TRIBUNALE ORDINARIO 
                             DI SPOLETO 
 
                             IL GIUDICE 
 
    All'udienza  del  27  maggio  2020,  sentiti  il  P.M.  e  Difesa
nell'ambito del procedimento a carico D'O......A........e recante  n.
1307/2012 R.G.N.R. - 207/15 R.G.  Dib.  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza. 
    Lo scrivente giudice monocratico titolare del procedimento dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 4, d.l. 18/2020
(convertito in legge n. 27/20), come modificato dall'art. 36  d.l.  8
aprile 2020, n. 23, nella parte in cui, nel prevedere la  sospensione
della prescrizione  dal  9  marzo  all'11  maggio  2020  non  esclude
l'applicabilita' di detta sospensione ai procedimenti relati a  fatti
di  reato  commessi  anteriormente  alla  entrata  in  vigore   della
disposizione  normativa  oggetto  di  censura.  A  parere  di  questo
giudicante la questione di legittimita' costituzionale e' rilevante e
non manifestamente infondata. 
 
                   SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE 
 
    Il processo penale a quo ha ad oggetto il reato di  cui  all'art.
341-bis c.p., che stando al  capo  d'accusa  risulta  commesso  il  5
ottobre 2012. 
    In ragione del tempus commissi delicti la  prescrizione  massima,
determinata tenendo conto anche  dell'effetto  interruttivo  prodotto
dalla emissione del decreto di citazione a giudizio  datato  6  marzo
2015, sarebbe maturata il 5 aprile 2020, se non fosse per la norma di
cui all'art. 83, comma 4, d.l. 28/2020 (e successive  modifiche)  che
ha introdotto un nuovo caso di  sospensione  della  prescrizione,  di
fatto spostando in avanti - al prossimo 7 giugno 2020  -  il  momento
temporale al quale  ricollegare  l'effetto  estintivo  del  reato  in
contestazione. Invero, ai sensi di  tale  disposizione  normativa  la
prescrizione e' sospesa dal 9 marzo all'11 maggio 2020, in  relazione
ai procedimenti penali non ricompresi  nell'elenco  dei  procedimenti
urgenti da trattare di cui all'art. 83 co. 3 d.l. 18/20 (e successive
modifiche) e per i quali non opera neppure la sospensione dei termini
in  virtu'  di  quanto  stabilito  dal  comma  secondo  dello  stesso
articolo. 
    Ritiene quindi il giudicante che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale sia rilevante poiche' la nuova ipotesi di  sospensione
della prescrizione costituisce l'unico ostacolo alla possibilita' che
l'autorita' giudiziaria  procedente  pronunci  una  sentenza  di  non
doversi procedere ex  art.  129  c.p.p.,  considerata  l'assenza  dei
presupposti  per   l'emissione   di   una   sentenza   di   immediato
proscioglimento nel merito. 
    Peraltro, la questione conserverebbe la  sua  rilevanza  anche  a
seguito del sindacato del giudice delle  leggi,  poiche'  alla  prima
udienza successiva il  Tribunale  ben  potrebbe  esercitare  siffatti
poteri ufficiosi; invero il periodo di sospensione della prescrizione
ex art. 159 co. l n. 2 c.p. coincidente con quello  di  pendenza  del
giudizio incidentale innanzi  alla  Corte  Costituzionale  -  sarebbe
tamquam non esset  poiche'  successivo  al  gia'  prodottosi  effetto
estintivo del reato. 
 
                  SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA 
 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo  la  previsione  normativa   del
suindicato   periodo   di   sospensione   della    prescrizione    e'
incostituzionale perche' contrasta con gli artt. 25 co. 2 e 117 co. l
Cost., quest'ultimo posto in relazione all'art. 7 C.E.D.U. 
    Le norme costituzionali e convenzionali richiamate  sanciscono  a
chiare lettere il principio di irretroattivita' delle  norme  penali,
mirante ad assicurare la "certezza di  libere  scelte  d'azione"  (C.
