ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  10  della
legge 7 agosto 2015,  n.  124  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) e dell'art.  3  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega
di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  per  il
riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle   camere   di
commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura),  promossi   dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione  terza,  con
ordinanze del 30 aprile, 27 marzo, 15 marzo, 30 aprile, 27 marzo,  30
aprile e 27 marzo 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri da 163 a
166, 184, 185 e 196 del registro ordinanze 2019  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 42, 45 e 46,  prima  serie
speciale, dell'anno 2019. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  delle  Camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura di Massa Carrara, di  Pavia,  di
Rieti, di Terni e di Brindisi, e dell'Unione Italiana delle Camere di
commercio industria, artigianato e agricoltura - Unioncamere, nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; 
    udito il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera  ai  sensi  del
decreto della Presidente della Corte del 20 aprile  2020,  punto  1),
lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale e
nella  camera  di  consiglio,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile, punto 1), lettera a),  in  data
10 giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 163 del  2019)
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 della Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della  legge  7
agosto  2015,  n.   124   (Deleghe   al   Governo   in   materia   di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) e dell'art.  3  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega
di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  per  il
riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle   camere   di
commercio, industria, artigianato e agricoltura). 
    1.1.- Il giudice rimettente premette in narrativa che  la  Camera
di commercio, industria, artigianato e agricoltura di  Massa  Carrara
ha impugnato il decreto del  Ministro  dello  sviluppo  economico  16
febbraio  2018  (Riduzione  del  numero  delle  camere  di  commercio
mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del  personale)
nella parte in cui, in attuazione dell'art. 3 del d.lgs. n.  219  del
2016, recependo la proposta avanzata da Unione Italiana delle  Camere
di commercio, industria, artigianato e agricoltura (d'ora in  avanti:
Unioncamere), di cui alla delibera del 30 maggio  2017,  ha  disposto
l'accorpamento delle Camere di commercio di Massa Carrara, di Lucca e
di Pisa, individuando in  Viareggio  la  sede  del  nuovo  ente.  Nel
giudizio  principale  sono  stati   altresi'   impugnati   gli   atti
presupposti e conseguenziali, ed in particolare le determinazioni del
Commissario ad acta, numeri da 1 a 7 del 2018 e la deliberazione  del
Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2018. 
    1.2.- Il giudice rimettente specifica che il decreto ministeriale
impugnato  e'  identico  al  decreto  del  Ministro  dello   sviluppo
economico  8  agosto  2017  (Rideterminazione  delle   circoscrizioni
territoriali,  istituzione  di   nuove   camere   di   commercio,   e
determinazioni in materia  di  razionalizzazione  delle  sedi  e  del
personale), pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica
italiana (serie generale) n. 219 del 19 settembre 2017, e  sostituito
a seguito della pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 261
del  2017)  che  ha   dichiarato   «l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 25  novembre  2016,  n.
219 (Attuazione della delega di cui all'articolo  10  della  legge  7
agosto  2015,  n.  124,  per  il  riordino  delle  funzioni   e   del
finanziamento delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura), nella parte  in  cui  stabilisce  che  il  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico dallo stesso previsto  deve  essere
adottato "sentita la Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome di  Trento  e  di  Bolzano",
anziche' previa intesa con  detta  Conferenza».  Nello  specifico,  a
seguito di questa pronuncia il ministero sottoponeva alla  Conferenza
Stato-Regioni un nuovo schema di decreto,  di  contenuto  analogo  al
precedente,  ai  fini  del  raggiungimento  dell'intesa.  La   citata
Conferenza esaminava il testo nella seduta dell'11  gennaio  2018  e,
poiche' varie Regioni formulavano obiezioni sul testo, il verbale  di
tale seduta recava l'indicazione della «mancata intesa». A seguito di
tale evento, il Consiglio dei ministri, nella seduta dell'8  febbraio
2018, ai sensi dell'art. 3,  comma  3,  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281 (Definizione ed  ampliamento  delle  attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed  autonomie
locali), autorizzava il Ministro dello sviluppo economico ad adottare
il citato decreto ministeriale. 
    1.3.- Il d.lgs. n. 219 del 2016 e' stato emanato in virtu'  della
delega conferita al Governo dall'art. 10 della legge n. 124 del 2015,
per  la   riforma   dell'organizzazione,   delle   funzioni   e   del
finanziamento delle camere di commercio, anche mediante  la  modifica
della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle  camere  di
commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura).  La  delega  ha
previsto che il legislatore delegato procedesse  alla  «ridefinizione
delle circoscrizioni territoriali, con  riduzione  del  numero  dalle
attuali 105 a non piu' di 60 mediante  accorpamento  di  due  o  piu'
camere di commercio». La stessa legge di delega ha altresi' stabilito
la «possibilita' di mantenere la  singola  camera  di  commercio  non
accorpata sulla base di una  soglia  dimensionale  minima  di  75.000
imprese e unita'  locali  iscritte  o  annotate  nel  registro  delle
imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera di commercio
in ogni regione, prevedendo che possa essere istituita una camera  di
commercio in ogni provincia autonoma e citta'  metropolitana  e,  nei
casi di comprovata  rispondenza  a  indicatori  di  efficienza  e  di
equilibrio economico, tenendo conto delle specificita' geo-economiche
dei territori e delle circoscrizioni territoriali di confine, nonche'
definizione delle condizioni in presenza delle quali  possono  essere
istituite le unioni regionali o interregionali». In  particolare,  il
comma 2 della citata disposizione  prevedeva  che  l'esercizio  della
delega  sarebbe  dovuto  avvenire  con  l'adozione  di   un   decreto
legislativo su proposta del Ministro dello sviluppo economico «previa
acquisizione  del  parere   della   Conferenza   unificata   di   cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». 
    1.4.- Il giudice a quo riporta che, nel corso  del  giudizio,  la
Camera di commercio  ha  contestato  la  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10 della legge n. 124 del  2015  e,  conseguentemente,  del
d.lgs. n. 219 del  2016  nella  sua  interezza,  per  violazione  del
principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.). La legge  di
delega non ha previsto, infatti, l'intesa con la Conferenza unificata
e/o con la Conferenza Stato-Regioni. 
    1.5.- Il giudice rimettente ritiene le questioni rilevanti per il
fatto che il d.m. 16 febbraio 2018,  oggetto  di  gravame,  e'  stato
adottato in diretta applicazione dell'art. 3 del d.lgs.  n.  219  del
2016, a sua volta emanato in ragione della delega contenuta nell'art.
10 della legge n. 124 del 2015. Pertanto,  osserva  che,  costituendo
l'illegittimita'  del  d.m.  impugnato  l'oggetto  del  petitum   del
giudizio a quo, la risoluzione della questione  di  costituzionalita'
relativa alla normativa primaria (cioe' il decreto legislativo  e  la
legge delega), sulla  base  della  quale  e'  stato  adottato  l'atto
impugnato, e' presupposto necessario per la pronuncia definitiva. 
    1.6.-  Il  giudice  rimettente  non  ha  parimenti  ritenuto   di
accogliere l'eccezione mossa da Unioncamere, resistente nel  giudizio
a quo, secondo la quale la questione sarebbe irrilevante  poiche'  la
Camera di commercio ricorrente non avrebbe interesse a far valere  il
lamentato  vizio  costituzionale,  trattandosi   di   questioni   che
potrebbero essere fatte valere solo dalla  Regione,  unico  ente  che
avrebbe siffatto interesse. Al contrario - afferma il giudice a quo -
«la  Camera  di  commercio  ricorrente  ha  interesse  a  dedurre  il
prospettato  vizio  di  costituzionalita'  [...]   proprio   perche',
all'esito di un'eventuale pronuncia di incostituzionalita',  cadrebbe
tutto il decreto legislativo  delegato  e,  con  esso,  il  censurato
accorpamento tra Camere di commercio». 
    1.7.- Quanto poi alle ragioni  a  sostegno  della  non  manifesta
infondatezza delle censure il rimettente osserva quanto segue. 
    1.7.1.-   Preliminarmente,   questi   rileva   che    la    Corte
costituzionale, in un  giudizio  instaurato  in  via  principale,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4,  del
d.lgs. n. 219 del 2016 (e' citata  la  sentenza  n.  261  del  2017),
poiche' tale norma disponeva che il d.m. di riordino delle camere  di
commercio  fosse  emanato  previa  acquisizione  del   parere   della
Conferenza Stato-Regioni, anziche' previa intesa con  la  stessa,  in
violazione del principio di leale  collaborazione.  Proprio  in  tale
sede  veniva   sollevata   anche   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma della legge di delega ora censurata;  tale
questione veniva, tuttavia, dichiarata inammissibile per  tardivita',
essendo decorso il termine perentorio di cui  all'art.  127,  secondo
comma, Cost. 
    1.8.- In questa sede, al contrario, trattandosi  di  giudizio  in
via incidentale, il giudice a quo  ritiene  di  poter  riproporre  la
medesima questione proprio alla luce della su citata pronuncia, e  in
generale della giurisprudenza costituzionale sul principio  di  leale
collaborazione. 
    In particolare, viene richiamata la sentenza  n.  251  del  2016.
Difatti, il collegio rimettente, basandosi su tale precedente, rileva
che  «[l]a  giurisprudenza  costituzionale  ha  [...]  gia'  ritenuto
ammissibile l'impugnazione della  norma  di  delega,  allo  scopo  di
censurare le modalita' di attuazione della leale  collaborazione  tra
Stato e regioni ed al fine di ottenere che il  decreto  delegato  sia
emanato previa intesa anziche' previo parere in sede di  Conferenza».
Pertanto, per il giudice a  quo  le  censure  di  incostituzionalita'
possono  rivolgersi  sia  alle  disposizioni  di  delega   che,   per
illegittimita' derivata, alla legislazione delegata. 
