ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma
1-bis, del decreto legislativo 18 agosto  2015,  n.  142  (Attuazione
della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei
richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'   della   direttiva
2013/32/UE, recante procedure comuni ai  fini  del  riconoscimento  e
della  revoca  dello  status  di  protezione  internazionale),   come
introdotto  dall'art.  13,  comma  1,  lettera  a),  numero  2),  del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia
di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza  pubblica,
nonche' misure per la  funzionalita'  del  Ministero  dell'interno  e
l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia  nazionale   per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni,  nella
legge 1° dicembre 2018, n. 132, promossi dal Tribunale  ordinario  di
Milano, prima sezione civile, con ordinanza del 1° agosto  2019,  dal
Tribunale ordinario di Ancona, prima sezione  civile,  con  ordinanza
del 29 luglio 2019 e dal  Tribunale  ordinario  di  Salerno,  sezione
civile feriale, con  due  ordinanze  del  9  agosto  2019,  iscritte,
rispettivamente, ai numeri 145, 153, 158 e 159 del registro ordinanze
2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica,  numeri
39, 40 e 41, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visti gli atti di costituzione dei signori A. H. e A.  S.,  delle
associazioni    ASGI-Associazione    per    gli    studi    giuridici
sull'immigrazione e Avvocati per Niente Onlus, del Comune di  Milano,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nell'udienza pubblica e nella camera  di  consiglio  dell'8
luglio 2020 la Giudice relatrice Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Valerio Onida per A. H., Alberto  Guariso  per
A. H. e altri, Antonello Mandarano per il  Comune  di  Milano,  Paolo
Cognini per A. S. e gli avvocati dello Stato Giuseppe Albenzio e Ilia
Massarelli per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 1° agosto 2019,  iscritta  al  n.  145  del
registro ordinanze 2019, il  Tribunale  ordinario  di  Milano,  prima
sezione civile, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015,  n.
142 (Attuazione della direttiva  2013/33/UE  recante  norme  relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale), introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera a), numero
2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in
materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,   sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con  modificazioni,  nella  legge  1°  dicembre  2018,  n.  132,  per
violazione degli artt. 2, 3, 10, 77, secondo comma, 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art.  2,  paragrafo
1, del Protocollo n. 4 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'   fondamentali,   adottato   a
Strasburgo il 16 settembre 1963 e reso esecutivo  con  il  d.P.R.  14
aprile 1982, n. 217, che riconosce taluni diritti e liberta'  diversi
da quelli che  figurano  gia'  nella  convenzione  e  nel  suo  primo
protocollo addizionale, nonche' in  relazione  agli  artt.  14  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e 26 del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,  adottato
a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23  marzo  1976,
ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881. 
    1.1.- Il rimettente premette di  essere  stato  investito  di  un
ricorso ai sensi dell'art. 28 del decreto  legislativo  1°  settembre
2011, n. 150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di  procedura
civile in materia di riduzione  e  semplificazione  dei  procedimenti
civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno
2009, n. 69), dell'art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello  straniero)   e
dell'art. 702-bis del codice di procedura civile, promosso da A.  H.,
richiedente asilo, nei confronti del Comune di Milano e del Ministero
dell'interno, al fine di ottenere «la dichiarazione di invalidita'  e
l'accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto  dal
Comune di Milano alla iscrizione del ricorrente  nell'anagrafe  della
popolazione residente». 
    In  particolare,  il  ricorrente  ha  chiesto  di  accertare   il
carattere discriminatorio del diniego all'iscrizione  anagrafica  per
violazione del principio di  parita'  di  trattamento  tra  cittadini
italiani e stranieri ai sensi dell'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286
del  1998  e  dell'art.  15  del  d.P.R.  31  agosto  1999,  n.   394
(Regolamento recante  norme  di  attuazione  del  testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1,  comma  6,
del  decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286),  nonche'  per
violazione  del  «principio  paritario,  sotto   il   profilo   della
nazionalita'» (ai sensi  dell'art.  3  Cost.,  dell'art.  14  CEDU  e
dell'art. 43 del d.lgs. n. 286 del 1998). 
    Inoltre,  «[i]n  via  autonoma»,  il  ricorrente  ha  chiesto  di
accertare l'illegittimita' del rifiuto del Comune alla sua iscrizione
all'anagrafe dei residenti e di ordinare al Ministero dell'interno, e
per esso al Sindaco del  Comune  di  Milano  nella  sua  qualita'  di
ufficiale del Governo per l'esercizio  delle  funzioni  di  ufficiale
dell'anagrafe,  di  procedere  all'iscrizione.   Infine,   «[q]ualora
necessario», il ricorrente ha domandato  la  previa  rimessione  alla
Corte costituzionale della questione  di  legittimita'  dell'art.  4,
comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del  2015,  introdotto  dall'art.  13,
comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018, convertito,
con modificazioni, nella legge n. 132 del 2018, in riferimento a  una
pluralita' di parametri costituzionali, anche in  relazione  a  fonti
sovranazionali. 
    Nelle more dell'instaurazione del contraddittorio nel giudizio  a
quo, hanno depositato un atto congiunto di intervento  l'Associazione
degli  studi  giuridici  sull'immigrazione  (ASGI)  e  l'Associazione
Avvocati per Niente  Onlus,  deducendo  la  natura  collettiva  della
discriminazione e aderendo alla prospettazione del ricorrente  quanto
alla natura discriminatoria del diniego di iscrizione anagrafica. Nel
giudizio a quo  si  sono  anche  costituiti  i  convenuti  resistenti
Ministero dell'interno e Comune di Milano. 
    1.2.-  In  merito  all'interesse  ad  agire  del  ricorrente  nel
giudizio principale, il rimettente afferma come esso, previsto  quale
condizione dell'azione dall'art. 100 del codice di procedura  civile,
secondo il consolidato orientamento della Corte di  cassazione  debba
essere  identificato  in  «una  situazione  di  carattere   oggettivo
derivante da un fatto lesivo, inteso in senso ampio,  di  un  diritto
che, senza l'intervento del giudice, resterebbe sfornito  di  tutela,
con conseguente danno per l'attore». Pertanto,  tale  interesse  deve
avere  carattere  attuale  «assurgendo  a  giuridica   ed   oggettiva
consistenza». 
    Nell'odierno giudizio, il  ricorrente  vanterebbe  «un  effettivo
interesse ad agire  che  scaturisce  dall'impossibilita'  di  vedersi
iscritto all'anagrafe del Comune  in  cui  ha  stabilito  la  propria
dimora abituale». In tal  senso,  l'intervento  del  giudice  sarebbe
necessario per rimediare  alla  lesione  del  diritto  soggettivo  di
iscrizione anagrafica, cagionato dalla condotta dell'amministrazione.
Nella  prospettiva  del  rimettente,  la  tutela  di  questo  diritto
assicurerebbe al richiedente asilo «un'utilita' ulteriore rispetto  a
quella derivante dall'accesso ai servizi e dall'esercizio dei diritti
e delle facolta' rispetto alle  quali  l'iscrizione  all'anagrafe  e'
strumentale». Quest'ultima sarebbe, infatti, «direttamente  collegata
alla dignita' personale e sociale dell'individuo, alla sua  capacita'
di identificazione, appartenenza e, in senso piu' ampio, integrazione
con la comunita' locale, che  a  loro  volta  costituiscono  passaggi
indispensabili per  la  concretizzazione  del  progetto  fondante  la
nostra Costituzione,  ossia  assicurare  all'individuo  -  legalmente
presente nel territorio italiano - una vita libera e degna». 
    Il giudice a quo aggiunge, al riguardo, che la mancata iscrizione
comporterebbe  anche  «un  immediato  [...]  nocumento  in  capo   al
ricorrente laddove esclude a priori il computo del periodo  trascorso
come richiedente asilo [...] ai fini  dell'esercizio  di  tutti  quei
diritti che sono collegati alla  durata  della  residenza»  (tra  cui
quelli all'acquisizione della cittadinanza, all'accesso  all'edilizia
popolare e al cosiddetto reddito di cittadinanza). 
    Il rimettente passa poi ad argomentare la presenza, nel  caso  di
specie,    dei    presupposti     per     l'esercizio     dell'azione
antidiscriminatoria, richiamando, al riguardo, l'art. 43, commi  1  e
2, lettera a), del d.lgs.  n.  286  del  1998.  Nell'odierna  vicenda
giudiziaria  il  diniego  dell'ufficiale  dello   stato   civile   di
iscrizione anagrafica sarebbe riconducibile a uno dei presupposti per
l'esercizio   dell'azione   antidiscriminatoria,   «sussistendo    un
trattamento ingiustificatamente differenziato in considerazione della
nazionalita'     del     richiedente     l'iscrizione».      L'azione
antidiscriminatoria sarebbe dunque  «il  corretto  contesto»  in  cui
sollevare la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del  2015,  introdotto  dall'art.  13,
comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018, convertito,
con modificazioni, nella legge n. 132 del 2018; infatti,  l'eventuale
accoglimento della  questione  «non  solo  priverebbe  di  fondamento
normativo   l'azione   dell'anagrafe   comunale,   ma   costituirebbe
dimostrazione inconfutabile del carattere discriminatorio dell'azione
amministrativa». 
    Il carattere discriminatorio della condotta dell'ufficiale  dello
stato civile non sarebbe escluso dal fatto che la mancata  iscrizione
anagrafica e' prevista solo per i richiedenti asilo e non  per  tutti
gli stranieri, poiche' «l'azione  amministrativa  [...]  colpi[rebbe]
sistematicamente solo ed esclusivamente degli stranieri, proprio  per
il loro essere stranieri». 
    Quanto alla legittimazione  passiva  del  Comune  di  Milano,  il
giudice a quo precisa che, a fronte  della  congiunta  evocazione  in
giudizio del Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore,  e
di questi, in qualita' di ufficiale del Governo per l'esercizio delle
funzioni  di  ufficiale  dell'anagrafe,   il   contraddittorio   deve
ritenersi correttamente  instaurato  con  quest'ultimo,  a  cui  sono
riferibili gli atti compiuti in tale veste e quindi anche il  diniego
all'iscrizione all'anagrafe dei residenti. 
    Quanto  alla  legittimazione  attiva   delle   associazioni,   il
rimettente distingue l'intervento spiegato  in  via  principale  come
azione  antidiscriminatoria  collettiva  ex  art.   5   del   decreto
legislativo  9  luglio  2003,  n.  215  (Attuazione  della  direttiva
2000/43/CE  per  la   parita'   di   trattamento   tra   le   persone
indipendentemente dalla razza e dall'origine  etnica)  -  qualificato
dalle parti alla stregua di un «intervento litisconsortile o  adesivo
autonomo», rispetto  al  quale  varrebbe  l'eccezione  del  Ministero
dell'interno di assenza della giurisdizione del giudice  ordinario  -
da quello svolto come «mero intervento adesivo dipendente a  sostegno
delle domande proposte dal  [ricorrente]»,  che  e'  reputato  invece
«pienamente ammissibile». 
    In merito al diritto vantato dal  ricorrente,  la  qualificazione
della  pretesa  all'iscrizione  anagrafica  come  diritto  soggettivo
deriverebbe dalla definizione dell'ordinamento delle  anagrafi  della
popolazione   residente    alla    stregua    di    uno    «strumento
giuridico-amministrativo di documentazione e conoscenza,  predisposto
tanto nell'interesse dell'amministrazione, quanto nell'interesse  dei
privati».  Infatti,  all'interesse  pubblico  alla  conoscenza  della
popolazione residente si affiancherebbe «l'interesse  individuale  ad
ottenere le certificazioni anagrafiche necessarie per l'esercizio dei
diritti civili e politici e, in generale, per provare la residenza  e
lo stato di famiglia» (in tal senso e' richiamata la  sentenza  della
Corte di cassazione, sezioni unite, 19 giugno 2000, n. 449). 
    Inoltre, l'iscrizione anagrafica non sarebbe solo un diritto  per
il soggetto  che  ha  dimora  abituale  in  un  Comune  italiano,  ma
costituirebbe un  obbligo  (ai  sensi  dell'art.  2  della  legge  24
dicembre 1954, n. 1228, recante  «Ordinamento  delle  anagrafi  della
popolazione residente»), la cui violazione e' punita con una sanzione
amministrativa (art. 11 della  legge  n.  1228  del  1954).  Siffatto
ragionamento sarebbe estensibile anche agli stranieri, in  virtu'  di
quanto previsto dall'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Il regolamento di attuazione del  testo  unico  sull'immigrazione
(d.P.R. n. 394 del 1999)  prevede,  all'art.  15,  comma  1,  che  le
iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello  straniero  regolarmente
soggiornante sono effettuate nei casi e secondo  i  criteri  previsti
dalla legge n. 1228 del  1954  e  dal  regolamento  anagrafico  della
popolazione residente. 
    A sua volta, dalla legge n. 1228 del 1954 si  trarrebbe  conferma
dell'esistenza di un obbligo di  iscrizione  anagrafica  in  capo  ai
migranti, poiche' l'art.  11,  comma  2,  della  stessa  dispone  una
specifica disciplina dell'ipotesi di violazione  di  questo  obbligo,
prevedendo una sanzione amministrativa piu' elevata rispetto a quella
prevista per i cittadini italiani. L'obbligo di iscrizione anagrafica
si dedurrebbe anche dal  regolamento  di  attuazione  della  suddetta
legge (d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, recante «Approvazione del nuovo
regolamento  anagrafico  della  popolazione  residente»),  il   quale
richiede allo straniero che trasferisce la sua residenza in Italia di
comprovare, oltre  che  l'abitualita'  della  dimora  nel  Comune  di
interesse, la propria identita' mediante l'esibizione del  passaporto
o di documento equipollente (art. 14, comma 1). 
    1.3.- Sulla rilevanza delle  odierne  questioni  di  legittimita'
costituzionale il rimettente sottolinea  come  sia  l'amministrazione
comunale sia il Ministero abbiano riconosciuto  che  la  disposizione
censurata (e le successive circolari del Ministero dell'interno) «non
lasci[a] alcun margine di discrezionalita' al Sindaco, in qualita' di
Ufficiale  dell'anagrafe».   Dunque,   il   diniego   dell'iscrizione
anagrafica discenderebbe  dall'applicazione  della  norma  censurata,
come, tra l'altro, risulta dalla motivazione del provvedimento. 
