche se preceduta
dal conferimento di azienda o di beni, sembra muovere dal presupposto
interpretativo del disconoscimento dell'esistenza  della  societa'  o
ente partecipato come autonomo soggetto giuridico: cio' in  contrasto
sia con gli artt. 2332 e 2523 del codice civile, sia  con  l'art.  12
della direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,
del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti,
le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle  societa'  a
mente dell'articolo 48, secondo comma, del  trattato  per  proteggere
gli interessi dei soci e dei terzi (ora trasfuso nell'art.  11  della
direttiva UE 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14
giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario). 
    3.7.- La societa' costituita  contesta,  infine,  alla  Corte  di
cassazione rimettente  l'utilizzo  indistinto,  nelle  argomentazioni
svolte (con riferimento ai propri precedenti giurisprudenziali),  dei
termini «atto» e  «operazione»,  frutto  di  una  contaminazione  tra
categorie di riferimento  tra  tributi  diretti  e  indiretti  e,  di
conseguenza, regole giuridiche di interpretazione  dei  singoli  atti
(ovverosia il censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986) e  regole
antiabuso (attualmente disciplinate all'art. 10-bis  della  legge  n.
212 del 2000). 
    In  questa  prospettiva,  ad  avviso  della   contribuente,   gli
interventi legislativi del 2017 e 2018 in relazione al citato art. 20
sarebbero giustificati da superiori esigenze di certezza del  diritto
e di unitarieta' dell'ordinamento. In particolare, con riferimento  a
questo ultimo profilo la societa' ricorda che l'art.  176,  comma  3,
del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,
recante «Approvazione del testo  unico  delle  imposte  sui  redditi»
(TUIR) riconoscerebbe espressamente piena legittimita' all'operazione
di conferimento di azienda in nuova societa' e successiva cessione  a
terzi di tale societa', per concludere che una riqualificazione della
medesima fattispecie, operata in forza del  menzionato  art.  20  del
d.P.R. n. 131 del 1986, si  porrebbe  in  contrasto  proprio  con  il
principio di unitarieta' dell'ordinamento, oltre che con il canone di
ragionevolezza. 
    3.8.- La societa' costituita, da ultimo, contesta la svalutazione
operata dal rimettente della disciplina  antiabuso  del  citato  art.
10-bis della legge n. 212 del 2000 in materia di imposta di registro,
pur nell'attuale vigenza  dell'espresso  richiamo  operato  dall'art.
53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986 alla disciplina generale  antiabuso
sopra indicata. Nel nuovo e coerente  assetto  normativo,  risultante
all'esito  degli  interventi  del  2017  e  del  2018,  «le  sequenze
negoziali possono  essere  eventualmente  riqualificate  soltanto  se
siano integrati i presupposti dell'abuso del diritto» e, pertanto, il
percorso  interpretativo  prospettato  dal  rimettente,   che   prima
accomuna e poi allontana il censurato art. 20 e le  regole  antiabuso
apparirebbe  -  ad  avviso   della   parte   privata   -   debole   e
contraddittorio. 
    4.- Con atto depositato il 17 dicembre 2019,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate inammissibili o infondate. 
    4.1.- L'Avvocatura eccepisce  preliminarmente  l'inammissibilita'
delle questioni perche' il rimettente  non  avrebbe  sufficientemente
argomentato  le  ragioni  per  le  quali  non  riterrebbe   possibile
pervenire  a  un'interpretazione  costituzionalmente   conforme   del
censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del  1986,  come  successivamente
modificato,  nella  parte   in   cui   prevede   che   l'applicazione
dell'imposta debba prescindere dagli elementi extratestuali  e  dagli
atti collegati a quello presentato per la registrazione. 
    Ad avviso della  difesa  dello  Stato,  il  significato  alquanto
ampio, attribuito dalla Corte di cassazione alle locuzioni utilizzate
dal legislatore  nell'intervento  normativo  del  2017,  non  sarebbe
l'unico  possibile,  potendosi  pervenire  a  «un  significato   piu'
restrittivo,  idoneo  a  superare  i   dubbi   di   costituzionalita'
sollevati». 
    A  sostegno  di  tale  interpretazione  adeguatrice  l'Avvocatura
osserva che il significato della locuzione  «elementi  extratestuali»
non dovrebbe essere individuato  in  modo  astratto,  dovendosi  fare
riferimento a categorie concettuali proprie dei settori normativi  di
riferimento, nella specie il diritto civile e il  diritto  tributario
(e piu' precisamente la disciplina dell'imposta di registro). 
    Con riferimento al  diritto  civile  -  ad  avviso  della  difesa
erariale - detta locuzione rileva secondo le norme che disciplinano i
modi e le forme di esercizio dell'autonomia privata (artt. 1321, 1346
e 1325 cod. civ.) e l'interpretazione  del  negozio  giuridico  (art.
1362 cod. civ.), che  valorizza  il  comportamento  successivo  delle
parti,  con   cio'   includendo   la   valutazione   degli   elementi
extratestuali. 
    Quanto  alla  disciplina  dell'imposta   di   registro,   osserva
l'Avvocatura, essa sottopone al tributo  non  l'«atto-documento»,  ma
l'«atto-negozio»,  dalla  cui   corretta   qualificazione   giuridica
potrebbe dipendere l'assoggettamento a un differente tributo (in caso
di alternativita' con l'IVA) o ad aliquota inferiore di registro. 