Cost. n. 364/1988). 
    Nell'alveo  del  diritto   penale   sostanziale   rientra   anche
l'istituto della prescrizione e tale  affermazione  e'  assolutamente
pacifica in seno  alla  giurisprudenza  costituzionale.  Invero,  nel
recente passato  la  Corte  Costituzionale  ha  enunciato  un  simile
principio: il riferimento va alla sentenza  n.  393/2006  -  relativa
alla riforma della prescrizione introdotta con legge n. 251/05  -  in
cui  il  giudice  delle  leggi  ha  affermato  che  il  principio  di
retroattivita' della lex mitior ha  il  suo  fondamento  nell'art.  3
Cost. e risulta coerente con la natura sostanziale della prescrizione
e con l'effetto da essa prodot-to, in quanto «il  decorso  del  tempo
non  si  limita  ad  estinguere  l'azione  penale,  ma   elimina   la
punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa  di
rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva». 
    Parimenti,  con  la  sentenza   n.   324/08   sempre   la   Corte
Costituzionale ha affermato che "la prescrizione, quale  istituto  di
diritto sostanziale, e' soggetta alla disciplina di cui  all'art.  2,
quarto  comma,  cod.  pen.  che  prevede  la  regola  generale  della
retroattivita' della norma piu' favorevole, in quanto 'il decorso del
tempo non si limita ad estinguere  l'azione  penale,  ma  elimina  la
punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa  di
rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva'". 
    Poi, la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 24/2017 e con  la
sentenza n. 115/2018 pronunciate per la  risoluzione  del  c.d.  caso
Taricco  -  allorquando  si  e'  espressa  sulla  compatibilita'  con
l'ordinamento costituzionale dell'applicazione retroattiva  di  norme
(in quel caso di fonte  giurisprudenziale)  che  avevano  ampliato  i
termini di prescrizione di  reati  che  ledono  interessi  di  natura
finanziaria  -  ha  ribadito  che  "un  istituto  che  incide   sulla
punibilita'  della  persona,  riconnettendo  al  decorso  del   tempo
l'effetto  di  impedire  l'applicazione  della   pena,   nel   nostro
ordinamento giuridico rientra nell'alveo costituzionale del principio
di legalita'  penale  sostanziale  enunciato  dall'art.  25,  secondo
comma, Cost. con  formula  di  particolare  ampiezza".  Peraltro,  le
pronunce da  ultimo  citate  hanno  addirittura  fatto  assurgere  il
divieto di retroattivita'  delle  norme  penali  in  malam  partem  a
controlimite costituzionale. 
    Stando   cosi'   le   cose,   l'applicazione   del   divieto   di
retroattivita' anche al regime della prescrizione (laddove  la  nuova
legge sia piu' sfavorevole) consente  pure  di  chiarire  quale  deve
essere la corretta interpretazione del rinvio, contenuto nell'incipit
dell'art.  159  c.p.p.,  a  particolari  disposizioni  di  legge  che
prevedono  ipotesi  di  sospensione  ulteriori  rispetto   a   quelle
contemplate dallo stesso articolo del  codice  penale.  Onde  evitare
facili elusioni del divieto di retroattivita'  in  ambito  penale  ad
opera del legislatore ordinario, il rinvio in  bianco  operato  dalla
citata   disposizione    puo'    valere    unicamente    per    leggi
extracodicistiche preesistenti al codice penale ovvero successive  ma
entrate in vigore prima della commissione del fatto-reato di  cui  si
occupa il processo penale. 