    Al contempo, non vi sarebbero dubbi  sulla  riconducibilita'  del
caso  di  specie  alla  fattispecie   prevista   dalla   disposizione
censurata. Inoltre, l'eventuale caducazione di quest'ultima, pur  non
comportando la reintroduzione della  disciplina  di  favore  prevista
dall'art.  5-bis  del  d.lgs.  n.  142  del  2015,  consentirebbe  ai
richiedenti asilo di procedere all'iscrizione anagrafica alle  stesse
condizioni degli altri stranieri regolari e dei cittadini italiani. 
    1.4.-  In  merito  alla  possibilita'  di   una   interpretazione
costituzionalmente  orientata  della   disposizione   censurata,   il
rimettente da' atto, in via preliminare, dell'orientamento assunto da
alcuni giudici di merito, secondo i quali  non  sarebbe  preclusa  la
possibilita' di iscrizione anagrafica da parte dei richiedenti asilo,
dovendosi  ritenere  che  la  regolarita'  del  soggiorno   al   fine
dell'iscrizione anagrafica  possa  essere  provata  attraverso  altri
documenti  che  attestino   l'avvio   del   procedimento   volto   al
riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione, quali il
cosiddetto Modello C/3 o il documento con cui la questura attesta  la
formalizzazione dell'istanza di protezione internazionale.  In  altre
parole,  secondo  questi  giudici  -  rispetto  ai  quali   l'odierno
rimettente dissente - dalla norma censurata non potrebbe desumersi un
divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, ma soltanto
l'abrogazione della modalita' semplificata di iscrizione all'anagrafe
prevista dall'art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015. 
    Secondo  il  giudice  a  quo,  siffatta  interpretazione  non  e'
condivisibile per varie ragioni. Innanzitutto, non vi e'  dubbio  che
il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisce documento
di riconoscimento e di attestazione della permanenza  sul  territorio
nazionale del migrante a qualsiasi fine. In secondo  luogo,  a  voler
ritenere  corretta  l'interpretazione  sopra  riferita,  la  modifica
operata dal d.l. n. 113 del 2018 risulterebbe priva di senso, poiche'
sarebbe stata sufficiente la mera  abrogazione  dell'art.  5-bis  del
d.lgs. n. 142 del 2015 per rendere applicabile la procedura ordinaria
prevista dal  combinato  disposto  del  d.P.R.  n.  223  del  1989  e
dall'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Piuttosto,  «la  contrarieta'   dell'ordinamento   all'iscrizione
anagrafica»  si   desumerebbe   da   «un'interpretazione   letterale,
sistematica e teleologica, che tenga in  considerazione  la  (chiara)
"intenzione del legislatore"», quale desumibile anche dall'esame  dei
lavori preparatori della legge di conversione del  d.l.  n.  113  del
2018. In questo senso si sarebbe  mosso  il  Tribunale  ordinario  di
Trento (ordinanze 11 e 15  giugno  2019),  che  pero'  (a  differenza
dell'odierno rimettente) ha rigettato la domanda  cautelare  proposta
da un richiedente asilo. Pur condividendo  l'interpretazione  operata
dal Tribunale di Trento, il giudice a quo esclude di poter  pervenire
allo stesso esito, dal momento che la norma in esame risulta, ai suoi
occhi, illegittimamente discriminatoria. 
    1.5.- In punto di non manifesta infondatezza, la norma  censurata
appare in contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 77, secondo  comma,  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  2,  paragrafo
1, Prot. n. 4 CEDU, nonche' in relazione agli artt. 14 CEDU e 26  del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. 
    1.5.1.-  Il  rimettente  illustra  preliminarmente   le   ragioni
dell'asserita  violazione  dell'art.  77,  secondo  comma,  Cost.  In
particolare, nel caso di specie mancherebbe «una motivazione circa la
necessita'  e  urgenza  di  introdurre  il  divieto   di   iscrizione
all'anagrafe» per i richiedenti asilo, ne' varrebbero in tal senso le
ragioni addotte dal Governo, consistenti nell'esigenza di assicurare:
l'effettivita' dei provvedimenti di rimpatrio di coloro che non hanno
titolo a soggiornare nel  territorio  nazionale;  un  accurato  esame
delle  (sempre  piu'  numerose)  istanze  di  riconoscimento   e   di
concessione    della    cittadinanza;    la    massima    accuratezza
dell'istruttoria avviata; adeguate  politiche  di  prevenzione  della
minaccia terroristica. Al riguardo, il  rimettente  precisa  che,  se
anche si ritenesse che queste esigenze siano tutelabili attraverso il
ricorso alla decretazione d'urgenza, esse non rileverebbero nel  caso
di specie, stante la mancata incidenza della  norma  censurata  sulla
sicurezza nazionale, sull'efficacia dei provvedimenti di rimpatrio  o
sulla  necessita'  di  svolgere  un'accurata  istruttoria.  Anzi,  la
corretta  registrazione  all'anagrafe   di   chi   effettivamente   e
abitualmente  dimora  in  un  determinato  Comune  finirebbe  con  il
facilitare  l'azione  dell'ente  territoriale  e  degli   organi   di
sicurezza. 
    Inoltre, la  delicatezza  delle  «scelte  di  natura  politica  e
giuridica», adottate con il d.l. n. 113 del 2018, «avrebbe  richiesto
un adeguato dibattito parlamentare», compresso sia  dall'adozione  di
un decreto-legge sia dall'apposizione della questione di fiducia,  in
entrambe le Camere, in occasione della sua conversione in  legge.  Il
decreto in esame difetterebbe, infine, del requisito dell'omogeneita'
del suo contenuto, risultando composto  da  disposizioni  concernenti
materie del tutto diverse tra loro. 
    1.5.2.- Quanto all'asserita  violazione  dell'art.  2  Cost.,  il
rimettente ricorda come questa Corte, nella sua giurisprudenza, abbia
«suggerito un carattere dinamico  dell'inviolabilita',  che  muta  al
mutare della societa', con un'apertura dei  diritti  inviolabili  che
non significa pero' una  loro  indeterminatezza,  dovendo  e  potendo
essere ricompresi nel loro novero solo quelli che siano riconducibili
al cuore del progetto costituente, ossia quello  di  predisporre  per
ciascun consociato le condizioni per il  conseguimento  di  una  vita
libera e degna». In questa prospettiva, «la  dignita'  umana  diventa
tratto  comune  o,  meglio,  punto  di  arrivo  di   questi   diritti
inviolabili». 
    Il giudice a  quo  sottolinea,  inoltre,  «la  centralita'  della
persona» come nota caratterizzante l'art. 2 Cost., il quale  «non  fa
riferimento all'individuo in  quanto  partecipe  di  una  determinata
comunita' politica, ma in quanto essere umano». A sua  volta,  «[c]he
la dignita' umana e, quindi, i diritti necessari  alla  sua  garanzia
non spettino solo  ai  cittadini  trova  inconfutabile  conferma  nei
principi di eguaglianza e di parita' sociale contenuti nel successivo
art. 3 Cost.» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 62  del
1994, n. 490 del 1988, n. 54 del 1979, n. 244 e n. 177 del  1974,  n.
144 del 1970, n. 104 del 1969, n. 11 del 1968 e  n.  120  del  1967).
Cio' nondimeno, e' lo stesso rimettente  a  ricordare  -  richiamando
un'altra decisione di questa Corte - come «tra cittadino e straniero,
benche' uguali  nella  titolarita'  di  certi  diritti  di  liberta',
esistano differenze di fatto che possano giustificare un loro diverso
trattamento nel godimento di quegli stessi diritti» (sentenza n.  104
del  1969).  Da  quanto  appena  detto  deriverebbe  «l'esigenza   di
distinguere tra  titolarita'  -  estesa  a  tutti  -  e  godimento  -
differentemente modulabile - di un diritto inviolabile». 
    Di conseguenza, vi sarebbe un «nucleo irriducibile»  dei  diritti
inviolabili,  che  deve   essere   riconosciuto   a   tutti,   mentre
«[l]'accesso e il godimento di quella porzione di diritto inviolabile
che  eccede  questo  "nucleo"   [...]   ricadono   nel   margine   di
discrezionalita'  spettante  al  legislatore».  In  questo  caso,  la
differenza  di  trattamento  tra  cittadino  e  straniero  non   deve
sconfinare nell'irragionevolezza. 
    Alla luce di questa ricostruzione, il rimettente sostiene che «il
diritto all'iscrizione anagrafica ricada tra i diritti che hanno come
punto di approdo  ultimo  quella  della  dignita'  umana,  nella  sua
dimensione   individuale   e   sociale»,   diventando    «presupposto
dell'identificazione di se stessi anche  e  soprattutto  mediante  lo
sviluppo di un senso di appartenenza con la comunita'  locale  presso
cui si decide di fissare la propria stabile dimora». A  questi  fini,
la maturazione del senso di appartenenza sarebbe prodromica  rispetto
all'inserimento dell'individuo nella societa', al cui interno  potra'
svolgersi la sua personalita' (come sancito dall'art. 2 Cost.). Nella
prospettiva da ultimo indicata l'iscrizione anagrafica  costituirebbe
«un passo essenziale di quel processo  di  integrazione  a  cui  sono
chiamati tanto lo straniero quanto la societa'  presso  cui  egli  si
stabilisce». 
    Infine, il Tribunale rimettente sottolinea  il  valore  simbolico
della norma censurata, poiche' il diniego dell'iscrizione  anagrafica
equivarrebbe a «lasciare l'individuo al margine  della  collettivita'
stessa, confinandolo in un "non  luogo"  giuridico  e  sociale»,  che
costituisce un limite alla libera  e  dignitosa  crescita  della  sua
personalita' e che appare incompatibile  con  la  sua  partecipazione
alla vita economica, sociale e culturale del Paese in  cui  vive.  Al
riguardo, il giudice a quo ricorda come l'iscrizione  anagrafica  sia
condizione per il rilascio della  carta  d'identita',  che  -  sempre
secondo il rimettente - e' «un  documento  che,  anche  su  un  piano
meramente evocativo, esprime  una  maggiore  identificazione  con  la
comunita' in cui  ci  si  inserisce  rispetto  al  solo  permesso  di
soggiorno che, invece, comunica sempre e comunque una  sensazione  di
estraneita'». 
    Muovendo da questa  prospettiva,  diventerebbe  «irrilevante»  il
fatto che l'accesso ai servizi sociali sia comunque garantito in base
al domicilio, poiche' il divieto di iscrizione  anagrafica  lederebbe
«un diritto  autonomo  e  presupposto  rispetto  a  questi  ulteriori
diritti sociali». 
    1.5.3.- Quanto alla lamentata violazione dell'art.  3  Cost.,  il
Tribunale di Milano muove dal dato testuale dell'art. 6, comma 7, del
d.lgs. n. 286 del 1998 che  prevede,  come  regola  generale,  quella
dell'iscrivibilita' degli stranieri legalmente soggiornanti in Italia
all'anagrafe  della  popolazione  residente.   La   norma   censurata
costituirebbe, pertanto, una deroga  a  questa  disciplina  generale,
priva pero' dei  «requisiti  di  razionalita'  e  ragionevolezza  che
costituiscono i parametri tradizionalmente adottati dalla  Corte  per
svolgere il giudizio costituzionale di eguaglianza». 
    La valutazione della  razionalita'  della  norma  censurata,  che
comporta una verifica  della  coerenza  tra  la  stessa  e  le  altre
disposizioni vigenti nella stessa materia,  produrrebbe,  secondo  il
rimettente,  esiti  negativi.  In  tal  senso  militerebbe   la   sua
incoerenza rispetto alle finalita' perseguite dal legislatore con  il
d.l. n. 113 del 2018; infatti, il diniego  di  iscrizione  anagrafica
dei  richiedenti  asilo  limiterebbe  le  capacita'  di  controllo  e
monitoraggio dell'autorita' pubblica su una categoria  di  stranieri.
Peraltro, la natura obbligatoria  dell'iscrizione  anagrafica,  sopra
argomentata,  sarebbe  finalizzata   ad   «assicurare   la   puntuale
conoscenza dei soggetti presenti sul territorio italiano  e,  dunque,
anche  la  sicurezza  pubblica»,  obiettivi,  questi,  che  sarebbero
vanificati   dalla   norma   in   esame.   Un    ulteriore    sintomo
dell'irrazionalita' della disposizione censurata  si  coglierebbe  in
relazione alle finalita' perseguite dal d.lgs. n. 142 del  2015,  che
ha attuato la direttiva (UE) 2013/33 del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 26 giugno 2013, recante norme relative  all'accoglienza
dei  richiedenti  protezione  internazionale.  Quest'ultima  avrebbe,
infatti, come obiettivo  quello  di  migliorare  l'accoglienza  e  di
garantire un livello di vita dignitoso, che non  sarebbe  compatibile
con la previsione di «un non necessario ostacolo  all'integrazione  e
al libero sviluppo individuale dello straniero qual e'  la  negazione
del diritto d'iscrizione anagrafica». 
    Anche il controllo sulla  ragionevolezza  della  norma  censurata
dimostrerebbe  l'assenza  di  una  giustificazione  del   trattamento
differenziato tra richiedenti asilo e cittadini italiani, nonche' tra
i primi e gli altri  stranieri  legalmente  presenti  sul  territorio
nazionale.  In   particolare,   sarebbe   di   «difficile   (se   non
impossibile)» comprensione l'interesse perseguito dal  legislatore  e
non  sarebbe  ragionevole  giustificare  il  diniego  di   iscrizione
anagrafica  facendo  leva  sulla  provvisorieta'  del   permesso   di
soggiorno, in quanto ad essere provvisorio sarebbe solo lo status  di
richiedente asilo, «destinato a tramutarsi - nell'ipotesi fisiologica
- in [quello] di titolare di protezione internazionale». Peraltro, il
permesso di soggiorno per richiedenti asilo ha  scadenza  semestrale,
rinnovabile fino alla decisione sulla domanda, e occorre tenere conto
non solo dei tempi  del  procedimento  amministrativo,  ma  anche  di
quelli dell'eventuale impugnazione del diniego. Di  conseguenza,  non
potrebbero escludersi periodi molto lunghi di soggiorno, «fino a  tre
o quattro anni». 
    L'irragionevolezza della previsione censurata sarebbe  confermata
anche dalla comparazione con quanto disposto dal decreto  legislativo
6  febbraio  2007,  n.  30  (Attuazione  della  direttiva  2004/38/CE
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri), il cui art. 9 prevede che un cittadino europeo, che  intenda
soggiornare per piu'  di  tre  mesi  sul  territorio  italiano,  deve
richiedere    l'iscrizione    anagrafica.    Risulterebbe,    dunque,
incomprensibile la ragione per la quale il «periodo superiore  a  tre
mesi» costituisca «una finestra temporale sufficiente  per  escludere
la  precarieta'  della  presenza  dello  straniero   sul   territorio
italiano, facendo sorgere il diritto/dovere di iscrizione anagrafica»
per il cittadino di  Stato  membro  dell'Unione  europea,  mentre  il
periodo di sei mesi, «de plano incrementabili fino oltre  due  anni»,
non lo sia. 
