ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5,  comma
4, e 9 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 13  (Misure
per  la  riduzione  delle  liste  d'attesa   in   sanita'   -   Primi
provvedimenti), promosso dal Presidente del Consiglio  dei  ministri,
con  ricorso  notificato  il  22-27  maggio   2019,   depositato   in
cancelleria il 27 maggio 2019, iscritto al n. 61 del registro ricorsi
2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  26,
prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Udito il Giudice relatore Giuliano Amato  ai  sensi  del  decreto
della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a)
e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data  24
giugno 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 giugno 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 22-27 maggio 2019 e depositato in cancelleria il  27  maggio  2019
(reg.  ric.  n.  61  del   2019),   ha   promosso,   in   riferimento
complessivamente agli artt. 81 e  117,  secondo  comma,  lettera  l),
della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 5, comma 4, e 9 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019,
n. 13 (Misure per la riduzione delle  liste  d'attesa  in  sanita'  -
Primi provvedimenti). 
    2.- In primo luogo, e' impugnato l'art. 5, comma 4,  della  legge
reg. Puglia n. 13 del 2019, ove si prevede che «[n]el caso in cui  il
fondo previsto dall'articolo 2 della legge 8 novembre  2012,  n.  189
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  13
settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti  per  promuovere
lo sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di  tutela  della
salute) non risulti sufficiente a garantire il rispetto dei tempi  di
attesa, il direttore generale attiva intese sindacali  finalizzate  a
incrementare detto fondo, attingendo alle quote gia' accantonate  per
i fondi perequativi alimentati dalla libera professione». 
    2.1.- Precisa la  difesa  statale  che  i  fondi  perequativi  in
questione sono previsti  e  regolamentati  dalla  vigente  disciplina
contrattuale, in base all'art.  5  del  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  27  marzo  2000  (Atto   di   indirizzo   e
coordinamento    concernente     l'attivita'     libero-professionale
intramuraria del personale della  dirigenza  sanitaria  del  Servizio
sanitario nazionale). Tale decreto,  in  attuazione  degli  artt.  4,
comma 11, 9 e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 502 (Riordino della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a  norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992,  n.  421),  all'art.  5,
comma 2, lettera e), individua «una percentuale pari al 5  per  cento
della massa  dei  proventi  dell'attivita'  libero-professionale,  al
netto delle quote a favore dell'azienda,  quale  fondo  aziendale  da
destinare  alla  perequazione  per  quelle   discipline   mediche   e
veterinarie che abbiano una limitata possibilita' di esercizio  della
libera professione intramuraria; analogo fondo e' costituito  per  le
restanti categorie». 
    L'art. 2, comma 1, lettera e),  del  decreto-legge  13  settembre
2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per  promuovere  lo  sviluppo  del
Paese  mediante  un  piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),
convertito, con modificazioni, in legge  8  novembre  2012,  n.  189,
invece,  prevede  che  le  aziende   sanitarie,   nell'ambito   della
definizione degli importi da corrispondere a cura dell'assistito  per
le prestazioni sanitarie, d'intesa  con  i  dirigenti  interessati  e
previo accordo  in  sede  di  contrattazione  integrativa  aziendale,
debbano tener conto,  oltre  che  della  quota  gia'  prevista  dalla
vigente disciplina contrattuale, anche di un'ulteriore quota pari  al
5 per certo del  compenso  del  libero  professionista,  destinata  a
interventi volti alla riduzione delle liste di attesa. 
    La normativa statale, pertanto, vincolerebbe al  fondo  destinato
alla riduzione dei tempi di attesa  una  ben  definita  quota  e  non
quella  destinata  dalla  contrattazione  collettiva  al   fondo   di
perequazione. 
    La disposizione regionale impugnata, quindi, interverrebbe su una
materia riservata  alla  contrattazione  collettiva,  violando  cosi'
l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in   riferimento
all'«ordinamento  civile»,  materia  di  competenza  esclusiva  dello
Stato. Inoltre, prevedendo che per incrementare il  citato  fondo  si
proceda attraverso «intese», si porrebbe in contrasto con  lo  stesso
art. 2 del d.l. n. 158 del 2012, come  convertito,  che  richiede  la
previa contrattazione integrativa aziendale. 