    Peraltro,  ad  avviso  della  difesa  statale,  la  formula   del
censurato art. 20 costituisce (fin dalla sua originaria  introduzione
nell'ordinamento postunitario) attuazione del principio di prevalenza
della sostanza sulla forma, «mantenuto inalterato anche da parte  del
legislatore del  2017  (legge  di  bilancio  2018)  che,  pur  avendo
limitato il riferimento agli "effetti giuridici dell'atto  sottoposto
a registrazione", di fatto ha mantenuto l'aggancio  della  tassazione
alla "sostanza" rispetto alla "forma apparente"». 
    La  difesa  erariale  insiste  dunque  per  la  dichiarazione  di
inammissibilita'  delle  questioni,   stante   la   possibilita'   di
un'interpretazione costituzionalmente conforme della norma denunciata
- non esplorata dal rimettente - per cui gli  elementi  extratestuali
esclusi ai fini della valutazione degli effetti giuridici degli  atti
sarebbero  «tutti  quegli  atti  o  fatti  che  siano   completamente
"extravaganti" rispetto alla volonta' e agli  effetti  immediatamente
desumibili  dall'interpretazione   dell'atto   formulata   ai   sensi
dell'art. 1362 e ss. c.c.». Pertanto, l'Avvocatura conclude nel senso
che la zona di  irrilevanza  degli  elementi  extratestuali  dovrebbe
coincidere  con  l'individuazione  degli  «interna   corporis   della
volonta'  delle  parti,  a  contenuto  meramente  economico   e   non
giuridicamente  rilevante».  Ad  analoghe   considerazioni   dovrebbe
giungersi con riferimento ai negozi collegati,  laddove  -  all'esame
del giudice di merito - il collegamento non sia frutto dell'autonomia
negoziale, ma «occasionato da fattori causali eteronomi rispetto alla
volonta' delle parti». 
    Ancora  in  punto  di  inammissibilita'  per  omessa   esauriente
indagine  sulla  possibilita'  di  un'interpretazione  alternativa  a
quella posta a fondamento dell'ordinanza di rimessione,  l'Avvocatura
osserva che, proprio nella prospettiva affermata nella giurisprudenza
di legittimita' (a tal  fine  richiamata  in  atti)  di  una  lettura
dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 da effettuarsi alla luce  del
principio di capacita'  contributiva,  la  rilevanza  degli  elementi
esterni  all'atto  presentato  alla  registrazione  deve   intendersi
addirittura necessitata. 
    Di cio' ne sarebbero prova una serie di principi richiamati dallo
stesso giudice rimettente: a) il principio per cui l'atto  presentato
alla registrazione non si identifica  con  l'atto-documento,  ma  con
l'atto-negozio  (dando  cosi'  rilievo  alle   previsioni   negoziali
preordinate, mediante collegamento, ad una regolazione unitaria degli
effetti giuridici); b) il principio della prevalenza  della  sostanza
sulla forma; c) il principio secondo cui «solo la  considerazione  di
elementi meta-testuali e di collegamento negoziale individua e misura
l'effettiva capacita' contributiva sottesa ex art. 53 Cost., all'atto
presentato  alla  registrazione»;  d)  il  principio   per   cui   la
valorizzazione degli elementi negoziali esterni e collegati  all'atto
presentato alla registrazione risponde all'esigenza di evidenziare la
causa concreta e reale dell'atto oggetto di  imposizione,  «che,  per
sua natura, non puo'  essere  lasciata  alla  discrezionalita'  delle
parti contribuenti»; e) il  principio  della  indisponibilita'  della
qualificazione contrattuale ai fini fiscali. 
    In altri termini, afferma l'Avvocatura, proprio  in  ragione  dei
numerosi  e  sopra  richiamati  principi,  la  Corte  di   cassazione
rimettente avrebbe dovuto piu' approfonditamente indagare «se da tali
argomenti non possano scaturire utili  criteri  ermeneutici  volti  a
superare  sul   piano   interpretativo   i   prospettati   dubbi   di
costituzionalita'». 
    4.2.-  Nel  merito,   quanto   alle   ragioni   della   manifesta
infondatezza o comunque infondatezza delle  questioni  sollevate,  la
difesa statale pone in evidenza gli  interventi  normativi  che,  con
riferimento al censurato art. 20, si sono succeduti nel  2017  e  nel
2018, al fine di sottolineare che, nell'intenzione  del  legislatore,
«il collegamento negoziale volontario [...] risulta rilevante ai fini
dell'imposta di registro, salve le  ipotesi  espressamente  previste,
solo  nell'ambito   dell'accertamento   antielusivo».   Per   effetto
dell'art. 1, comma 87, lettere a) e b), della legge n. 205 del  2017,
il collegamento  negoziale  privo  di  valide  ragioni  economiche  e
finalizzato  a  un  risparmio  di  imposta  indebito  dovra'   essere
contestato dall'amministrazione finanziaria dopo essere stato oggetto
di un contraddittorio endoprocedimentale, pena la nullita'  dell'atto
impositivo. 
    In altri termini, ad  avviso  dell'Avvocatura,  il  principio  di
prevalenza della sostanza sulla forma andrebbe salvaguardato non gia'
attraverso un'applicazione estensiva dell'art. 20 del d.P.R.  n.  131
del 1986, ma attraverso l'art. 10-bis della legge n.  212  del  2000,
espressamente richiamato dall'art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986,
che  impone  a  carico  dell'amministrazione  finanziaria  la   prova
dell'abuso del diritto a  prescindere  dalla  qualificazione  formale
dell'atto. 