    Il divieto di iscrizione anagrafica mostrerebbe, poi,  «tutta  la
sua irragionevolezza» in quanto costituente un ostacolo  al  processo
di integrazione dei soli richiedenti asilo. A tal fine il  rimettente
richiama l'art. 4-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, rubricato  «Accordo
di integrazione», e il decreto del Ministero dell'interno  23  aprile
2007 (Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione). 
    Ed   ancora,   l'impossibilita'   di   procedere   all'iscrizione
anagrafica impedirebbe o renderebbe piu' difficoltoso l'esercizio  di
alcuni diritti sociali del  richiedente  asilo  (come  il  cosiddetto
reddito  di  cittadinanza,  l'accesso  all'edilizia  popolare  o   il
cosiddetto bonus bebe'), rispetto ai cittadini italiani  e  ad  altre
categorie di stranieri. Da questo  punto  di  vista,  l'assicurazione
dell'accesso ai servizi nel luogo di domicilio  non  escluderebbe  la
creazione di una situazione deteriore.  A  tal  fine,  il  rimettente
sottolinea come il domicilio dei richiedenti  asilo  costituisca  una
«situazione  oggettivamente  piu'  vaga  e  incerta»  rispetto   alla
residenza, ben potendosi configurare tre ipotesi di domicilio: quello
indicato nella domanda di protezione internazionale, quello  indicato
nella successiva comunicazione alla questura e quello indicato  nella
dichiarazione  del  centro  di  accoglienza.  Senza  considerare  che
l'accesso ai servizi pubblici  in  base  al  domicilio  non  potrebbe
«prevenire  tutti  gli  ostacoli  che  emergono   nell'ambito   delle
relazioni sociali», come,  ad  esempio,  nei  rapporti  tra  privati,
«refrattari a superare la  rilevanza,  ai  fini  dell'identificazione
delle parti, dell'iscrizione anagrafica». 
    Da ultimo, il  rimettente  -  riprendendo  un'argomentazione  del
ricorrente nel giudizio a quo - mette in evidenza come  lo  straniero
titolare di permesso di soggiorno per richiesta di asilo sia «esposto
all'onere di esibire copia della domanda di protezione internazionale
o copia della successiva dichiarazione fatta presso la Questura».  In
sostanza, per accedere ai servizi sociali  non  potrebbe  esibire  la
carta d'identita', essendone privo, ma  la  documentazione  suddetta,
con  conseguente  violazione  dell'«obbligo  di  riservatezza   delle
informazioni concernenti le domande  di  protezione  internazionale»,
previsto dall'art. 37 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n.  25
(Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme  minime  per  le
procedure applicate negli Stati membri ai fini del  riconoscimento  e
della revoca dello status di rifugiato). 
    1.5.4.- Il Tribunale di Milano  ritiene  che  la  violazione  del
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. sussista anche  nell'ipotesi
in  cui  si  ritenga  ammissibile  una  lettura  della   disposizione
censurata    che    consenta    l'iscrizione    anagrafica.    Questa
interpretazione,  infatti,  costringendo  il  richiedente   asilo   a
produrre una «documentazione differente dal permesso di soggiorno per
provare la propria identita' e il proprio soggiorno legale sul  suolo
italiano»,   «ingenererebbe   un   trattamento   irrazionalmente    e
irragionevolmente deteriore per una categoria di  stranieri  rispetto
alle altre, senza alcuna giustificazione». 
    In particolare, sarebbe evidente l'irrazionalita' legislativa  di
una norma, quale quella che introduce la norma censurata, che, da una
parte,  qualifica  espressamente  il  permesso  di   soggiorno   come
documento di riconoscimento (art. 13, comma 1, lettera a,  numero  1,
del d.l. n. 113 del  2018)  e,  dall'altra,  nega  che  questo  possa
servire per l'identificazione  dello  straniero  nella  procedura  di
iscrizione anagrafica (art. 13, comma 1, lettera  a,  numero  2,  del
d.l. n. 113 del 2018). A cio'  si  aggiunga  che,  in  tal  caso,  il
richiedente asilo dovrebbe  provare  la  propria  identita'  mediante
l'esibizione del passaporto o di  altro  documento  equipollente  (ai
sensi dell'art. 4 del d.P.R. n. 223  del  1989);  ma  «lo  status  di
richiedente protezione internazionale [...] presuppone una condizione
di persecuzione,  guerra  o,  generalmente,  pericolo  nel  paese  di
provenienza che ben potrebbe  precludere  i  contatti  del  cittadino
straniero con le autorita' pubbliche  e,  quindi,  l'ottenimento  del
passaporto e di  altra  documentazione  di  identita'».  Risiederebbe
proprio in questa considerazione  la  ragionevolezza  dell'originaria
previsione normativa che consentiva ai richiedenti asilo  di  provare
la propria identita' con la produzione  del  permesso  di  soggiorno,
rilasciato dopo essere stati identificati  dalle  autorita'  italiane
competenti. 
    La norma censurata, quindi, avrebbe  abrogato  una  normativa  di
favore (art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015) sostituendola con  una
previsione che crea incertezze, non  essendo  indicato  il  documento
oggi necessario per provate  la  propria  identita'  e  il  soggiorno
legale. Ne' sarebbe ragionevole ritenere  che  la  documentazione  da
produrre sia la copia  della  domanda  di  protezione  internazionale
presentata dallo straniero alla questura  o  del  cosiddetto  Modello
C/3,  essendo,  questi,  «atti  endoprocedimentali,   prodromici   al
rilascio del permesso di soggiorno per richiesta di asilo». 
    L'incertezza  lamentata   sarebbe   «ancor   piu'   difficilmente
giustificabile» nel caso  di  specie,  trattandosi  di  soggetti  «in
posizione di  particolare  fragilita'»,  nei  cui  confronti  sarebbe
auspicabile  «una  scelta  di   semplificazione   degli   adempimenti
burocratici  [...]  piuttosto  che  una  complicazione   della   loro
posizione». 
    1.5.5.- La norma censurata si porrebbe  in  contrasto  anche  con
l'art. 10 Cost., dando vita «a un trattamento diversificato  soltanto
nei  confronti   di   una   categoria   di   stranieri   regolarmente
soggiornanti, ossia proprio quelli che hanno esercitato il diritto di
asilo ex art. 10, comma 3, Cost.». Questi ultimi  sarebbero  titolari
di un diritto soggettivo perfetto al soggiorno,  essendo  legittimati
all'ingresso e alla permanenza nel territorio dello Stato  in  attesa
che venga definita la  loro  domanda  di  protezione  internazionale.
Peraltro - aggiunge il rimettente, richiamando  una  pronuncia  delle
sezioni unite civili della Corte di cassazione - il diritto di  asilo
sarebbe  immediatamente  azionabile  anche  in  mancanza   di   leggi
ordinarie che fissino le condizioni per il suo esercizio. 
    1.5.6.- Infine, la norma in esame e' censurata per contrasto  con
l'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art.  2  Prot.  n.  4
CEDU, all'art.  14  CEDU  e  all'art.  26  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici. 
    L'art. 2 Prot. n. 4 CEDU  sarebbe  violato  perche'  l'iscrizione
all'anagrafe costituirebbe «l'essenza stessa del fissare la residenza
in un comune dello  Stato»  e  pertanto  il  diniego  dell'iscrizione
implicherebbe una lesione del  diritto  a  scegliere  liberamente  la
propria residenza (sancito dal citato art. 2). Ne' potrebbe dubitarsi
che il termine «residenza» utilizzato nell'art. 2, paragrafo 1, Prot.
n. 4 CEDU  corrisponda  al  concetto  tecnico  di  residenza  di  cui
all'art. 43 del codice civile; militerebbero in tal senso  l'utilizzo
del diverso termine «domicilio» nell'art. 8 CEDU  e  la  versione  in
lingua  inglese  del  testo  della  CEDU,  che  utilizza  il  termine
«residence»,  differenziandolo  da  quello   di   «home»,   impiegato
nell'art. 8 CEDU. Inoltre, la norma censurata non sarebbe  rispettosa
della riserva di legge rinforzata prevista nell'art. 2, paragrafi 3 e
4, Prot. n. 4 CEDU. 
    E ancora, il diniego del  diritto  di  stabilire  liberamente  la
residenza sarebbe dettato  da  ragioni  discriminatorie,  da  cui  la
violazione dell'art. 14 CEDU e dell'art. 26 del Patto  internazionale
relativo ai  diritti  civili  e  politici,  rispetto  alla  quale  il
rimettente  rinvia  agli   argomenti   gia'   svolti   in   relazione
all'asserita violazione dell'art. 3 Cost. 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili o infondate. 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  eccepisce,  in  primo  luogo,
l'inammissibilita' della questione sollevata ai  sensi  dell'art.  77
Cost. in quanto «gia' decisa dalla Corte nel senso dell'infondatezza»
con la sentenza n. 194 del 2019. Nel  merito,  la  questione  sarebbe
infondata: da un lato, il d.l. n. 113 del 2018  si  fonderebbe  sulla
necessita' di un «intervento immediato» di modifica  della  normativa
vigente in tema di immigrazione, al fine  di  tutelare  la  sicurezza
nazionale, ragion per cui in relazione sia all'intero  Titolo  I  del
decreto sia al censurato art. 13 non sarebbe riscontrabile l'evidente
mancanza dei presupposti di necessita' ed urgenza;  dall'altro  lato,
le norme del decreto, pur riguardando materie diverse, avrebbero  una
complessiva uniformita'  teleologica,  presentando  «una  sostanziale
omogeneita'  di  scopo»,  che  sarebbe  quello  «di  affrontare  temi
delicatissimi per la sicurezza nazionale». 
    L'Avvocatura osserva poi che la norma sarebbe  stata  sollecitata
dai comuni, al fine di  «sterilizzare  alcuni  problemi  connessi  al
dilagare del fenomeno migratorio, come il sovraccarico di  iscrizioni
anagrafiche di richiedenti asilo presso Comuni di piccole dimensioni,
sul  cui  territorio  si  trovano  centri  di  accoglienza,   con   i
conseguenti onerosi adempimenti anche in termini di  cancellazioni  e
di ripetuti accertamenti in caso  di  irreperibilita'».  Inoltre,  si
sarebbe voluta eliminare la prassi del rilascio di carte  d'identita'
con validita' decennale a stranieri la cui posizione giuridica non e'
ancora definita. 
    Ancora, l'Avvocatura rileva che l'omogeneita'  dell'art.  13  del
d.l.  n.  113  del  2018,   rispetto   ai   temi   della   protezione
internazionale e dei flussi migratori, emergerebbe anche dalla citata
sentenza n. 194 del 2019, secondo la quale l'art. 13  regolerebbe  lo
status del richiedente  protezione  internazionale.  Questo  articolo
sarebbe, dunque, coerente con l'art. 15,  comma  3,  della  legge  23
agosto  1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di   Governo   e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). 
    In  relazione  all'art.  2  Cost.,   l'Avvocatura   osserva   che
l'integrazione sociale del richiedente asilo sarebbe legata all'esito
della domanda  di  protezione  piu'  che  alla  mera  iscrizione  nei
registri anagrafici, e che la norma censurata sarebbe in sintonia con
i  concetti  generali  di   domicilio   e   residenza.   L'esclusione
dell'iscrizione sarebbe dovuta  alla  precarieta'  del  permesso  per
richiesta asilo e alla necessita' di attendere la  definizione  della
posizione giuridica dei richiedenti. 
    Ancora, il giudice a quo avrebbe eccessivamente dilatato l'art. 2
Cost., che non potrebbe ricomprendere  quelle  prestazioni  (come  il
reddito di cittadinanza e la carta d'identita') che presuppongono  la
residenza anagrafica: invece, i diritti fondamentali di cui  all'art.
2 del d.lgs. n. 286 del 1998 (come il diritto alla  salute  e  quello
all'istruzione   dei   minori)   non   dipenderebbero    direttamente
dall'iscrizione anagrafica. 
    L'Avvocatura evidenzia poi che, sempre in base al censurato  art.
13, da  un  lato,  il  permesso  di  soggiorno  per  richiesta  asilo
costituisce documento di riconoscimento, con conseguente garanzia del
diritto all'identita' personale  dei  richiedenti  asilo;  dall'altro
lato, «[l]'accesso ai servizi  previsti  dal  presente  decreto  e  a
quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle  norme  vigenti
e' assicurato nel luogo  di  domicilio  [...]».  In  particolare,  il
richiedente asilo potrebbe accedere al servizio sanitario, al lavoro,
alla scuola per i figli, alle  misure  di  accoglienza,  godrebbe  di
autonomia contrattuale,  potrebbe  aprire  un  conto  corrente  e  si
vedrebbe attribuito il codice fiscale. 
    Secondo l'Avvocatura, la norma censurata non violerebbe l'art.  3
Cost.  in  quanto  si  fonderebbe  proprio  sul  diverso  status  dei
richiedenti asilo rispetto  agli  italiani  e  agli  altri  stranieri
regolarmente soggiornanti, poiche' le condizioni della residenza  non
potrebbero prescindere dal preventivo accertamento del  diritto  alla
protezione. 
    Infine, la norma de qua non violerebbe gli artt. 10 e 117,  primo
comma, Cost. in quanto,  da  un  lato,  l'iscrizione  anagrafica  non
apparterrebbe ai diritti fondamentali di cui alla  CEDU  e  al  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici,  dall'altro  la
direttiva 2013/33/UE e  la  Convenzione  relativa  allo  statuto  dei
rifugiati, firmata a Ginevra  il  28  luglio  1951  non  imporrebbero
modalita' di registrazione dei richiedenti asilo diverse dal rilascio
di un permesso di soggiorno. 
    3.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituito
il Comune di Milano, parte del  giudizio  a  quo,  chiedendo  che  le
questioni  sollevate  siano  ritenute  ammissibili  e  fondate,   per
violazione degli artt. 2, 3, 10, 114, 117 e 118  Cost.,  e  svolgendo
argomentazioni in gran parte coincidenti  con  quelle  del  Tribunale
rimettente. Fanno eccezione le  censure  prospettate  in  riferimento
agli artt. 114 e 118 Cost. -  parametri,  questi,  non  indicati  dal
giudice a quo -, rispetto ai quali il Comune ritiene che  la  mancata
registrazione   anagrafica   della   residenza   e   la   conseguente
«invisibilita'» dei richiedenti asilo impediscano  l'esercizio  delle
funzioni amministrative comunali relative ai servizi alla  persona  e
alla comunita', all'assetto e all'utilizzazione del territorio e allo
sviluppo economico. 