    3.- In secondo luogo, oggetto d'impugnazione e'  l'art.  9  della
legge reg. Puglia n. 13 del 2019, ove si  dispone  che  i  «direttori
generali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere  e
degli IRCSS di diritto pubblico entro sessanta giorni dalla  data  di
entrata in vigore della presente  legge  rideterminano  le  dotazioni
organiche in  funzione  dell'accrescimento  dell'efficienza  e  della
realizzazione  della  migliore  utilizzazione  delle  risorse  umane,
tenendo anche conto della necessita'  di  procedere  all'abbattimento
delle liste d'attesa». 
    3.1.- Sottolinea la difesa statale che la disposizione  impugnata
non richiama il rispetto dei limiti di spesa per il  personale  posti
dall'art. l, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)», nonche' dall'art.  2,  comma
71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
finanziaria 2010)», a cui sono assoggettati  gli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale al fine di concorrere  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica. 
    Di conseguenza, la norma in  questione  sarebbe  suscettibile  di
determinare nuovi o maggiori oneri, ponendosi in contrasto con l'art.
81 Cost. 
    4.- La Regione Puglia non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con ricorso iscritto  al
n. 61 del registro ricorsi 2019, ha impugnato gli artt. 5, comma 4, e
9 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 13  (Misure  per
la riduzione delle liste d'attesa in sanita' - Primi provvedimenti). 
    2.- Una prima questione concerne l'art. 5, comma 4,  della  legge
reg. Puglia n. 13 del 2019, ove si prevede che «[n]el caso in cui  il
fondo previsto dall'articolo 2 della legge 8 novembre  2012,  n.  189
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  13
settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti  per  promuovere
lo sviluppo del Paese mediante un piu' alto livello di  tutela  della
salute) non risulti sufficiente a garantire il rispetto dei tempi  di
attesa, il direttore generale attiva intese sindacali  finalizzate  a
incrementare detto fondo, attingendo alle quote gia' accantonate  per
i fondi perequativi alimentati dalla libera professione». 
    2.1.- Secondo lo Stato la disposizione impugnata, intervenendo su
aspetti  disciplinati  dalla  contrattazione  collettiva,  violerebbe
l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  della  Costituzione,  in
riferimento alla materia dell'«ordinamento civile». 
    2.2.- La questione non e' fondata. 
    2.2.1.- La norma oggetto di censura interviene nell'ambito  della
disciplina  dell'attivita'  libero-professionale   intramuraria   del
personale del Servizio sanitario nazionale, relativamente ad  aspetti
che sono stati regolati dal decreto del Presidente del Consiglio  dei
ministri 27 marzo 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento concernente
l'attivita' libero-professionale  intramuraria  del  personale  della
dirigenza sanitaria  del  Servizio  sanitario  nazionale),  attuativo
degli artt. 4, comma 11, 9 e 15-quinquies del decreto legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421). In particolare, con riferimento alle tariffe, l'art.  5,  comma
2, lettera e), del citato d.P.C.m.  stabilisce  che  una  percentuale
pari  al  5  per  cento  della  massa  dei  proventi   dell'attivita'
libero-professionale confluisca in un fondo  aziendale  da  destinare
alla perequazione per quelle discipline  mediche  e  veterinarie  che
abbiano  una  limitata  possibilita'  di   esercizio   della   libera
professione intramuraria. Tale fondo, quindi, ha l'evidente finalita'
di realizzare una perequazione  tra  il  complesso  degli  interventi
effettuati nelle singole aziende in  regime  di  libera  professione,
compensando, almeno in parte, le categorie che, pur appartenenti alla
stessa struttura, svolgano per ragioni oggettive un minor  numero  di
prestazioni in tale regime. 