    In questa prospettiva, secondo la difesa dello Stato,  l'art.  1,
comma 1084, della legge n. 145 del 2018  costituirebbe  una  conferma
della natura di interpretazione autentica  dell'intervento  normativo
del 2017. Pur  dando  atto  che  la  Corte  di  cassazione  ne  aveva
affermato   la   natura   innovativa    e    anche    al    di    la'
dell'autoqualificazione  normativa  in  termini  di   interpretazione
autentica, l'Avvocatura ritiene che l'art. 1, comma 87,  lettera  a),
della  legge  n.  205   del   2017   abbia   effettivamente   portata
interpretativa. 
    Per  quanto  «potrebbero  esservi  fenomeni  rilevanti  sotto  il
profilo  della  capacita'  contributiva  che  potrebbero  sfuggire  a
tassazione (il  che  potrebbe  avvenire  qualora  non  vi  fossero  i
presupposti dell'abuso del diritto)», secondo l'Avvocatura, la scelta
operata  dal  legislatore  del  2017  non  e'  ne'  arbitraria,   ne'
manifestamente irragionevole,  in  quanto  la  coerenza  del  sistema
impositivo resterebbe adeguatamente tutelata dall'applicazione  della
disciplina antiabusiva di cui al menzionato art. 10-bis  della  legge
n. 212 del 2000, senza  che  si  verifichi  alcuna  violazione  degli
invocati parametri costituzionali. 
    5.-  Successivamente,  in  data  19  maggio  2020,  le   societa'
intervenienti hanno presentato memoria, sostanzialmente ribadendo  le
gia' proposte argomentazioni e precisando, nel merito, che la  stessa
giurisprudenza di legittimita' -  da  ultimo,  Corte  di  cassazione,
sezione sesta civile, ordinanza 10 marzo  2020,  n.  6790  -  avrebbe
nuovamente affermato la funzione antielusiva dell'art. 20 del  d.P.R.
n. 131 del 1986. 
    6.- In data 20 maggio 2020  la  SGD  srl  ha  presentato  memoria
insistendo per la dichiarazione di infondatezza delle  questioni,  in
quanto basate sull'asserita e indimostrata immanenza nell'ordinamento
giuridico di un principio di prevalenza della sostanza sulla forma. 
    7.- In  pari  data  anche  l'Avvocatura  generale  ha  presentato
memoria. 
    La difesa dello Stato, dopo aver confutato  gli  argomenti  spesi
dalla parte privata costituita, insiste per l'inammissibilita'  delle
questioni sollevate, adducendo la possibilita' di  un'interpretazione
costituzionalmente   conforme   precisando   che    questa    sarebbe
ulteriormente   avvalorata:   a)    dalla    natura    interpretativa
dell'intervento normativo di cui all'art. 1, comma  87,  lettera  a),
della legge n. 205 del 2017,  confermato  dall'art.  1,  comma  1087,
della legge n. 145  del  2018,  che  dimostrerebbe  la  volonta'  del
legislatore di collocarsi nel solco della previgente  interpretazione
dell'art.  20  raggiunta  dal  diritto  vivente;  b)  dalla   tecnica
normativa utilizzata, che nel mantenere intatto la prima parte  della
disposizione («secondo la intrinseca natura e gli  effetti  giuridici
dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi  corrisponda
il titolo o la forma apparente»),  avrebbe  confermato  il  principio
della prevalenza  della  sostanza  sulla  forma,  rispetto  al  quale
coordinare  nei  termini  sopra  descritti   la   preclusione   della
considerazione degli elementi extratestuali e degli atti collegati. 
    In subordine, conferma  la  richiesta  di  dichiarazione  di  non
fondatezza o manifesta infondatezza. 
    Osserva inoltre l'Avvocatura che del tutto inconferenti sarebbero
gli argomenti spesi dalla parte privata con riguardo sia  all'art.  5
della direttiva 2008/7/CE, sia all'art. 176, comma 3, TUIR, in quanto
del tutto  estranei  al  presente  giudizio  di  costituzionalita'  e
relativi ad aspetti che toccano unicamente il merito, nel giudizio  a
quo, delle questioni. 
    Da  ultimo,  la  difesa  statale   eccepisce   l'inammissibilita'
dell'intervento della Total E&P Italia spa e Mitsui E&P Italia A srl,
in quanto prive  di  un  interesse  differenziato  ed  incidente  sul
medesimo rapporto sostanziale del giudizio principale. 
    8.- Con ordinanza dibattimentale  del  10  giugno  2020,  che  si
allega, e' stato dichiarato inammissibile l'intervento spiegato delle
societa' Total E&P Italia spa e Mitsui E&P Italia A  srl,  in  quanto
relativo a soggetti estranei al giudizio principale  e  privi  di  un
interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, sezione quinta civile, con  ordinanza
del 23 settembre 2019 (reg. ord.  n.  212  del  2019),  ha  sollevato
d'ufficio, in riferimento agli  artt.  3  e  53  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 20 del decreto del
Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione  del
testo unico delle disposizioni concernenti  l'imposta  di  registro),
cosi' «come risultante dagli interventi apportati dall'art. 1,  comma
87» [rectius comma 87, lettera a)], della legge 27 dicembre 2017,  n.
205 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e
bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) e dall'art. 1,  comma
1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio 2019-2021), nella parte in cui dispone  che,  nell'applicare
l'imposta di registro «secondo la intrinseca  natura  e  gli  effetti
giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche  se  non  vi
corrisponda il titolo o la forma apparente, si  debbano  prendere  in
considerazione unicamente gli elementi desumibili  dall'atto  stesso,
"prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati,
salvo quanto disposto dagli articoli successivi"». 