    4.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituito
A. H., cittadino siriano, titolare  del  permesso  di  soggiorno  per
richiesta  di  asilo,  ricorrente  nel  giudizio  principale  per  la
dichiarazione di invalidita' del  provvedimento  che  gli  ha  negato
l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente nel Comune  di
Milano. A. H. chiede che questa Corte accolga le questioni  sollevate
dal Tribunale di Milano. 
    La parte costituita premette di aderire pienamente  alle  censure
prospettate  dal  giudice  a  quo  e  si  limita  a  svolgere  alcune
riflessioni a sostegno delle  ragioni  addotte  dal  rimettente  e  a
proporre considerazioni piu' generali sul significato e sul  contesto
in cui si inscrive la disposizione denunciata. 
    Quanto alla censura formulata rispetto all'art. 77 Cost.,  rileva
l'estrema difficolta' di individuare «la situazione straordinaria  di
necessita' e urgenza» cui si e' inteso far fronte, sottolineando come
il d.l. n. 113 del 2018 intervenga «funditus su una serie numerosa di
rapporti e di questioni diverse». Peraltro, aggiunge,  «[g]ia'  nella
sua formulazione originaria il decreto aveva un contenuto  plurimo  e
non omogeneo»; situazione, questa, ulteriormente amplificata in  sede
di conversione in legge. In questo come  in  altri  casi,  la  scelta
dello strumento del decreto-legge sarebbe  stata  dettata  «non  gia'
dall'urgenza del provvedere, ma dalla evidente volonta'  di  impedire
che sul provvedimento si svolgessero un normale compiuto esame e  una
normale discussione parlamentare, attraverso la drastica  amputazione
del  dibattito  ottenuta  con  la   "tecnica"   del   maxiemendamento
governativo sul quale lo stesso Governo  ha  posto  la  questione  di
fiducia, sia al Senato (voto del 7 novembre 2018),  sia  alla  Camera
(voto del 28 novembre 2018)». 
    Sulla base delle anzidette  considerazioni  la  parte  costituita
ritiene che, nel caso di specie, sia innegabile l'«evidente mancanza»
dei «casi straordinari di necessita' e d'urgenza» del decreto-legge e
la  disomogeneita'  della  norma  censurata  rispetto  alla  restante
disciplina contenuta nel decreto. Sarebbe significativa, al riguardo,
l'assenza nelle premesse dell'atto censurato di  «qualsiasi  motivato
riferimento a situazioni di urgente necessita'». Inoltre, quand'anche
si volesse ricondurre la  norma  censurata  «al  comune  denominatore
della  "sicurezza"»,  la  previsione  del   diniego   di   iscrizione
anagrafica per i  richiedenti  asilo  non  sarebbe  «in  nessun  modo
giustificata ne' giustificabile in  nome  di  esigenze  di  sicurezza
pubblica».  Al  contrario,  i  richiedenti  asilo   senza   residenza
anagrafica e senza carta  d'identita'  sarebbero  «meno  conoscibili,
meno suscettibili di essere "seguiti",  identificati,  se  necessario
controllati». Ne' la mancata iscrizione potrebbe spiegarsi in ragione
del carattere temporaneo e precario  del  soggiorno  dei  richiedenti
asilo;  sarebbe,  infatti,  inspiegabile   la   previsione   di   una
discriminazione nei confronti di questi  soggetti  e  non  invece  di
altri, per i quali l'iscrizione anagrafica e' «un diritto elementare,
oltre che un obbligo, connesso alla dimora  abituale  sul  territorio
nazionale». 
    Piuttosto, la ratio di questa misura dovrebbe essere  individuata
«nel suo valore di "messaggio" implicito: lo Stato italiano dice  che
"non gradisce" i  richiedenti  asilo»;  considerazione,  questa,  che
induce   a   ravvisare   nella   norma   censurata   «un   grado   di
"irragionevolezza" che  non  solo  smentisce  la  sua  "necessita'  e
urgenza", ma ne vizia palesemente il contenuto, sotto il profilo  del
contrasto con i principi costituzionali». 
    La difesa della parte costituita richiama, altresi', le  sentenze
n. 194 e n. 195 del 2019, con le  quali  questa  Corte  ha  deciso  i
ricorsi promossi da alcune  Regioni  nei  confronti  di  varie  norme
contenute nel d.l. n. 113 del 2018, sottolineando  come  molte  delle
questioni promosse non siano state esaminate  nel  merito  in  quanto
dichiarate inammissibili per difetto di ridondanza  sulle  competenze
regionali. 
    Passando alle questioni sollevate  dal  Tribunale  di  Milano  in
riferimento all'art. 2 Cost., la difesa di A. H. ritiene che la norma
censurata  incida  «pesantemente»  su  un  diritto   della   persona,
garantito dall'art. 2 Cost., come  si  evince  dalla  sentenza  della
Corte di cassazione, sezioni unite, 19 giugno  2000,  n.  449,  nella
quale si afferma che «tutta l'attivita' dell'ufficiale d'anagrafe  e'
disciplinata dalle norme sopra richiamate in  modo  vincolato,  senza
che trovi spazio alcun momento di discrezionalita'» e che le norme in
materia di  anagrafe  «non  attribuiscono  all'amministrazione  alcun
potere idoneo a degradare i diritti soggettivi attribuiti ai  singoli
individui». 
    L'iscrizione  anagrafica  costituirebbe,  dunque,   «un   diritto
soggettivo strumentale a certificare  e  a  dimostrare  la  residenza
della persona, sancendone la presenza stabile in  un  Comune;  a  sua
volta l'iscrizione e' necessaria per l'esercizio dei  diritti  propri
dei  "residenti".  Essa  consegue  e  deve  conseguire  al   semplice
accertamento dei presupposti di fatto, cioe' della dimora  abituale».
Prim'ancora che un diritto, l'iscrizione  all'anagrafe  costituirebbe
altresi' un obbligo per tutte le persone, famiglie o  convivenze  che
abbiano  fissato  nel  territorio  del  Comune  la  propria   «dimora
abituale» (ai sensi dell'art. 43, secondo comma, del codice  civile),
oltre che essere un obbligo per gli uffici del relativo  Comune.  Una
speciale  esenzione  dall'obbligo   dell'iscrizione   anagrafica   e'
prevista solo per «il personale diplomatico e consolare straniero»  e
per «il personale straniero da esso dipendente» (art. 2, sesto comma,
della legge n. 1228 del 1954). 
    Da quanto detto  la  parte  costituita  deduce  che  l'iscrizione
all'anagrafe non e' una semplice facolta' attribuita dalla legge alle
persone, ma e' la conseguenza  obbligatoria  dell'aver  stabilito  la
propria  dimora  abituale  nel  territorio   del   Comune.   Siffatta
previsione  perseguirebbe,  tra  l'altro,  lo  scopo  di  rendere  le
persone, legalmente dimoranti nel territorio, note ai pubblici poteri
e reperibili nel luogo in cui hanno fissato la loro  dimora.  In  tal
senso sarebbe significativo che anche le persone senza  fissa  dimora
devono essere registrate nell'anagrafe della popolazione residente  e
hanno una residenza  nel  Comune  dove  hanno  stabilito  il  proprio
domicilio o in quello  di  nascita.  Sono  poi  richiamate  le  norme
sull'iscrizione anagrafica degli stranieri  (art.  6,  comma  7,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 e art. 15 del d.P.R. n. 394 del  1999),  dalle
quali  sarebbe  ulteriormente  desumibile  la   natura   di   diritto
fondamentale dell'iscrizione anagrafica. 
    La difesa della parte costituita dichiara,  poi,  di  condividere
l'assunto  del  Tribunale  rimettente   secondo   cui   non   sarebbe
praticabile l'interpretazione della disposizione  censurata  (operata
da  alcuni  giudici  di  merito)  che   non   precluda   l'iscrizione
anagrafica. A suo dire si tratterebbe di una «interpretatio abrogans»
che toglierebbe ogni effetto pratico alla disposizione in esame e che
contraddirebbe apertamente il contenuto della relazione  illustrativa
del disegno di legge di conversione del d.l. n. 113 del 2018. 
    In ogni caso - aggiunge la difesa di A.  H.  -  qualora  siffatta
interpretazione «correttiva» fosse accolta da questa  Corte  con  una
pronuncia di non fondatezza «nei sensi di cui in motivazione»,  «essa
acquisterebbe tutt'altra autorita'». 
    La parte costituita argomenta, poi, la fondatezza  delle  censure
formulate dal rimettente per contrasto con gli artt. 2 e  3  Cost.  e
con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 14 CEDU e all'art. 26 del Patto internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici, svolgendo  argomentazioni  in  gran  parte
coincidenti con quelle  del  Tribunale  di  Milano.  In  particolare,
sottolinea il  carattere  discriminatorio  del  trattamento  previsto
dalla norma censurata, anche rispetto agli stranieri in  possesso  di
altri tipi di permessi di soggiorno, tale da tradursi «in una pura  e
semplice "deminutio capitis" dello straniero richiedente asilo, priva
di alcuno scopo socialmente e giuridicamente apprezzabile». 
    La difesa di A. H. esclude, inoltre, che il diniego di iscrizione
anagrafica possa essere giustificato in ragione della  precarieta'  e
della temporaneita' del permesso di soggiorno per richiesta di asilo,
in  quanto  ne'  l'una  ne'  l'altra  di  queste  caratteristiche  e'
impeditiva della fissazione di una  dimora  abituale  nel  territorio
italiano. 
    Quanto, poi, al venir meno per i richiedenti asilo dei diritti  a
prestazioni legate alla residenza, la parte costituita precisa che il
diritto ad avere la residenza nel luogo di dimora abituale spetta  di
per se', indipendentemente dai servizi territoriali cui lo  straniero
puo' essere ammesso. 
    La difesa della parte argomenta anche sull'asserito contrasto con
l'art. 10 Cost., che discenderebbe dall'impossibilita' per  lo  Stato
di impedire  al  richiedente  asilo  di  soggiornare  legalmente  nel
territorio dello Stato e  di  essere  titolare  di  tutti  i  diritti
fondamentali che discendono dal soggiorno regolare. 
    Infine, la parte costituita ritiene che la norma censurata sia in
contrasto con l'art. 16 Cost., con l'art. 2 Prot. n.  4  CEDU  e  con
l'art. 12, paragrafo 1, del Patto internazionale relativo ai  diritti
civili e politici, nella parte in cui queste disposizioni riconoscono
il diritto di chi si trovi regolarmente nel territorio di  uno  Stato
di  fissarvi  la  residenza,  attestata  dall'iscrizione  anagrafica.
Quella censurata sarebbe, in definitiva, «una limitazione "per motivi
politici"» (intesi come «"non gradimento"  politico  dei  richiedenti
asilo») espressamente vietata dall'art. 16 Cost. 
    Peraltro,  eventuali  limitazioni  del  diritto  alla   residenza
dovrebbero essere stabilite nel rispetto del principio di eguaglianza
di cui all'art. 3 Cost. e di quello di  non  discriminazione  di  cui
agli artt. 14 CEDU e 26 del Patto internazionale relativo ai  diritti
civili e politici. A tal fine, la  difesa  della  parte  richiama  il
contenuto della direttiva 2013/33/UE, sottolineando  come  da  questa
normativa si  deduca  che  le  uniche  limitazioni  possibili  devono
concernere singole persone, per ragioni individualmente  indicate,  e
riguardano l'ambito territoriale in cui lo straniero puo' liberamente
circolare, senza quindi che sia  negato  il  diritto  di  fissare  la
dimora abituale. 
    5.-  Nel  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   si   sono
costituite, con un unico atto, l'ASGI e l'Associazione  Avvocati  per
Niente Onlus, intervenute gia' nel procedimento principale  in  senso
adesivo rispetto alle  domande  proposte  dal  ricorrente,  chiedendo
l'accoglimento delle questioni sollevate dal Tribunale  di  Milano  e
svolgendo argomentazioni sostanzialmente coincidenti con  quelle  del
rimettente e di A. H., con l'unica eccezione dell'asserita violazione
(da parte della norma censurata) dell'art. 8 CEDU e degli artt. 1, 7,
18, 20 e 29 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    5.1.- A. H., l'ASGI e l'Associazione Avvocati  per  Niente  Onlus
hanno depositato memorie  integrative,  contestando  le  affermazioni
contenute nell'atto di intervento e nella memoria del Presidente  del
Consiglio dei ministri e insistendo nelle conclusioni gia' rassegnate
nei rispettivi atti di intervento. 
    6.- Con ordinanza del 29 luglio 2019,  iscritta  al  n.  153  del
registro ordinanze 2019, il  Tribunale  ordinario  di  Ancona,  prima
sezione civile, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale
del citato art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l.  n.  113
del 2018, che inserisce il comma 1-bis all'art. 4 del d.lgs.  n.  142
del 2015, per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 2 Prot. n. 4 CEDU  e  all'art.  12
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. 
    Il Tribunale e' stato adito da un cittadino straniero, A. S., che
ha convenuto il Comune di Ancona con  un'azione  cautelare  ai  sensi
dell'art. 700 cod. proc. civ., chiedendo al giudice  di  ordinare  al
Sindaco l'immediata iscrizione del ricorrente nel registro anagrafico
della popolazione residente. 
    Il  rimettente  riferisce  che  lo  straniero   e'   regolarmente
soggiornante in Italia dal 20 giugno 2017, in virtu' di  un  permesso
di soggiorno per richiesta di asilo, e vive stabilmente nel Comune di
Ancona  dal  17  novembre  2018,  nel  centro  di   accoglienza   per
richiedenti asilo. Nel marzo 2019 ha chiesto l'iscrizione  anagrafica
al Comune di Ancona, ma l'ufficiale di stato civile  l'ha  negata  in
applicazione della norma censurata. Il ricorrente ritiene il  rifiuto
illegittimo e comunque il divieto di iscrizione incostituzionale. 
    Nel giudizio a quo anche il Comune di  Ancona  ha  eccepito,  fra
l'altro, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 13, comma 1,
lettera a), numero 2). 
    Il Tribunale ha, in primo luogo, argomentato sulla legittimazione
passiva del Comune di Ancona, contestata dal Comune stesso in  quanto
l'anagrafe sarebbe un servizio  di  competenza  statale.  Secondo  il
rimettente, il sindaco risponderebbe «in proprio  degli  atti  emessi
anche nell'esercizio di poteri statali». 