    Siffatta disposizione ha poi  trovato  attuazione  nel  contratto
collettivo nazionale di  lavoro  dell'area  relativa  alla  dirigenza
medica e veterinaria, siglato l'8  giugno  2000,  che,  all'art.  57,
comma 2, lettera i), stabilisce che una  quota  della  tariffa  -  da
concordare in azienda e comunque non inferiore al 5 per  cento  della
massa di tutti i proventi  dell'attivita'  libero  professionale,  al
netto delle quote a favore delle aziende -  venga  accantonata  quale
fondo aziendale da destinare  alla  perequazione  per  le  discipline
mediche  e  veterinarie,  individuate  in  sede   di   contrattazione
integrativa, che abbiano una limitata possibilita' di esercizio della
libera professione intramuraria. 
    Successivamente, l'art. 1, comma 4, lettera  c),  della  legge  3
agosto  2007,  n.  120  (Disposizioni   in   materia   di   attivita'
libero-professionale  intramuraria   e   altre   norme   in   materia
sanitaria), come modificato dall'art. 2, comma  1,  lettera  e),  del
decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158  (Disposizioni  urgenti  per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute),  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  8
novembre 2012, n. 189, e' anch'esso intervenuto in  riferimento  alle
tariffe per l'attivita' libero-professionale da corrispondere a  cura
dell'assistito. Nella specie, si e' previsto che la determinazione di
tali tariffe, da effettuarsi d'intesa con i dirigenti  interessati  e
previo accordo in sede di contrattazione integrativa aziendale, tenga
conto,  oltre  che  della  quota  gia'  individuata  dal   CCNL,   di
un'ulteriore quota, pari al 5  per  cento  del  compenso  del  libero
professionista, che deve essere trattenuta dal  competente  ente  del
servizio sanitario e vincolata all'adozione  di  appositi  interventi
volti alla riduzione delle liste d'attesa. 
    Possono  individuarsi,  pertanto,  due   fondi   previsti   dalla
normativa statale  di  riferimento.  Il  primo,  indicato  anche  nel
contratto  collettivo  nazionale  di  comparto,   che   rinvia   alla
contrattazione aziendale per la sua regolazione, e' alimentato da una
quota pari ad almeno il 5 per cento  delle  tariffe  per  l'attivita'
intramuraria e ha finalita' di perequazione delle prestazioni rese in
regime di libera professione. Il secondo, alimentato da  un'ulteriore
quota del 5 per cento dei proventi degli enti del servizio  sanitario
relativi all'intra-moenia, e' finalizzato alla riduzione delle  liste
d'attesa e regolato in sede di contrattazione integrativa  aziendale,
d'intesa con i dirigenti competenti. 
    2.2.2.- In tale contesto normativo,  l'art.  5,  comma  4,  della
legge reg. Puglia n. 13 del 2019 e' intervenuto recando misure  volte
a ridurre le liste d'attesa -  nelle  more  dell'adozione  del  piano
regionale per il  governo  delle  liste  di  attesa,  successivamente
adottato con la deliberazione della Giunta della  Regione  Puglia  18
aprile 2019, n. 735 - rinviando a intese  sindacali  la  possibilita'
d'incrementare il fondo  di  cui  al  d.l.  n.  158  del  2012,  come
convertito, qualora le risorse ivi contenute non  siano  sufficienti,
attingendo a quelle del fondo per la perequazione. 
    La disposizione regionale impugnata,  dunque,  disciplina  misure
per la riduzione delle liste d'attesa - ascrivibili  alla  competenza
concorrente Stato-Regioni  sulla  «tutela  della  salute»  -  nonche'
relative all'attivita'  libero  professionale  intramuraria,  materia
anch'essa riconducibile alla medesima competenza (sentenze n. 54  del
2015, n. 301 del 2013 e n. 371 del 2008). 
    Il legislatore pugliese, a tal proposito, indica un obiettivo  ai
direttori generali delle aziende sanitarie, senza  intervenire  sulle
modalita' di determinazione della quota  tariffaria  da  accantonarsi
nel fondo per la perequazione  dell'intramoenia,  la  cui  disciplina
resta quella indicata dal d.P.C.m. 27 marzo 2000 e dall'art.  57  del
CCNL nonche' concordata in sede di contrattazione integrativa. 