    La  Corte  di  cassazione  rimettente,   dopo   aver   illustrato
analiticamente le ragioni per le quali  non  ritiene  «potenzialmente
assorbenti» i motivi di gravame,  diversi  dalla  questione  relativa
alla portata del  menzionato  art.  20,  conclude  che,  per  effetto
dell'art. 1, comma 1084, della legge n. 145 del  2018,  a  norma  del
quale «[l]'articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27  dicembre
2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell'articolo 20,
comma 1, del testo unico di  cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131»,  non  e'  possibile  decidere  la
controversia senza fare applicazione della norma denunciata. 
    Cio' premesso, secondo il  giudice  a  quo  tale  «nuova  e  piu'
ristretta» formulazione del citato art. 20 sarebbe lesiva: 
    a)  dell'art.  53  Cost.,  sotto  il  profilo   dell'effettivita'
dell'imposizione,  in  quanto  -  in  contrasto  con   il   principio
«imprescindibile ed anche  storicamente  radicato»  della  prevalenza
della sostanza sulla forma - «l'esenzione del collegamento  negoziale
dall'opera di qualificazione giuridica  dell'atto  produce  l'effetto
pratico di sottrarre ad  imposizione  una  tipica  manifestazione  di
capacita' contributiva»; 
    b)  dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  dell'eguaglianza  e
ragionevolezza, dal momento  che  «a  pari  manifestazioni  di  forza
economica  (e  quindi  di   capacita'   contributiva)   non   possano
corrispondere imposizioni di diversa  entita'  [...]  a  seconda  che
[...] le parti abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto  di
interessi con un solo atto negoziale  piuttosto  che  con  piu'  atti
collegati», non  essendo  il  collegamento  negoziale  un  indice  di
diversificazione  di  fattispecie  legittimante  un  trattamento  non
omogeneo delle situazioni prese a comparazione. 
    2.- Va preliminarmente ribadita l'ordinanza dibattimentale del 10
giugno 2020, con cui e' stato dichiarato  inammissibile  l'intervento
spiegato dalle societa' Total E&P Italia spa e Mitsui  E&P  Italia  A
srl, in quanto relativo a soggetti estranei al giudizio principale  e
privi di un  interesse  qualificato,  inerente  in  modo  diretto  ed
immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 
    3.- La Saint Gobain Distribuzione srl a socio  unico,  costituita
in  giudizio,  ha  eccepito  la  manifesta   inammissibilita'   delle
questioni prospettate dal rimettente in ragione della non corretta  o
implausibile motivazione in ordine  alla  rilevanza  delle  questioni
stesse in quanto esse sarebbero incentrate sull'«addotta esistenza di
un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimita' su (una
delle varie) letture interpretative dell'art. 20 D.P.R. 131/86  nella
versione pre-vigente alle modifiche normative», oggetto  dell'odierna
censura. Ad avviso della parte privata,  il  rimettente,  a  sostegno
della   rilevanza,   avrebbe   dovuto   argomentare   non   solo   la
compatibilita' di tale orientamento con la disposizione censurata, ma
anche che esso - pur consolidato nella giurisprudenza di legittimita'
- fosse l'unico imposto dalla Costituzione. Cio'  a  maggior  ragione
trattandosi  di  un  orientamento  «invero  avversato  dalla  unanime
dottrina [...] e da parte  della  giurisprudenza,  sia  della  stessa
Cassazione - cfr. in particolare sent. 2054/2017 - sia,  soprattutto,
di merito». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La Corte di  cassazione  rimettente,  infatti,  ha  adeguatamente
motivato la rilevanza  sia  precisando  che  la  norma  -  in  quanto
dichiaratamente interpretativa e, quindi, con «portata retroattiva» -
si applica al giudizio a quo, sia  richiamando  il  tenore  letterale
delle disposizioni oggetto delle questioni. Cio' e'  sufficiente  per
riconoscere  l'ammissibilita'   delle   questioni,   ogni   ulteriore
considerazione restando riservata all'esame del merito. 
    4.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni sotto un distinto profilo. 
    Ad  avviso  della  difesa  statale  il  rimettente  non   avrebbe
sufficientemente argomentato le ragioni  per  le  quali  non  sarebbe
possibile pervenire a un'interpretazione costituzionalmente  conforme
del censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nella parte in  cui
prevede  che  l'applicazione  dell'imposta  debba  prescindere  dagli
elementi extratestuali e dagli atti collegati a quello presentato per
la registrazione. 
    In particolare, la difesa dello Stato sostiene che il divieto  di
far ricorso a elementi extratestuali o desumibili da atti  collegati,
avrebbe solo il significato di escludere la rilevanza degli  elementi
"fuori contesto" o "extravaganti"  «rispetto  alla  volonta'  e  agli
effetti immediatamente desumibili» dall'atto da registrare, perche' a
questo non fanno alcun riferimento o comunque non incidono  sui  suoi
effetti. 
    L'eccezione e' manifestamente infondata. 
    L'Avvocatura non considera che  il  rimettente  ha  espressamente
escluso  la  possibilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente
conforme della norma censurata «per  lettera,  ratio  e  contesto  di
emanazione», considerandola «assolutamente inequivoca ed invalicabile
nel prescrivere l'estromissione degli elementi extratestuali e  degli
atti collegati dall'opera di qualificazione negoziale». 