    Il  giudice  a  quo  si  sofferma  poi  sul   significato   della
disposizione censurata, osservando che, in base ad essa, «il permesso
di soggiorno per richiedenti asilo non  attesta  la  regolarita'  del
soggiorno ai  fini  dell'iscrizione  all'anagrafe  della  popolazione
residente». Il rimettente richiama la relazione illustrativa del d.l.
n.  113  del  2018,  che  giustifica   l'esclusione   dall'iscrizione
anagrafica «per la precarieta' del permesso per  richiesta  asilo»  e
per la «necessita'  di  definire  in  via  preventiva  la  condizione
giuridica del richiedente». 
    Il Tribunale esamina  l'interpretazione  adeguatrice  operata  da
altri tribunali, ma ritiene che non possa essere  condivisa,  perche'
si tradurrebbe in una «interpretazione abrogante». 
    Il rimettente accerta poi l'esistenza di un periculum in mora, in
quanto il divieto di iscrizione anagrafica impedirebbe medio  tempore
l'esercizio di diritti non ristorabili per equivalente  all'esito  di
un eventuale giudizio di merito che stabilisse  l'illegittimita'  del
diniego.  In  particolare,  il   giudice   a   quo   fa   riferimento
all'impossibilita'  per  il  ricorrente   di   accettare   un'offerta
lavorativa (che  presuppone  l'apertura  di  una  partita  Iva  e  il
conseguimento della patente di guida, che  a  loro  volta  richiedono
l'iscrizione anagrafica), all'impossibilita' di  stipulare  contratti
di lavoro occasionale e alla mancata decorrenza del termine di  dieci
anni per l'ottenimento della cittadinanza italiana. 
    Quanto alla rilevanza della questione  di  costituzionalita',  il
giudice a  quo  mette  in  evidenza  che  il  rifiuto  di  iscrizione
anagrafica  si  fonda   sulla   norma   censurata   e   richiama   la
giurisprudenza amministrativa e costituzionale secondo  la  quale  la
questione di costituzionalita'  sollevata  nella  fase  cautelare  e'
ammissibile quando la misura  cautelare  e'  stata  concessa  in  via
provvisoria, prevedendosi la ripresa del giudizio cautelare  dopo  la
decisione della Corte costituzionale: cio' varrebbe sia per la tutela
cautelare sospensiva sia per quella anticipatoria richiesta nel  caso
di specie. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente lamenta  la
violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost. 
    Secondo il giudice a quo, la residenza sarebbe «una situazione di
fatto» che esiste a prescindere  dall'iscrizione  anagrafica.  Questa
avrebbe valore di pubblicita' e permetterebbe  di  fornire  la  prova
della residenza ai fini dell'esercizio di diversi diritti. 
    La precarieta' del soggiorno del richiedente  asilo  non  sarebbe
una giustificazione sufficiente della norma in questione, perche'  il
soggiorno  del  richiedente   asilo   non   e'   di   breve   durata.
L'accertamento  dei  presupposti  della   protezione   internazionale
richiederebbe un tempo  (sempre  piu'  di  un  anno)  di  gran  lunga
superiore a quello necessario per definire la dimora come abituale. 
    Quanto all'art. 2 Cost., secondo il  rimettente  l'impossibilita'
per lo straniero richiedente  asilo  di  ottenere  la  certificazione
anagrafica in ordine alla  sua  dimora  abituale  comporterebbe  «una
condizione di minorazione generale della sua persona la quale si vede
impossibilitata a dare prova di una condizione di fatto esistente (la
dimora abituale)». Tale limite si  tradurrebbe  «in  una  preclusione
all'accesso a tutti quei diritti, facolta' e servizi che elevano tale
prova a requisito costitutivo, interponendo quindi seri ostacoli allo
sviluppo della persona come singolo e nelle formazioni sociali». 
    L'art. 3  Cost.  sarebbe  violato  sia  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza sia sotto quello dell'uguaglianza. 
    Quanto al primo aspetto, la norma  censurata,  al  solo  fine  di
impedire l'iscrizione anagrafica,  avrebbe  privato  il  permesso  di
soggiorno «della sua ontologica natura ovvero della sua capacita'  di
provare la  legittima  permanenza  sul  territorio  nazionale».  Tale
differenziazione non potrebbe giustificarsi con la «precarieta' della
condizione giuridica dello straniero», in quanto tale precarieta' non
corrisponderebbe ad un soggiorno di breve durata. 
    Inoltre,  la   soluzione   adottata   dal   legislatore   sarebbe
«sproporzionata rispetto  al  fine:  il  legislatore  avrebbe  dovuto
selezionare i diritti ed i servizi rispetto ai quali si legittima una
preclusione all'accesso da parte del richiedente asilo  e  non  anche
precludere indiscriminatamente ogni facolta' - in ambito  pubblico  e
privato - che si riconnette al possesso della  residenza  anagrafica,
etichettando il  soggiorno  del  richiedente  asilo  come  "soggiorno
irregolare" solo a taluni fini». Il  carattere  sproporzionato  della
norma sarebbe confermato da una contraddizione in cui sarebbe  caduto
lo stesso legislatore: da un lato, infatti,  il  legislatore  avrebbe
previsto che il permesso di soggiorno per richiesta asilo consente di
svolgere un'attivita' lavorativa (art.  22  del  d.lgs.  n.  142  del
2015),  dall'altro,  precludendo  l'iscrizione   all'anagrafe   della
popolazione residente, avrebbe impedito al titolare di tale  permesso
di soggiorno «di interloquire con l'ente deputato  alla  gestione  ed
alla ricerca di occasioni lavorative». 
    Quanto al secondo aspetto, la norma censurata discriminerebbe  in
modo  non  giustificato  il  richiedente  asilo,   pur   abitualmente
dimorante, rispetto al cittadino italiano e soprattutto rispetto allo
straniero regolarmente soggiornante con altro titolo. 
    Infine, la norma in questione violerebbe l'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art. 2 Prot. n. 4 CEDU, nonche'  all'art.  12
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. 
    7.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni  sollevate   siano   dichiarate
inammissibili o infondate e riprendendo le considerazioni gia' svolte
nel giudizio promosso dal Tribunale di Milano. 
    8.- Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e'  costituito
A. S., ricorrente nel giudizio a quo. 
    La parte argomenta, in primo luogo,  la  violazione  dell'art.  2
Cost., rilevando che, in presenza di certe condizioni, la persona  ha
un diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica e che la  preclusione
di  tale  iscrizione  produce  diverse  conseguenze  sulla  vita  del
singolo,  ponendolo  in  una  «condizione  di  marginalizzazione»   e
ostacolando il suo processo di integrazione. La transitorieta'  della
condizione  giuridica  del  richiedente  asilo  non  dovrebbe  essere
confusa con una condizione di «instabilita' residenziale». Il divieto
generalizzato di iscrizione anagrafica  violerebbe  dunque  l'art.  2
Cost. 
    Inoltre, la norma censurata violerebbe l'art. 117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 8 CEDU, all'art. 2 Prot.  n.  4  CEDU  e
all'art. 12 del Patto internazionale relativo  ai  diritti  civili  e
politici. 
    Ancora, la norma censurata violerebbe i principi di uguaglianza e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. La situazione del  richiedente
asilo sarebbe assimilabile a quella degli altri stranieri titolari di
un diverso permesso di soggiorno.  La  norma  censurata  porrebbe  un
divieto  generalizzato  di  iscrizione  anagrafica   che   «prescinde
totalmente dall'effettiva  durata  della  permanenza  in  Italia  del
richiedente», mentre altri permessi  di  soggiorno,  pur  avendo  una
durata limitata,  consentono  l'iscrizione  anagrafica.  Inoltre,  la
norma de qua  sarebbe  incongrua  e  contraddittoria  rispetto  «alla
complessiva disciplina della residenza anagrafica e della  protezione
internazionale»: il divieto  di  iscrizione  anagrafica  avrebbe  una
finalita' dissuasiva dell'accesso  alla  procedura  di  protezione  e
verrebbe posto inoltre con una norma giuridicamente  incomprensibile,
perche' l'iscrizione anagrafica non  consegue  all'esibizione  di  un
"titolo" ma alla sussistenza di determinate condizioni. 
    9.- Con due ordinanze del 9 agosto 2019, iscritte ai numeri 158 e
159 del registro  ordinanze  del  2019,  il  Tribunale  ordinario  di
Salerno,  sezione  civile  feriale,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del  d.lgs.  n.
142 del 2015, introdotto dall'art. 13, comma 1,  lettera  a),  numero
2), del d.l. n. 113 del 2018, per violazione degli artt. 2,  3  e  16
Cost. 
    Il Tribunale e' stato adito da due cittadini stranieri che  hanno
convenuto il Comune di Capaccio Paestum con azioni cautelari ai sensi
dell'art. 700 cod. proc. civ., chiedendo al giudice  di  ordinare  al
Sindaco l'immediata iscrizione dei ricorrenti nel registro anagrafico
della popolazione residente. 
    Il rimettente  riferisce  che  gli  stranieri  sono  regolarmente
soggiornanti in Italia, rispettivamente,  dal  14  agosto  e  dal  19
novembre 2018, in virtu' di permessi di soggiorno  per  richiesta  di
asilo, e che il 15 aprile 2019 hanno chiesto l'iscrizione  anagrafica
al Comune di Capaccio Paestum, ma l'ufficiale di  stato  civile  l'ha
negata in virtu' della norma censurata.  I  ricorrenti  ritengono  il
rifiuto illegittimo in quanto la norma censurata avrebbe solo abolito
la  procedura  semplificata   di   iscrizione   anagrafica   prevista
dall'abrogato art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015. 
    Argomentando sul fumus boni juris, il giudice a quo  rileva  che,
secondo la  Corte  di  cassazione,  le  controversie  in  materia  di
iscrizione anagrafica attengono  a  diritti  soggettivi  e  rientrano
nella giurisdizione del giudice ordinario. Il  potere  dell'ufficiale
d'anagrafe  sarebbe   limitato   all'accertamento   dei   presupposti
dell'iscrizione, con  un'attivita'  di  tipo  vincolato,  inidonea  a
degradare i diritti soggettivi. 
    Secondo il rimettente, il diritto dello straniero  all'iscrizione
anagrafica risulterebbe dall'art. 6, comma 7, del d.lgs. n.  286  del
1998, in base al quale  «[l]e  iscrizioni  e  variazioni  anagrafiche
dello  straniero  regolarmente  soggiornante  sono  effettuate   alle
medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalita'  previste
dal regolamento di attuazione». Dunque,  i  presupposti  del  diritto
dello  straniero  all'iscrizione   anagrafica   sarebbero   due:   la
regolarita' del soggiorno in Italia e la dimora abituale nel  comune,
e nel caso di specie il ricorrente sarebbe ospite da piu' di tre mesi
di un  centro  di  accoglienza.  Pero',  secondo  il  Comune  a  tale
disciplina avrebbe derogato l'art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n.  142
del 2015, come introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera  a),  numero
2), del d.l. n. 113 del 2018. 
    Il giudice a quo non condivide l'interpretazione  adeguatrice  di
tale disposizione (secondo la quale  essa  avrebbe  solo  abolito  la
procedura  semplificata  di  iscrizione  anagrafica  del  richiedente
asilo), seguita da alcuni giudici di merito e posta alla  base  delle
domande cautelari, in quanto essa renderebbe la  disposizione  stessa
inutile, assegnando a una norma  derogatoria  lo  stesso  significato
della regola generale (secondo la quale il permesso di soggiorno  non
e' sufficiente  per  l'iscrizione  anagrafica,  occorrendo  anche  la
residenza).  Inoltre,  la  procedura   semplificata   di   iscrizione
anagrafica sarebbe stata abrogata dall'art. 13, comma 1, lettera  c),
del d.l. n.  113  del  2018.  Ancora,  l'interpretazione  adeguatrice
sarebbe smentita dai lavori preparatori, che parlano  di  «esclusione
dall'iscrizione anagrafica». 
    La disposizione censurata dovrebbe invece essere intesa nel senso
che, poiche' il permesso di soggiorno  «non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica», viene a mancare  il  primo  presupposto  di
essa, cioe' la regolarita' del soggiorno: il  permesso  di  soggiorno
per  richiedenti  asilo,  a  differenza  degli  altri  permessi,  non
integrerebbe  la  condizione   del   soggiorno   regolare   ai   fini
dell'iscrizione anagrafica. Il richiedente asilo sarebbe  autorizzato
a rimanere in Italia, ma non avrebbe diritto all'iscrizione. 
    Cosi' intesa, la disposizione  censurata  violerebbe  i  «diritti
umani   fondamentali   tutelati   dall'art.   2   Cost.    (l'accesso
all'assistenza sociale  e  la  concessione  di  eventuali  sussidi  o
agevolazioni previste dal Comune, come quelle basate sulle condizioni
di reddito; il conseguimento della patente di guida italiana [...])»,
il  «principio  di  uguaglianza   (art.   3),   per   l'irragionevole
trattamento rispetto  allo  straniero  regolarmente  soggiornante  ad
altro  titolo»,  e  la  «liberta'  di  soggiorno   (art.   16),   per
l'esclusione dello straniero avente diritto ad una definizione  della
sua domanda di protezione internazionale da una  regolare  condizione
anagrafica». 
    Il giudice a quo argomenta poi sulla rilevanza delle questioni di
legittimita' costituzionale ai fini  della  definizione  dei  giudizi
cautelari. 
    Infine, il rimettente, ritenuto di non poter ordinare  al  Comune
l'iscrizione anagrafica, in ragione del divieto  di  cui  all'art.  4
della  legge  20  marzo  1865,  n.  2248   (Legge   sul   contenzioso
amministrativo. All. E), «dichiara, in via provvisoria  e  fino  alla
ripresa del  giudizio  cautelare  dopo  l'incidente  di  legittimita'
costituzionale,  la  sussistenza  del  diritto»  dei  due  ricorrenti
all'iscrizione anagrafica presso il Comune di Capaccio Paestum. 
    10.- Anche in questi due giudizi e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate inammissibili o infondate e riprendendo -  in  riferimento
alla lamentata violazione degli artt. 2 e 3 Cost. - le considerazioni
gia' svolte nel giudizio promosso dal Tribunale di Milano. 
    Sulla violazione dell'art.  16  Cost.,  l'Avvocatura  ritiene  la
questione  inammissibile,  «non   ravvisandosi,   nell'ordinanza   di
rimessione,  argomentazioni  in  base  alle   quali   sia   possibile
comprendere per quali ragioni il Tribunale di Salerno ritenga che  la
mancata iscrizione nei registri  anagrafici  limiti  la  liberta'  di
soggiorno del richiedente asilo». 