    Il contrasto con gli artt. 25 co. 2 e 1  l  7  co.  1  Cost.  (in
relazione all'art. 7 C.E.D.U.) non pare  superabile  nemmeno  in  via
esegetica, dal momento che  un'interpretazione  costituzionalmente  e
convenzionalmente orientata e' impedita dal  tenore  letterale  della
disposizione  legislativa  oggetto  di  censura,  che   sospende   la
prescrizione per i procedimenti penali per  i  quali  si  applica  la
sospensione dei  termini  prevista  al  comma  2  dell'art.  83  d.l.
18/2020, lasciando cosi intendere che la sospensione operi per  tutti
i procedimenti penali pendenti e quindi anche per  quelli  che,  come
quello in esame, non hanno subito un rinvio d'ufficio  ai  sensi  del
comma l dell'art. 83, o che hanno ad oggetto fatti di reato  commessi
anteriormente all'entrata in vigore del d.l. 18/2020. 
    Peraltro, se si utilizzasse lo strumento dell'interpretazione per
circoscrivere l'applicazione della normativa di cui si  dubita  della
legittimita' costituzionale ai soli  procedimenti  relativi  a  reati
commessi dopo la sua entrata in vigore, si finirebbe  con  l'avallare
una pressoche' totale abrogazione tacita della norma, vanificando  lo
scopo preso di mira dai riformatori. L'incidente di costituzionalita'
rappresenta quindi l'unico rimedio attivabile per rimuovere il vulnus
costituzionale generato dal legislatore ordinario. 
    Ed invero, nemmeno la tesi della natura processuale dell'istituto
della prescrizione fatta propria dalla Corte di Strasburgo  (C.  Edu,
22 giugno 2000, Coeme e altri c. Belgio; C. Edu,  20  settembre  2011
Neftyanaya  Kompanya  Yukos  c.  Russia)  -  che  a   darvi   seguito
consentirebbe di derogare al divieto di retroattivita' - puo' mettere
in dubbio le conclusioni prospettate. E' noto infatti  che  le  fonti
sovranazionali dettano norme  che  lungi  dallo  stabilire  il  punto
ottimale  di   equilibrio   tra   autorita'   e   liberta',   fissano
semplicemente il minimum standard, lasciando liberi gli Stati  membri
di prevedere piu' elevati livelli di tutela a protezione dei  diritti
umani (cfr. art. 53 C.E.D.U. e  art.  53  Carta  di  Nizza,  recepita
dall'art. 6 T.F.U.E.), come e' avvenuto nell'ordinamento italiano per
l'istituto della prescrizione. 
    Poi, a voler seguire un approccio  pragmatico,  ammettendo  cioe'
l'applicazione  retroattiva  del  nuovo  caso  di  sospensione  della
prescrizione sull'assunto che  non  verrebbero  frustrate  l'esigenze
difensive del singolo e le sue aspettative circa i tempi entro cui lo
Stato deve esercitare il proprio potere  punitivo,  si  aprirebbe  la
strada a un case law, a cui la tradizione giuridica  continentale  e'
estranea  e  che  ben  difficilmente  potrebbe  permeare  il  sistema
costituzionale  italiano  fondato  sul  rispetto  delle  forme,   che
rappresenta  il  mai  troppo  scontato  corollario  applicativo   dei
principi  di  sottoposizione  del  giudice  alla  legge,  del  giusto
processo regolato dalla legge  e  della  obbligatorieta'  dell'azione
penale (arti. 101, 111 e 112 Cost.): principi  che  costituiscono  le
uniche effettive garanzie in un sistema giudiziario connotato da  una
organizzazione  gerarchico-burocratica.  Tuttalpiu',  l'emancipazione
dalle  forme  e'  stata  seguita  anche  di   recente   dalla   Corte
Costituzionale, ma  solo  per  rafforzare  le  garanzie  individuali,
giammai per conculcarle (cfr. C. Cost. n. 32/2020, che nell'occasione
ha pure precisato che  il  principio  di  irretroattivita'  in  malam
partem non ammette deroghe, rappresentando piuttosto "un  bastione  a
garanzia dell'individuo contro possibili abusi da  parte  del  potere
legislativo"). 
    Ma anche a voler  seguire  l'avversata  impostazione  pragmatica,
quindi spingendosi a verificare se le rationes sottese al divieto  di
retroattivita' siano state o meno frustrate, la risposta non puo' che
essere  affermativa.  Infatti,  sebbene   l'introdotto   periodo   di
sospensione della prescrizione non sia addebitabile ad  alcuna  delle
parti in causa ne' all'inerzia dell'autorita' giudiziaria procedente,
e' tuttavia evidente come esso non possa che  incidere  negativamente
sul diritto di  difesa,  quanto  meno  nella  sua  declinazione  come
diritto di difendersi provando, che risulta  tanto  piu'  sacrificato
quanto maggiore e' la distanza temporale dalla  data  di  commissione
del reato addebitato all'imputato. E' senz'altro vero che  la  durata
di ogni processo dipende spesso da fattori aleatori  non  disponibili
dalle parti ne' prevedibili, e che fanno parte di questi  i  casi  di
sospensione del processo  (e  conseguentemente  della  prescrizione).
Tuttavia,  in  mancanza  di  una  preesistente   normativa   che   le
regolamentasse, a differenza di  quelle  disciplinate  dall'art.  159
c.p. la nuova ipotesi di  sospensione  dei  procedimenti  ovvero  dei
termini per il compimento di atti  processuali  non  era  prevedibili
neppure in astratto; sicche', non avendo  potuto  l'imputato  tenerne
conto -  valutazione  che  sarebbe  stata  potenzialmente  utile  per
orientare al meglio la difesa tecnica e l'autodifesa  -  ora  non  si
puo' pretendere che essa si ripercuota negativamente sulla  posizione
del  soggetto  accusato,  facendo  corrispondere  ad  essa  anche  la
sospensione del corso della prescrizione. 
    E poi, non si puo' trascurare  la  rilevanza  costituzionale  del
diritto all'oblio, da cui discende che lo Stato  persegua  e  punisca
reati entro tempi certi e predefiniti, non modificabili  ad  libitum,
dovendo  piuttosto  essere  ancorati  al   dies   commessi   delicti.
L'introdotta  ipotesi  di  sospensione  della  prescrizione  annienta
invece tale garanzia, negando  all'imputato  il  diritto  di  riporre
fiducia sul fatto che "trascorso  del  tempo  dalla  commissione  del
fatto, si attenuino le esigenze di  punizione  e  maturi  un  diritto
all'oblio in capo all'autore di esso" (cosi ord. C. Cost.  n.  24/17;
v. pure C. Cost. n. 143/14 secondo cui "la prescrizione  costituisce,
nell'attuale configurazione, un istituto di  natura  sostanziale  (ex
plurimis, sentenze n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006), la  cui  ratio
si collega preminentemente, da un lato,  all'«interesse  generale  di
non piu' perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo  decorso
dopo la loro commissione  abbia  fatto  venir  meno,  o  notevolmente
attenuato [...] l'allarme della coscienza comune»  (sentenze  n.  393
del 2006 e n. 202 del 1971, ordinanza n. 337 del  1999);  dall'altro,
«al "diritto all'oblio" dei cittadini, quando il reato non sia  cosi'
grave da escludere tale tutela»"). 
    Per tutte le sopra enunciate ragioni, ad avviso di questo giudice
sussiste dunque contrasto tra l'art. 83,  comma  4  d.l.  n.  18/2020
(convertito in legge n. 27/2020, come modificato dall'art. 36 d.l.  8
aprile 2020, n. 23) e gli artt. 25  co.  2  e  117  co. 1  Cost.,  in
relazione all'art. 7 C.E.D.U. 
    Pertanto, presuppostane la rilevanza per l'odierno  procedimento,
deve sollevarsi  questione  di  legittimita'  costituzionale  che  si
ritiene non manifestamente infondata.