    Tale  argomentazione  del   rimettente   rende   ammissibili   le
questioni, perche', come ribadito anche di recente da  questa  Corte,
«[a]  fronte  di  adeguata   motivazione   circa   l'impedimento   ad
un'interpretazione     costituzionalmente     compatibile,     dovuto
specificamente al "tenore letterale della  disposizione",  [...]  "la
possibilita' di  un'ulteriore  interpretazione  alternativa,  che  il
giudice a quo non ha ritenuto di  fare  propria,  non  riveste  alcun
significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del  processo
costituzionale,  in  quanto  la  verifica  dell'esistenza   e   della
legittimita' di  tale  ulteriore  interpretazione  e'  questione  che
attiene al merito della controversia, e non alla sua  ammissibilita'"
(sentenza n. 221 del 2015)» (sentenza n. 217 del 2019). 
    Ne segue che anche la suddetta eccezione sollevata  dalla  difesa
dello Stato attiene al merito dell'interpretazione della disposizione
censurata e non all'ammissibilita' delle questioni. 
    5.- Nel merito, le questioni inerenti alla violazione degli artt.
53 e 3 Cost. non sono fondate. 
    5.1.-  L'art.  20  del  d.P.R.  n.  131  del  1986,  nell'attuale
formulazione censurata,  dispone  che,  nell'applicare  l'imposta  di
registro secondo l'intrinseca natura e secondo gli effetti  giuridici
dell'atto da registrare, indipendentemente dal titolo o  dalla  forma
apparente, si  debbano  prendere  in  considerazione  unicamente  gli
elementi desumibili dall'atto stesso (intesi quali effetti  giuridici
del negozio  veicolato  in  un  documento),  prescindendo  da  quelli
«extratestuali e dagli atti a esso collegati, salvo  quanto  disposto
dagli articoli successivi». 
    5.1.1.- Anche  il  rimettente  muove  da  questa  interpretazione
letterale della norma censurata: tuttavia ritiene che  essa  comporti
la denunciata  violazione  degli  artt.  53  e  3  Cost.  perche'  la
preclusione della valutazione degli elementi  extratestuali  e  degli
atti collegati sarebbe in contrasto con il  principio  di  prevalenza
della sostanza economica sulla forma giuridica, principio che afferma
essere implicato da detti parametri nonche' «imprescindibile e  [...]
storicamente radicato» nell'ordinamento tributario in genere e  nella
disciplina dell'imposta di registro in particolare. 
    Piu'  precisamente,  il  giudice  a  quo  oppone,  alla   novella
censurata, l'interpretazione del previgente art. 20 del  testo  unico
quale  prospettata  dal  «vastissimo   e   del   tutto   consolidato»
orientamento giurisprudenziale di legittimita', secondo cui: 
    a)  la  natura  di  "imposta  d'atto"  propria  dell'imposta   di
registro, confermata dalla formulazione dell'art. 1 del d.P.R. n. 131
del  1986,  relativo  all'oggetto  dell'imposta,   «non   osta   alla
valorizzazione complessiva di elementi interpretativi  esterni  e  di
collegamento  negoziale»,   poiche'   per   «atto   presentato   alla
registrazione» deve intendersi l'insieme delle  previsioni  negoziali
preordinate  alla  regolazione  unitaria  degli   effetti   giuridici
derivanti dai vari negozi collegati; 
    b) il recupero di elementi negoziali esterni e collegati all'atto
presentato alla registrazione risponde all'esigenza di evidenziare la
«causa reale di tale atto [...] che, per sua natura, non puo'  essere
lasciata alla discrezionalita' delle parti contribuenti ne' a  quello
che le parti abbiano dichiarato»; 
    c) tale «processo  di  riqualificazione»  discende  dal  richiamo
degli  istituti  civilistici  generali  della  «causa  concreta»  del
contratto e del «collegamento negoziale», per cui,  «pur  conservando
una  loro  causa  autonoma,  i  diversi  contratti  legati  dal  loro
collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento  dei
reciproci interessi»; 
    d) il riferimento testuale del censurato art.  20  agli  «effetti
giuridici» dell'atto non preclude  che  si  attribuisca  rilevanza  a
quello «scopo economico unitario» raggiunto dalle parti attraverso la
combinazione e il coordinamento degli effetti giuridici  dei  singoli
atti, cosi' disvelandone l'«intrinseca natura»; peraltro,  posto  che
la riqualificazione del contratto ai fini tributari «lascia  comunque
intatta la validita' e  l'efficacia  del  contratto  stesso  e  dello
schema negoziale  liberamente  prescelto  dalle  parti,  risolvendosi
unicamente  nell'applicazione  della   disciplina   impositiva   piu'
appropriata», nessuna menomazione, ai sensi dell'art.  41  Cost.,  e'
rilevabile  in  relazione  alla  «libera  iniziativa   economica»   e
all'«autonomia negoziale delle parti»; 
    e) «l'espressa inclusione nell'art. 10-bis, comma 2, lettera  a),
legge n. 212/2000 della fattispecie di collegamento negoziale (invece
mancante nella struttura testuale dell'art. 20)» non esclude  che  il
collegamento  negoziale  continui  a  rilevare  -  al  di  fuori   da
considerazioni  antielusive  -  «sul  piano  obiettivo   della   mera
qualificazione giuridica», ai sensi dell'art. 20 del  d.P.R.  n.  131
del 1986. 
    5.1.2.- Il  rimettente  afferma,  dunque,  che  nell'art.  20  il
termine «atto» presentato alla registrazione va inteso  come  negozio
complessivo, anche se non interamente espresso in un unico documento,
e che per la sua interpretazione debbono necessariamente  utilizzarsi
tutti gli elementi extratestuali reperibili dall'interprete, compresi
gli atti collegati contenuti in  distinti  documenti  (ancorche'  non
enunciati, ne' menzionati nell'atto presentato  alla  registrazione).