    La  questione  sarebbe  comunque  infondata,   sia   perche'   la
situazione del richiedente asilo non sarebbe  assimilabile  a  quella
del cittadino, al quale fa riferimento l'art. 16 Cost.,  sia  perche'
la limitazione della liberta' di circolazione del richiedente  asilo,
possibile solo nelle ipotesi particolari previste dalla legge (d.lgs.
n. 142 del 2015), prescinderebbe dalla iscrizione o meno nei registri
anagrafici. 
    11.- L'Avvocatura generale dello Stato ha depositato due  memorie
integrative nei giudizi reg. ord. n. 145 e n. 153 del 2019.  In  esse
ha ribadito  l'infondatezza  della  questione  riferita  all'art.  77
Cost., osservando che gia' la sentenza di questa  Corte  n.  194  del
2019 avrebbe riconosciuto  la  legittimita',  sotto  questo  profilo,
dell'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018. Inoltre,  l'Avvocatura  rileva
che, essendo lo status del richiedente  asilo  precario,  mancherebbe
l'abitualita' della sua dimora, «una volta eliminata la fictio  juris
[...] della dimora abituale connessa alla ospitalita' da piu' di  tre
mesi presso un centro di accoglienza (art. 5, co. 3, d.lgs. 142/15)». 
    Dopo aver svolto alcune considerazioni sul permesso di  soggiorno
per ragioni umanitarie, la difesa erariale si sofferma sulla asserita
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., osservando che l'art. 2
del Prot. n. 4 CEDU e l'art. 12 del Patto internazionale relativo  ai
diritti civili e  politici  riconoscono  il  diritto  di  fissare  la
residenza in uno Stato solo a chi vi si trovi  legalmente,  cosicche'
tali norme non potrebbero essere richiamate in relazione all'art. 13,
che regola «la condizione dello straniero nel  tempo  necessario  per
l'accertamento di quella legalita'». 
    Ancora,  l'Avvocatura  ricorda  che  l'accesso  ai   servizi   e'
garantito ai richiedenti asilo nel luogo del domicilio,  per  cui  le
regioni dovranno semplicemente adattare le  proprie  norme  al  nuovo
sistema, con la conseguenza che  «quello  della  residenza/domicilio»
sarebbe «un falso problema». 
    In conclusione, la residenza anagrafica non  sarebbe  un  diritto
fondamentale  e  l'iscrizione  anagrafica  sarebbe  «un   adempimento
amministrativo  di  per   se'   non   condizionante   alcun   diritto
fondamentale del richiedente asilo». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- I Tribunali ordinari di Milano, sezione prima (reg. ord.  145
del 2019), Ancona, sezione prima  (reg.  ord.  n.  153  del  2019)  e
Salerno, sezione civile feriale (reg. ord. n. 158 e n. 159 del 2019),
hanno sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4,
comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  18  agosto  2015,  n.   142
(Attuazione  della  direttiva  2013/33/UE  recante   norme   relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale), introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera a), numero
2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in
materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,   sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con  modificazioni,  nella  legge  1°  dicembre  2018,  n.  132,  per
violazione complessivamente degli artt. 2, 3,  10,  16,  77,  secondo
comma,  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   quest'ultimo   in
relazione all'art. 14  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, all'art. 2, paragrafo 1,  del  Protocollo  n.  4
della CEDU, adottato  a  Strasburgo  il  16  settembre  1963  e  reso
esecutivo con il d.P.R. 14 aprile 1982, n. 217, che riconosce  taluni
diritti  e  liberta'  diversi  da  quelli  che  figurano  gia'  nella
convenzione e  nel  suo  primo  protocollo  addizionale,  nonche'  in
riferimento agli artt. 12 e 26 del Patto internazionale  relativo  ai
diritti civili e politici, adottato a New York il 16  dicembre  1966,
entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso  esecutivo  con
legge 25 ottobre 1977, n. 881. 
    I Tribunali rimettenti sono stati aditi da stranieri  richiedenti
asilo  cui  e'  stata  negata  l'iscrizione  anagrafica.  I   ricorsi
introduttivi dei giudizi davanti ai Tribunali di Ancona e di  Salerno
sono stati proposti ex art.  700  del  codice  di  procedura  civile.
Quello dinanzi al Tribunale di Milano e' stato promosso  con  ricorso
ex art.  28  del  decreto  legislativo  1°  settembre  2011,  n.  150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69),  ed  ex
art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286  (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), nonche' ex art. 702-bis cod.
proc. civ. 
    I giudizi davanti ai Tribunali di Ancona e di Salerno sono dunque
procedimenti cautelari promossi sul presupposto del pregiudizio grave
e irreparabile che potrebbe derivare al  ricorrente  dal  diniego  di
iscrizione  anagrafica  (conseguente  all'applicazione  della   norma
censurata), in attesa della decisione di merito. In questi giudizi  i
rimettenti  hanno  concesso  la  misura  cautelare  «con  riserva  di
confermare  il  provvedimento  o  caducarlo,  ordinando   quindi   la
cancellazione   dell'iscrizione,   all'esito    del    giudizio    di
costituzionalita'» (in questi termini, il Tribunale di Ancona). 
    Il giudizio davanti al Tribunale di  Milano  e'  un  procedimento
sommario di cognizione  promosso  per  chiedere,  «previo  occorrendo
rinvio alla Corte Costituzionale, la dichiarazione di  invalidita'  e
l'accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto  dal
Comune di Milano alla iscrizione del ricorrente  nell'anagrafe  della
popolazione residente». 
    1.1.-  Le  quattro  ordinanze  di  rimessione  solo   formalmente
censurano disposizioni diverse (art. 4, comma 1-bis,  del  d.lgs.  n.
142 del 2015 e art. 13, comma 1, lettera a, numero 2, del d.l. n. 113
del 2018). Pertanto, in ragione della identita' del petitum, si rende
opportuna la loro trattazione congiunta (ex plurimis, sentenze n.  99
e n. 79 del 2020). I relativi  giudizi  vanno  percio'  riuniti,  per
essere decisi con un'unica sentenza. 
    1.2.- In via ulteriormente preliminare,  deve  essere  dichiarata
l'inammissibilita'  delle  deduzioni  svolte   dalla   difesa   delle
associazioni    ASGI-Associazione    per    gli    studi    giuridici
sull'immigrazione  e  Avvocati  per  Niente  Onlus,  costituite   nel
giudizio iscritto al reg. ord. n. 145 del 2019, dirette ad  estendere
il thema decidendum - come fissato nella ordinanza  di  rimessione  -
alla violazione dell'art. 8 CEDU e degli artt. 1, 7, 18, 20, 29 della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. Per costante giurisprudenza di questa Corte, l'oggetto
del giudizio di legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'
limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di
rimessione. Pertanto, non  possono  essere  presi  in  considerazione
«ulteriori questioni o profili  di  costituzionalita'  dedotti  dalle
parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a
quo, sia che siano diretti ad ampliare o  modificare  successivamente
il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del
2011, n. 236 del 2009, n. 56 del 2009, n. 86 del 2008)» (sentenza  n.
203 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 165, n. 150 e n. 85 del
2020). 
    2.- Prima di esaminare le  censure  prospettate,  si  impone  una
ricostruzione del quadro normativo, anche  al  fine  di  chiarire  il
significato della disposizione censurata. 
    2.1.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018 ha apportato  una  serie
di modifiche agli artt. 4 e 5  del  d.lgs.  n.  142  del  2015  e  ha
disposto l'abrogazione del successivo  art.  5-bis.  In  particolare,
l'art. 13 si compone di un solo comma, articolato, al suo interno, in
tre lettere (a, b e c). 
    La lettera a) modifica l'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1 e 2): con la prima  al
comma 1 del citato art.  4  e'  aggiunto  il  seguente  periodo  (non
censurato  dagli  odierni  rimettenti):  «Il  permesso  di  soggiorno
costituisce documento di riconoscimento  ai  sensi  dell'articolo  1,
comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della  Repubblica  28
dicembre 2000, n. 445»; con la seconda e' inserito, dopo il  comma  1
del citato art. 4, il comma 1-bis (censurato da tutti  i  rimettenti)
del seguente tenore: «1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma
1 non costituisce titolo per l'iscrizione  anagrafica  ai  sensi  del
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  1989,  n.  223,  e
dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.
286». 
    La lettera b) modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1  e  2),  entrambe  non
censurate dagli odierni rimettenti: con la prima e' cosi'  sostituito
il comma 3 del citato art. 5: «3. L'accesso ai servizi  previsti  dal
presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai  sensi
delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio  individuato
ai sensi dei commi 1 e 2»; con la  seconda  e'  cosi'  modificato  il
comma 4 del citato art. 5: «le parole "un luogo  di  residenza"  sono
sostituite dalle seguenti: "un luogo di domicilio"». 
    Infine,  la  lettera  c)  (anch'essa   non   censurata)   dispone
l'abrogazione dell'art.  5-bis  del  d.lgs.  n.  142  del  2015,  che
disciplinava le modalita' di iscrizione  anagrafica  del  richiedente
protezione internazionale. 
    2.2.-  La  disposizione  censurata,  in  base  alla  quale  «[i]l
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica [...]»,  e'  stata  oggetto  di  due  opposte
interpretazioni. 
    2.2.1.- A fronte dell'interpretazione fatta propria dagli odierni
rimettenti che sostengono  -  almeno  in  via  principale  (cosi'  il
Tribunale  di  Milano)   -   l'effetto   preclusivo   dell'iscrizione
anagrafica e,  su  questo  assunto,  argomentano  sull'illegittimita'
costituzionale della disposizione de qua,  si  registra  una  diversa
opzione interpretativa (sostenuta, tra  i  primi,  da:  Tribunale  di
Firenze, sezione quarta civile, ordinanza 18 marzo 2019; Tribunale di
Bologna, protezione internazionale civile, ordinanza 2  maggio  2019;
Tribunale di Genova, sezione undicesima civile, ordinanza  20  maggio
2019; Tribunale di Firenze, sezione specializzata per l'immigrazione,
la protezione internazionale e la libera circolazione  dei  cittadini
UE, ordinanza 27 maggio  2019;  Tribunale  di  Lecce,  sezione  prima
civile, ordinanza 4 luglio 2019; Tribunale di  Parma,  sezione  prima
civile, ordinanza  2  agosto  2019;  Tribunale  di  Bologna,  sezione
specializzata per l'immigrazione, la protezione internazionale  e  la
libera circolazione dei cittadini UE, ordinanza  23  settembre  2019;
Tribunale di Firenze, sezione quarta civile,  ordinanza  22  novembre
2019; Tribunale di Roma, sezione diritti della persona e immigrazione
civile, ordinanza 25 novembre 2019), che, facendo leva  sull'asserita
ambiguita' del dato letterale (e in particolare  sulla  formula  «non
costituisce titolo»), esclude che l'art. 13 del d.l. n. 113 del  2018
impedisca l'iscrizione anagrafica, dovendosi piuttosto  ritenere  che
esso si limiti a precisare che  il  possesso  del  solo  permesso  di
soggiorno per richiesta di asilo  non  e'  sufficiente  per  ottenere
l'iscrizione all'anagrafe. 
    In  particolare,  i  passaggi  fondamentali  di  questo  percorso
interpretativo sono i seguenti: la  norma  non  contiene  un  divieto
esplicito  di  iscrizione   anagrafica;   nell'ordinamento   non   si
rinvengono documenti  che  «costituiscono  titolo»  per  l'iscrizione
anagrafica; tale iscrizione e', piuttosto, l'esito di un procedimento
amministrativo diretto ad accertare una situazione di  fatto;  esiste
un diritto soggettivo all'iscrizione anagrafica (fra le tante,  Corte
di cassazione, sezioni unite civili,  sentenze  26  maggio  1997,  n.
4674, e 19 giugno 2000, n. 449), disciplinato dall'art. 1 del  d.P.R.
30 maggio 1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico
della popolazione residente); il diritto all'iscrizione anagrafica e'
esercitato    attraverso    una    dichiarazione     dell'interessato
all'ufficiale di stato civile, con cui  si  da'  atto  della  propria
permanenza  in  un  certo  luogo  e   dell'intenzione   di   abitarvi
stabilmente; nel quadro normativo delineato (e cosi' interpretato) si
inserisce, coerentemente, l'art. 6, comma 7, del d.lgs.  n.  286  del
1998, secondo cui: «Le  iscrizioni  e  variazioni  anagrafiche  dello
straniero regolarmente soggiornante  sono  effettuate  alle  medesime
condizioni dei cittadini  italiani  con  le  modalita'  previste  dal
regolamento di  attuazione  [...]»;  il  permesso  di  soggiorno  per
richiesta di asilo - ma la stessa  cosa  puo'  dirsi  per  gli  altri
permessi di soggiorno - non e' mai stato  «titolo»  per  l'iscrizione
anagrafica; l'abrogazione dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del  2015
ha come effetto solo quello di eliminare la modalita'  di  iscrizione
"semplificata"  ivi  prevista  e  di  far  riespandere  le  modalita'
ordinarie di iscrizione anagrafica (previste dal d.P.R.  n.  223  del
1989); infine, la previsione  secondo  cui  «[l]'accesso  ai  servizi
previsti dal  presente  decreto  e  a  quelli  comunque  erogati  sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio [...]» non  puo'  supplire  alla  limitazione  dei  diritti
individuali connessi alla residenza anagrafica. 
    2.2.2.- La descritta interpretazione non appare  praticabile  per
le ragioni di  seguito  indicate,  dovendosi  invece  ritenere,  come
sostenuto dai  giudici  rimettenti,  che  la  disposizione  censurata
precluda l'iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo. 
    Innanzitutto,  depone  in  tale  senso  quanto  riportato   nella
relazione illustrativa del decreto-legge e, negli stessi termini,  in
quella illustrativa del disegno  di  legge  di  sua  conversione.  In
questi documenti si legge, tra l'altro, che il «permesso di soggiorno
per  richiesta  asilo  non  consente  l'iscrizione   anagrafica   dei
residenti»  e  che  «[l]'esclusione  dall'iscrizione  anagrafica   si
giustifica per la precarieta' del  permesso  per  richiesta  asilo  e
risponde alla necessita' di definire  preventivamente  la  condizione
giuridica  del  richiedente».  In  questo   modo,   del   resto,   la
disposizione e' stata letta anche dai vari soggetti auditi nel  corso
del procedimento di conversione in legge del  decreto,  come  risulta
dalle loro relazioni. In particolare, va segnalato  quanto  affermato
dal direttore dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  secondo
cui «[i]l cambiamento normativo comportera' comunque  un'interruzione
nella serie storica della popolazione residente, portando  in  alcuni
casi, specie a livello locale, variazioni non trascurabili del totale
della popolazione residente», e dal  Ministro  dell'interno,  che,  a
fronte della «difficolta' per  le  amministrazioni  comunali  di  far
fronte agli adempimenti  in  materia  di  iscrizione  anagrafica  dei
richiedenti asilo residenti sui loro territori», ha individuato nella
«precarieta'  della  loro  permanenza  sul  territorio»  la   ragione
dell'esclusione dell'iscrizione anagrafica. 