    1.9.- Vi sarebbero i presupposti  per  far  valere,  inoltre,  il
principio  di  leale  collaborazione,  trattandosi  di  una   riforma
ordinamentale. Invero, sarebbe stata la stessa  Corte  costituzionale
con la sentenza n. 261 del 2017 a ritenere che il riassetto  generale
della disciplina delle camere di commercio sia materia ripartita  tra
prerogative statali e regionali, in quanto - prosegue l'ordinanza  di
rimessione - «il catalogo  dei  compiti  svolti  da  questi  enti  e'
riconducibile a competenze sia esclusive dello Stato, sia concorrenti
e residuali delle regioni; in questo settore le competenze di ciascun
soggetto  appaiono  inestricabilmente  intrecciate».  Inoltre,  viene
osservato  che  «l'attivita'  delle  Camere   di   commercio   appare
riconducibile alla  nozione  di  "sviluppo  economico",  nozione  che
costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad  una
pluralita'  di  materie  attribuite  ex  art.  117  Cost.  "sia  alla
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato,   sia   a   quella
concorrente, sia a quella residuale"» (e' citata la sentenza  n.  165
del 2007). Pertanto,  pure  in  presenza  di  esigenze  di  carattere
unitario  che  giustificherebbero  l'avocazione  allo   Stato   della
potesta' normativa per la disciplina di tali enti,  resterebbe  ferma
la necessita' del rispetto del principio della  leale  collaborazione
attraverso il modulo procedimentale dell'intesa  (vengono  citate  le
sentenze n. 251 del 2016, n. 165 del 2007 e n. 214  del  2006).  Come
ritenuto dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 251  del
2016,  ad  avviso  del  collegio  rimettente,  quindi,   «quando   il
legislatore delegato intende riformare istituti ed enti che  incidono
su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse,  sorge
la necessita' del ricorso all'intesa tra Stato e autonomie». 
    1.10.- Conclude il collegio  rimettente  che  «stante  la  natura
delle materie incise dalle disposizioni censurate [...] la  norma  di
delega  [...]  avrebbe  dovuto  prevedere  -  come  presupposto   per
l'esercizio  della  delega  -  l'intesa   in   sede   di   Conferenza
Stato-regioni»,  essendo  questo  l'istituto  cardine   della   leale
collaborazione «anche quando l'attuazione delle disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa ai decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base dell'art. 76  Cost.»  (e'  citata  la
sentenza n. 251 del 2016). 
    1.11.- Pertanto, secondo il TAR Lazio, la disposizione di  delega
violerebbe il principio della  leale  collaborazione  nella  funzione
legislativa di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost., poiche' prevede che
l'esercizio  delegato  della  potesta'   legislativa   sia   condotto
all'esito di un procedimento nel quale l'interlocuzione fra  Stato  e
Regioni si realizzi nella forma inadeguata  del  parere  e  non  gia'
attraverso l'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. 
    1.12.- Infine, l'illegittimita' della disposizione  delegante  si
ripercuoterebbe   in   via   immediata   e   derivata   anche   sulla
illegittimita' costituzionale della norma delegata (art. 3 del d.lgs.
n. 219 del 2016) in forza del quale e' stato adottato il d.m. oggetto
del giudizio a quo. 
    2.- Il 31 ottobre 2019 si e' costituita nel  giudizio  di  fronte
alla  Corte  costituzionale  la  Camera  di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura di Massa Carrara, ricorrente  nel  giudizio
principale. 
    2.1.- La parte insiste per la  dichiarazione  dell'illegittimita'
costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del  2015  e  3  del
d.lgs. n. 219  del  2016,  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e segnatamente degli artt. 5, 117 e 120 Cost. 
    Si sottolinea che la norma  di  delega  censurata  e  l'attuativo
decreto  legislativo  sono   stati   gia'   esaminati   dalla   Corte
costituzionale, ma nei limiti delle censure  promosse  dalle  Regioni
con ricorsi diretti, formulate o tardivamente rispetto ai termini  di
decadenza previsti dal giudizio in via d'azione o in modo sommario  e
generico. Pertanto,  sono  state  dichiarate  tutte  inammissibili  o
manifestamente infondate, salvo che per l'art. 3, comma 4, del d.lgs.
n.  219  del  2016,  di  cui  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale nella parte in cui prevedeva l'adozione  del  d.m.  di
riordino  delle  camere  di   commercio   "sentita"   la   Conferenza
Stato-Regioni e non "previa intesa" con quest'ultima. Proprio  questo
precedente avrebbe stabilito che «l'intesa (e non il semplice parere)
da raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni  e'  un  passaggio
procedurale essenziale, nel caso in cui  una  determinata  disciplina
statale impatti anche  su  materie  di  competenza  regionale,  anche
quando  la  normativa  statale  deve  essere  attuata   con   decreti
legislativi delegati ex art. 76 Cost. Se cosi'  non  fosse,  infatti,
non  sarebbe  garantito  adeguatamente  il   rispetto   del   riparto
costituzionale di  competenze»  e  della  leale  collaborazione,  che
richiede l'intesa, quale «procedura che consenta  lo  svolgimento  di
genuine trattative  e  garantisca  un  reale  coinvolgimento»  (viene
citata la sentenza n. 261 del 2017). 
    2.2.-  Ad  avviso  della  Camera  di  commercio,  il   necessario
raggiungimento dell'intesa per l'adozione  del  decreto  ministeriale
attuativo del decreto legislativo imporrebbe, a fortiori, l'intesa «a
monte, per l'adozione del decreto legislativo attuativo  della  legge
delega,  che  pure  impatta  sulle   medesime   materie».   Pertanto,
«acquisito, anche a seguito della sent. n. 261/2017, che le  funzioni
delle Camere di commercio impattano anche sulle competenze regionali,
e considerato che quando questo si verifica c'e' bisogno  dell'intesa
[...] anche rispetto all'adozione di un decreto legislativo»  -  come
chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del 2016  -
l'art. 10 della legge  n.  124  del  2015  dovrebbe  essere  ritenuto
parimenti  incostituzionale  laddove  prevede  il   semplice   parere
anziche' l'intesa. Nella sentenza n. 251 del 2016, continua la  parte
privata, la Corte costituzionale avrebbe evidenziato un  sospetto  di
incostituzionalita' dei decreti delegati, pretendendo «l'adozione  da
parte del Governo di "soluzioni correttive", idonee ad assicurare  il
rispetto del principio di leale collaborazione». Invero, nel caso  di
specie, tale circostanza non si sarebbe verificata per il  d.lgs.  n.
219 del 2016, non essendosi proceduto ne' all'intesa ne' a successive
misure o soluzioni correttive volte  a  realizzare  il  principio  di
leale collaborazione.  Con  cio'  si  sarebbe  impedito  un  adeguato
coinvolgimento delle Regioni, determinando un  ulteriore  e  autonomo
vizio di illegittimita' costituzionale. 
    3.- Il 5 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni  vengano  dichiarate
inammissibili o manifestamente infondate. 
    3.1.- Preliminarmente,  l'Avvocatura  generale  rammenta  che  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 2, della
legge n.  124  del  2015,  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione,  e'  stata   gia'   stata   esaminata   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 261 del 2017. Allo stesso  modo,  la
Corte costituzionale si sarebbe pronunciata  riguardo  l'art.  3  del
d.lgs. n. 219 del 2016, dichiarandone l'illegittimita' nella parte in
cui si stabiliva che il d.m.  dovesse  essere  adottato  "sentita  la
Conferenza Stato-Regioni" anziche' "previa intesa". 
    3.2.- L'Avvocatura generale specifica che, a seguito della citata
sentenza n. 251 del 2016, l'amministrazione ha  acquisito  il  parere
del Consiglio di Stato in merito ai possibili correttivi da  adottare
affinche' «fosse consentita l'attuazione della  delega  nel  rispetto
del principio di leale collaborazione». Nel  parere  del  17  gennaio
2017, n. 83, il Consiglio di Stato  ha  precisato  che  la  decisione
della  Corte  costituzionale  avrebbe  gia'   fornito   una   lettura
adeguatrice della legge che  prevede  l'intesa  e  non  il  parere  e
sarebbe, cosi', riscritta in conformita' al  dettato  costituzionale.
Da questo parere ricorrerebbe per  il  Governo  la  possibilita'  «di
attuare correttamente il principio di leale collaborazione ricorrendo
all'intesa con le Regioni in sede di attuazione della delega, poiche'
la dichiarazione di illegittimita' della legge delega  [...]  non  si
estende immediatamente anche ai medesimi [decreti legislativi], per i
quali, in caso di impugnazione, andra' comunque accertata  anche  una
effettiva lesione delle competenze regionali». 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda poi che il
Governo ha adottato il d.m., attuativo  del  decreto  legislativo,  a
seguito dell'esperimento del tentativo di intesa con  le  Regioni  in
sede di Conferenza Stato-Regioni;  in  tale  modo,  avrebbe  adottato
«interventi correttivi di tipo procedurale, sollecitati  dalla  Corte
costituzionale nelle sentenze n. 251 del 2016 e n. 261  del  2017  al
fine   di   assicurare   il   rispetto   del   principio   di   leale
collaborazione». Invero, la previsione  dell'art.  3,  comma  3,  del
d.lgs. n. 281 del 1997, secondo cui «[q]uando un'intesa espressamente
prevista dalla legge non e' raggiunta entro trenta giorni dalla prima
seduta della Conferenza Stato-regioni [...] il Consiglio dei Ministri
provvede con deliberazione motivata», appare  conforme  «ai  principi
elaborati dalla Corte costituzionale in materia, dai quali si  ricava
che in tale sede la Conferenza non opera come  collegio  deliberante,
ma come sede di concertazione e di confronto, anzitutto politico, fra
Governo  e  Regioni  al  fine  di  raggiungere,  ove  possibile,  una
posizione  comune».  In  aggiunta,  sarebbe  la  realizzazione  delle
trattative, e  non  dell'intesa  (da  ricercare,  comunque,  mediante
trattative  volte  a  superare  le  divergenze),   ad   assurgere   a
«condizione  di  legittimita'  dell'intervenuto  intervento   statale
unilaterale». 
    3.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre,  afferma
che l'ordinanza di rimessione non «affronta e non esamina  affatto  i
problemi  riguardanti  i  rapporti  Stato  e   Regioni,   anche   con
particolare rifermento all'ipotesi di mancata intesa, e non considera
minimamente importante principi di carattere generale riguardanti  il
tema della sussidiarieta'». 
    Tale lacuna comporterebbe profili  di  inammissibilita'  sia  con
riguardo alla rilevanza sia alla non  manifesta  infondatezza,  anche
alla luce della sentenza n. 261 del 2017 della Corte  costituzionale.
Nello specifico, la previsione dell'intesa, imposta dal principio  di
leale collaborazione, implicherebbe «che non sia legittima una  norma
contenente una "drastica previsione" della decisivita' della volonta'
di una sola parte, in caso  di  dissenso,  ma  che  siano  necessarie
procedure idonee per consentire reiterate trattative volte a superare
le divergenze» (vengono citate le sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del
2007 e n. 339 del 2005). Tuttavia, nel caso di esito  negativo  delle
procedure mirate all'accordo, potrebbe essere rimessa al Governo  una
decisione unilaterale (sono richiamate le sentenze n. 33 e n. 165 del
2011),  senza  che  il  mancato  raggiungimento   dell'intesa   possa
giustificare una paralisi decisionale. La giurisprudenza della  Corte
costituzionale avrebbe,  in  questo  senso,  fatto  riferimento  alla
categoria  delle  "intese  a  valle",  che   atterrebbe   alla   fase
applicativa  della  legge   statale.   Pertanto,   non   risulterebbe
necessaria «in applicazione del principio di sussidiarieta' [...] una
partecipazione collaborativa "a monte", che determini  la  necessita'
della partecipazione della Regione al  procedimento  formativo  della
legge  statale  utilizzando  lo  schema  delle  conferenze,  comunque
coinvolte nella fase di approvazione degli atti a carattere  generale
e programmatici». 
    3.5.- Inoltre, l'Avvocatura generale fa  presente  che  la  Corte
costituzionale avrebbe indicato strumenti di deroga o attuazione  del
riparto di competenze giustificandoli  con  la  «dimensione  unitaria
dell'interesse pubblico  perseguito».  Il  giudice  delle  leggi,  di
recente, con la sentenza n. 225 del 2019, avrebbe ribadito la  natura
"anfibia"  delle  camere  di  commercio,  per  un  lato  «organi   di
rappresentanza  delle  categorie  mercantili»  e,   per   un   altro,
«strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche». 
    La  particolare  natura  degli  enti  camerali   esigerebbe   una
disciplina  omogenea  sul  territorio  nazionale.  Solo   in   alcune
particolari ipotesi si sarebbe affidato a  una  regione  la  potesta'
normativa sull'organizzazione e sul  funzionamento  delle  camere  di
commercio, come nel caso della Regione autonoma Trentino-Alto  Adige.
Inoltre, la riorganizzazione delle camere di commercio,  attuata  dal
Governo su delega del Parlamento non  avrebbe  determinato  in  alcun
modo una lesione  delle  preesistenti  competenze  delle  Regioni  in
materia. Poiche' alla camera di commercio sono attribuiti compiti che
devono essere disciplinati in modo omogeneo a livello  nazionale,  ne
conseguirebbe la prevalenza della  competenza  statale.  Proprio  per
questa ragione, anche gli artt. 3 e 4 del  d.lgs.  n.  219  del  2016
dovrebbero  essere   considerati   riconducibili   nell'alveo   della
competenza  statale,  attenendo  ad   aspetti   che   devono   essere
disciplinati in modo omogeneo a livello statale. 
    3.6.- In conclusione, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri
ritiene  che   il   Governo   abbia   adottato,   con   diligenza   e
collaborazione, attraverso confronti  in  sede  tecnica  e  politica,
«tutte le necessarie azioni [...] al fine di dare completa attuazione
al principio di leale collaborazione con le Regioni per la  specifica
materia  che  disciplinava  la  ridefinizione  delle   circoscrizioni
territoriali  delle  camere  di  commercio  e  la   razionalizzazione
organizzativa delle medesime». 
    3.7.-  Nelle  more  dell'udienza  pubblica  dell'8  aprile  2020,
rispettivamente il 16 e il 17 marzo 2020,  hanno  depositato  memoria
illustrativa sia la parte privata sia il Presidente del Consiglio dei
ministri,  reiterando  gli  argomenti  portati  dai  precedenti  atti
difensivi. La prima insiste sull'ammissibilita'  delle  questioni  e,
nel merito, sulla loro fondatezza. 
    3.8.- In particolare, la Camera di  commercio  di  Massa  Carrara
ritiene l'eccezione di inammissibilita'  per  difetto  di  rilevanza,
avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato, priva di  chiarezza  e
di  «specifica  motivazione»,  ribadendo  che  dalla   illegittimita'
costituzionale   della   legge   delega   deriverebbe,   a   cascata,
l'incostituzionalita'   del   decreto   delegato   e   del    decreto
ministeriale. 
    Quanto al merito, la parte non considera sufficiente, ai fini del
soddisfacimento del principio cooperativo, il procedimento di  intesa
"a valle", per l'adozione del  decreto  ministeriale.  Tale  sequenza
procedimentale non puo' considerarsi  un  adeguato  «correttivo»  che
scongiuri l'incostituzionalita' del decreto  legislativo,  nel  senso
auspicato dalla sentenza n. 251 del 2016. L'intreccio di  competenze,
che la  riforma  del  sistema  camerale  implica,  avrebbe  richiesto
l'adozione del d.lgs. n. 219  del  2016  previa  intesa  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni. 
    3.9.- Nella sua memoria illustrativa, il Presidente del Consiglio
dei ministri insiste sull'inammissibilita' e, in subordine, sulla non
fondatezza delle questioni. 
    In  primo  luogo,  le  questioni  sarebbero  irrilevanti  perche'
ipotetiche, non risultando chiaro  il  rapporto  di  pregiudizialita'
intercorrente tra le questioni sollevate e la norma da  applicare  al
giudizio principale. I giudici a  quibus  non  avrebbero  evidenziato
come i criteri indicati  dal  decreto  legislativo,  viziati  per  il
mancato   rispetto   del   principio   di    leale    collaborazione,
condizionerebbero il successivo decreto ministeriale. 
    Il difetto di  rilevanza  emergerebbe  anche  dal  confronto  tra
l'art. 10 della legge delega e l'art. 3 del d.lgs. n. 219  del  2016,
che riporterebbero criteri identici per l'accorpamento e il  riordino
del sistema camerale. In tal senso, anche  se  fosse  stato  adottato
previa intesa, il decreto legislativo non avrebbe potuto alterare  il
numero delle camere di commercio, stabilito direttamente dalla  legge
n. 124 del 2015. 
    3.10.-  Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  insiste   per   una
declaratoria di manifesta  infondatezza  delle  questioni.  Lo  Stato
infatti avrebbe in gran parte accolto le richieste provenienti  dalla
Conferenza delle  Regioni  e  delle  Province  autonome  in  data  29
settembre 2016, recepite  in  sede  di  Conferenza  unificata,  salvo
alcuni aspetti marginali comunque non attinenti  alla  riduzione  del
numero delle camere di commercio. In ogni caso,  se  avessero  voluto
contestare i criteri,  le  Regioni  avrebbero  dovuto  censurare,  su
questo specifico punto, la  legge  delega,  ipotesi  che  non  si  e'
concretamente   realizzata,   a   testimonianza   di   una   generale
soddisfazione regionale circa i principi adottati dal delegante. 
    La manifesta infondatezza si trae anche dal recupero della  leale
collaborazione attraverso il tentativo di esperire l'intesa "a valle"
sul decreto ministeriale, a seguito della citata sentenza n. 261  del
2017. In effetti, dalle riunioni della Conferenza  Stato-Regioni  del
21 dicembre 2017 e dell'11 gennaio 2018  emergerebbe  come  lo  Stato
abbia tentato sino all'ultimo di tenere  aperto  il  dialogo  con  le
autonomie regionali. 
    La difesa del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  contesta
inoltre il richiamo alla sentenza di questa Corte n.  251  del  2016.
Tale  decisione  non  avrebbe   avuto   successivi   sviluppi   nella
giurisprudenza costituzionale, costante nel ritenere non  applicabili
le procedure cooperative alla funzione legislativa  (sono  citate  le
sentenze n. 192 del 2017 e n. 280 del 2016). Le intese che  precedono
l'adozione  di  un  atto  legislativo   sono   da   considerare,   in
Costituzione,  un  numerus  clausus,  espressamente   previste   solo
nell'ipotesi della legge che regola i  rapporti  con  le  confessioni
religiose diverse dalla cattolica  (art.  8,  secondo  comma,  Cost.)
oppure di quella  che  assegna  alle  Regioni  forme  particolari  di
autonomia (art. 116, terzo comma, Cost.). 
    Infine,  l'Avvocatura  si  sofferma   sugli   effetti   che   una
declaratoria di incostituzionalita' avrebbe sull'attuale processo  di
riordino che verrebbe travolto  da  una  pronuncia  di  accoglimento.
Salve le cinque camere di commercio accorpate e  gia'  operative,  si
porrebbe il problema  del  trattamento  giuridico  dei  rapporti  non
esauriti, sia per cio' concerne gli enti da accorpare, in difficolta'
finanziarie, sia per cio' che attiene ai rapporti con il personale. 
    3.11.- In virtu' del rinvio a  nuovo  ruolo,  deciso  sulla  base
dell'art. 2, lettera c), del decreto  della  Presidente  della  Corte
costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio  sia  la
difesa statale hanno depositato brevi note,  ai  sensi  dell'art.  1,
lettera c), del decreto della Presidente della  Corte  costituzionale
20  aprile  2020,  ribadendo  quanto  gia'  affermato  nelle  memorie
pregresse, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    4.- Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 164  del  2019)
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 della  legge  n.  124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    4.1.- Il giudice rimettente premette che la Regione  Piemonte  ha
impugnato innanzi al TAR Lazio il d.m. 16 febbraio 2018, nella  parte
in cui, in attuazione  dell'art.  3  del  d.lgs.  n.  219  del  2016,
recependo  la  proposta  avanzata   da   Unioncamere,   ha   disposto
l'accorpamento delle Camere di commercio del Verbano Cusio Ossola con
quelle di Biella, Vercelli e Novara. 
    Il giudice  a  quo  specifica  che  il  d.m.  16  febbraio  2018,
impugnato nel giudizio principale, e' identico a quello dell'8 agosto
2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  del  19
settembre 2017, poi sostituito a seguito della sentenza  n.  261  del
2017  di   questa   Corte,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 4, del  d.lgs.  n.  219  del  2016,
nella parte in cui  stabiliva  che  il  decreto  del  Ministro  dello
sviluppo economico fosse adottato «sentita la  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano», anziche' previa intesa  con  detta  Conferenza.
Nello  specifico,  a  seguito  di  questa  pronuncia,  il   ministero
sottoponeva alla Conferenza Stato-Regioni un nuovo schema di decreto,
di contenuto  analogo  al  precedente,  ai  fini  del  raggiungimento
dell'intesa. La citata Conferenza esaminava  il  testo  nella  seduta
dell'11 gennaio 2018 e, poiche' varie Regioni  formulavano  obiezioni
sul testo, il verbale  di  tale  seduta  recava  l'indicazione  della
"mancata  intesa".  A  seguito  di  tale  evento,  il  Consiglio  dei
ministri, nella seduta dell'8 febbraio 2018, ai  sensi  dell'art.  3,
comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, autorizzava  il  Ministro  dello
sviluppo economico ad adottare il decreto impugnato. 
    4.2.-  Il  giudice  rimettente  ripropone  le  identiche  censure
evidenziate nella precedente ordinanza di rimessione, riportando che,
nel corso del giudizio principale, la Regione Piemonte  ha  sostenuto
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10, della legge n. 124  del
2015 e, a cascata, del d.lgs. n. 219 del 2016  nella  sua  interezza,
per violazione del principio di  leale  collaborazione  di  cui  agli
artt. 5 e 120 Cost. La legge di  delega  non  ha  previsto,  infatti,
l'intesa  con  la  Conferenza  unificata  e/o   con   la   Conferenza
Stato-Regioni. 
    5.- Non si e' costituita in giudizio la Regione  Piemonte;  il  5
novembre 2019 e' intervenuto invece il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili  o
manifestamente infondate. La difesa dello Stato ripropone i  medesimi
argomenti indicati  con  riferimento  alla  precedente  ordinanza  di
rimessione. 
    5.1.- Nelle more del giudizio, il 16 marzo  2020,  il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato  memoria  illustrativa;
successivamente, a seguito  del  rinvio  a  nuovo  ruolo,  la  difesa
statale ha depositato anche brevi note, ai sensi dell'art. 1, lettera
c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile
2020, ribadendo quanto gia' affermato, in punto di  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza, nell'atto di intervento. 
    6.- Con ordinanza del 15 marzo 2019 (reg. ord. n. 165  del  2019)
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 della  legge  n.  124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    6.1.- Il giudizio principale e' stato instaurato  a  seguito  del
ricorso promosso dalla Camera di commercio, industria  artigianato  e
agricoltura di Pavia, la quale ha impugnato innanzi al TAR  Lazio  il
d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell'art.  3
del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l'accorpamento  delle  Camere
di commercio di Pavia, Cremona e Mantova,  individuando  in  Mantova,
anziche' in Pavia, la sede del nuovo ente.  Nel  giudizio  principale
sono stati impugnati altresi' gli atti presupposti e  conseguenziali,
ed in particolare le determinazioni del  Commissario  ad  acta  e  la
deliberazione del Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2018. 
    6.2.-  Il  giudice  rimettente  ripropone  le  identiche  censure
evidenziate nei precedenti atti di promovimento, e ricorda come,  nel
corso del giudizio,  la  Camera  di  commercio  abbia  contestato  la
legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge n. 124 del  2015
e, conseguentemente, del d.lgs. n. 219 del 2016 nella sua  interezza,
per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5  e  120
Cost.). La legge di delega non ha previsto, infatti, l'intesa con  la
Conferenza unificata e/o con la Conferenza Stato-Regioni. 
    7.- Il 25 ottobre 2019 si e' costituita nel  giudizio  di  fronte
alla  Corte  costituzionale  la  Camera  di   commercio,   industria,
artigianato  e  agricoltura  di  Pavia,   ricorrente   del   giudizio
principale. 
    7.1.- La parte insiste per la  dichiarazione  dell'illegittimita'
costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del  2015  e  3  del
d.lgs. n. 219  del  2016,  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117  e  120  Cost.  Si
ribadisce che la questione sarebbe certamente rilevante. Difatti,  il
decreto ministeriale impugnato nel giudizio a quo e'  stato  «emanato
in applicazione dell'art. 3 del d.lgs. 25 novembre 2016,  n.  219,  e
tale decreto [...] fu emanato in base a delega conferita  al  Governo
dall'art. 3 della l. 124/2015». 
    7.2.- La Camera di commercio ricorda che l'art. 3 del  d.lgs.  n.
219 del  2016  e'  gia'  stato  dichiarato  illegittimo  dalla  Corte
costituzionale, con la sentenza n. 261 del 2017. Per i ricorrenti  il
vizio riscontrato in tale sentenza sarebbe presente gia' nella  legge
di  delega,  essendo  questa  Corte  «gia'   intervenuta   su   altre
disposizioni della legge n. 124/2015, ravvisando proprio il  medesimo
vizio» (e' citata la sentenza 251 del 2016). 
    7.3.- Inoltre, viene ricordato che  analoga  censura  rispetto  a
quella sollevata nell'ordinanza di rimessione rispetto alla  medesima
disposizione della legge delega non fu  esaminata  nel  merito  dalla
Corte costituzionale, nella sentenza n. 261 del 2017,  «solo  perche'
risulto' essere stata formulata tardivamente dalle Regioni». 
    7.4.- Il  5  novembre  2019  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni  vengano  dichiarate
inammissibili o  manifestamente  infondate.  La  difesa  dello  Stato
reitera i medesimi argomenti indicati con riferimento  ai  precedenti
atti di promovimento. 
    8.- Nelle more dell'udienza pubblica dell'8 aprile  2020,  il  16
marzo 2020, hanno depositato memoria illustrativa sia la  parte,  sia
il Presidente del Consiglio dei ministri, riproducendo gli  argomenti
portati nei precedenti atti difensivi.  La  Camera  di  commercio  di
Pavia, in  particolare,  ribadisce  la  rilevanza  della  prospettata
questione di legittimita' costituzionale, posto che il d.m. impugnato
nel  giudizio  principale  troverebbe  fondamento  specifico  proprio
nell'art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, a sua  volta  adottato  sulla
base dell'art. 10 della legge n. 124 del 2015.  La  questione  dunque
sarebbe diversa per l'oggetto (la legge di delega) e per gli  effetti
(in ordine alla «titolarita' stessa della potesta'  legislativa,  che
verrebbe a risultare priva di fondamento») rispetto a  quanto  deciso
dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  261  del  2017.  Non
inciderebbe sulla rilevanza  neanche  l'intervenuto  procedimento  di
intesa richiesto dalla Corte costituzionale in tale ultima decisione,
che avrebbe riguardato le sole  modalita'  di  adozione  di  un  atto
amministrativo, quale e' il d.m. 16 febbraio 2018. 
    Quanto al merito,  la  parte  privata  insiste  sull'accoglimento
della censura: l'adozione del decreto legislativo, previa intesa  con
le autonome  regionali,  avrebbe  infatti  consentito  di  introdurre
criteri di accorpamento «piu' consoni alle situazioni locali». 
    8.1.- In virtu' del rinvio  a  nuovo  ruolo,  deciso  sulla  base
dell'art. 2, lettera c), del decreto  della  Presidente  della  Corte
costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio  sia  la
difesa statale hanno depositato brevi note,  ai  sensi  dell'art.  1,
lettera c), del decreto della Presidente della  Corte  costituzionale
20  aprile  2020,  ribadendo  quanto  gia'  affermato  nelle  memorie
pregresse, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    9.- Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 166 del  2019)
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 della  legge  n.  124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    9.1.- Il giudice rimettente ricorda in premessa che la Camera  di
commercio, industria, artigianato e agricoltura di Rieti ha impugnato
il d.m. 16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell'art.
3 del d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l'accorpamento delle Camere
di commercio di Rieti e Viterbo, individuando in  Viterbo,  piuttosto
che in Rieti, la sede del nuovo ente. Nel  giudizio  principale  sono
stati altresi' impugnati gli atti presupposti e conseguenziali, e, in
particolare, la determinazione del Commissario ad acta e la nota  del
Ministero dello sviluppo economico emessa  in  data  1°  marzo  2018.
L'ordinanza di rimessione presenta un identico  tenore  argomentativo
rispetto ai gia' riportati atti di promovimento. 
    9.2.- Il giudice a quo, in aggiunta, si sofferma sui  motivi  che
l'hanno portato a ritenere di non  accogliere  l'eccezione  mossa  da
Unioncamere, resistente nel giudizio principale, secondo la quale  la
questione  sarebbe  irrilevante  poiche'  la  Camera   di   commercio
ricorrente non avrebbe interesse a far valere il lamentato  vizio  di
legittimita', trattandosi di  questioni  che  presentano  come  unico
soggetto  interessato   a   sollevare   un'ipotetica   questione   di
legittimita'  costituzionale  proprio  la  Regione.  Al  contrario  -
afferma il giudice a quo - «la  Camera  di  commercio  ricorrente  ha
interesse a dedurre il prospettato vizio di  costituzionalita'  [...]
proprio   perche',   all'esito   di   un'eventuale    pronuncia    di
incostituzionalita', cadrebbe tutto il decreto  legislativo  delegato
e, con esso, il censurato accorpamento tra Camere di commercio». 
    10.- Il 4 novembre 2019 si e' costituita nel giudizio  la  Camera
di  commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura   di   Rieti,
ricorrente del giudizio principale. 
    10.1.- La parte insiste  per  la  dichiarazione  d'illegittimita'
costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del  2015  e  3  del
d.lgs. n. 219  del  2016,  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e, segnatamente, degli artt. 5, 117 e 120 Cost. 
    10.2.-  Preliminarmente,  la   parte   esamina   il   quadro   di
attribuzioni  spettanti  alle  camere  di  commercio,  al   fine   di
evidenziarne il nesso con le competenze regionali. In primo luogo, si
sottolinea la doppia natura di tali enti  «per  un  verso  organi  di
rappresentanza degli interessi mercantili e per l'altro strumenti per
il perseguimento di politiche pubbliche» (e' citata  la  sentenza  di
questa Corte n. 86 del 2017).  Inoltre,  se  ne  evidenzia  il  ruolo
nell'ambito del sistema degli enti locali, che farebbero entrare tale
ente «a pieno titolo [...] nel sistema dei poteri locali  secondo  lo
schema dell'art. 118 della Costituzione, diventando anche  potenziale
destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sono citate  le
sentenze n. 29 del 2016 e n. 477 del 2000). Pertanto,  il  ricorrente
ritiene che «le  funzioni  spettanti  alla  Camera  di  commercio  la
collocano in una dimensione che e', allo  stesso  tempo,  locale  per
quanto riguarda l'ambito di incidenza e nazionale per quanto riguarda
il tipo di funzioni che  ad  essa  possono  essere  assegnate»;  cio'
determinerebbe «l'intimo rapporto tra il sistema  camerale  e  l'ente
regionale in generale» (sono citate le sentenze n. 225 del 2019 e  n.
65 del 1982). 
    10.3.- La Camera di  commercio  ricorrente  nel  giudizio  a  quo
ricorda che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
comma 2, della legge n. 124 del 2015, era gia' stata  posta,  in  via
diretta, da alcune Regioni, ma che e' stata dichiarata inammissibile,
in quanto tardiva, dalla Corte costituzionale. Tuttavia, gli ostacoli
che hanno impedito allora di pronunciarsi sul merito della questione,
non  sarebbero  presenti  nel  caso  attuale;  difatti,   la   natura
incidentale del giudizio permetterebbe di riproporre la questione (e'
citata la sentenza n. 261 del 2017). 
    10.4.- Nel merito, la parte riporta anzitutto  le  argomentazioni
esposte  nell'ordinanza  di  rimessione,  per  quanto   riguarda   la
violazione da parte  del  citato  art.  10  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 120 Cost. 
    La ricorrente del giudizio principale richiama  la  seduta  della
Conferenza unificata del 29  settembre  2016,  che  avrebbe  espresso
parere condizionato all'adozione dello schema di decreto legislativo,
subordinandolo all'accoglimento delle proposte emendative indicate in
tale sede. 
    Tali proposte miravano a sostituire l'inciso «ove a cio' delegate
su  base  legale  o  convenzionale»  con  l'espressione   «attraverso
specifiche   convenzioni   delle   amministrazioni   competenti   con
Unioncamere»; a riscrivere la  prima  parte  dell'art.  4,  comma  6,
secondo la seguente formulazione: «Tutti gli enti che  in  base  alle
vigenti  leggi   sono   titolari   di   procedimenti   amministrativi
concernenti attivita' di impresa, anche non riconducibili  all'ambito
di applicazione di cui all'art. 2 del D.P.R.  7  settembre  2010,  n.
160, hanno l'obbligo di comunicarne [...]»; a inserire  in  calce  al
suddetto comma il periodo qui  di  seguito:  «i  SUAP  hanno  accesso
consultivo senza oneri aggiuntivi al fascicolo elettronico di impresa
per  lo  svolgimento  delle  attivita'  di   controllo   di   propria
competenza». 
    Il legislatore delegato non ha accolto le menzionate indicazioni;
avrebbe percio' tenuto un comportamento «unilaterale» e «contrario al
principio  di  leale  collaborazione».  Ad  avviso  della  Camera  di
commercio, «[s]e fosse stata prevista l'intesa, il prodotto normativo
sarebbe stato evidentemente differente». 
    11.- Il 5 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni  vengano  dichiarate
inammissibili o manifestamente infondate. La difesa statale reitera i
medesimi argomenti spesi con riferimento alle precedenti ordinanze di
rimessione. 
    11.1.- Nelle  more  dell'udienza  pubblica  dell'8  aprile  2020,
rispettivamente il 17 e il 18 marzo 2020,  hanno  depositato  memoria
illustrativa sia il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  sia  la
parte e, successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso  sulla  base
dell'art. 2, lettera c), del decreto  della  Presidente  della  Corte
costituzionale del 24 marzo 2020, sia la Camera di commercio  sia  la
difesa statale hanno depositato brevi note,  ai  sensi  dell'art.  1,
lettera c), del decreto della Presidente della  Corte  costituzionale
20  aprile  2020,  ribadendo  quanto  gia'  affermato  nelle  memorie
pregresse in punto di rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza.  In
particolare, nella memoria illustrativa, la Camera  di  commercio  di
Rieti ribadisce la rilevanza e  la  fondatezza  delle  questioni.  La
dichiarazione di illegittimita' dell'art. 3, comma 4, del  d.lgs.  n.
219 del 2016, ad opera della sentenza di  questa  Corte  n.  261  del
2017, non avrebbe rimosso  i  profili  di  incostituzionalita'  della
disposizione   censurata,   posto   che    le    odierne    questioni
presenterebbero  un  perimetro  piu'  ampio,  avente  ad  oggetto  il
presupposto stesso dell'adozione del decreto  legislativo,  ossia  la
norma di delega contenuta nella legge n. 124 del 2015. In tal  senso,
la  censura  non  solo  sarebbe  rilevante,  ma  anche  evidentemente
fondata, non essendo sufficiente a garantire il principio cooperativo
la  previsione  dell'intesa  "a  valle"  per  l'adozione   del   d.m.
introdotta dalla sentenza n. 261 del 2017. 
    12.- Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 184 del 2019),
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 5, 117 e 120 Cost., degli artt. 10 della legge n. 124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    12.1.- Il giudice rimettente premette in narrativa che la  Camera
di commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura  di  Terni  ha
impugnato il d.m. 16 febbraio 2018, che  ha  previsto  l'accorpamento
delle Camere di commercio di Terni e Perugia,  e  impugnato  altresi'
gli atti esecutivi e  conseguenti,  tra  cui  le  determinazioni  del
Commissario ad acta. Per il resto, l'ordinanza di rimessione presenta
le medesime argomentazioni spese, in punto  di  rilevanza  e  di  non
manifesta infondatezza, dai gia' citati atti di promovimento. 
    13.- Il 25 novembre 2019 si e' costituito nel giudizio di  fronte
alla Corte costituzionale la Camera di commercio di Terni, ricorrente
nel giudizio principale. La parte ricorda che,  in  sede  di  appello
cautelare, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in  attesa  di
una definizione nel merito del giudizio, anche per la  prospettazione
«di una possibile illegittimita' costituzionale di alcune delle norme
del riordino normativo». 
    13.1.- La Camera di commercio insiste poi  per  la  dichiarazione
dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 10 della legge n.  124
del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del principio
di leale collaborazione e, segnatamente, degli artt.  5,  117  e  120
Cost.,  riportandosi  alle  motivazioni   addotte   dal   TAR   Lazio
nell'ordinanza di rimessione. 
    14.-  Il  22  novembre  2019  si  e'   costituita   in   giudizio
Unioncamere, resistente del giudizio  principale,  chiedendo  che  la
Corte  costituzionale  dichiari   inammissibili,   improcedibili   o,
comunque, infondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
riservandosi di esporre ulteriori deduzioni  nei  successivi  scritti
difensivi. 
    15.- Il 19 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o infondate, riproponendo gli argomenti gia' spesi  nei
precedenti atti di intervento. 
    15.1.- Nelle more dell'udienza pubblica dell'8 aprile 2020, hanno
depositato memorie illustrative, rispettivamente  in  data  16  e  17
marzo 2020, sia il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  sia  la
parte resistente nel giudizio principale e, successivamente al rinvio
a nuovo ruolo, deciso sulla base dell'art. 2, lettera c), del decreto
della Presidente  della  Corte  costituzionale  del  24  marzo  2020,
entrambi hanno depositato brevi note, ai sensi dell'art.  1,  lettera
c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile
2020, ribadendo quanto gia' affermato, in punto di  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza, nelle memorie pregresse. 
    15.2.- Nella memoria illustrativa,  Unioncamere  ha  eccepito  in
particolare la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  e,  in
subordine, la loro infondatezza. 
    Unioncamere premette, in punto  di  fatto,  che  il  processo  di
riforma inaugurato con l'art. 10 della legge n. 124 del 2015 e' stato
per la gran parte attuato: in base ad esso, sono state  accorpate  40
camere di commercio, le quali hanno dato vita a 17 nuovi  enti;  sono
stati rinnovati gli organi con un ridotto  numero  di  componenti  da
parte  delle  18  (su  28)  camere  di  commercio  non  soggette   ad
accorpamento ed avviate le procedure per un accorpamento di ulteriori
35 camere di commercio; sono state accorpate, infine, diverse aziende
speciali, ridotte da 131 a 86; liquidate 8 unioni regionali,  che  da
19 sono divenute 11. 
    La riforma avrebbe garantito una maggiore efficienza degli organi
camerali  esistenti,  con  un  evidente  risparmio  economico  (viene
allegata una stima di  50  milioni  di  euro  annui)  e  un  migliore
svolgimento  delle  funzioni  camerali  (e'  riportata  una  indagine
condotta presso le camere di commercio accorpate). 
    15.3.- In punto di  diritto,  Unioncamere  ritiene  le  questioni
inammissibili per difetto di rilevanza. In primo luogo, i  giudici  a
quibus non avrebbero tenuto in considerazione quanto affermato  dalla
citata  sentenza  n.  251  del  2016,  la  quale  ha  dichiarato  che
l'illegittimita' costituzionale della legge di  delega,  per  mancata
previsione dell'intesa sui decreti  legislativi,  «sono  circoscritte
alle  disposizioni  di  delegazione»,  non  estendendosi  ai  decreti
delegati. 
    In tal senso, quindi, l'eventuale sentenza  di  accoglimento  non
sprigionerebbe  effetti  sui  processi  principali,  con  conseguente
irrilevanza delle questioni sollevate. 
    Inoltre, le questioni  sarebbero  irrilevanti  perche'  la  leale
collaborazione e' stata comunque garantita  "a  valle",  grazie  alla
sentenza  di  questa  Corte  n.  261  del  2017,  che  ha  dichiarato
illegittimo l'art. 3, comma 4, del d.lgs.  n.  219  del  2016,  nella
parte in cui non prevedeva che il decreto ministeriale di  attuazione
della riforma fosse adottato attraverso intesa. 
    In ogni caso, le questioni sottoposte alla  Corte  costituzionale
sarebbero comunque ipotetiche, non avendo i  rimettenti  chiarito  il
rapporto di pregiudizialita' intercorrente tra le questioni sollevate
e  il  giudizio  pendente.  Dalle   ordinanze   di   rimessione   non
emergerebbero i criteri,  contenuti  nella  legge  di  delega  e  nel
successivo decreto legislativo, idonei a condizionare  il  successivo
d.m., oggetto di impugnazione davanti al TAR. 
    Nel merito, le questioni sarebbero  comunque  infondate,  perche'
dall'agosto del 2016, quando il Ministro dello sviluppo economico  ha
presentato la prima versione dello schema  del  decreto  legislativo,
fino alla adozione nel febbraio del 2018 del d.m., vi  e'  stata  una
continua interlocuzione tra lo Stato e le autonomie territoriali. 
    16.- Con ordinanza del 30 aprile 2019 (reg. ord. n. 185 del 2019)
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 della  legge  n.  124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    16.1.- Il giudice rimettente espone in premessa che la Camera  di
commercio,  industria  artigianato  e  agricoltura  di  Brindisi   ha
impugnato innanzi al TAR Lazio il d.m. 16 febbraio 2018, nella  parte
in cui, in attuazione dell'art. 3 del d.lgs.  n.  219  del  2016,  ha
disposto l'accorpamento delle  Camere  di  commercio  di  Brindisi  e
Taranto, individuando in Taranto, anziche' in Brindisi, la  sede  del
nuovo ente, impugnando altresi' gli atti esecutivi e conseguenti, tra
cui le determinazioni del Commissario  ad  acta.  Il  giudice  a  quo
prosegue riportando gli stessi argomenti, illustrati  nei  procedenti
atti  di  promovimento,  in  punto  di  rilevanza  e  non   manifesta
infondatezza. 
    17.- Il 21 novembre 2019 si e' costituita in giudizio  di  fronte
alla  Corte  costituzionale  la  Camera  di  commercio  di  Brindisi,
ricorrente nel giudizio principale. 
    17.1.- La parte insiste  per  la  dichiarazione  d'illegittimita'
costituzionale degli artt. 10 della legge n. 124 del  2015  e  3  del
d.lgs. n. 219  del  2016,  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e, segnatamente, degli  artt.  5,  117  e  120  Cost.,
riportandosi sostanzialmente alle motivazioni addotte dal  TAR  Lazio
nell'ordinanza di rimessione. 
    18.-  Il  22  novembre  2019  si  e'   costituita   in   giudizio
Unioncamere, parte resistente del giudizio principale, chiedendo  che
la  Corte  costituzionale  dichiari  inammissibili,  improcedibili  o
comunque  infondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
riservandosi di esporre ulteriori deduzioni  nei  successivi  scritti
difensivi. 
    19.- Il 26 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o infondate,  con  argomentazioni  identiche  a  quelle
riportate nei precedenti atti di intervento. 
    20.-  Nelle  more  dell'udienza  pubblica  dell'8  aprile   2020,
rispettivamente il 16 e il 17 marzo 2020,  hanno  depositato  memoria
illustrativa sia il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  sia  la
parte resistente nel giudizio a quo e, successivamente  al  rinvio  a
nuovo ruolo, deciso sulla base dell'art. 2, lettera c),  del  decreto
della Presidente  della  Corte  costituzionale  del  24  marzo  2020,
entrambi hanno depositato brevi note, ai sensi dell'art.  1,  lettera
c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale 20 aprile
2020, ribadendo quanto gia' affermato, in punto di  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza, nelle memorie pregresse. 
    21.- Nella memoria  illustrativa,  Unioncamere  ha  reiterato  le
eccezioni di  inammissibilita'  delle  questioni  gia'  avanzate  nel
giudizio concernente il ricorso promosso dalla Camera di commercio di
Terni, ribadendo, nel merito, la loro infondatezza. 
    22.- Con ordinanza del 27 marzo 2019 (reg. ord. n. 196 del 2019),
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117 e 120 Cost., questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 10 della  legge  n.  124  del
2015 e 3 del d.lgs. n. 219 del 2016. 
    22.1.-  Il  giudice  rimettente   premette   in   narrativa   che
Confindustria Pavia, Associazione  commercianti  della  Provincia  di
Pavia (ASCOM), Federazione provinciale  Coldiretti  Pavia,  Industria
Laterizi Vogherese Srl, Albergo Moderno Srl, hanno impugnato il  d.m.
16 febbraio 2018, nella parte in cui, in attuazione dell'art.  3  del
d.lgs. n. 219 del 2016, ha disposto l'accorpamento  delle  Camere  di
commercio di Pavia, di Mantova e di Cremona, impugnando altresi'  gli
atti  esecutivi  e  conseguenti,  tra  cui  le   determinazioni   del
Commissario ad acta. Quanto al merito, il giudice a quo  sviluppa  le
medesime  censure  gia'  riportate  dalle  precedenti  ordinanze   di
rimessione. 
    23.-  Il  22  novembre  2019  si  e'  costituita   nel   giudizio
Unioncamere, parte resistente del giudizio principale, chiedendo  che
la Corte  costituzionale  dichiari  inammissibili,  improcedibili  o,
comunque, infondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
riservandosi di esporre ulteriori deduzioni  nei  successivi  scritti
difensivi. 
    24.- Il 19 novembre 2019 e' intervenuto in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o infondate, riproponendo quanto gia'  argomentato  nei
precedenti atti di intervento. 
    25.- Nelle more dell'udienza pubblica dell'8 aprile 2020, il 16 e
il 17 marzo  2020,  hanno  depositato  memoria  illustrativa  sia  il
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   sia   Unioncamere   e,
successivamente al rinvio a nuovo ruolo, deciso sulla base  dell'art.
2,  lettera  c),   del   decreto   della   Presidente   della   Corte
costituzionale del 24 marzo 2020,  la  difesa  statale  ha  trasmesso
brevi note, ai sensi dell'art.  1,  lettera  c),  del  decreto  della
Presidente della  Corte  costituzionale  20  aprile  2020,  ribadendo
quanto  gia'  affermato,  in  punto  di  rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza,   nell'atto   di   intervento.   Nella   sua    memoria
illustrativa, Unioncamere insiste sulla ipoteticita' delle censure e,
dunque, sull'irrilevanza delle questioni e, nel  merito,  sulla  loro
infondatezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sette ordinanze di rimessione (reg. ord. numeri 163, 164,
165,  166,  184,  185  e   196   del   2019),   dall'analogo   tenore
argomentativo, il Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,
sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 117  e  120
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in
materia  di  riorganizzazione  delle  amministrazioni  pubbliche)   e
dell'art.  3  del  decreto  legislativo  25  novembre  2016,  n.  219
(Attuazione della delega di cui all'articolo 10 della legge 7  agosto
2015, n. 124, per il riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento
delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura). 
    1.1.- Ad  avviso  dei  giudici  a  quibus,  la  citata  legge  di
delegazione sarebbe illegittima per violazione del principio di leale
collaborazione, non avendo previsto un adeguato coinvolgimento  delle
Regioni  nella  fase  di   approvazione   del   decreto   legislativo
concernente la riforma delle camere di commercio: la norma  di  legge
ha previsto infatti un mero parere, da parte degli enti regionali,  e
non l'intesa tra Stato e Regioni sullo schema dell'atto  legislativo.
Dalla dichiarazione di illegittimita' costituzionale della  norma  di
delegazione deriverebbe «in via derivata» la caducazione  dell'intero
art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016,  il  quale  offre,  a  sua  volta,
fondamento al  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo  economico  16
febbraio  2018  (Riduzione  del  numero  delle  camere  di  commercio
mediante accorpamento, razionalizzazione delle sedi e del personale),
impugnato nei giudizi principali. 
    2.-  Va  preliminarmente  rilevato  che  le  sette  ordinanze  di
rimessione pongono questioni identiche  in  relazione  alle  medesime
norme censurate  e  ai  medesimi  parametri  costituzionali  evocati;
pertanto, i giudizi vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati
e decisi con unica pronuncia. 
    2.1.- Sempre in via  preliminare,  questa  Corte  e'  chiamata  a
pronunciarsi sulle plurime eccezioni di inammissibilita' per  difetto
di rilevanza avanzate dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
dall'Unione  Italiana   delle   Camere   di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura (d'ora in avanti: Unioncamere). 
    2.2.- Le censure sarebbero irrilevanti in  quanto  ipotetiche:  i
rimettenti non avrebbero chiarito  in  quale  misura  i  criteri  del
decreto legislativo, in ipotesi  viziato  dal  mancato  rispetto  del
principio di leale collaborazione,  condizionerebbero  il  successivo
decreto ministeriale impugnato nei giudizi principali. 
    La difesa statale  sottolinea  che  il  decreto  legislativo  non
avrebbe comunque potuto  alterare  il  numero  degli  enti  camerali,
stabilito in «non piu' di 60 mediante  accorpamento  di  due  o  piu'
camere di commercio» (art. 10, comma 1, lettera b, legge n.  124  del
2015). 
    Unioncamere  ribadisce  che  l'incostituzionalita'  della   legge
delega  per  mancato  rispetto  della  leale  collaborazione  non  si
estenderebbe ai decreti delegati, secondo quanto affermato da  questa
Corte nella sentenza n. 251  del  2016.  In  tal  senso,  l'eventuale
accoglimento  della  questione  non   avrebbe   alcun   effetto   sui
procedimenti principali, con conseguente irrilevanza delle  questioni
sollevate sulla legge di delega e sul decreto delegato. 
    Infine, le  ordinanze  di  rimessione  non  avrebbero  tenuto  in
adeguata considerazione la sentenza di questa Corte n. 261 del  2017,
che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 4 dell'art.
3 del d.lgs. n. 219 del 2016  (oggetto  dell'attuale  giudizio),  per
avere previsto l'adozione  del  d.m.  di  riordino  delle  camere  di
commercio previo  parere  della  Conferenza  Stato-Regioni,  anziche'
previa intesa. Questa decisione avrebbe dato attuazione al  principio
di leale collaborazione "a valle" del  procedimento  legislativo;  in
ogni  caso,  il  mancato  raggiungimento  dell'intesa  sul  d.m.  non
osterebbe a una decisione unilaterale del Governo, laddove i  plurimi
tentativi di addivenire a un accordo con le autonomie  regionali  non
siano andati a buon fine. La mancata considerazione di  tali  profili
si  tradurrebbe  in  un  difetto  di   rilevanza,   con   conseguente
inammissibilita' delle questioni sollevate dal TAR Lazio. 
    2.3.- Le eccezioni di inammissibilita' non sono fondate. 
    In merito alla asserita trasmissione del  vizio  di  legittimita'
dalla legge di delega al decreto delegato,  contrariamente  a  quanto
argomentato da Unioncamere, l'assunto dei rimettenti non  e'  di  per
se'  implausibile,  ben   potendo   in   ipotesi   configurarsi   una
illegittimita' derivata del decreto delegato che  trova  nella  legge
delega, fonte interposta ai sensi dell'art. 76 Cost., la misura della
propria legittimita'. 
    Per cio' che concerne il difetto  di  applicabilita'  ai  giudizi
principali dell'art. 10 della legge n. 124 del  2015  deve  ritenersi
sufficiente, ai fini della  rilevanza,  l'influenza  del  presupposto
normativo, e cioe' della legge di delega, sull'art. 3 del  d.lgs.  n.
219 del 2016, norma da applicarsi ai giudizi a quibus. E' sufficiente
osservare che il vizio procedimentale  asserito  dai  rimettenti,  se
accertato  da  questa  Corte,  potrebbe  riverberarsi   sul   decreto
legislativo, cosi' travolgendo lo stesso d.m. impugnato  nei  giudizi
principali. 
    Infine, le ordinanze di rimessione  si  soffermano  adeguatamente
sulla sentenza n. 261 del 2017, ritenendo non  sufficiente,  ai  fini
del rispetto del principio di leale collaborazione,  i  tentativi  di
intesa "a valle" sul d.m. di attuazione. 
    3.- Prima di affrontare il merito delle questioni di legittimita'
costituzionale,  questa  Corte  ritiene  necessario  ripercorrere  la
propria giurisprudenza sul processo di riforma del  sistema  camerale
innescato dagli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3  del  d.lgs.
n. 219 del 2016. 
    3.1.- Come noto, infatti, il comma 4 dell'art. 3  d.lgs.  n.  219
del 2016 ha demandato  a  un  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, adottato su proposta di Unioncamere e previo parere  della
Conferenza Stato-Regioni, l'attuazione del processo di riordino e  di
accorpamento delle  camere  di  commercio,  disposto  dal  menzionato
decreto legislativo. 
    Su tale previsione e'  intervenuta  questa  Corte,  dichiarandola
illegittima nella parte in cui prevedeva che il decreto  ministeriale
fosse adottato  sentito  il  parere  della  Conferenza  Stato-Regioni
anziche' previa intesa con la stessa (sentenza n. 261 del 2017). 
    3.1.1.- In detta pronuncia,  questa  Corte  ha  chiarito  che  le
camere di commercio presentano  una  natura  anfibia,  per  un  verso
«organi di rappresentanza delle categorie mercantili», per  un  altro
«strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche».  Dalla  loro
vocazione pubblicistica discende, dagli inizi  dello  scorso  secolo,
l'attribuzione a tali soggetti della qualifica di  «enti  di  diritto
pubblico, dotati di personalita' giuridica». 
    3.1.2.- I compiti assegnati a detti enti dal d.lgs.  n.  219  del
2016 non solo hanno ribadito questa duplice natura, ma ne hanno anche
confermato  la  collocazione  al  crocevia  di  distinti  livelli  di
governo: per un verso, infatti, le  camere  di  commercio  esercitano
funzioni evidentemente riconducibili alla competenza esclusiva  dello
Stato (ad esempio in materia di pubblicita' legale mediante la tenuta
del registro delle imprese;  tutela  del  consumatore  e  della  fede
pubblica; vigilanza e controllo sulla  sicurezza  e  conformita'  dei
prodotti; disciplina della metrologia legale  in  collaborazione  con
gli uffici metrici statali; rilevazione dei prezzi e delle  tariffe);
per un altro, svolgono compiti che  riflettono  competenze  regionali
(in materia, ad esempio, di sviluppo e  promozione  del  turismo,  di
supporto  alle  imprese,  di   orientamento   al   lavoro   ed   alle
professioni). 
    Le competenze regionali  coinvolte,  pertanto,  sono,  in  alcuni
ambiti, inestricabilmente intrecciate  con  quelle  dello  Stato;  in
altri sono invece suscettibili di essere precisamente identificate  e
distintamente considerate, in riferimento ai singoli  compiti  svolti
(sentenza n. 261 del 2017). 
    3.2.-  Le  funzioni  esercitate  dal  sistema  camerale  esigono,
dunque, «una disciplina omogenea in ambito nazionale», posto  che  le
camere di commercio non sono «un arcipelago di  entita'  isolate,  ma
costituiscono i terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali
che giustifica l'intervento dello Stato»; d'altro canto,  proprio  il
coinvolgimento di competenze  regionali  implica  che  la  disciplina
statale  sia   posta   nel   «rispetto   del   principio   di   leale
collaborazione, indispensabile in questo caso a  guidare  i  rapporti
tra lo Stato e il sistema delle autonomie», rendendosi necessario  un
coinvolgimento regionale che  non  puo'  arrestarsi  al  mero  parere
espresso in Conferenza Stato-Regioni,  ma  deve  essere  identificato
«nell'intesa,  contraddistinta  da  una  procedura  che  consenta  lo
svolgimento   di   genuine   trattative   e   garantisca   un   reale
coinvolgimento [regionale]» (sentenza n. 261 del 2017). 
    3.3.- A seguito di tale pronuncia,  il  Ministro  dello  sviluppo
economico ha sottoposto un nuovo schema di decreto ministeriale  alla
Conferenza Stato-Regioni, riunitasi il 21 dicembre  2017.  Nonostante
plurimi confronti con il sistema delle  autonomie  regionali,  queste
non hanno ritenuto di sottoscrivere l'intesa. L'8  febbraio  2018  il
Consiglio dei ministri ha quindi deliberato  di  superare  lo  stallo
procedimentale, in applicazione dell'art. 3, comma 3, del  d.lgs.  28
agosto 1997, n. 281 (Definizione ed  ampliamento  delle  attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed  autonomie
locali),  autorizzando  il  Ministro  dello  sviluppo  economico   ad
adottare il decreto ministeriale che,  nel  relativo  preambolo,  da'
atto del recepimento di alcune istanze regionali. 
    3.4.- Il decreto ministeriale e' stato poi impugnato di fronte  a
questa Corte per conflitto  intersoggettivo  dalla  Regione  autonoma
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e  dichiarato  parzialmente  illegittimo
nella parte in cui si riferiva alla Camera valdostana delle imprese e
delle professioni (sentenza n. 225 del 2019). 
    Con  tale  decisione,  la  Corte  costituzionale  ha   declinato,
rispetto alle autonomie speciali, gli argomenti spesi nella  sentenza
n. 261 del 2017. E' stato cosi'  chiarito  che  la  Regione  autonoma
Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste  e'  direttamente  titolare,  in  virtu'
dello  statuto  e  della  relativa  normativa  di  attuazione,  delle
funzioni svolte, sul resto  del  territorio  nazionale,  dal  sistema
camerale:   «[n]el   territorio   valdostano,   tutte   le   funzioni
tradizionalmente svolte dalle Camere di commercio  appartengono  alla
Regione, che puo' discrezionalmente scegliere le forme  organizzative
ritenute piu' opportune per il loro esercizio» (sentenza n.  225  del
2019). Per tale ragione, allo Stato  non  spettava  includere,  nella
disciplina di riordino e  razionalizzazione,  l'organizzazione  della
Camera valdostana. 
    4.- Alla  luce  di  tali  premesse,  non  puo'  dirsi  errato  il
presupposto da cui muovono i rimettenti, secondo  i  quali  la  legge
delega e' intervenuta in ambiti che  vedono  intrecciarsi  competenze
statali e regionali. 
    Come ha affermato la  sentenza  n.  261  del  2017,  infatti,  la
disciplina del sistema camerale si colloca al  crocevia  di  distinti
livelli di governo, richiedendo, dunque, un  adeguato  coinvolgimento
delle  autonomie  regionali.  Il  ricorso  al  principio   di   leale
collaborazione, in quanto "metodo" cui adeguare la legislazione  alle
esigenze delle autonomie  nel  quadro  dell'unita'  della  Repubblica
(artt. 5 e 120 Cost.), e'  infatti  frequentemente  richiamato  nella
giurisprudenza di questa Corte per la disciplina delle materie in cui
si intrecciano strettamente competenze statali e competenze regionali
(ex plurimis, sentenze n. 72 del 2019, n. 56 del 2019, n. 71 del 2018
e n. 1 del 2016). 
    5.- Cio' nonostante, le questioni di legittimita'  costituzionale
degli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3 del d.lgs. n. 219  del
2016 non sono fondate. 
    5.1.- Non e' venuto meno, infatti, in tutto il  procedimento  che
ha portato alla riforma del sistema delle  camere  di  commercio,  il
confronto  del  Governo  con  le  autonomie  territoriali.  A  questo
risultato ha contribuito la sentenza di questa Corte n. 261 del  2017
che,   come   dianzi   ricordato,   dichiarando   la   illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 216 del  2019,  su
ricorso di diverse Regioni, ha stabilito che il decreto  ministeriale
fosse  adottato  non  previo  parere  bensi'  previa  intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni. 
    Avviato il processo di riordino  delle  Camere  di  commercio  in
forza del  citato  d.m.,  i  giudici  rimettenti,  su  istanza  delle
menzionate Camere di commercio e di altri soggetti - tutti ricorrenti
dinanzi al TAR Lazio avverso detto provvedimento - sollevano  in  via
incidentale  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  avente  ad
oggetto gli artt. 10 della legge n. 124 del 2015 e 3  del  d.lgs.  n.
219 del 2016. Quest'ultimo, in  particolare,  non  piu'  per  i  suoi
contenuti, ma per il modo stesso in cui e' stato approvato  in  forza
della  legge  di  delega,  previo  parere  ma  senza  intesa  con  la
Conferenza  Stato-Regioni.  A  tal  fine  sposano  una  lettura   non
condivisibile dei principi espressi da questa Corte nella sentenza n.
251 del 2016 adottata l'anno precedente. 
    Detta sentenza  ha  dichiarato  illegittime  talune  disposizioni
della legge delega  n.  124  del  2015  (nella  parte  concernente  i
principi e criteri direttivi in materia  di  dirigenza  pubblica,  di
lavoro  alle   dipendenze   delle   amministrazioni   pubbliche,   di
partecipazione azionaria delle  p.a.  e  di  disciplina  dei  servizi
pubblici   locali   di   interesse   economico   generale),   laddove
subordinavano l'adozione dei decreti delegati ivi previsti al  previo
«parere», anziche' alla previa «intesa» in  Conferenza  (unificata  o
Stato-Regioni, a seconda degli ambiti interessati). 
    5.2.-  Tale  pronuncia,  pur  rilevando  che  la   giurisprudenza
costituzionale ha piu' volte sancito  (e  recentemente  ribadito:  da
ultimo, sentenze n. 44 del 2018, n.  237  e  n.  192  del  2017;  con
riferimento alla decretazione di urgenza, sentenze n. 194  del  2019,
n. 137 e n. 17 del 2018) che il principio di leale collaborazione non
si impone, di norma, al procedimento legislativo, ha invero affermato
che l'intesa fra Stato e Regioni «si impone [...] quale cardine della
leale collaborazione anche  quando  l'attuazione  delle  disposizioni
dettate dal legislatore statale  e'  rimessa  a  decreti  legislativi
delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.». E cio'
«nell'evenienza  [...]  di  uno  stretto  intreccio  fra  materie   e
competenze».  Tali  decreti,  sottoposti   a   limiti   temporali   e
qualitativi,  «finiscono,  infatti,  con  l'essere   attratti   nelle
procedure di leale collaborazione, in vista del  pieno  rispetto  del
riparto costituzionale delle competenze» (sentenza n. 251 del 2016). 
    Tuttavia la medesima sentenza ha precisato che, «[n]el seguire le
cadenze temporali entro cui esercita la delega, [...] il Governo puo'
fare ricorso a tutti gli strumenti che reputa,  di  volta  in  volta,
idonei  al  raggiungimento  dell'obiettivo  finale.  Tale   obiettivo
consiste  nel  vagliare  la  coerenza  dell'intero  procedimento   di
attuazione della delega, senza sottrarlo alla collaborazione  con  le
Regioni» (sentenza n. 251 del 2016). 
    L'adeguatezza  del  coinvolgimento   regionale,   dunque,   lungi
dall'imporre un  rigido  automatismo,  abbraccia  necessariamente  un
orizzonte  ampio,  offerto  dall'intero  procedimento  innescato  dal
legislatore delegante, da  valutarsi  alla  luce  dei  meccanismi  di
raccordo  complessivamente  predisposti  dallo  Stato.   Per   queste
ragioni, la medesima decisione ha escluso la immediata estensione del
vizio di illegittimita' costituzionale ai decreti delegati  (punto  9
del  Considerato  in  diritto),  chiarendo  come  la  sua   eventuale
trasmissione debba di volta in  volta  accertarsi  «alla  luce  delle
soluzioni correttive che il Governo riterra' di apprestare al fine di
assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione». 
    Il riferimento alle «soluzione correttive» che il Governo avrebbe
potuto adottare nell'esercizio della  sua  discrezionalita'  politica
implica,  quindi,  al  fine  del  necessario   coinvolgimento   delle
autonomie  regionali,  una  ampia  congerie  di  strumenti  idonei  a
soddisfare l'esigenza  di  un  leale  confronto  con  le  istituzioni
territoriali. 
    In questa direzione  si  muove,  peraltro,  il  parere  reso  dal
Consiglio di  Stato  all'indomani  di  detta  pronuncia,  ove  si  e'
affermato, per un verso, la perdurante validita' dei decreti delegati
adottati  sulla  scorta  delle  disposizioni   della   legge   delega
dichiarate incostituzionali, e per un altro, come fosse «preferibile»
- e quindi non sempre costituzionalmente necessitata - l'adozione dei
decreti  correttivi  a  seguito  di  intesa  (Consiglio   di   Stato,
commissione speciale, parere 17 gennaio 2017, n. 83). 
    5.3.-  La  leale  collaborazione,  dunque,  richiama  un   metodo
procedimentale che permea le relazioni dei livelli di governo, la cui
estensione  dipende  dalle  concrete  modalita'  di  esercizio  delle
competenze in un determinato ambito materiale. 
    Nel  caso  in   esame,   particolarmente   rilevante   e'   stata
l'attivazione delle procedure per addivenire a un'intesa sul d.m.  di
attuazione, sulla scorta di quanto richiesto da  questa  Corte  nella
piu' volte citata sentenza n. 261 del 2017  che  aveva  ritenuto  non
legittimo il  semplice  ricorso  al  "parere"  anziche'  "all'intesa"
nell'approvazione dello stesso. 
    A seguito di tale  pronuncia,  l'atto  ministeriale  inizialmente
adottato e' stato ritirato e sostituito con  altro  atto  su  cui  il
Governo ha, a piu' riprese, tentato di raggiungere un accordo con  le
Regioni, come testimonia l'andamento delle riunioni della  Conferenza
Stato-Regioni del 21 dicembre del 2017 e dell'11 gennaio 2018, e come
si evince dalle numerose riunioni  tecniche  che  si  sono  tenute  a
latere della Conferenza stessa e di cui viene dato atto nei  relativi
verbali.  Solo  a  seguito  di  queste  reiterate  interlocuzioni  il
Consiglio dei ministri ha  deliberato,  l'8  febbraio  del  2018,  di
superare l'impasse, autorizzando il Ministro dello sviluppo economico
ad  adottare  il  decreto  ministeriale  (emanato  il  successivo  16
febbraio). 
    Alla luce di tale sequenza, non puo' essere sottovalutato che  la
eventuale dichiarazione di illegittimita' derivata  dell'art.  3  del
d.lgs.  n.  216  del  2019  porterebbe  a   sindacare   la   medesima
disposizione  normativa  due  volte  per  violazione   del   medesimo
principio: "a  valle"  perche'  non  ha  previsto,  nella  attuazione
tramite  decreto  ministeriale,  un  adeguato  coinvolgimento   delle
autonomie regionali, "a monte" perche' non concertata con le  Regioni
prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo. 
    E'  ben  vero  che,  sul  piano  formale,   l'oggetto   normativo
(attinente all'intero art. 3 d.lgs. n. 219 del 2016  e  non  al  solo
comma  4,  relativo  al  procedimento   di   adozione   del   decreto
ministeriale),  e'  piu'  ampio  rispetto  alla   disposizione   gia'
dichiarata  incostituzionale.  Se  si  considera  pero'  il   profilo
complessivo dell'asserito vizio di legittimita'  costituzionale,  non
sfugge il pericolo che questa Corte arriverebbe a sindacare  per  due
volte il  medesimo  procedimento  legislativo  per  violazione  dello
stesso principio. 
    Nonostante sia diverso il quando, il momento della violazione o -
se  si  vuole  -  la  singola  scansione  del  procedimento   colpita
dall'incostituzionalita', non muta la sostanza  della  lesione,  gia'
accertata da questa Corte  con  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale disposta dalla sentenza n. 261 del 2017. 
    Non puo' dunque sostenersi, come pure impropriamente ritengono  i
rimettenti evocando la sentenza n. 251 del 2016, che il  procedimento
innescato dall'art. 10 della legge n. 124 del 2015 sia stato condotto
senza rispettare i canoni della leale collaborazione. 
    5.4.- Non rileva, a questo proposito, la mancata intesa sul testo
del d.m. (risultato peraltro difficile da raggiungere,  visto  che  -
come sottolineato anche dalla  difesa  di  Unioncamere  -  il  numero
complessivo delle camere di commercio - contestato in  Conferenza  da
alcune Regioni durante la discussione sullo schema del d.m.- e' stato
fissato direttamente dalla legge delega). 
    5.5.- Deve infatti ricordarsi che, per costante giurisprudenza di
questa Corte, l'intesa non pone un obbligo di risultati  ma  solo  di
mezzi: infatti, «[s]e, da un lato, il superamento del  dissenso  deve
essere reso possibile, anche col prevalere della volonta' di uno  dei
soggetti coinvolti, per evitare che  l'inerzia  di  una  delle  parti
determini un blocco  procedimentale,  impedendo  ogni  deliberazione;
dall'altro, il principio di leale  collaborazione  non  consente  che
l'assunzione unilaterale dell'atto da parte  dell'autorita'  centrale
sia  mera   conseguenza   automatica   del   mancato   raggiungimento
dell'intesa entro un  determinato  periodo  di  tempo  (ex  plurimis,
sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012 e n. 165 del 2011) [...]  o
dell'urgenza del provvedere. Il  principio  di  leale  collaborazione
esige che le procedure volte a raggiungere l'intesa siano configurate
in modo tale da consentire l'adeguato sviluppo  delle  trattative  al
fine di superare le divergenze» (sentenza n. 1  del  2016,  ma  nello
stesso senso, piu' recentemente, sentenze n. 161 del 2019, n. 261 del
2017, n. 142 del 2016 e n. 88 del 2014). 
    Di qui, dunque, la non fondatezza delle questioni prospettate.