Nella prospettazione del giudice  a  quo,  questa  interpretazione  -
esito della consolidata giurisprudenza di legittimita'  alla  stregua
della previgente formulazione dell'art.  20  -  costituisce  un  dato
necessitato in base alla Costituzione,  cosicche'  «il  dubbio  verte
proprio sul corretto esercizio della discrezionalita'  legislativa  e
sulla corretta applicazione delle scelte del legislatore tributario». 
    5.1.3.- Tale interpretazione  evolutiva,  cui  la  giurisprudenza
della Corte di cassazione e' pervenuta circa la rilevanza della causa
concreta del negozio ai fini della tassazione di registro,  tuttavia,
non  equivale  a  priori  a   un'interpretazione   costituzionalmente
necessitata, come invece ritiene il rimettente. 
    In  proposito  deve  essere  innanzitutto  sottolineato  che,  se
certamente esula dal sindacato di questa Corte ogni valutazione circa
la correttezza in se' della suddetta  interpretazione  evolutiva  del
previgente art. 20 fornita dalla  Corte  di  cassazione  in  funzione
nomofilattica, e'  invece  compito  di  questa  Corte  costituzionale
stabilire  se  detta  interpretazione  sia  l'unica  consentita   dai
predetti parametri costituzionali e, quindi,  se  l'esclusione  dalla
rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali  e  degli  atti
collegati, disposta  dal  legislatore  con  i  menzionati  interventi
normativi del 2017 e 2018, si  ponga  in  contrasto  con  i  medesimi
parametri. 
    5.2.- Nella specie, ad avviso di questa Corte,  proprio  muovendo
dall'interpretazione del  giudice  a  quo  circa  il  significato  da
attribuire agli interventi legislativi del 2017 e del 2018, che hanno
condotto all'attuale formulazione della norma censurata, e' possibile
ritenere compatibili  con  la  Costituzione  anche  nozioni  diverse,
rispetto a quelle utilizzate dal rimettente, di «atto presentato alla
registrazione» e di «effetti  giuridici»,  in  relazione  alle  quali
considerare    la    capacita'    contributiva,     tenendo     conto
dell'individuazione delle voci in tariffa distintamente stabilite dal
testo unico dell'imposta di registro. 
    Tali  possibili  diverse  nozioni,  convalidate   dalla   novella
censurata, riguardano lo  stesso  presupposto  d'imposta  individuato
dall'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986,  che  deve  essere  vagliato
alla luce della disciplina del tributo nel suo complesso. 
    Va pero' preliminarmente ribadito che il senso fatto  palese  dal
significato  proprio  delle  parole  della  disposizione   denunciata
(secondo la loro connessione), i correlativi lavori  preparatori  (in
particolare la relazione illustrativa all'art.  1,  comma  87,  della
legge n. 205 del 2017) e  tutti  i  comuni  criteri  ermeneutici  (in
particolare, quello  sistematico)  convergono  univocamente  nel  far
ritenere la  disposizione  oggetto  delle  questioni  come  intesa  a
imporre che, nell'interpretare l'atto presentato a registrazione,  si
debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad  esso
collegati», salvo  quanto  disposto  dagli  articoli  successivi  del
medesimo d.P.R. n. 131 del 1986. 
    Non puo' percio' essere accolta  l'"interpretazione  adeguatrice"
prospettata dall'Avvocatura generale dello  Stato  nei  suoi  diversi
scritti difensivi, secondo cui il divieto di far ricorso  a  elementi
extratestuali  o  desumibili  da  atti  collegati,  avrebbe  solo  il
significato di escludere la rilevanza degli elementi "fuori contesto"
o "extravaganti" (cioe' privi di riferimenti all'atto da registrare o
con effetti non incidenti su questo), nonche' di  quelli  sussumibili
nell'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni  in
materia di statuto dei diritti del contribuente); interpretazione che
confermerebbe - sempre secondo la difesa dello  Stato  -  quella  del
previgente  art.  20  del  testo   unico   fornita   dal   prevalente
orientamento della giurisprudenza di legittimita'. 
    In  particolare,  deve  osservarsi  che:  a)  la  lettera   delle
disposizioni censurate non pone la incerta  distinzione,  nell'ambito
degli  elementi  extratestuali,  tra  quelli   "fuori   contesto"   o
all'"interno del contesto"; b) l'«interpretazione  adeguatrice»,  ove
comportasse la sostanziale conferma  dell'originaria  interpretazione
dell'art. 20 del d.P.R. n. 131  del  1986  fornita  dalla  prevalente
giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  si   risolverebbe   in
un'arbitraria e illogica interpretatio  abrogans  delle  disposizioni
censurate. 
    5.2.1.-  In  proposito  e'  opportuno  precisare  che  lo  stesso
rimettente da' conto che le questioni attengono  a  temi  con  radici
storiche ben risalenti nel diritto tributario. 
    L'originaria disciplina (art. 7 della legge 21  aprile  1862,  n.
585, recante «Sulla tassa di Registro») disponeva, infatti, che «[l]a
tassa e' applicata secondo la intrinseca  natura  degli  atti  e  dei
contratti, e non secondo  la  loro  forma  apparente»  (poi  trasfusa
nell'art. 8 del regio decreto 30  dicembre  1923,  n.  3269,  recante
«Approvazione  del  testo  di  legge  di  registro»).   Gia'   questa
formulazione aveva sollecitato,  a  partire  dai  primi  decenni  del
Novecento, un vivacissimo dibattito tra chi sosteneva  fermamente  la
necessita' di una considerazione della sostanza economica sottostante
all'attivita' giuridica espressa negli atti e chi invece la negava in
radice, propendendo a favore di un  criterio  di  tassazione  fondato
sugli effetti giuridici (seppur potenziali  e  oggettivizzati)  degli
schemi negoziali utilizzati. 