    Coerenti con queste premesse appaiono alcune  circolari  diramate
dal Ministero dell'interno dopo l'entrata in vigore del d.l.  n.  113
del 2018, tra le quali quella del 18 ottobre 2018,  recante  «D.L.  4
ottobre  2018,  n.  113  (G.U.  n.  231  del  4/10/2018).   Art.   13
(Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica)», in cui si legge:
«[p]ertanto, dall'entrata  in  vigore  delle  nuove  disposizioni  il
permesso di soggiorno per richiesta di protezione  internazionale  di
cui all'art. 4, comma 1, del citato d.lgs. n.  142/2015,  non  potra'
consentire l'iscrizione anagrafica», e quella del  18  dicembre  2018
(Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante "Disposizioni  urgenti
in materia di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata",  convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132), nella quale
si legge: «[d]i conseguenza, ai richiedenti asilo  -  che,  peraltro,
non saranno piu' iscritti all'anagrafe dei residenti (articolo 13)  -
vengono dedicate le strutture di  prima  accoglienza  (CARA  e  CAS),
all'interno delle quali  permangono,  come  nel  passato,  fino  alla
definizione del loro status». 
    E' inoltre significativo il  dato  letterale  delle  disposizioni
introdotte con l'art. 13 del d.l. n. 113  del  2018,  che  puntano  a
sostituire il riferimento al luogo di residenza con quello  al  luogo
di domicilio e di conseguenza abrogano non solo la  disposizione  che
regola la speciale modalita' di iscrizione anagrafica, ma  la  stessa
previsione dell'iscrizione  anagrafica  (art.  5-bis,  comma  1,  del
d.lgs. n. 142 del 2015); modifica, quest'ultima in  particolare,  che
sarebbe priva di senso se la disposizione censurata  intendesse  solo
abrogare la modalita' semplificata di iscrizione anagrafica,  facendo
"riespandere" la modalita' ordinaria. 
    Anche  la  lettura  sistematica  della   disposizione   censurata
conferma questa interpretazione. In particolare, il  riferimento,  in
essa contenuto, all'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998 (che,
come  detto,  prevede   l'iscrizione   anagrafica   dello   straniero
regolarmente soggiornante «alle  medesime  condizioni  dei  cittadini
italiani») deve ritenersi operato al fine di dare atto  della  deroga
cosi'  introdotta  alla  previsione  della  disposizione  richiamata.
Inoltre, avere previsto che «[i]l permesso di  soggiorno  costituisce
documento di riconoscimento [...]» (art.  13,  comma  1,  lettera  a,
numero 1) si spiega solo considerando che  i  richiedenti  asilo  non
possono ottenere la carta d'identita'  che  presuppone  la  residenza
anagrafica. Analogamente, le disposizioni di cui all'art.  13,  comma
1, lettera b), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018,  sostituendo
il «luogo di  residenza»  con  quello  di  domicilio  come  luogo  di
erogazione dei  servizi,  confermano  l'intento  del  legislatore  di
escludere i richiedenti  asilo  dal  riconoscimento  giuridico  della
dimora abituale operato per il tramite dell'iscrizione anagrafica. 
    In definitiva, l'opzione  interpretativa  seguita  dai  Tribunali
rimettenti appare confermata dalle considerazioni appena esposte.  Si
puo' quindi procedere all'esame delle singole censure prospettate. 
    3.- Per ragioni di ordine logico, va  considerata  per  prima  la
questione sollevata dal Tribunale ordinario di Milano, prima  sezione
civile, con riferimento all'art. 77, secondo comma, Cost., in  quanto
attiene  ai  presupposti  del  corretto  esercizio   della   funzione
legislativa (sentenze n. 288 e n. 247 del 2019, n. 189 del 2018 e  n.
169 del 2017). 
    Nel proprio atto di intervento, il Presidente del  Consiglio  dei
ministri ha eccepito l'inammissibilita' della questione,  «in  quanto
gia' decisa dalla Corte nel senso dell'infondatezza» con la  sentenza
n. 194 del 2019. 
    Tale eccezione non e' fondata, per due ragioni: in  primo  luogo,
la sentenza n. 194 del 2019 ha, si', deciso varie questioni  proposte
in via principale contro il d.l. n. 113 del 2018, ma non  e'  entrata
nel merito, dichiarando l'inammissibilita' di tutte le questioni;  in
secondo luogo,  e'  pacifico  che  una  precedente  dichiarazione  di
infondatezza  non  e'  causa  di  inammissibilita'  della   questione
riproposta ma puo', eventualmente, condurre a  una  dichiarazione  di
manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 44 del 2020  e  n.  99
del 2017). 
    3.1.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Secondo  questa   Corte,   «il   sindacato   sulla   legittimita'
dell'adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va  limitato
ai  casi  di  evidente  mancanza  dei  presupposti  di  straordinaria
necessita' e urgenza richiesti dall'art. 77, secondo comma, Cost.,  o
di manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' della loro valutazione»
(sentenza n. 97 del 2019; in senso simile, sentenze n. 288  e  n.  33
del 2019 e n. 137, n. 99 e n. 5 del 2018): cio' al fine di evitare la
sovrapposizione tra la  valutazione  politica  del  Governo  e  delle
Camere (in sede  di  conversione)  e  il  controllo  di  legittimita'
costituzionale della Corte. 
    In particolare, nei casi in cui questa Corte e' stata chiamata  a
valutare la conformita' di una delle norme  del  decreto-legge  (come
nel caso di specie) all'art. 77, secondo comma, Cost., essa ha svolto
il proprio giudizio in base a diversi  criteri,  quali:  a)  coerenza
della norma rispetto al titolo del decreto e  al  suo  preambolo  (ad
esempio, sentenze n. 288 e n. 33 del  2019,  n.  137  del  2018);  b)
omogeneita' contenutistica o funzionale della norma rispetto al resto
del decreto-legge (ex plurimis, sentenze n. 149 del 2020, n.  97  del
2019 e n. 137 del 2018);  c)  utilizzo  dei  lavori  preparatori  (ad
esempio, sentenze n. 288 del 2019,  n.  99  e  n.  5  del  2018);  d)
carattere  ordinamentale  o  di  riforma  della  norma  (ad  esempio,
sentenze n. 33 del 2019, n. 99 del 2018 e n. 220 del 2013). 
    Il d.l. n. 113 del  2018,  intitolato  «Disposizioni  urgenti  in
materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,   sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», si  articola
in quattro titoli:  il  primo  (nel  quale  e'  inserito  l'art.  13)
contiene «Disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di
soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonche'  in
materia  di  protezione  internazionale  e  di  immigrazione»  ed  e'
articolato a  sua  volta  in  quattro  Capi,  il  secondo  dei  quali
comprende le «Disposizioni in materia di protezione  internazionale»,
fra  le  quali  l'art.  13.  Tale  Capo,  fra  l'altro,  modifica  la
disciplina relativa al diniego, alla revoca e alla  cessazione  della
protezione  internazionale,  regola  i  casi  di  reiterazione  della
domanda  di  protezione  internazionale,  novella   le   disposizioni
relative all'accoglienza dei richiedenti asilo. 
    La relazione illustrativa del disegno  di  legge  di  conversione
(A.S. n. 840, comunicato alla Presidenza  del  Senato  il  4  ottobre
2018) fa riferimento all'urgenza di intervenire «nell'ambito  di  una
complessa  azione  riorganizzativa,   concernente   il   sistema   di
riconoscimento della protezione internazionale e le forme  di  tutela
complementare, finalizzata in ultima istanza a una piu' efficiente ed
efficace gestione  del  fenomeno  migratorio  nonche'  ad  introdurre
misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda  di
protezione internazionale». Con specifico  riferimento  all'art.  13,
nella stessa relazione si legge che  «[l]'esclusione  dall'iscrizione
anagrafica  si  giustifica  per  la  precarieta'  del  permesso   per
richiesta   asilo   e   risponde   alla   necessita'   di    definire
preventivamente la condizione giuridica del richiedente». 
    Rinviando al punto  successivo  ogni  valutazione  sul  contenuto
della norma censurata, si deve ritenere che con riferimento  ad  essa
non  sia  riscontrabile  un'evidente  mancanza  dei  presupposti   di
straordinaria necessita' e urgenza. L'art. 13 si  inserisce  in  modo
omogeneo nel capo  contenente  le  norme  in  materia  di  protezione
internazionale, riguardando un aspetto dello status  dei  richiedenti
asilo: questa  Corte,  nella  sentenza  n.  194  del  2019,  ha  gia'
ricondotto  la  norma  sul  divieto  di  iscrizione  anagrafica   dei
richiedenti asilo alle materie del «diritto  di  asilo  e  condizione
giuridica  dei  cittadini  di  Stati  non   appartenenti   all'Unione
europea», oltre  che  delle  «anagrafi»  (art.  117,  secondo  comma,
lettere a e i, Cost.). Non a caso, nel suo  parere  del  14  novembre
2018  il  Comitato  per  la  legislazione,   pur   esprimendo   dubbi
sull'omogeneita' di alcune delle norme inserite nel d.l. n.  113  del
2018, non formulava rilievi sull'art. 13. 
    Ne' si puo' affermare che il Governo abbia deciso  di  modificare
con decreto-legge  il  sistema  di  riconoscimento  della  protezione
internazionale, al fine di una piu' efficiente ed  efficace  gestione
del fenomeno migratorio, nonostante un'evidente assenza di necessita'
e urgenza: di fronte al massiccio afflusso dei richiedenti asilo e ai
complessi  problemi  inerenti  alla  sua  gestione,   non   si   puo'
considerare manifestamente  arbitraria  la  valutazione  del  Governo
sull'esistenza dei presupposti del  decreto-legge.  Se  e'  vero  che
l'art. 13 e le norme collegate non affrontano una nuova emergenza, e'
anche vero che la persistenza  di  un  problema  puo'  concretare  le
ragioni di urgenza e che, «ricorrendone i presupposti,  il  programma
di Governo ben puo' essere attuato  anche  mediante  la  decretazione
d'urgenza» (sentenza n. 288 del 2019). 
    Per il tipo di sindacato che questa  Corte  svolge  sul  rispetto
dell'art. 77, secondo comma, Cost., la norma censurata supera  dunque
indenne il vaglio di costituzionalita', sotto questo profilo. 
    4.- Passando agli altri  parametri  costituzionali  asseritamente
violati, i giudici a  quibus  ritengono  innanzitutto  che  la  norma
censurata si ponga in contrasto con l'art. 3 Cost.  sotto  molteplici
profili, sostanzialmente perche' introdurrebbe una deroga, priva  dei
«requisiti di razionalita' e ragionevolezza»,  alla  disciplina  piu'
volte richiamata dell'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate da tutti  i
rimettenti in riferimento all'art. 3 Cost. sono fondate. 
    4.1.- Sono innanzitutto meritevoli  di  accoglimento  le  censure
prospettate  per  l'irrazionalita'  intrinseca   della   disposizione
censurata, in ragione della sua incoerenza  rispetto  alle  finalita'
perseguite dal d.l. n. 113 del 2018. 
    Come si e' visto dalla ricostruzione della ratio della  norma  in
esame, il legislatore  avrebbe  inteso  liberare  le  amministrazioni
comunali, sul cui territorio sono situati  i  centri  di  accoglienza
degli stranieri richiedenti asilo,  dall'onere  di  far  fronte  agli
adempimenti in materia di  iscrizione  anagrafica  degli  stessi.  Da
questo punto di vista,  la  precarieta'  della  loro  permanenza  sul
territorio  e'  stata  ritenuta  argomento  idoneo   a   giustificare
l'esclusione dell'iscrizione anagrafica. 
    Cosi' provvedendo, tuttavia, il legislatore contraddice la  ratio
complessiva  del  decreto-legge  al  cui  interno   si   colloca   la
disposizione denunciata. Infatti, a dispetto del dichiarato obiettivo
dell'intervento  normativo  di  aumentare  il  livello  di  sicurezza
pubblica, la norma in esame, impedendo  l'iscrizione  anagrafica  dei
richiedenti asilo, finisce con il limitare le capacita' di  controllo
e   monitoraggio   dell'autorita'    pubblica    sulla    popolazione
effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da  essa  una
categoria di persone, gli stranieri richiedenti  asilo,  regolarmente
soggiornanti  nel  territorio  italiano.  E  cio'  senza  che  questa
esclusione  possa  ragionevolmente  giustificarsi  alla  luce   degli
obblighi di registrazione della popolazione residente. 
    Pur non potendosi negare che  sui  comuni  interessati  gravi  un
onere ulteriore (rispetto  a  quello  gravante  sugli  altri  comuni)
connesso al  disbrigo  delle  pratiche  relative  alla  registrazione
anagrafica dei richiedenti  asilo,  questa  considerazione  non  puo'
giustificare la "sottrazione"  di  una  categoria  di  soggetti  alla
"presa d'atto" formale della  presenza  (qualificata  in  termini  di
dimora abituale) di  una  persona;  "presa  d'atto"  nella  quale  si
sostanzia  l'iscrizione  anagrafica.  In  tal  senso,  non  si   puo'
sottacere che  i  moderni  sistemi  di  anagrafe  trovano  fondamento
proprio  in  un'esigenza  di   registrazione   amministrativa   della
popolazione residente. Tale registrazione della situazione  effettiva
dei residenti nel  territorio  comunale  costituisce  il  presupposto
necessario per l'adeguato esercizio di  tutte  le  funzioni  affidate
alla pubblica  amministrazione,  da  quelle  di  sicurezza  e  ordine
pubblico, appunto, a quelle sanitarie, da  quelle  di  regolazione  e
controllo degli  insediamenti  abitativi  all'erogazione  di  servizi
pubblici, e via dicendo. 
    Escludendo dalla  registrazione  anagrafica  persone  che  invece
risiedono sul  territorio  comunale,  la  norma  censurata  accresce,
anziche' ridurre, i problemi connessi al monitoraggio degli stranieri
che soggiornano regolarmente nel territorio statale anche  per  lungo
tempo, in attesa della  decisione  sulla  loro  richiesta  di  asilo,
finendo  per  questo  verso  col   rendere   problematica,   anziche'
semplificare, la loro stessa individuazione a tutti i fini,  compresi
quelli che attengono alle vicende connesse alla procedura  di  asilo.
Si deve considerare inoltre che il diniego di  iscrizione  anagrafica
sottrae i richiedenti asilo alla diretta conoscibilita' da parte  dei
comuni   -   con   conseguenze   tanto   piu'   gravi    a    seguito
dell'informatizzazione di dati e procedure -  della  loro  permanenza
sul territorio, stante l'obbligo di comunicare il  proprio  domicilio
solo alla questura competente (art. 5, comma 1,  d.lgs.  n.  142  del
2015). 
    Ne' puo' essere  fatto  valere  in  senso  contrario  -  come  fa
l'Avvocatura dello Stato e, ancora prima,  il  Governo  in  occasione
della  conversione  in  legge  del  decreto   -   l'argomento   della
precarieta' della permanenza legale sul  territorio  dei  richiedenti
asilo, in particolare ove si riferisca tale  condizione  alla  durata
della residenza protratta,  ossia  all'unico  aspetto  per  cui  essa
rileva  a  fini  della  registrazione  anagrafica.  All'argomento  e'
agevole replicare, infatti, che il permesso di soggiorno  di  cui  si
discute ha durata di sei mesi ed e' rinnovabile «fino alla  decisione
della domanda o comunque per il tempo in cui il suo  destinatario  e'
autorizzato a rimanere nel territorio nazionale» (art. 4  del  d.lgs.
n. 142 del 2015), e che, nella stragrande maggioranza  dei  casi,  il
periodo complessivo di permanenza dei richiedenti  asilo  nel  nostro
Paese risulta essere di  almeno  un  anno  e  mezzo  (come  messo  in
evidenza da tutti i soggetti intervenuti o  costituiti  nel  presente
giudizio), soprattutto a causa dei tempi di decisione sulle domande. 
    La descritta durata,  legale  e  fattuale,  del  soggiorno  dello
straniero richiedente  asilo  rappresenta,  gia'  da  sola,  un  dato
espressivo  di  una  permanenza  protratta  per  un  arco   temporale
rilevante e appare inoltre particolarmente significativa alla luce di
quanto previsto dall'art. 9 del decreto legislativo 6 febbraio  2007,
n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto  dei
cittadini  dell'Unione  e  dei  loro  familiari  di  circolare  e  di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), che fissa
in tre mesi il limite di permanenza del cittadino europeo nello Stato
membro diverso da quello di appartenenza, limite oltre il quale sorge
l'obbligo  dell'iscrizione   anagrafica.   La   citata   disposizione
stabilisce in particolare che «[a]l cittadino dell'Unione che intende
soggiornare in Italia,  ai  sensi  dell'articolo  7  per  un  periodo
superiore a tre mesi, si applica la legge 24 dicembre 1954, n.  1228,
ed il  nuovo  regolamento  anagrafico  della  popolazione  residente,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,
n. 223» (comma 1), e che,  «[f]ermo  quanto  previsto  dal  comma  1,
l'iscrizione e' comunque richiesta trascorsi tre  mesi  dall'ingresso
ed  e'  rilasciata   immediatamente   una   attestazione   contenente
l'indicazione del nome e della dimora  del  richiedente,  nonche'  la
data della richiesta» (comma 2). 
    Del resto, e' lo stesso art. 6, comma 7, del d.lgs.  n.  286  del
1998,  che  costituisce  la  previsione  generale   in   materia,   a
individuare nella permanenza protratta per tre mesi presso un  centro
di  accoglienza  il  periodo  di  tempo  necessario  per  considerare
abituale la dimora dello straniero, presupposto, questo, per ottenere
il riconoscimento giuridico della residenza. 
    Da ultimo, non e' inutile  osservare  che  la  necessita'  di  un
controllo e di un monitoraggio della residenza sul  territorio  degli
stranieri richiedenti  asilo  rileva,  e  presenta  anzi  particolare
importanza,  anche  a  fini   sanitari,   poiche'   e'   sulla   base
dell'anagrafe dei residenti che il comune puo' avere  contezza  delle
effettive presenze sul suo territorio  ed  essere  in  condizione  di
esercitare in maniera adeguata  le  funzioni  attribuite  al  sindaco
dall'art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n.  833  (Istituzione  del
servizio sanitario  nazionale),  soprattutto  in  caso  di  emergenze
sanitarie circoscritte al territorio comunale. 
    Da tutti i punti di vista considerati, dunque, la norma censurata
contraddice le finalita' del d.l. n. 113 del 2018, e  in  particolare
incide   negativamente   sulla    funzionalita'    delle    pubbliche
amministrazioni cui e'  affidata  la  cura  degli  interessi  oggetto
dell'intervento normativo, perche' impedisce di basare la loro azione
su una  rappresentazione  veritiera  nei  registri  anagrafici  della
situazione effettiva della popolazione residente nel loro territorio. 
    4.2.- Ugualmente  meritevoli  di  accoglimento  sono  le  censure
prospettate per l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  che  la
norma censurata determina tra stranieri  richiedenti  asilo  e  altre
categorie  di  stranieri  legalmente  soggiornanti   nel   territorio
statale, oltre che con i cittadini italiani. 
    Questa Corte ha, gia' da  tempo,  superato  l'apparente  ostacolo
frapposto dal dato letterale dell'art. 3 Cost. (che fa riferimento ai
«cittadini»),  sottolineando  che,  «se  e'  vero  che  l'art.  3  si
riferisce espressamente ai soli cittadini,  e'  anche  certo  che  il
principio di eguaglianza vale pure per lo straniero  quando  trattisi
di rispettare [i] diritti fondamentali» (sentenza n. 120 del 1967), e
ha chiarito inoltre che al legislatore non e'  consentito  introdurre
regimi differenziati circa il trattamento  da  riservare  ai  singoli
consociati  se  non  «in  presenza  di  una  "causa"  normativa   non
palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n.  432  del
2005). 
    Nelle singole situazioni concrete, la posizione  dello  straniero
puo' certo risultare diversa rispetto a quella del cittadino  (sempre
sentenza n. 120 del  1967)  e  quindi  non  si  puo'  per  cio'  solo
escludere la ragionevolezza della  disposizione  che  ne  prevede  un
trattamento diversificato. Infatti, «la riconosciuta  eguaglianza  di
situazioni soggettive nel campo  della  titolarita'  dei  diritti  di
liberta' non esclude affatto  che,  nelle  situazioni  concrete,  non
possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che  il
legislatore puo' apprezzare e regolare nella sua discrezionalita', la
quale non trova altro  limite  se  non  nella  razionalita'  del  suo
apprezzamento» (sentenza n. 104 del 1969, richiamata  dalle  pronunce
successive, sentenze n. 144 del 1970, n. 177 e n. 244 del 1974, n. 62
del 1994, n. 245 del 2011, e ordinanze n. 503 del 1987,  n.  490  del
1988). 
    Sulla base di questi argomenti si puo'  cosi'  affermare  che  la
particolarita'  delle  «situazioni  concrete»  puo'  giustificare  un
diverso trattamento tra differenti categorie di stranieri  legalmente
soggiornanti,  in  ragione  del  motivo  e  della  durata  del   loro
soggiorno, come e', per esempio, nel caso della normativa che  limita
ai cosiddetti soggiornanti di  lungo  periodo  il  riconoscimento  di
determinati diritti, e come, in  principio,  potrebbe  essere  per  i
richiedenti asilo, in ragione del fatto che la loro permanenza - pur,
come visto, di durata non breve e non di rado anche alquanto lunga  -
e' comunque destinata a mutare di  titolo  nel  caso  di  concessione
della protezione internazionale o, diversamente, a cessare. 
    Negando l'iscrizione anagrafica a  coloro  che  hanno  la  dimora
abituale  nel  territorio  italiano,  tuttavia,  la  norma  censurata
riserva un trattamento differenziato e indubbiamente  peggiorativo  a
una particolare categoria di stranieri in assenza di una  ragionevole
giustificazione:  se   infatti   la   registrazione   anagrafica   e'
semplicemente la conseguenza  del  fatto  oggettivo  della  legittima
dimora abituale in un determinato luogo, la circostanza che si tratti
di un cittadino o di uno straniero, o di  uno  straniero  richiedente
asilo, comunque regolarmente insediato,  non  puo'  presentare  alcun
rilievo ai suoi fini. 
    Come gia' ricordato, la regola generale  in  tema  di  iscrizioni
anagrafiche dello straniero regolarmente  soggiornante  e'  contenuta
nell'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286 del 1998  («Le  iscrizioni  e
variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono
effettuate alle medesime condizioni dei  cittadini  italiani  con  le
modalita' previste dal regolamento di attuazione»), al quale la norma
censurata deroga senza alcun ragionevole motivo. Questa Corte ha gia'
chiarito che qualsiasi scelta legislativa che si discosti dalle norme
generali del d.lgs. n. 286 del 1998 «dovrebbe permettere di rinvenire
nella  stessa  struttura  normativa  una  specifica,  trasparente   e
razionale "causa giustificatrice", idonea  a  "spiegare",  sul  piano
costituzionale, le "ragioni" poste a base della deroga» (sentenza  n.
432 del 2005): il  che  non  si  puo'  dire  della  norma  censurata.
Infatti, la temporaneita' del soggiorno  dei  richiedenti  asilo  non
puo' giustificare il diniego di iscrizione  anagrafica,  sia  per  le
ragioni esposte nel punto  precedente,  sia  perche',  se  la  stessa
temporaneita' fosse incompatibile con l'iscrizione anagrafica, allora
bisognerebbe escludere  dalla  registrazione  molti  altri  stranieri
regolari, titolari di permessi di durata limitata, che potrebbero non
essere rinnovati (quali, ad  esempio,  quelli  previsti  all'art.  5,
comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998). 
    Considerazioni  analoghe  possono   essere   svolte   anche   con
riferimento  alla  deroga  irragionevolmente  operata   dalla   norma
censurata rispetto a quanto previsto in  via  generale  dall'art.  2,
comma 2, dello stesso decreto legislativo,  in  base  al  quale  «[lo
straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello  Stato  gode
dei diritti  in  materia  civile  attribuiti  al  cittadino  italiano
[...]». Essa priva,  infatti,  i  richiedenti  asilo  del  diritto  a
iscriversi   all'anagrafe   dei   residenti,    senza    una    causa
giustificatrice idonea. 
    Per la portata e per le conseguenze anche in  termini  di  stigma
sociale dell'esclusione operata con la  norma  oggetto  del  presente
giudizio, di cui e' non solo simbolica  espressione  l'impossibilita'
di ottenere la carta d'identita', la prospettata lesione dell'art. 3,
primo comma, Cost. assume in questo contesto - al di la' della stessa
violazione del principio di eguaglianza -  la  specifica  valenza  di
lesione della connessa «pari dignita' sociale». 
    Pur potendo il legislatore valorizzare le esistenti differenze di
fatto tra cittadini e stranieri (sentenza n. 104 del 1969), esso  non
puo' porre gli stranieri (o, come  nel  caso  di  specie,  una  certa
categoria di stranieri) in una condizione  di  "minorazione"  sociale
senza idonea giustificazione, e cio' per la decisiva ragione  che  lo
status di straniero non puo' essere  di  per  se'  considerato  «come
causa ammissibile di trattamenti diversificati  e  peggiorativi»  (in
questi termini sentenza n. 249 del 2010; analogamente, tra le  tante,
sentenze n. 166 del 2018, n. 230, n. 119 e n. 22 del 2015, n. 309, n.
202, n. 172, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 172 del 2012, n. 245 e  n.  61
del 2011, n. 187 del 2010, n. 306 e n. 148 del 2008, n. 324 del 2006,
n. 432 del 2005, n. 252 e n. 105 del 2001, n. 203 del 1997, n. 62 del
1994, n. 54 del 1979, n. 244 e n. 177 del 1974, n. 144 del  1970,  n.
104 del 1969, n. 120 del 1967). 
    La  norma   censurata,   privando   i   richiedenti   asilo   del
riconoscimento giuridico della loro condizione di  residenti,  incide
quindi irragionevolmente sulla «pari dignita' sociale»,  riconosciuta
dall'art. 3 Cost. alla persona in quanto tale, a prescindere dal  suo
status e dal grado di stabilita' della sua  permanenza  regolare  nel
territorio italiano. 
    Da questo punto di vista, in concreto, il diniego  di  iscrizione
anagrafica presenta effetti pregiudizievoli per i  richiedenti  asilo
quanto all'accesso ai servizi anche ad essi garantiti. Senza  entrare
nel merito della dibattuta questione  relativa  alla  possibilita'  o
meno di ottenere, per ciascun servizio, l'erogazione da  parte  delle
amministrazioni competenti in assenza della  residenza  anagrafica  -
questione che non viene in rilievo in  questa  sede  -  non  si  puo'
negare che la previsione della fornitura dei  servizi  nel  luogo  di
domicilio, anziche' in quello di residenza (art. 13, comma 1, lettera
b,  numero  1,  del  d.l.  n.  113  del  2018),  rende,   quantomeno,
ingiustificatamente piu' difficile l'accesso ai servizi  stessi,  non
fosse altro che per gli ostacoli  di  ordine  pratico  e  burocratico
connessi alle modalita' di  richiesta  dell'erogazione  -  che  fanno
quasi sempre riferimento alla residenza e alla sua  certificazione  a
mezzo dell'anagrafe - e per la stessa difficolta' di  individuare  il
luogo di domicilio, a fronte della certezza offerta invece  dal  dato
formale della residenza anagrafica. 
    Si deve pertanto concludere che, anche sotto questo  profilo,  la
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  in  riferimento
all'art. 3 Cost. e' fondata. 
    5.- Dall'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma  1-bis,
del d.lgs. n. 142 del 2015, come introdotto dall'art.  13,  comma  1,
lettera  a),  numero  2),  del  d.l.  n.   113   del   2018,   deriva
l'illegittimita' costituzionale  dell'intero  art.  13  citato.  Come
messo in evidenza nel punto 2.2.2, il  complesso  delle  disposizioni
contenute  nello  stesso  art.  13  costituisce  infatti  un  insieme
organico, espressivo di una logica unitaria, che trova il suo  fulcro
nel divieto di iscrizione anagrafica. 
    Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),  va
percio'   dichiarata   in   via    consequenziale    l'illegittimita'
costituzionale delle restanti disposizioni dell'art. 13 del  d.l.  n.
113 del 2018. 
    6.-  Sono  assorbite  le  ulteriori  questioni  di   legittimita'
costituzionale prospettate dai Tribunali rimettenti.