    Le norme impugnate, in altri termini, si limitano a consentire la
destinazione di parte delle somme del fondo per la perequazione  alla
riduzione dei tempi d'attesa, qualora le risorse previste dal fondo a
cio' specificatamente deputato non  risultino  sufficienti.  Il  che,
tuttavia,   lascia   inalterato   ogni   aspetto    riservato    alla
contrattazione collettiva, nazionale e decentrata,  nella  disciplina
della quota tariffaria per la  costituzione  del  fondo  perequativo.
L'obiettivo per i direttori  generali,  inoltre,  dovra'  realizzarsi
attraverso il ricorso a intese sindacali, con  previsione  che  anche
per tale  aspetto  e'  conforme  alle  norme  statali,  che  lasciano
comunque  uno  spazio  per  la   contrattazione   integrativa   nella
disciplina di entrambi i fondi. 
    Ne consegue che la disposizione regionale impugnata non  comporta
l'invasione di tale spazio, la qual cosa esclude la violazione  della
competenza statale in materia di ordinamento civile. 
    3.- Con la seconda questione oggetto d'impugnazione e'  l'art.  9
della legge reg. Puglia  n.  13  del  2019,  ove  si  dispone  che  i
«direttori generali delle aziende  sanitarie  locali,  delle  aziende
ospedaliere e degli IRCSS di diritto pubblico entro  sessanta  giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge rideterminano le
dotazioni organiche in funzione dell'accrescimento dell'efficienza  e
della realizzazione della migliore utilizzazione delle risorse umane,
tenendo anche conto della necessita'  di  procedere  all'abbattimento
delle liste d'attesa». 
    3.1.- La difesa statale  sottolinea  che  tale  disposizione  non
richiama il rispetto dei limiti  di  spesa  per  il  personale  posti
dall'art. l, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)» -  che  modifica  l'art.  17,
comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,
in legge 15 luglio 2011, n. 111 -  nonche'  dall'art.  2,  comma  71,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge
finanziaria 2010)». In tal modo, la norma regionale impugnata sarebbe
suscettibile di determinare nuovi  o  maggiori  oneri,  ponendosi  in
contrasto con l'art. 81 Cost. 
    3.2.- Anche tale questione non e' fondata. 
    3.2.1.-  La  disposizione  regionale  non  stabilisce  interventi
idonei a recare nuovi oneri per  il  bilancio  regionale,  quali,  ad
esempio,  nuove  assunzioni  o  procedure  di   stabilizzazione   del
personale al di fuori dei  casi  consentiti  dalla  citata  normativa
statale. E solo in quanto implicante misure del genere  la  revisione
della dotazione organica richiederebbe l'indicazione  dei  mezzi  per
farvi fronte, pena la violazione dell'art. 81  Cost.  (si  veda,  sul
punto, la sentenza n. 68 del 2011). 
    Nel caso in esame, non e' pero' cosi'. 
    Intanto, l'effetto precettivo  della  norma  regionale  impugnata
consiste nell'attribuzione  ai  direttori  generali  del  compito  di
adottare future misure sul personale: la norma ha dunque un contenuto
meramente programmatico (si vedano le sentenze n. 245  del  2017,  n.
252 del 2012, n. 94  del  2011  e  n.  308  del  2009).  Inoltre,  la
revisione della dotazione organica e' espressamente finalizzata a una
maggiore efficienza e una migliore utilizzazione delle risorse umane,
finalita' che fanno riferimento a un diverso utilizzo  del  personale
esistente piuttosto che  all'assunzione  di  nuovo  personale.  Cio',
dunque, potra' realizzarsi con modalita' e  attraverso  le  procedure
consentite nel  rispetto  dei  sopra  citati  limiti  di  spesa  (non
richiamati ma neppure contraddetti dalla disposizione impugnata) e  a
invarianza di oneri,  anche  attivando  gli  strumenti  di  mobilita'
inter-aziendale e inter-regionale. 
    Ne deriva che  il  mancato  richiamo  da  parte  del  legislatore
pugliese dei tetti  alla  spesa  sanitaria  fissati  dalla  normativa
statale non manifesta la volonta' di superarli con interventi recanti
nuovi oneri per il bilancio regionale, con  conseguente  infondatezza
delle doglianze promosse in riferimento all'art. 81 Cost.