    Il legislatore sembro', anni dopo, chiudere quel dibattito -  che
si era riflesso anche nella giurisprudenza - quando, con  la  riforma
tributaria si inseri', con il decreto del Presidente della Repubblica
26 ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina  dell'imposta  di  registro),
all'art. 19 relativo all'«interpretazione  degli  atti»,  l'esplicito
riferimento  agli  «effetti  giuridici»,  espressione  poi   recepita
dall'attuale testo unico all'art. 20. 
    Tuttavia, dopo alcuni decenni, soprattutto col diffondersi  della
prospettiva del contrasto all'abuso del diritto, nella giurisprudenza
di legittimita' e' riemersa un'interpretazione sostanzialista che  si
e', invero, sviluppata in modo complesso. In particolare, dapprima  -
e il rimettente ne da' conto - consolidandosi nel sostenere la natura
antielusiva  dell'art.  20  e,  successivamente  (con  l'introduzione
dell'art. 10-bis della legge n. 212 del 2000  recante  la  disciplina
sostanziale  e  procedimentale  per  l'accertamento  dell'abuso   del
diritto e dell'elusione d'imposta), convergendo sull'affermazione che
l'art.  20  detta  una  regola   meramente   interpretativa   e   non
antielusiva, ma tale da consentire in ogni  caso  di  individuare  la
«reale operazione economica» perseguita dalle parti, in  ragione  del
principio della prevalenza della sostanza sulla forma. 
    Cio',  comunque,  non  ha  impedito  l'insorgere  di  un  isolato
contrasto  nella  giurisprudenza  di  legittimita',  quando   si   e'
affermato - in difformita'  dall'orientamento  prevalente  -  che  la
riqualificazione «non puo' travalicare lo schema negoziale tipico nel
quale l'atto risulta inquadrabile, pena l'artificiosa costruzione  di
una fattispecie imponibile diversa da  quella  voluta  e  comportante
differenti effetti giuridici» (Corte di  cassazione,  sezione  quinta
civile, sentenza 27 gennaio 2017, n. 2054, successivamente richiamata
dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 15 gennaio
2019, n. 722,  quest'ultima  a  sua  volta  ripresa  dalla  Corte  di
cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 10 marzo 2020,  n.  6790,
dove peraltro riaffiora la natura antielusiva dell'art. 20). 
    Anche in conseguenza di tale contrasto (la citata sentenza  della
Corte di cassazione n. 2054 del 2017 e'  menzionata  nella  relazione
illustrativa all'art. 1, comma 87, della legge n. 205 del  2017),  il
legislatore  tributario  e'  intervenuto  sull'art.   20   stabilendo
espressamente  -  in   sostanziale   adesione   alla   giurisprudenza
minoritaria della Corte di cassazione - che, nell'interpretare l'atto
presentato a registrazione, ai fini dell'applicazione dell'imposta di
registro, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e  dagli
atti  ad  esso  collegati,  salvo  quanto  disposto  dagli   articoli
successivi». 
    5.2.2.- A ben vedere, tale presa di  posizione  del  legislatore,
nel confermare la tassazione isolata del negozio veicolato  dall'atto
presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici  da  esso
desumibili, si  mostra  coerente  con  i  principi  ispiratori  della
disciplina dell'imposta di registro e, in particolare, con la  natura
di "imposta d'atto" storicamente riconosciuta al tributo di  registro
dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta. 
    Per quanto possa apparire, de iure condendo,  in  parte  obsoleta
rispetto all'evoluzione delle tecniche contrattuali, tale natura  non
risulta superata dal legislatore positivo tenuto  conto  dell'attuale
impianto sistematico della disciplina  sostanziale  e  procedimentale
dell'imposta di registro. 
    In  tale  contesto,  il  censurato  intervento  normativo  appare
finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all'interno del suo  alveo
originario, dove l'interpretazione, in linea con le specificita'  del
diritto  tributario,  risulta  circoscritta  agli  effetti  giuridici
dell'atto  presentato  alla  registrazione  (ovverossia  al   gestum,
rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella
tariffa allegata al testo unico), senza  che  possano  essere  svolte
indagini circa effetti ulteriori, salvo che  cio'  sia  espressamente
stabilito dalla stessa disciplina del testo unico. 
    Mette conto, infatti, precisare che, proprio la  clausola  finale
del  censurato  art.  20  «salvo  quanto  disposto   dagli   articoli
successivi» concorre ad avvalorare la  suddetta  valenza  sistematica
dell'intervento legislativo del 2017  nell'assetto  della  disciplina
del  tributo.  Invero,  per  effetto  della   novella,   le   ipotesi
riconducibili all'accezione restrittiva  generale  della  nozione  di
«atto» presentato alla registrazione sono individuabili  solo  al  di
fuori di quelle, espressamente regolate dallo stesso testo unico, che
ammettono la  rilevanza  degli  effetti  di  separati  atti  o  fatti
collegati o, in altri termini, di vicende rientranti nel  complessivo
programma  di  azione  costituito  da  un  precedente  negozio,   che
incideranno  sul  regime  fiscale  di  quest'ultimo  o  comporteranno
trattamenti d'imposta diversificati. 
    5.2.3.- Pertanto, il legislatore,  con  la  denunciata  norma  ha
inteso, attraverso un esercizio non manifestamente  arbitrario  della
propria discrezionalita', riaffermare la natura di  "imposta  d'atto"
dell'imposta di registro, precisando  l'oggetto  dell'imposizione  in
coerenza con la struttura di  un  prelievo  sugli  effetti  giuridici
dell'atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo
gli elementi extratestuali e gli atti collegati  privi  di  qualsiasi
nesso testuale con l'atto medesimo, salvo  le  ipotesi  espressamente
regolate dal testo unico. In tal modo risulta rispettata la  coerenza
interna  della  struttura  dell'imposta  con   il   suo   presupposto
economico,  coerenza  sulla  cui  verifica  verte  il   giudizio   di
legittimita' costituzionale (su tale esigenza, ex multis, sentenze n.
10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997). 
    Ne consegue che le questioni  prospettate  con  riferimento  agli
artt. 3 e 53 Cost. sono non fondate, in quanto si basano sull'assunto
del  rimettente  che,  ai  fini  dell'applicazione  dell'imposta   di
registro, i fatti espressivi della capacita'  contributiva,  indicati
negli  effetti  giuridici  desumibili,  anche  aliunde,  dalla  causa
concreta  del  negozio  contenuto   nell'atto   presentato   per   la
registrazione, sono i soli  costituzionalmente  compatibili  con  gli
evocati parametri. 
    E' proprio  tale  assunto  che  non  puo'  essere  accolto:  tali
parametri, infatti, sul piano della legittimita'  costituzionale  non
si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte
legislatore   dei   principi    di    capacita'    contributiva    e,
conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che  sia  diretta  (come
stabilito  dalla  norma  censurata)  a  identificare  i   presupposti
impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto
nell'atto presentato per la registrazione,  senza  alcun  rilievo  di
elementi  tratti  aliunde,  «salvo  quanto  disposto  dagli  articoli
successivi» dello stesso testo unico. 
    In tal modo, del  resto,  il  criterio  di  qualificazione  e  di
sussunzione in via interpretativa risulta  omogeneo  a  quello  della
tipizzazione, secondo le regole del testo unico e  in  ragione  degli
effetti giuridici dei  singoli  atti  distintamente  individuati  dal
legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata. 
    5.2.4.- Non varrebbe, infine, obiettare che la normativa  di  cui
si discute, escludendo (salvo per le ipotesi  espressamente  regolate
dal  testo  unico)  la  rilevanza  interpretativa  sia  di   elementi
extratestuali, sia  del  collegamento  negoziale,  potrebbe  favorire
l'ottenimento    di    indebiti    vantaggi    fiscali     sottraendo
all'imposizione,    in    violazione    degli    evocati    parametri
costituzionali, «l'effettiva ricchezza imponibile». 
    In proposito  va  sottolineato  che  detta  sottrazione  potrebbe
rilevare sotto il profilo dell'abuso del diritto. Tuttavia lo  stesso
rimettente esclude decisamente  (indicando  a  sostegno  «l'indirizzo
piu' recente» della giurisprudenza di legittimita') che l'art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986 abbia una specifica funzione antielusiva e nel
percorso motivazionale dell'ordinanza di rimessione non  si  sofferma
sull'esistenza e applicabilita' in concreto delle singole  discipline
antiabuso anteriori all'introduzione nell'ordinamento -  sopravvenuta
rispetto  alla  fattispecie  oggetto  del  giudizio  a  quo  -  della
esplicita clausola generale di cui all'art. 10-bis della legge n. 212
del 2000 (espressamente richiamato per  il  sistema  dell'imposta  di
registro dall'attuale formulazione dell'art. 53-bis del d.P.R. n. 131
del 1986). 
    Una  volta  constatato,  per  quanto  sopra  detto,  che  non  e'
manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la  ratio
dell'imposta di registro in sostanziale conformita' alla sua  origine
storica di "imposta d'atto" nei sensi sopra  precisati,  in  caso  di
collegamento  negoziale,  qui  puo'  solo   osservarsi,   sul   piano
costituzionale,  che  l'interpretazione  evolutiva,  patrocinata  dal
rimettente, di detto art. 20 del d.P.R. n. 131 del  1986,  incentrata
sulla   nozione   di   "causa   reale",   provocherebbe    incoerenze
nell'ordinamento, quantomeno a  partire  dall'introduzione  dell'art.
10-bis  della  legge  n.  212  del   2000.   Infatti,   consentirebbe
all'amministrazione finanziaria, da un lato, di operare  in  funzione
antielusiva  senza  applicare   la   garanzia   del   contraddittorio
endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro,
di svincolarsi da ogni riscontro di «indebiti» vantaggi fiscali e  di
operazioni «prive di sostanza economica»,  precludendo  di  fatto  al
medesimo contribuente ogni legittima pianificazione  fiscale  (invece
pacificamente  ammessa  nell'ordinamento   tributario   nazionale   e
dell'Unione europea). 
    5.2.5.- In conclusione, la disciplina censurata non  si  pone  in
contrasto ne' con il principio di  capacita'  contributiva,  ne'  con
quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria,  con  conseguente
non fondatezza delle sollevate questioni. 
    Resta ovviamente riservato alla discrezionalita' del  legislatore
provvedere - compatibilmente con le coordinate stabilite dal  diritto
dell'Unione europea - a un eventuale aggiornamento  della  disciplina
dell'imposta di registro che tenga  conto  della  complessita'  delle
moderne tecniche contrattuali  e  dell'attuale  stato  di  evoluzione
tecnologica,  con  riguardo,  in  particolare,  sia  al  sistema   di
registrazione degli atti notarili, sia a  quello  di  gestione  della
documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari.