ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio per conflitto  di  attribuzione  tra  enti  sorto  a
seguito della deliberazione del  Consiglio  regionale  della  Regione
Lazio 2 agosto 2019, n. 5, promosso dal Presidente del Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 10-20 aprile 2020,  depositato  in
cancelleria il  17  aprile  2020,  iscritto  al  n.  2  del  registro
conflitti tra enti 2020 e pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  21  ottobre  2020  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto
per la Regione Lazio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 10-20 aprile 2020 e  depositato  il
17  aprile  2020,  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso conflitto di attribuzione nei confronti della Regione  Lazio
al  fine  di  ottenere  la  sospensiva  e  l'annullamento  -   previa
declaratoria di non spettanza alla Regione - della deliberazione  del
Consiglio regionale della Regione Lazio 2 agosto 2019,  n.  5  (Piano
territoriale paesistico regionale -  PTPR)  e  «di  ogni  altro  atto
comunque connesso, presupposto e attuativo, ivi compresa la  nota  in
data 20 febbraio 2020 della Regione Lazio - Direzione  regionale  per
le politiche abitative e la pianificazione territoriale, paesistica e
urbanistica», per violazione del principio di  leale  collaborazione,
degli  artt.  9,  117,  secondo  comma,  lettera  s),  e  118   della
Costituzione e delle seguenti norme interposte: artt. 133, 135, comma
1, 143, comma 2, 145, commi 3 e  5,  e  156,  comma  3,  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
    Con  l'impugnata   deliberazione,   pubblicata   nel   Bollettino
Ufficiale della Regione Lazio 13 febbraio 2020,  n.  13,  sono  stati
approvati gli elaborati descrittivi e prescrittivi che compongono  il
piano territoriale paesistico regionale (da ora in avanti: PTPR). 
    Prima   di   ricostruire   le   vicende   che   hanno   preceduto
l'approvazione del piano, il ricorrente sottolinea che lo  stesso  e'
stato approvato unilateralmente dalla Regione,  in  violazione  degli
impegni assunti nei confronti del Ministero per i beni e le attivita'
culturali e per il turismo (da ora in avanti: MiBACT) ai sensi  degli
artt. 133, 135, comma 1, 143, comma 2, 145, commi 3 e 5, e 156, comma
3, del d.lgs. n. 42 del 2004. Inoltre, il PTPR sarebbe «improntato  a
un  generale  abbassamento  del  livello  della  tutela  dei   valori
paesaggistici»,   con   la   conseguente   «lesione   di    interessi
costituzionali primari», ai sensi dell'art. 9 Cost. 
    1.1.- In punto di fatto, la difesa statale ricorda che, ai  sensi
dell'art. 19 della legge della Regione Lazio 6  luglio  1998,  n.  24
(Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree  sottoposti
a vincolo paesistico), sono stati «a suo tempo»  approvati,  mediante
deliberazioni della Giunta regionale, i piani territoriali paesistici
(da ora in  avanti:  PTP),  aggiungendo  che,  il  9  febbraio  1999,
l'allora Ministero per i beni e le attivita'  culturali,  la  Regione
Lazio e l'Universita' di Roma Tre avevano sottoscritto un accordo  di
collaborazione per la redazione del PTPR. 
    Il ricorrente rammenta, altresi', che  nel  2004  e'  entrato  in
vigore il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che ha  innovato
la disciplina statale in  materia  di  pianificazione  paesaggistica,
introducendo,  tra  l'altro,  il   principio   della   pianificazione
congiunta dei beni paesaggistici tra  Stato  e  Regione  (artt.  135,
comma 1, 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, nel
testo risultante  a  seguito  delle  modifiche  operate  dal  decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 157, recante  «Disposizioni  correttive
ed integrative al decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.  42,  in
relazione al paesaggio», e dal decreto legislativo 26 marzo 2008,  n.
63, recante «Ulteriori  disposizioni  integrative  e  correttive  del
decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  in  relazione   al
paesaggio»). 
    Dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 ma prima delle
modifiche operate dal d.lgs. n. 63 del  2008,  la  Regione  Lazio  ha
adottato il proprio PTPR con la deliberazione della Giunta 25  luglio
2007, n. 556, successivamente modificata, integrata e rettificata con
la deliberazione della stessa Giunta 21 dicembre 2007, n.  1025.  Con
l'adozione del PTPR si e' provveduto alla verifica e  all'adeguamento
dei PTP vigenti, destinati a essere sostituiti  dal  PTPR  a  seguito
della sua definitiva approvazione, con l'unica esclusione del PTP  di
Roma,  ambito  15/12  «Valle  della  Caffarella,   Appia   Antica   e
Acquedotti». 
    Le delibere di  adozione  del  PTPR  sono  state  pubblicate  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lazio  14  febbraio  2008,  n.  6,
supplemento ordinario n. 14, oltre che negli albi pretori dei  Comuni
e  delle  Province.  A  partire  dal  giorno  successivo   alla   sua
pubblicazione il PTPR «ha  assunto  quindi  efficacia  in  regime  di
salvaguardia». 
    Il ricorrente riferisce  che,  dopo  la  pubblicazione  del  PTPR
adottato, e' stata avviata l'attivita' di  co-pianificazione  con  il
Ministero al fine di addivenire a un'intesa  con  quest'ultimo  prima
dell'approvazione  finale  del  piano.   Questa   attivita'   si   e'
concretizzata in un Protocollo d'intesa  sottoscritto  l'11  dicembre
2013 e nella redazione di un apposito  verbale  di  condivisione  dei
contenuti del piano, il 16 dicembre 2015.  Con  questo  verbale  sono
state  concordate  tra  Regione  e  Ministero  le  modifiche   e   le
integrazioni da apportare in sede di approvazione del  piano  e  sono
state definite le norme di piano, incluse in un allegato al  verbale.
L'allegato in parola e' stato, a sua volta, oggetto di  una  proposta
di delibera consiliare 10 marzo 2016, n. 60,  adottata  dalla  Giunta
regionale con decisione 8 marzo 2016, n. 6. 
    Tale proposta non e' stata, pero', mai  approvata  dal  Consiglio
regionale. 
    A questo punto, la difesa statale stigmatizza  il  fatto  che  il
Consiglio  regionale,  contraddicendo  il  percorso  di  condivisione
svolto fino al 2016, abbia, con la  citata  deliberazione  n.  5  del
2019, oggetto dell'odierno conflitto, approvato  unilateralmente  «un
"proprio" PTPR, diverso sia dal  piano  adottato  nel  2007  sia  dai
contenuti concordati nel verbale del  2015,  oltre  che  notevolmente
peggiorativo dei  livelli  della  tutela  rispetto  a  entrambe  tali
versioni, rinviando a un momento successivo l'adeguamento  del  piano
d'intesa con lo Stato».  In  particolare,  il  ricorrente  rileva  il
contrasto  con  la  disciplina  della  pianificazione   paesaggistica
contenuta nel Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  «la  quale
richiede che la fase di co-decisione  con  lo  Stato  si  collochi  a
monte, e non a valle, del piano paesaggistico». 
    L'Avvocatura   generale    riferisce,    altresi',    che    dopo
l'approvazione della  deliberazione  impugnata,  «per  l'intanto  non
pubblicata nel BUR», e' stata  riavviata  la  collaborazione  tra  il
MiBACT e la Regione per  addivenire  al  definitivo  adeguamento  del
PTPR. Si e' cosi' giunti alla redazione di un nuovo testo delle norme
di piano, «emendato delle novelle aggiunte in via  unilaterale  dalla
regione», che  e'  stato  oggetto  della  proposta  di  deliberazione
consiliare 17 febbraio 2020, n. 42, adottata dalla  Giunta  regionale
con deliberazione 13 febbraio 2020, n. 50.  In  questa  stessa  data,
tuttavia, veniva pubblicata nel Bollettino  Ufficiale  della  Regione
Lazio la citata deliberazione del Consiglio regionale n. 5 del 2019. 
    1.2.- Nel merito delle censure denunciate, il ricorrente  lamenta
la violazione degli artt. 9, 117, secondo comma, lettera  s),  e  118
Cost. e delle norme interposte  individuate  negli  artt.  133,  135,
comma 1, 143, comma 2, 145, commi 3 e 5, e 156, comma 3,  del  d.lgs.
n. 42 del 2004. 
    In particolare, il PTPR  sarebbe  stato  approvato  al  di  fuori
dell'accordo con l'amministrazione statale competente, in  violazione
del   principio   di   co-pianificazione   obbligatoria   dei    beni
paesaggistici, previsto dalle citate norme  interposte;  inoltre,  la
Regione avrebbe disatteso «i contenuti gia' da tempo condivisi con il
MiBACT»,  con  conseguente  violazione   del   principio   di   leale
collaborazione. 
    La difesa statale passa, poi, a  illustrare  le  ragioni  per  le
quali  non  spettava  al  Consiglio  regionale  l'approvazione  della
deliberazione n. 5 del 2019,  sottolineando  che,  qualora  il  piano
paesaggistico abbia a oggetto o  comunque  interessi  aree  vincolate
come beni paesaggistici, ai sensi degli artt. 136 e 142 del d.lgs. n.
42 del 2004, all'elaborazione di questa sua  parte  deve  concorrere,
insieme alla Regione interessata, il Ministero (e' citato l'art. 135,
comma 1), secondo il canone  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e
Regioni. Questo principio dovrebbe condurre a un  coinvolgimento  del
citato Ministero  nell'elaborazione  complessiva  del  piano,  quindi
anche in relazione ad ambiti non vincolati. 
    Quello appena descritto costituirebbe «[i]l punto  di  equilibrio
dei  poteri  statali  e  regionali  nella  materia  della  tutela   e
valorizzazione  del  paesaggio»  e  risulterebbe  rispondente  a   un
fondamentale principio cui sarebbe ispirato  l'intero  sistema  della
tutela  del  paesaggio,  consistente  «nella  co-decisione  e   nella
compartecipazione necessarie tra Stato e regione» nelle tre «fasi  in
cui   si   articola   la   tutela   paesaggistica    (individuazione,
pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli)». 
    La ratio della previsione dell'obbligatoria co-pianificazione per
i beni paesaggistici risiederebbe «nella necessita' di evitare che il
Piano territoriale regionale, atto fondamentale  che  rappresenta  la
Costituzione del territorio, possa essere esposto a  continue,  anche
radicali, rivisitazioni con il succedersi  degli  organi  regionali».
Esso,  piuttosto,  si  porrebbe  «in  una  dimensione  temporale   di
stabilita' e di  lungo  periodo,  incompatibile  con  le  unilaterali
scelte dei soli Organi regionali, poiche' esprime le scelte di  fondo
della pianificazione  futura  del  territorio».  Per  queste  ragioni
sarebbero  previste,  per  la  sua  approvazione   e   per   la   sua
modificazione,  «procedure   non   ordinarie,   ma   "rinforzate"   e
aggravate», tali da consentire  «una  piu'  approfondita  e  meditata
valutazione» e «una piu' ampia condivisione». 
    Nel senso della necessaria co-decisione statale deporrebbe  anche
la peculiare natura dei beni paesaggistici, le cui esigenze di tutela
trascenderebbero l'ambito territoriale regionale,  «per  assurgere  a
una dimensione sicuramente nazionale». 
    Il principio della pianificazione congiunta della Regione con  il
Ministero competente  avrebbe  trovato  esplicito  riconoscimento  in
numerose  pronunce  di  questa  Corte,  che,  tra  l'altro,   avrebbe
individuato nell'art. 135 del  d.lgs.  n.  42  del  2004  un  obbligo
inderogabile di elaborazione congiunta del piano paesaggistico. 
    Inoltre,  il  principio  di  co-decisione  paritetica  necessaria
Stato-Regione,  espressione  dei  principi  di   adeguatezza   e   di
differenziazione  enunciati  all'art.  118  Cost.,  costituirebbe  un
«contrappeso»  al  principio  di  sussidiarieta'  verticale,  con  la
conseguenza  che  l'adozione  di   una   decisione   unilaterale   si
tradurrebbe in una violazione del parametro costituzionale citato. 
    1.3.-  Il  ricorrente  lamenta,  altresi',  la   violazione   del
principio di  leale  collaborazione,  derivante  dalla  scelta  della
Regione Lazio di assumere iniziative unilaterali, al di  fuori  degli
accordi raggiunti con lo Stato. 
    La deliberazione impugnata comporterebbe, inoltre,  «una  lesione
diretta dei valori paesaggistici tutelati», consistente in «una grave
diminuzione del livello  di  tutela».  Al  fine  di  dimostrare  tale
abbassamento  del  livello  di  tutela,  la  difesa  statale  pone  a
confronto il testo di alcune norme del piano concordato nel 2015  con
quello delle corrispondenti norme contenute nel PTPR approvato con la
deliberazione n. 5 del 2019,  sottolineando  come  queste  ultime  si
pongano in contrasto con le norme interposte sopra indicate. 
    In particolare: 
    - l'art. 14 della deliberazione impugnata  introdurrebbe  ipotesi
di interventi  in  deroga  sul  patrimonio  edilizio  che  non  erano
presenti nel testo del 2015; 
    - l'art. 16 eliminerebbe l'esame congiunto Stato-Regione  per  le
procedure  di  adeguamento  delle  perimetrazioni   del   PTPR,   «in
violazione manifesta del Codice di settore»; 
    - l'art. 34  prevedrebbe,  nelle  fasce  costiere  marittime,  la
possibilita' di realizzare strutture balneari e  strutture  recettive
all'aria aperta «in tutti i tipi  di  paesaggio»,  anziche'  solo  in
quelli diversi dai paesaggi particolarmente vulnerabili o di pregio; 
    -  l'art.  35  prevedrebbe,  nelle  fasce  costiere  lacuali,  la
possibilita' di realizzare strutture connesse alle attivita' balneari
senza la previsione di una «clausola di  esclusione  per  i  paesaggi
vulnerabili, quali i paesaggi naturali, naturali agrari e  agrari  di
rilevante valore»; 
    - l'art. 37 amplierebbe, con riferimento agli  impianti  sportivi
esistenti in siti montani sopra quota 1.200  metri  sul  livello  del
mare, la categoria degli interventi consentiti; 
    -  l'art.  38  introdurrebbe  la   prevalenza   degli   strumenti
pianificatori delle aree protette rispetto  al  piano  paesaggistico,
con conseguente violazione degli artt. 143, comma 3, e 145 del d.lgs.
n. 42 del 2004; 
    - l'art. 44 ridurrebbe la fascia di rispetto per gli insediamenti
urbani storici, entro la quale ogni  modificazione  dello  stato  dei
luoghi   e'   sottoposta   ad   autorizzazione   paesaggistica,    ed
eliminerebbe,  per  il  centro  storico  di  Roma,   le   «specifiche
prescrizioni di tutela da  definirsi  congiuntamente  tra  Regione  e
Ministero»; 
    - l'art. 52 amplierebbe le categorie  di  interventi  ammissibili
nell'ambito di aziende agricole situate in aree vincolate; 
    - l'art. 55 sopprimerebbe la procedura  di  concerto  (introdotta
nel testo del 2015) tra Ministero e  Regione  per  l'espressione  del
parere paesaggistico sui piani urbanistici attuativi, con conseguente
violazione dell'art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004; 
    -  l'art.  62  eliminerebbe  il  riferimento  alla  funzione   di
indirizzo del piano per la parte del territorio  non  interessata  da
vincoli,  per  la  pianificazione  territoriale  e  di  settore,   in
violazione dell'art. 145 del d.lgs. n. 42 del 2004; 
    - l'art. 63 farebbe salve le previsioni di una serie di strumenti
urbanistici generali e attuativi, individuati in base alla data della
loro approvazione, ponendosi in contrasto con gli artt. 143, comma 9,
e 145, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004; 
    - l'art. 64 introdurrebbe una disciplina transitoria anche per  i
procedimenti relativi alle varianti urbanistiche adottate prima della
pubblicazione della delibera di approvazione del PTPR; 
    - l'art. 65 disciplinerebbe  il  procedimento  di  adeguamento  e
conformazione  degli  strumenti  urbanistici  comunali  al  PTPR   in
difformita' rispetto a quanto previsto nel testo del 2015 e nei commi
4 e 5 dell'art. 145 del  d.lgs.  n.  42  del  2004;  in  particolare,
prevedrebbe  tale  adeguamento  entro  tre  anni,  anziche'  due,  ed
escluderebbe la partecipazione del Ministero dal procedimento; 
    -  l'art.  66,  analogamente  al  precedente,   escluderebbe   la
partecipazione del Ministero dal procedimento  di  adeguamento  degli
strumenti di pianificazione territoriale di  settore,  in  violazione
dell'art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Se quelli anzidetti sono «i principali profili di  illegittimita'
del PTPR», il ricorrente non manca di indicare «gli ulteriori profili
di criticita' delle Norme di Piano ormai entrate in vigore», mettendo
in evidenza, in particolare, quanto segue: 
    - nell'art. 1 mancherebbe il riferimento alla redazione del piano
in regime di co-pianificazione con il Ministero; 
    - l'art. 2 introdurrebbe ulteriori forme di  semplificazione  non
previste nel d.lgs. n. 42 del 2004; 
    - l'art. 3 sopprimerebbe «tutti gli apparati  conoscitivi,  quali
gli Allegati alle Norme e tutti i Repertori allegati alle Tavole B  e
C e quelli relativi ai beni del  patrimonio  naturale  e  culturale»,
previsti nel testo del 2015 al fine di «guidare»  l'attuazione  delle
sue previsioni; 
    - l'art. 4  attribuirebbe  esclusivamente  agli  enti  locali  la
competenza per l'integrazione dei beni indicati nelle Tavole C  o  di
ulteriori categorie di beni; 
    - l'art. 10 amplierebbe le forme di semplificazione  procedurale,
prevedendo la possibilita' di realizzare interventi in  mancanza  del
titolo paesaggistico di cui all'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004; 
    -  l'art.  15  prevedrebbe  che  in  determinate   porzioni   del
territorio possono essere  autorizzati  interventi  di  ricostruzione
anche con variazione di sagoma, in deroga alle norme del PTPR, previo
parere del Ministero. 
    1.4.- Dopo aver individuato i singoli profili di illegittimita' o
comunque di «criticita'» delle norme del piano, la difesa statale da'
atto  che  nel  sito  istituzionale  della  Regione  Lazio  e'  stata
pubblicata la proposta di deliberazione consiliare 17 febbraio  2020,
n. 42, adottata  dalla  Giunta  regionale  con  la  deliberazione  13
febbraio 2020, n. 50. 
    Questa proposta - sempre a detta del ricorrente - fa proprio,  ai
fini dell'accordo di cui agli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del
d.lgs. n. 42 del 2004, il documento  «02.01  -  Norme  PTPR  -  Testo
proposto  per  l'accordo  Regione/MiBACT»,  che  dovrebbe  sostituire
integralmente le norme del PTPR approvate con la deliberazione  n.  5
del 2019. 
    Cio'   nondimeno,   la   difesa   statale   precisa   che   «solo
l'approvazione della delibera proposta  dalla  Giunta  da  parte  del
Consiglio regionale del Lazio e la  sua  piena  efficacia  a  seguito
della pubblicazione  potranno  determinare  l'effettiva  sostituzione
delle Norme del PTPR approvato e ormai in vigore, e quindi  risolvere
le criticita' rilevate». Pertanto, in  assenza  di  questi  ulteriori
adempimenti e in ragione dell'avvenuta pubblicazione  della  delibera
n. 5 del  2019,  si  imporrebbe  la  proposizione  del  conflitto  di
attribuzione innanzi alla Corte costituzionale. 
    Sussisterebbe,  quindi,  un  interesse  concreto  e  attuale   al
ricorso, che mira  sia  «alla  difesa  dell'ambito  delle  competenze
statali, indebitamente invase dall'atto regionale», sia  «a  impedire
effetti lesivi nei confronti dei beni paesaggistici protetti». 
    1.5.-  Da  ultimo,  il  ricorrente  propone  istanza  di   tutela
cautelare in considerazione del fatto che la Regione  Lazio  ha  gia'
dato esecuzione alla deliberazione impugnata emanando  una  direttiva
(nota del 20 febbraio 2020, prot. 0153503) con la quale  e'  regolata
l'applicazione delle disposizioni  contenute  nel  nuovo  piano  alle
domande pendenti e a quelle presentate dopo la sua pubblicazione. 
    Sul punto la difesa statale - dopo aver messo in evidenza che  la
nota fa riferimento alla  necessita'  che  «la  regolamentazione  dei
procedimenti pendenti» trovi «riscontro  e  condivisione  in  codesto
Ministero per i Beni e le Attivita' culturali e  per  il  Turismo»  -
sottolinea «il gravissimo e  irreparabile  danno»  che  discenderebbe
dall'esecuzione  della   deliberazione   impugnata   e   afferma   la
sussistenza del fumus boni iuris  per  le  ragioni  sopra  riassunte,
poste a fondamento del ricorso. 
    2.- La Regione Lazio si e' costituita in giudizio  chiedendo  che
il ricorso per conflitto sia dichiarato inammissibile o infondato  e,
in subordine, che l'accoglimento sia limitato alle sole  disposizioni
del piano ritenute concretamente  lesive  degli  artt.  117,  secondo
comma, lettera s), e 118 Cost. 
    2.1.- In punto di ammissibilita', la resistente sostiene  che  il
ricorrente sia incorso in «una sorta di aberratio ictus»,  nel  senso
che, anziche' impugnare i commi dei 14  articoli  del  PTPR  indicati
nell'atto introduttivo del giudizio,  avrebbe,  «in  modo  del  tutto
irragionevole e sproporzionato», impugnato  l'intero  piano.  Con  la
conseguenza che, in  caso  di  accoglimento  del  ricorso,  sarebbero
consentiti, ai sensi dell'art. 21 della legge reg. Lazio  n.  24  del
1998, i soli «interventi di ordinaria e  straordinaria  manutenzione,
risanamento, recupero statico ed igienico e  restauro  conservativo».
Tale esito risulterebbe particolarmente grave anche  in  ragione  del
«momento di grande necessita' di rilancio per  tutto  il  Paese»;  di
conseguenza,  la  difesa  regionale  rimette  a  questa   Corte   «la
valutazione circa le misure processuali piu'  opportune  da  adottare
onde   eventualmente   scongiurare   le   gravi   conseguenze   sopra
rappresentate». 
    2.2.- Nel merito la difesa regionale sostiene, innanzitutto,  che
i motivi di ricorso sono infondati per la ragione  che  nel  caso  in
esame troverebbe applicazione l'art. 156 del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    In particolare, a fronte  di  un'«indiscriminata»  evocazione  di
norme del citato decreto, «invero completamente diverse tra  loro»  e
relative  a  «fattispecie  distinte  e  che  necessitano  di   essere
opportunamente differenziate», il ricorrente avrebbe riservato scarsa
considerazione all'art. 156, che regola specificamente la verifica  e
l'adeguamento di piani gia' esistenti alla data di entrata in  vigore
del d.lgs. n. 42 del 2004. In relazione a  questi  piani  le  regioni
sono chiamate a verificare la conformita' con le disposizioni di  cui
all'art. 143, eventualmente provvedendo ai necessari adeguamenti. 
    L'art. 156 - aggiunge la resistente - «non impone  alcun  obbligo
di co-pianificazione, limitandosi  a  prevedere  la  possibilita'  di
un'azione   condivisa   e   contemplando    altresi'    espressamente
l'eventualita' della totale assenza di un'intesa» (commi 3 e 4).  Per
quest'ultima ipotesi, l'art. 156, comma 4, si limiterebbe a escludere
l'applicazione  delle  misure  di  semplificazione  del  procedimento
autorizzatorio previste dall'art. 143, commi 3 e 4, del d.lgs. n.  42
del 2004. 
    A sostegno dell'applicabilita' al caso in esame dell'art. 156  la
difesa regionale adduce l'esistenza  nella  Regione  Lazio,  gia'  al
momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, di  27  PTP
approvati definitivamente e di altri due,  al  momento  dell'adozione
del PTPR del 2007. Pertanto,  il  PTPR  oggetto  della  deliberazione
impugnata non costituirebbe un nuovo piano ai sensi dell'art. 143, ma
rappresenterebbe piuttosto  l'«adeguamento  alle  nuove  disposizioni
della possente opera di pianificazione  e  disciplina  del  paesaggio
gia' svolta dalla Regione Lazio precedentemente all'entrata in vigore
del Codice, cosi' come richiesto dall'art. 156». 
    In definitiva, con il PTPR censurato la Regione avrebbe proceduto
all'unificazione e all'omogeneizzazione dei preesistenti 29 PTP in un
unico piano esteso all'intero territorio regionale,  fatta  eccezione
per il PTP di Roma,  ambito  15/12  «Valle  della  Caffarella,  Appia
Antica e  Acquedotti».  Cio'  sarebbe  particolarmente  evidente  con
specifico riferimento alla  definizione  e  all'individuazione  degli
ambiti  di  paesaggio,  che  costituirebbero   il   risultato   della
commutazione delle classificazioni per livelli di tutela previste dai
PTP  nei  sistemi  di  paesaggio  del  PTPR,  come  confermato  dalla
sovrapposizione delle rispettive perimetrazioni. 
    La ricostruzione offerta  dalla  resistente  troverebbe  sostegno
anche nell'analisi diacronica della  normativa  statale  in  tema  di
approvazione dei piani paesaggistici, la cui evoluzione ha  visto  il
passaggio da un regime di competenza esclusiva regionale  all'attuale
disciplina di co-pianificazione obbligatoria. 
    Dall'analisi di questa  evoluzione  la  difesa  regionale  deduce
l'esistenza, in tutte le versioni dell'art. 156 succedutesi dal  2004
a oggi, di «un'apposita disciplina differenziata  relativa  ai  piani
esistenti, i quali sono stati elaborati e approvati sotto l'esclusiva
egida regionale», a differenza di quanto previsto, invece,  dall'art.
143. 
    2.3.- La resistente sostiene, altresi', l'infondatezza dei motivi
di ricorso in ragione dell'avvenuta approvazione del piano contestato
con la piena partecipazione ministeriale. In particolare,  la  difesa
regionale  ritiene  che   la   partecipazione   del   Ministero   nel
procedimento  di  approvazione   sia   stata   sempre   integralmente
garantita,  sebbene  «in  presenza  di  un  contesto  normativo  che,
all'origine, neppure la richiedeva».  A  tal  fine,  ricostruisce  la
successione  delle  tappe  che  a  partire  dal  1999  hanno  portato
all'approvazione, dapprima, del PTPR del 2007  e  poi  a  quello  del
2019. 
    La Regione Lazio aggiunge che, anche  volendo  prescindere  dalla
specifica fattispecie di cui all'art.  156,  i  contenuti  del  piano
oggetto di co-pianificazione ai sensi degli artt. 135 e 143, comma 1,
lettere b), c) e  d),  del  d.lgs.  n.  42  del  2004  sono  limitati
all'individuazione e alla disciplina di tutela e di uso dei  seguenti
beni: immobili e aree dichiarate di notevole  interesse  pubblico  ai
sensi dell'art. 136 (cosiddette "bellezze naturali");  aree  tutelate
direttamente dalla legge ai sensi  dell'art.  142  (cosiddette  "zone
Galasso",  come  territori  costieri,  fiumi,  torrenti  e   parchi);
ulteriori immobili e aree di notevole interesse pubblico. 
    Alla luce di  questa  precisazione,  la  resistente  afferma  che
«tutta l'attivita' di perimetrazione, rappresentazione  e  disciplina
d'uso della vincolistica contenuta  nel  PTPR  e'  stata  interamente
oggetto di co-pianificazione» e che, con l'approvazione del PTPR  del
2019, «le ricognizioni, le individuazioni e  le  graficizzazioni  dei
beni sono rimaste immutate». Pertanto le  modifiche  apportate  hanno
riguardato «solamente il testo normativo e sono state  in  ogni  caso
puntuali ed isolate». 
    Ferma restando l'affermazione che non vi sarebbe stata violazione
ne' delle disposizioni del d.lgs. n. 42 del 2004, evocate come  norme
interposte, ne' del verbale  di  condivisione  del  2015,  la  difesa
regionale sottolinea come  quest'ultimo  non  possieda  alcuno  degli
elementi, formali o sostanziali, necessari per integrare gli  estremi
di un accordo. Si tratterebbe, piuttosto, di «un mero verbale, per di
piu' di massima, di un'attivita' svolta, i  cui  contenuti  non  sono
tuttavia rigidamente determinati». Lo  confermerebbero  l'assenza  di
allegati  e  la  mancanza  in  esso  di  qualsiasi  riferimento  alla
necessita' dell'accordo come passaggio ulteriore  per  l'approvazione
del piano. 
    Piu'  in  generale,  la  Regione  contesta  che   la   necessaria
co-pianificazione possa tradursi «nel consenso  da  trovare  su  ogni
singolo, minimo dettaglio di un  piano  di  ampiezza  pari  a  quello
regolativo del paesaggio di un'intera regione»,  dovendosi  piuttosto
intendere in un senso «piu' equilibrato»,  cioe'  come  «condivisione
reciproca sull'impostazione, i caratteri,  le  linee  generali  e  le
finalita' del Piano». 
    Al  contrario,  seguendo  l'impostazione   del   ricorrente,   la
decisione congiunta consisterebbe in «un  passivo  adeguamento  della
Regione a  disposizioni  autoritative  statali,  con  il  conseguente
svuotamento  di  qualsivoglia  competenza   regionale,   politica   o
amministrativa». 
    2.4.- Quanto alla lamentata violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, la resistente  sottolinea,  preliminarmente,  che  il
Ministero non ha mai provveduto a individuare le  linee  fondamentali
dell'assetto del territorio nazionale come prescritto dall'art.  145,
comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    Tale  inadempienza   non   sarebbe   irrilevante   nel   contesto
dell'approvazione dei piani paesaggistici, in quanto quest'ultima «e'
avvenuta ed avviene senza un effettivo indirizzo che  renda  coerente
sull'intero territorio nazionale  l'azione  della  tutela  prescritta
dalla Costituzione». Di conseguenza,  il  Ministero,  in  assenza  di
questi indirizzi, opera rispetto ai piani paesaggistici delle regioni
«caso per caso, attingendo ad una  discrezionalita'  insondabile,  in
forma  disomogenea  e  contrastante  da   regione   a   regione   con
considerevoli  divari  sull'applicazione  della  tutela».   Cio'   si
tradurrebbe in una lesione del principio di leale collaborazione  tra
enti paritetici. 
    Del tutto infondata sarebbe, poi, la censura relativa al presunto
abbassamento dei livelli di tutela operato dal PTPR. Al riguardo,  la
resistente precisa che oltre il 70 per  cento  del  territorio  della
Regione Lazio e' sottoposto a vincolo  paesaggistico,  e  cio'  anche
perche' la stessa Regione, per mezzo del piano, ha  individuato  beni
paesaggistici ulteriori (art. 143, comma 1, lettera d, del d.lgs.  n.
42 del 2004) rispetto a quelli individuati con decreto o tutelati per
legge. 
    La difesa regionale ricorda, altresi',  che,  a  eccezione  della
Sardegna, solo il Lazio «ha effettuato con il PTPR la classificazione
dei livelli di tutela del paesaggio sull'intero territorio, vincolato
e non vincolato sotto il profilo paesaggistico, creando una capillare
zonizzazione paesistica del territorio laziale». 
    Quanto alle censure rivolte alle  singole  norme  del  piano,  la
resistente osserva quanto segue: 
    - il comma 4 dell'art. 14 sarebbe stato oggetto  di  consenso  da
parte del Ministero, mentre il comma 6 non introdurrebbe alcuna nuova
o diversa deroga; 
    - la fattispecie prevista all'art. 16 concernerebbe la  rettifica
del  PTPR  al  fine  di  correggere  un  mero  errore  materiale;  si
tratterebbe quindi di  un  adeguamento  alle  risultanze  di  atti  o
elementi oggettivi  che  riguardano  l'esistenza  ed  estensione  del
vincolo e non di un'attivita' valutativa; 
    - in  merito  all'art.  34,  l'eliminazione  dell'esclusione  dei
paesaggi naturali, naturali  agrari  e  agrari  di  rilevante  valore
sarebbe  giustificata  dall'esigenza  di  consentire   le   strutture
balneari e  ricettive  all'aria  aperta,  «le  quali  invariabilmente
sorgono in tali paesaggi»;  in  ogni  caso,  la  loro  localizzazione
sarebbe   comunque   oggetto   di   preventiva   valutazione,   anche
paesaggistica, in sede di approvazione degli strumenti urbanistici; 
    - per l'art. 35, comma 6,  varrebbero  le  stesse  considerazioni
svolte in relazione all'art. 34; 
    - l'art. 37, comma 3, non avrebbe portata innovativa; 
    - l'art.  38,  comma  8,  non  prevedrebbe  la  prevalenza  della
disciplina dei piani di assetto approvati dalla Regione rispetto alle
norme paesaggistiche; sarebbe, infatti,  espressamente  richiesta  la
conformita'  al   piano   paesaggistico,   essendo   rimandato   solo
l'adeguamento; 
    - quanto all'art. 44, per  un  verso  (comma  4),  la  fascia  di
rispetto per l'insediamento urbano storico non sarebbe  prevista  dal
d.lgs. n. 42 del 2004, sicche' la Regione ben potrebbe  determinarla;
per altro verso (comma 19), siffatta normativa non  riguarderebbe  il
centro storico di Roma, in quanto rientrante nei siti Unesco; 
    - la censura dell'art. 52 sarebbe inconferente poiche'  la  norma
in questione non comporterebbe deroghe alla disciplina paesaggistica; 
    - quanto all'art. 55, il parere paesaggistico sui piani attuativi
sarebbe di competenza regionale, in quanto oggetto del  trasferimento
delle funzioni amministrative disposto dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n.
8 (Trasferimento alle Regioni  a  statuto  ordinario  delle  funzioni
amministrative statali in materia di  urbanistica  e  di  viabilita',
acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale  e  dei  relativi
personali ed uffici); 
    - in merito all'art. 62, la  soppressione  del  riferimento  alla
natura propositiva e di indirizzo del PTPR per la parte di territorio
non interessata da vincoli non comporterebbe  alcuna  illegittimita',
in quanto tale funzione sarebbe  comunque  attribuita  al  piano  dal
d.lgs. n. 42 del 2004; 
    - le norme di salvaguardia di cui all'art. 63 sarebbero  conformi
a quanto gia' disciplinato  dal  PTPR,  in  quanto  quest'ultimo  non
avrebbe modificato sostanzialmente la disciplina di tutela; 
    - la previsione dell'art. 64, comma 2, - secondo cui le  varianti
che interessano le aree di  scarso  pregio  artistico,  approvate  ai
sensi dell'art. 63 del PTPR adottato e  non  concluse  alla  data  di
pubblicazione del PTPR  approvato,  proseguono  il  loro  iter  -  si
presenterebbe «opportuna» in quanto l'avvio di tali  procedimenti  ha
comportato  un   rinvio   espresso   proprio   al   procedimento   di
concertazione, previsto dall'art. 63 delle norme del PTPR adottato; 
    - infine, gli artt. 65 e 66 recherebbero previsioni coerenti  con
quanto previsto dall'art. 27, comma 1, della legge reg. Lazio  n.  24
del 1998; in ogni caso, esse sarebbero inoperanti in quanto dall'art.
145, comma 5, del d.lgs.  n.  42  del  2004  si  desumerebbe  che  il
procedimento  di  conformazione   degli   strumenti   urbanistici   o
territoriali alla pianificazione paesaggistica deve essere previsto a
livello normativo, quindi con legge regionale. 
    In conclusione, la resistente  ritiene  che,  «se  non  tutte  le
singole censure, almeno la maggior  parte  di  esse,  possano  essere
facilmente respinte». In ogni caso, sarebbe evidente che  le  censure
sostanziali non coinvolgono l'intero piano ma solo un numero limitato
di disposizioni. Per questa ragione la difesa regionale  auspica  che
questa Corte, nella denegata ipotesi in cui il ricorso dovesse essere
accolto,  voglia  limitare  l'accoglimento  alle  sole   disposizioni
effettivamente lesive del d.lgs. n.  42  del  2004,  con  conseguente
dichiarazione di non spettanza solo in  relazione  all'emanazione  di
quelle norme che realmente eccedono dalle competenze regionali. 
    2.5.-   Quanto   alla   richiesta   di   sospensione    cautelare
dell'efficacia del provvedimento impugnato, la resistente ritiene che
la particolare delicatezza  della  questione  renda  auspicabile  una
sollecita fissazione della discussione di merito. 
    3.-  In  prossimita'  della  data  fissata  per   l'udienza,   il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella
quale replica ai rilievi della Regione e insiste nelle  domande  gia'
formulate nel ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso conflitto di
attribuzione nei confronti della Regione Lazio al fine di ottenere la
sospensiva e l'annullamento - previa declaratoria  di  non  spettanza
alla Regione - della  deliberazione  del  Consiglio  regionale  della
Regione Lazio 2 agosto 2019,  n.  5  (Piano  territoriale  paesistico
regionale  -  PTPR)  e  «di  ogni  altro  atto   comunque   connesso,
presupposto e attuativo, ivi compresa la nota  in  data  20  febbraio
2020 della Regione Lazio  -  Direzione  regionale  per  le  politiche
abitative   e   la   pianificazione   territoriale,   paesistica    e
urbanistica», per violazione del principio di leale collaborazione  e
degli  artt.  9,  117,  secondo  comma,  lettera  s),  e  118   della
Costituzione e delle seguenti norme interposte: artt. 133, 135, comma
1, 143, comma 2, 145, commi 3 e  5,  e  156,  comma  3,  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
    Con  l'impugnata   deliberazione,   pubblicata   nel   Bollettino
Ufficiale della Regione Lazio 13 febbraio 2020,  n.  13,  sono  stati
approvati gli elaborati descrittivi e prescrittivi che compongono  il
piano territoriale paesistico regionale (da ora in avanti: PTPR). 
    2.- La difesa regionale eccepisce l'inammissibilita' del  ricorso
per le seguenti ragioni. 
    Innanzitutto, sostiene che il  ricorrente  sia  incorso  in  «una
sorta di aberratio ictus», nel senso che, anziche' impugnare i  commi
dei  14  articoli  del  PTPR  indicati  nell'atto  introduttivo   del
giudizio,   avrebbe,   «in   modo   del   tutto    irragionevole    e
sproporzionato»,  impugnato  l'intero  piano.   Cio'   determinerebbe
conseguenze   particolarmente   rilevanti   poiche',   in   caso   di
accoglimento del ricorso, sarebbero consentiti, ai sensi dell'art. 21
della legge della Regione Lazio 6 luglio 1998, n. 24  (Pianificazione
paesistica e tutela dei  beni  e  delle  aree  sottoposti  a  vincolo
paesistico),  i  soli  «interventi  di  ordinaria   e   straordinaria
manutenzione, risanamento, recupero statico ed  igienico  e  restauro
conservativo». Tale esito risulterebbe particolarmente grave anche in
ragione del «momento di grande necessita' di rilancio  per  tutto  il
Paese»; di conseguenza, la difesa regionale rimette  a  questa  Corte
«la  valutazione  circa  le  misure  processuali  piu'  opportune  da
adottare onde eventualmente scongiurare le  gravi  conseguenze  sopra
rappresentate». 
    In occasione della discussione della causa in udienza, la  stessa
difesa ha prospettato una seconda  ragione  di  inammissibilita',  da
rinvenire  nell'errata  indicazione  dei   parametri   costituzionali
ritenuti violati. In particolare, il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri avrebbe fatto riferimento agli artt. 9, 117, secondo  comma,
lettera s), e 118 Cost. in relazione al  mancato  coinvolgimento  del
Ministero per i beni e le attivita' culturali e per  il  turismo  (da
ora in avanti: MiBACT), mentre avrebbe  richiamato  il  principio  di
leale collaborazione in riferimento  al  lamentato  abbassamento  del
livello di tutela paesaggistica. 
    2.1.- Entrambe queste eccezioni devono essere respinte. 
    Preliminarmente  occorre  ricostruire  i  termini  del  conflitto
proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri. Questi, dopo aver
evidenziato che il PTPR  e'  stato  approvato  unilateralmente  dalla
Regione Lazio senza il necessario coinvolgimento  del  MiBACT,  muove
piu' censure alla deliberazione impugnata. 
    In primo luogo, lamenta la violazione degli artt. 9, 117, secondo
comma, lettera s), e 118 Cost. e delle  norme  interposte  costituite
dagli artt. 133, 135, comma 1, 143, comma 2, 145, commi 3 e 5, e 156,
comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    In secondo luogo, ritiene che sia violato il principio  di  leale
collaborazione. 
    Infine,  sostiene  che  le  censure  mosse  con  il  ricorso  per
conflitto non si esauriscano «nella sola invasione  e  lesione  della
sfera di competenza normativa e amministrativa dello  Stato  e  nella
lesione del principio di leale collaborazione [...] ma si traduc[ano]
anche in una  lesione  diretta  dei  valori  paesaggistici  tutelati,
determinando immediatamente una  grave  diminuzione  del  livello  di
tutela, sia rispetto al piano  adottato  nel  2007  dalla  Regione  e
vigente sin dal 2008  in  regime  di  salvaguardia  sia  rispetto  ai
contenuti convenuti con il MiBACT nel Verbale del 2015 e nell'accordo
del 2020». 
    A tale  fine,  il  ricorrente  illustra  «le  piu'  significative
disposizioni introdotte unilateralmente dalla Regione nel testo delle
Norme del PTPR riferite ai beni paesaggistici». Dopo aver individuato
«i principali profili di illegittimita' del PTPR», la difesa  statale
ritiene  «necessario  segnalare  [...]  gli  ulteriori   profili   di
criticita' delle Norme di Piano ormai entrate in  vigore»,  indicando
al riguardo ulteriori disposizioni contenute nel PTPR. 
    Dalla sommaria esposizione dei termini del conflitto  si  deduce,
innanzitutto, che le censure promosse  non  sono  prospettate  in  un
rapporto  di  subordinazione  tra  loro  e,  inoltre,  che  esse   si
rivolgono, comunque, nei confronti dell'intero piano  e  non  di  sue
singole  norme.  L'indicazione  di  quelli  che  la  difesa   statale
definisce come  «i  principali  profili  di  illegittimita'»  e  «gli
ulteriori profili di criticita'» e' sempre riferita all'intero  PTPR,
essendo  addotti  i  segnalati  profili  quali   indizi   sintomatici
dell'illegittimita' del piano nella sua integralita'. Questa Corte e'
chiamata a stabilire, pertanto, se l'intero  piano  sia  affetto  dai
vizi lamentati dal ricorrente, esulando dal suo sindacato - in quanto
non richiesto dal  ricorrente,  che  pure  avrebbe  potuto  formulare
censure specifiche sulle singole prescrizioni  -  la  verifica  della
legittimita' delle norme del piano  indicate  nell'atto  introduttivo
del conflitto. 
    2.2.- Alla luce di quanto sopra, puo' dunque essere  respinta  la
prima eccezione di inammissibilita', dovendosi escludere sia  che  il
ricorrente volesse impugnare singole previsioni di piano, sia che  le
censure prospettate si riferiscano sostanzialmente a queste ultime  e
non all'intero piano. 
    Sempre in relazione alla prima eccezione di inammissibilita',  si
deve escludere che in  questa  sede  abbiano  rilievo  giuridico  gli
effetti derivanti da un eventuale accoglimento del  conflitto  in  un
«momento [come quello attuale] di grande necessita' di  rilancio  per
tutto il Paese». Ne', per le stesse ragioni, puo' essere  accolto  il
generico invito, formulato dalla medesima difesa,  a  ricorrere  alle
«misure processuali piu' opportune  da  adottare  onde  eventualmente
scongiurare le gravi conseguenze sopra rappresentate», giacche' e' la
legge a stabilire quale sia il regime del territorio fintanto che  il
piano non sia stato approvato. 
    Anche  la  seconda  eccezione  di  inammissibilita'  deve  essere
respinta,  ben  potendosi  cogliere  nella  trama  argomentativa  del
ricorso - come sopra ricostruita - la prospettazione di tre motivi di
censura autonomi, tutti - ma in particolare i primi  due  (violazione
delle  competenze  amministrative  dello  Stato  e   violazione   del
principio di leale collaborazione) - avvinti da una  ratio  unitaria.
Questa Corte ha, infatti, ripetutamente precisato che, nella  materia
in esame, la necessita' di assicurare il pieno  coinvolgimento  degli
organi statali deriva proprio dalla commistione di competenze diverse
di cui sono titolari lo Stato e le regioni  e  dall'esistenza  di  un
interesse unitario alla tutela del paesaggio (ex  plurimis,  sentenze
n. 86 del 2019, n. 178, n. 68 e n. 66 del 2018). L'affermato  obbligo
di ricorrere a procedure  di  leale  collaborazione  deriva,  quindi,
dalla circostanza che si e' in presenza di  un  complesso  quadro  di
competenze  amministrative  (oltre   che   legislative)   statali   e
regionali, le quali devono essere esercitate armonicamente. 
    3.-   Passando   al   merito   del   conflitto,   e'   necessario
preliminarmente  ricostruire  la  normativa   sul   procedimento   di
formazione del PTPR, che e' contenuta nella legge reg.  Lazio  n.  24
del 1998,  e,  in  particolare,  nel  Capo  IV  («Piano  territoriale
paesistico regionale»). 
    Tale legge  regionale  ha  subito  nel  corso  del  tempo  alcune
modifiche, dirette ad adeguarla al mutato quadro  normativo  statale.
La disciplina vigente al momento della sua approvazione ed entrata in
vigore, rappresentata  dal  decreto-legge  27  giugno  1985,  n.  312
(Disposizioni  urgenti  per  la  tutela  delle  zone  di  particolare
interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella  legge  8
agosto 1985, n. 431 (meglio nota  come  "legge  Galasso"),  e'  stata
successivamente abrogata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999,  n.
490 (Testo unico delle disposizioni legislative in  materia  di  beni
culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre
1997, n. 352), a sua volta  abrogato  dal  d.lgs.  n.  42  del  2004,
recante il Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio,  che,  come
successivamente  modificato  e  integrato,  offre  oggi   il   quadro
normativo statale di riferimento. 
    L'art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004,  rubricato  «Pianificazione
paesaggistica», stabilisce, al comma 1, che «[l]o Stato e le  regioni
assicurano che tutto  il  territorio  sia  adeguatamente  conosciuto,
salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori
espressi dai diversi contesti che lo costituiscono»;  che  «[a]  tale
fine  le  regioni  sottopongono  a  specifica  normativa   d'uso   il
territorio    mediante    piani    paesaggistici,    ovvero     piani
urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei  valori
paesaggistici,    entrambi    di    seguito    denominati:     "piani
paesaggistici"»; e  che  «[l]'elaborazione  dei  piani  paesaggistici
avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni
paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e  d),
nelle forme previste dal medesimo articolo 143». 
    A sua volta, l'art. 143, rubricato «Piano paesaggistico», prevede
che «[l]'elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: 
    a)  ricognizione  del  territorio  oggetto   di   pianificazione,
mediante l'analisi delle sue caratteristiche paesaggistiche, impresse
dalla natura, dalla storia e  dalle  loro  interrelazioni,  ai  sensi
degli articoli 131 e 135; 
    b)  ricognizione  degli  immobili  e  delle  aree  dichiarati  di
notevole  interesse  pubblico  ai  sensi  dell'articolo   136,   loro
delimitazione   e   rappresentazione    in    scala    idonea    alla
identificazione, nonche' determinazione delle specifiche prescrizioni
d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1, fatto salvo il  disposto
di cui agli articoli 140, comma 2, e 141-bis; 
    c) ricognizione delle aree di cui al comma 1  dell'articolo  142,
loro  delimitazione  e  rappresentazione   in   scala   idonea   alla
identificazione, nonche' determinazione di prescrizioni d'uso  intese
ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree
e, compatibilmente con essi, la valorizzazione; 
    d) eventuale individuazione di ulteriori  immobili  od  aree,  di
notevole interesse pubblico a termini  dell'articolo  134,  comma  1,
lettera c), loro delimitazione e  rappresentazione  in  scala  idonea
alla  identificazione,  nonche'   determinazione   delle   specifiche
prescrizioni d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1; 
    e) individuazione di eventuali, ulteriori  contesti,  diversi  da
quelli indicati all'articolo 134, da sottoporre a  specifiche  misure
di salvaguardia e di utilizzazione; 
    f) analisi delle dinamiche di trasformazione  del  territorio  ai
fini dell'individuazione dei fattori di rischio e degli  elementi  di
vulnerabilita' del paesaggio, nonche' comparazione con gli altri atti
di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; 
    g) individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione
delle aree significativamente compromesse o degradate e  degli  altri
interventi  di  valorizzazione  compatibili  con  le  esigenze  della
tutela; 
    h)  individuazione  delle  misure  necessarie  per  il   corretto
inserimento,  nel  contesto  paesaggistico,   degli   interventi   di
trasformazione del territorio, al fine  di  realizzare  uno  sviluppo
sostenibile delle aree interessate; 
    i) individuazione dei diversi ambiti e dei relativi obiettivi  di
qualita', a termini dell'articolo 135, comma 3». 
    Tornando alla normativa regionale, l'art.  21  della  legge  reg.
Lazio n. 24 del 1998 (rubricato  «Approvazione  del  P.T.P.R.»),  nel
testo  risultante  a  seguito  di  numerose   modifiche   che   hanno
ripetutamente prorogato l'originario termine per  l'approvazione  del
PTPR, prevede che, «[e]ntro il 14 febbraio 2020, la  Regione  procede
all'approvazione  del  P.T.P.R.  quale   unico   piano   territoriale
paesistico  regionale  redatto  nel  rispetto  dei  criteri  di   cui
all'articolo 22», e che, «[d]ecorso inutilmente tale termine, operano
esclusivamente le norme di tutela di cui al capo  II  e,  nelle  aree
sottoposte     a     vincolo     paesistico     con     provvedimento
dell'amministrazione  competente,  sono   consentiti   esclusivamente
interventi di ordinaria e  straordinaria  manutenzione,  risanamento,
recupero statico ed igienico e restauro conservativo» (comma 1). 
    L'art.  23  della  medesima  legge  (rubricato   «Procedure   per
l'approvazione e la modifica del P.T.P.R.»), nel testo oggi  vigente,
prevede, tra l'altro, che «[l]a  struttura  regionale  competente  in
materia di pianificazione  paesistica  provvede  alla  redazione  del
P.T.P.R., sulla base delle consultazioni con gli enti  locali  e  gli
altri  enti  pubblici  interessati»  (comma  1);  che  «[l]a   Giunta
regionale, con propria deliberazione, adotta il P.T.P.R., ne  dispone
la pubblicazione sul B.U., l'affissione presso  l'albo  pretorio  dei
comuni e delle province della Regione e ne da' notizia sui principali
quotidiani a diffusione regionale. Il P.T.P.R. adottato resta affisso
per tre mesi» (comma 2); che  «[d]urante  il  periodo  di  affissione
chiunque vi abbia interesse puo' presentare osservazioni al P.T.P.R.,
direttamente al comune territorialmente competente»  (comma  3);  che
«[e]ntro  i  successivi  trenta  giorni,  i   comuni   provvedono   a
raccogliere le osservazioni presentate e ad inviarle,  unitamente  ad
una  relazione  istruttoria,  alla  struttura  regionale  competente»
(comma 4); che «[e]ntro  i  successivi  sessanta  giorni  la  Regione
predispone la relazione istruttoria del P.T.P.R., contenente anche le
controdeduzioni alle osservazioni, da sottoporre all'approvazione del
Consiglio  regionale»  (comma  5);  e  che  «[l]a  deliberazione  del
Consiglio regionale di approvazione di cui al comma 5  e'  pubblicata
sul B.U. ed e' affissa presso l'albo  pretorio  dei  comuni  e  delle
province per tre mesi» (comma 6). 
    In base all'art.  23-bis,  «[d]alla  data  di  pubblicazione  del
P.T.P.R. ai sensi dell'articolo 23, comma  2,  non  sono  consentiti,
sugli immobili e nelle  aree  di  cui  all'articolo  134  del  D.Lgs.
42/2004 e successive modifiche, interventi che siano in contrasto con
le prescrizioni di tutela previste nel PTPR adottato». 
    In questa sede ci si puo'  limitare  a  esaminare  i  soli  commi
riportati,  venendo  in  rilievo  unicamente   il   procedimento   di
formazione del PTPR. In estrema sintesi, esso consiste in  una  prima
adozione da parte della Giunta  regionale  cui  segue,  dopo  l'esame
delle eventuali osservazioni e  l'instaurazione  del  contraddittorio
sulle stesse, la deliberazione di approvazione da parte del Consiglio
regionale, anch'essa pubblicata nel BUR. 
    Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri muove  dalla
contestazione del mancato coinvolgimento del MiBACT nel  procedimento
seguito per l'approvazione del PTPR da parte del Consiglio  regionale
del  Lazio,   cui   conseguirebbe   la   violazione   dei   parametri
costituzionali evocati e delle norme interposte recate dal d.lgs.  n.
42 del 2004. Come gia'  visto  sopra,  la  difesa  statale  si  duole
altresi' del  fatto  che,  dopo  l'approvazione  della  deliberazione
impugnata, la Regione abbia coinvolto il Ministero ma che,  allorche'
tale procedimento era giunto a un punto ormai avanzato  (proposta  di
deliberazione consiliare 17 febbraio  2020,  n.  42,  adottata  dalla
Giunta regionale con deliberazione  13  febbraio  2020,  n.  50),  la
Regione abbia unilateralmente approvato il PTPR a suo tempo adottato,
senza tenere conto delle conclusioni  raggiunte  in  accordo  con  il
Ministero, e abbia rinviato a un momento successivo l'approvazione di
quanto  concordato.  In  cio'  si  concretizzerebbe   la   violazione
dell'obbligo di leale collaborazione.  Sostiene,  infine,  la  difesa
statale che il PTPR impugnato  ha  determinato  un  abbassamento  del
livello di tutela dei  beni  paesaggistici,  indicando  14  articoli,
compresi tra le norme  di  piano,  che  presenterebbero  «profili  di
illegittimita'» e 6 ulteriori articoli che  presenterebbero  «profili
di criticita'». 
    4.- Per  meglio  delineare  i  termini  del  conflitto  e'  utile
ripercorrere le vicende che hanno preceduto l'approvazione  del  PTPR
nel  2019.  Le  parti  ne  offrono   una   ricostruzione   pienamente
concordante fino al 2016, ma divergono poi nella lettura di cio'  che
e' accaduto in prossimita' dell'approvazione della deliberazione n. 5
del 2019, oggetto di contestazione da parte dello Stato. 
    Ricorrente e resistente convengono nel ricordare  che,  ai  sensi
dell'art. 19 della citata legge reg. Lazio n. 24 del 1998, sono stati
approvati, mediante deliberazioni della  Giunta  regionale,  i  piani
territoriali paesistici (da ora in avanti: PTP). Inoltre, riferiscono
che, il 9 febbraio 1999, l'allora Ministero per i beni e le attivita'
culturali, la  Regione  Lazio  e  l'Universita'  di  Roma  Tre  hanno
sottoscritto un accordo di collaborazione per la redazione del  nuovo
PTPR. 
    Dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 ma prima delle
modifiche operate dal  decreto  legislativo  26  marzo  2008,  n.  63
(Ulteriori  disposizioni  integrative  e   correttive   del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione  al  paesaggio),  la
Regione Lazio ha adottato il proprio PTPR con la deliberazione  della
Giunta 25 luglio 2007, n. 556, e lo  ha  successivamente  modificato,
integrato e rettificato con la deliberazione della Giunta 21 dicembre
2007, n. 1025. Con il PTPR adottato si e' provveduto alla verifica  e
all'adeguamento dei PTP vigenti, destinati a essere sostituiti  dallo
stesso PTPR a seguito della sua definitiva approvazione, con  l'unica
esclusione del PTP di Roma, ambito  15/12  «Valle  della  Caffarella,
Appia Antica e Acquedotti», che continua a restare in vigore. 
    Le delibere di  adozione  del  PTPR  sono  state  pubblicate  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lazio  14  febbraio  2008,  n.  6,
supplemento ordinario n. 14, oltre che negli albi pretori dei  Comuni
e  delle  Province.  A  partire  dal  giorno  successivo   alla   sua
pubblicazione il PTPR ha assunto,  quindi,  l'efficacia  propria  del
regime di salvaguardia. 
    Dopo  la  pubblicazione  del  piano  adottato  e'  stata  avviata
l'attivita'  di  co-pianificazione  con  il  Ministero  al  fine   di
addivenire a un'intesa con quest'ultimo prima della sua  approvazione
finale.  Questa  attivita'  si  e'  concretizzata  in  un  Protocollo
d'intesa sottoscritto l'11 dicembre 2013  e  nella  redazione  di  un
apposito verbale di condivisione  dei  contenuti  del  piano,  il  16
dicembre 2015. Nel  verbale  sono  state  concordate  tra  Regione  e
Ministero le modifiche e le integrazioni  da  apportare  in  sede  di
approvazione del piano e sono  state  definite  le  norme  di  piano,
incluse in un allegato al verbale. L'allegato in parola e'  stato,  a
sua volta, oggetto della proposta di  delibera  consiliare  10  marzo
2016, n. 60, adottata dalla Giunta regionale con  decisione  8  marzo
2016, n. 6.  Proposta,  quest'ultima,  mai  approvata  dal  Consiglio
regionale. 
    A questo punto, la ricostruzione offerta dalle parti in  giudizio
diverge. Infatti, la difesa  statale  stigmatizza  il  fatto  che  il
Consiglio  regionale,  contraddicendo  il  percorso  di  condivisione
svolto fino al 2016, abbia, con  la  deliberazione  n.  5  del  2019,
oggetto  dell'odierno  conflitto,   approvato   unilateralmente   «un
"proprio" PTPR, diverso sia dal  Piano  adottato  nel  2007  sia  dai
contenuti concordati nel verbale del  2015,  oltre  che  notevolmente
peggiorativo dei  livelli  della  tutela  rispetto  a  entrambe  tali
versioni, rinviando a un momento successivo l'adeguamento  del  Piano
d'intesa con lo Stato».  In  particolare,  il  ricorrente  rileva  il
contrasto  con  la  disciplina  della  pianificazione   paesaggistica
contenuta nel d.lgs. n. 42 del 2004, «la quale richiede che  la  fase
di co-decisione con lo Stato si collochi a monte, e non a valle,  del
piano paesaggistico». 
    La  difesa  regionale  sostiene,  invece,  che  il  percorso   di
condivisione  precedentemente  avviato  non  sia  stato   per   nulla
contraddetto, trattandosi, nel caso di specie, non  dell'approvazione
di  un  nuovo  PTPR,  ma  dell'adeguamento  dei  piani  paesaggistici
provinciali gia' esistenti prima del d.lgs. n. 42 del 2004, dei quali
il PTPR sarebbe la  naturale  continuazione  e  in  qualche  modo  il
compendio. Per questa ragione, la resistente ritiene  applicabile  al
procedimento di approvazione del piano in questione  l'art.  156  del
d.lgs. n. 42 del 2004 piuttosto che l'art. 143 del medesimo decreto. 
    La disposizione di cui all'art. 156 - aggiunge  la  resistente  -
«non  impone  alcun  obbligo  di  co-pianificazione,  limitandosi   a
prevedere la  possibilita'  di  un'azione  condivisa  e  contemplando
altresi'  espressamente  l'eventualita'  della  totale   assenza   di
un'intesa» (commi 3 e 4), ipotesi, questa, per la quale  il  comma  4
del medesimo articolo si limiterebbe a escludere l'applicazione delle
misure di semplificazione del  procedimento  autorizzatorio  previste
dall'art. 143, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004. 
    In definitiva, con il PTPR censurato la Regione avrebbe proceduto
all'unificazione e all'omogeneizzazione dei preesistenti 29 PTP in un
unico piano esteso all'intero territorio regionale,  fatta  eccezione
per il PTP di Roma,  ambito  15/12  «Valle  della  Caffarella,  Appia
Antica e Acquedotti». 
    4.1.- Nello stesso  giorno  della  pubblicazione  nel  Bollettino
Ufficiale della  Regione  Lazio  della  deliberazione  del  Consiglio
regionale oggetto dell'odierno  conflitto,  la  Giunta  regionale  ha
approvato due deliberazioni, la  cui  disamina,  pur  non  risultando
decisiva ai fini della definizione del presente giudizio, completa il
quadro giuridico  regionale  di  riferimento  e  offre  un  ulteriore
spaccato della condotta tenuta dalla Regione  nella  vicenda  che  ha
dato origine al conflitto. 
    In particolare, nel Bollettino Ufficiale della Regione  Lazio  20
febbraio 2020, n. 15, e'  stata  pubblicata  la  deliberazione  della
Giunta regionale 13 febbraio 2020, n. 49 [Adozione della variante  di
integrazione del Piano Territoriale Paesistico Regionale  (PTPR),  ai
sensi dell'articolo 23 della L.R. n. 24  del  6  luglio  1998  ed  in
ottemperanza degli artt. 135,  143  e  156  del  D.Lgs.  n.  42/2004,
inerente alla rettifica e all'ampliamento dei beni  paesaggistici  di
cui all'articolo 134, comma 1, lettere a),  b)  e  c),  del  medesimo
D.Lgs. n. 42/2004, contenuti negli elaborati del PTPR  approvato  con
DCR n. 5 del 2 agosto 2019]. Si tratta di una delibera precedente  al
ricorso,  volta  soltanto  a  rettificare  le   cartografie,   quanto
all'individuazione di alcuni ambiti tutelati, al fine  di  correggere
errori. Essa  non  tocca  le  previsioni  di  piano  sulle  quali  si
appuntano le censure del ricorrente e  quindi  non  puo'  determinare
sotto alcun profilo il venir meno dell'interesse al ricorso. 
    Quanto  alla   seconda   deliberazione,   l'Avvocatura   generale
riferisce che, dopo l'approvazione  della  deliberazione  oggetto  di
conflitto, «per l'intanto non pubblicata nel BUR», e' stata riavviata
la collaborazione tra il  MiBACT  e  la  Regione  per  addivenire  al
definitivo adeguamento del PTPR;  e  che  si  e'  cosi'  giunti  alla
redazione di un nuovo testo delle norme  di  piano,  «emendato  delle
novelle aggiunte in via unilaterale  dalla  Regione»,  che  e'  stato
oggetto della proposta di deliberazione consiliare 17 febbraio  2020,
n. 42, adottata dalla Giunta regionale con deliberazione 13  febbraio
2020, n. 50. 
    Tale proposta - sempre a detta del ricorrente -  fa  proprio,  ai
fini dell'accordo di cui agli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del
d.lgs. n. 42 del 2004, il documento  «02.01  -  Norme  PTPR  -  Testo
proposto  per  l'accordo  Regione/MiBACT»,  che  dovrebbe  sostituire
integralmente le norme del PTPR approvate con la deliberazione  n.  5
del 2019. 
    Al riguardo, devono  condividersi  le  conclusioni  della  difesa
statale, la quale precisa che  «solo  l'approvazione  della  delibera
proposta dalla Giunta da parte del Consiglio regionale del Lazio e la
sua  piena  efficacia  a   seguito   della   pubblicazione   potranno
determinare l'effettiva sostituzione delle Norme del PTPR approvato e
ormai in vigore, e quindi risolvere le criticita' rilevate». 
    Pertanto, in assenza di questi ulteriori adempimenti e in ragione
dell'avvenuta pubblicazione della delibera n. 5  del  2019,  si  deve
escludere che la deliberazione della Giunta regionale n. 50 del  2020
determini il venir meno dell'interesse al ricorso. 
    5.- Alla luce di quanto esposto al precedente  punto  4,  diviene
dirimente stabilire se, nel caso di specie, si  sia  in  presenza  di
un'operazione  di  verifica  e  adeguamento  di  piani  paesaggistici
preesistenti (art. 156) o dell'approvazione di un nuovo  piano  (art.
143). 
    5.1.- L'art. 156, inserito nel Capo  V  («Disposizioni  di  prima
applicazione e transitorie») del d.lgs. n. 42  del  2004,  nel  testo
risultante dalle modifiche operate nel 2006 e nel 2008,  e  rubricato
«Verifica ed adeguamento dei piani  paesaggistici»,  stabilisce  che,
«[e]ntro il 31 dicembre 2009, le  regioni  che  hanno  redatto  piani
paesaggistici, verificano la  conformita'  tra  le  disposizioni  dei
predetti piani e le previsioni  dell'articolo  143  e  provvedono  ai
necessari adeguamenti. Decorso inutilmente il  termine  sopraindicato
il Ministero provvede in via sostitutiva ai  sensi  dell'articolo  5,
comma 7» (comma 1). 
    A tal fine «[l]e regioni e il Ministero, in conformita' a  quanto
stabilito dall'articolo  135,  possono  stipulare  intese,  ai  sensi
dell'articolo 143, comma 2, per disciplinare lo svolgimento congiunto
della  verifica   e   dell'adeguamento   dei   piani   paesaggistici.
Nell'intesa e' stabilito il termine  entro  il  quale  devono  essere
completati la verifica e l'adeguamento, nonche' il termine  entro  il
quale la regione approva il piano  adeguato.  Il  piano  adeguato  e'
oggetto  di  accordo  fra  il  Ministero  e  la  regione,  ai   sensi
dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990,  n.  241,  e  dalla  data
della  sua  adozione  vigono  le  misure  di  salvaguardia   di   cui
all'articolo  143,  comma  9.  Qualora  all'adozione  del  piano  non
consegua la sua approvazione da parte della regione, entro i  termini
stabiliti  dall'accordo,  il  piano  medesimo  e'  approvato  in  via
sostitutiva con decreto del Ministro» (comma 3). 
    Il comma 4 aggiunge che, «[q]ualora l'intesa di cui  al  comma  3
non  venga  stipulata,   ovvero   ad   essa   non   segua   l'accordo
procedimentale  sul  contenuto  del   piano   adeguato,   non   trova
applicazione quanto previsto dai commi 4 e 5 dell'articolo 143». 
    Dal testo della disposizione si deduce  che  oggetto  dell'intesa
non e' il contenuto del piano adeguato, bensi'  la  disciplina  dello
svolgimento congiunto della verifica  e  dell'adeguamento  dei  piani
paesaggistici.  Al  contrario,  il  piano,   dopo   la   verifica   e
l'adeguamento, deve essere oggetto di accordo fra il Ministero  e  la
regione (comma 3, terzo periodo). Il comma 4 disciplina l'ipotesi  in
cui l'accordo sul contenuto del piano adeguato non sia raggiunto, con
la conseguenza che in questo caso non trovano applicazione i commi  4
e 5 dell'art. 143. 
    5.2.- Il dato letterale dell'art. 156 del d.lgs. n. 42  del  2004
pone alcuni problemi interpretativi rilevanti per stabilire  se  esso
possa aver avuto applicazione nella vicenda in esame. 
    Innanzitutto, occorre chiarire  a  quali  piani  la  disposizione
faccia riferimento. Se si riferisse infatti solo al  piano  regionale
(P.T.P.R.), non sarebbe applicabile al caso di specie, nel  quale  si
era in presenza soltanto dei 29 PTP operanti all'epoca nella  Regione
Lazio. In realta', sia la generica  formulazione  della  disposizione
che parla semplicemente di «piani paesaggistici», alla cui  tipologia
vanno ricondotti anche i PTP, approvati  con  delibere  della  Giunta
regionale (come si evince dall'art. 1 della legge reg.  Lazio  n.  24
del 1998), sia la concorde interpretazione  del  ricorrente  e  della
resistente sul fatto che la verifica e l'adeguamento  si  riferiscono
ai PTP depongono nel senso opposto, cioe' del riferimento a  tutti  i
piani paesaggistici comunque redatti dalle regioni. 
    Porta, invece, a escludere  l'applicabilita'  al  caso  in  esame
dell'art.  156,  innanzitutto  la  previsione,   in   questa   stessa
disposizione, del termine del 31 dicembre 2009, entro cui le  regioni
possono effettuare la verifica e procedere ai  necessari  adeguamenti
secondo il procedimento ivi previsto. Termine cui  non  e'  possibile
assegnare altro significato che quello di fissare un limite temporale
oltre il quale il meccanismo  di  adeguamento  non  e'  destinato  ad
operare, risultando  in  particolare  privo  di  riscontri  di  sorta
l'argomento della difesa regionale secondo cui si tratterebbe di  una
disposizione transitoria che non ha ancora esaurito la sua efficacia. 
    Ma anche a voler prescindere dalla questione dei limiti temporali
di utilizzo della facolta'  concessa  dall'art.  156,  e'  la  stessa
lettura della deliberazione contestata nel  conflitto  in  esame  che
porta ad escludere che, in questo caso, si  sia  trattato  della  sua
applicazione. 
    Nella premessa della deliberazione si richiama, innanzitutto,  il
contenuto dell'art. 143, comma  2,  «in  base  al  quale  le  singole
Regioni e il Ministero stipulano intese per l'elaborazione  congiunta
dei piani paesaggistici e "Il piano e' oggetto  di  apposito  accordo
fra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 15 della  legge
7 agosto 1990, n. 241"». 
    Sempre nella premessa si legge inoltre  che  «l'elaborazione  del
piano e' stata finalizzata, ai sensi dell'articolo  156  del  Codice,
anche alla verifica e all'adeguamento dei  PTP  vigenti  che  saranno
sostituiti dal PTPR approvato, ad esclusione del PTP di  Roma  ambito
15/12 "Caffarella, Appia Antica e Acquedotti"»; che, «successivamente
all'approvazione del PTPR, quest'ultimo, ai  sensi  dell'articolo  2,
comma 2,  della  l.r.  2/2018,  verra'  adeguato  di  intesa  con  il
Ministero competente  sulla  base  della  Carta  dell'uso  del  suolo
aggiornata e nel rispetto degli articoli 135 e 143 del Codice»;  che,
«a seguito del completamento della fase pubblicistica dei sopracitati
beni paesaggistici, il PTPR approvato  dovra'  essere  aggiornato  ed
integrato, di intesa con il Ministero competente nel  rispetto  degli
articoli 135 e 143 del Codice». 
    Infine, con la deliberazione impugnata il Consiglio regionale  ha
stabilito, tra l'altro, «di dare mandato alla Giunta  regionale,  per
il  tramite  della  struttura  regionale  competente  in  materia  di
pianificazione paesistica, di porre in essere gli atti  necessari  al
raggiungimento della stipula dell'Accordo di  cui  all'articolo  143,
comma 2, del  Codice  successivamente  al  completamento  della  fase
pubblicistica dei sopracitati beni paesaggistici» (punto 8). 
    Da quanto riportato  si  deduce  chiaramente  che,  nelle  stesse
intenzioni del Consiglio regionale,  il  PTPR  costituisce  un  nuovo
piano, assunto in applicazione della disciplina di cui  all'art.  143
del d.lgs. n. 42 del 2004, e che, al contempo, la sua elaborazione e'
finalizzata  «anche»  al   diverso   obiettivo   della   verifica   e
dell'adeguamento dei PTP vigenti. In  altre  parole,  il  contestuale
riferimento all'art. 143 e all'art. 156 dimostra che il contenuto del
piano non si esaurisce nella sola verifica e  adeguamento  dei  piani
preesistenti ma presenta un significativo quid novi non riconducibile
alle attivita' di cui all'art. 156. 
    6.- Escluso, dunque, che  il  procedimento  di  approvazione  del
piano oggetto di conflitto di attribuzione potesse svolgersi senza il
coinvolgimento del  Ministero  in  applicazione  di  quanto  previsto
dall'art. 156 del Codice del  paesaggio,  occorre  stabilire  se  sia
stato violato il principio di leale collaborazione. 
    6.1.- La difesa  regionale  ritiene  che  la  partecipazione  del
Ministero sia  stata  sempre  integralmente  garantita,  sebbene  «in
presenza di  un  contesto  normativo  che,  all'origine,  neppure  la
richiedeva». La Regione Lazio ricorda  che  i  contenuti  oggetto  di
co-pianificazione del piano, ai sensi degli artt. 135 e 143, comma 1,
lettere b), c) e d),  del  d.lgs.  n.  42  del  2004,  sono  limitati
all'individuazione e alla disciplina di tutela e di uso dei  seguenti
beni: immobili e aree dichiarate di notevole  interesse  pubblico  ai
sensi dell'art. 136 (cosiddette "bellezze naturali");  aree  tutelate
direttamente dalla legge ai sensi  dell'art.  142  (cosiddette  "zone
Galasso",  come  territori  costieri,  fiumi,  torrenti  e   parchi);
ulteriori immobili e aree di notevole  interesse  pubblico;  e,  alla
luce di  questa  precisazione,  afferma  che  «tutta  l'attivita'  di
perimetrazione,   rappresentazione   e   disciplina    d'uso    della
vincolistica contenuta nel  PTPR  e'  stata  interamente  oggetto  di
co-pianificazione», e che, con l'approvazione del PTPR del 2019,  «le
ricognizioni, le individuazioni e le graficizzazioni  dei  beni  sono
rimaste  immutate».  Pertanto  le   modifiche   apportate   avrebbero
riguardato «solamente il testo normativo e sono state  in  ogni  caso
puntuali ed isolate». 
    Piu'  in  generale,  la  Regione  contesta  che   la   necessaria
co-pianificazione possa tradursi «nel consenso  da  trovare  su  ogni
singolo, minimo dettaglio di un  piano  di  ampiezza  pari  a  quello
regolativo del paesaggio di un'intera regione»,  dovendosi  piuttosto
intendere in un senso «piu' equilibrato»,  cioe'  come  «condivisione
reciproca sull'impostazione, i caratteri,  le  linee  generali  e  le
finalita'  del   Piano».   Diversamente,   essa   afferma,   seguendo
l'impostazione del ricorrente la decisione congiunta consisterebbe in
«un passivo adeguamento della  Regione  a  disposizioni  autoritative
statali, con il conseguente svuotamento  di  qualsivoglia  competenza
regionale, politica o amministrativa». 
    6.2.- Le condivisibili premesse da cui muove la resistente - che,
per  un  verso,  circoscrive  la  necessita'   della   pianificazione
congiunta ai soli beni di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e
d), del d.lgs. n. 42 del 2004 e, per  altro  verso,  precisa  che  la
co-pianificazione  deve  intendersi  come   «condivisione   reciproca
sull'impostazione, i caratteri, le linee generali e le finalita'  del
Piano»  -  portano  tuttavia  all'esito  opposto  a  quello  da  essa
auspicato. 
    Dalle stesse premesse discende, infatti,  la  necessita'  che  la
pianificazione paesaggistica  regionale  si  esprima  attraverso  una
generale condivisione dell'atto che la  realizza,  cio'  che  risulta
tanto piu' evidente in una Regione, il Lazio, in cui, come  ricordano
entrambe le parti del presente giudizio, piu' del 70  per  cento  del
territorio e' sottoposto a vincoli paesaggistici. 
    In definitiva,  seppure  l'obbligo  di  pianificazione  congiunta
investa i beni paesaggistici di cui all'art. 143,  comma  1,  lettere
b), c) e d), del d.lgs. n.  42  del  2004,  «non  e'  ammissibile  la
"generale esclusione o la previsione di una mera partecipazione degli
organi ministeriali" in procedimenti che richiedono  la  cooperazione
congiunta:  in  tali  ipotesi  la   tutela   paesaggistica   verrebbe
degradata,  "da  valore  unitario  prevalente   e   a   concertazione
rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica" (sentenza  n.
64 del 2015)» (sentenza n. 66 del 2018; gia', negli  stessi  termini,
sentenza n. 197 del 2014). 
    L'unitarieta' del valore  della  tutela  paesaggistica  comporta,
dunque,   l'impossibilita'   di   scindere   il    procedimento    di
pianificazione paesaggistica in subprocedimenti che vedano del  tutto
assente la componente statale. 
    Nella direzione anzidetta si e' mossa la giurisprudenza di questa
Corte,  la  quale,  ancora  di  recente,  ha  affermato  che   «"[l]a
disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e il paesaggio viene
[...] 'a funzionare come un limite alla disciplina che le  Regioni  e
le Province autonome dettano in altre materie  di  loro  competenza'"
(sentenza n. 66 del 2018). Essa "richiede una strategia istituzionale
ad ampio raggio, che si esplica in un'attivita' pianificatoria estesa
sull'intero territorio nazionale [...] affidata  congiuntamente  allo
Stato e alle Regioni"  (sentenza  n.  66  del  2018).  E'  in  questa
prospettiva che il codice dei beni culturali e  del  paesaggio  pone,
all'art.  135,  un  obbligo  di  elaborazione  congiunta  del   piano
paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle  aree  dichiarati
di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 (le  cosiddette
"bellezze naturali"), alle aree tutelate direttamente dalla legge  ai
sensi dell'art. 142 (le cosiddette  "zone  Galasso",  come  territori
costieri, fiumi, torrenti, parchi) e, infine, agli ulteriori immobili
ed aree di notevole interesse pubblico (art. 143,  lettera  d).  Tale
obbligo costituisce  un  principio  inderogabile  della  legislazione
statale, che e', a sua volta, un riflesso della necessaria  "impronta
unitaria della pianificazione  paesaggistica"  (sentenza  n.  64  del
2015), e mira a "garantire, attraverso la partecipazione degli organi
ministeriali ai procedimenti  in  materia,  l'effettiva  ed  uniforme
tutela dell'ambiente" (sentenza n. 210 del 2016)» (sentenza n. 86 del
2019, ma gia' nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 178, 68  e
n. 66 del 2018, n. 210 del 2016, n. 64 del 2015, n. 197 del 2014,  n.
211 del 2013). 
    Pertanto,  l'intervento  della  Regione,   volto   a   modificare
unilateralmente  la  disciplina  di  un'area  protetta,   costituisce
violazione,  non  solo  degli  impegni  in  ipotesi  assunti  con  il
Ministero  in  sede  procedimentale,  «ma   soprattutto   di   quanto
prescritto dal  codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio  che,
attraverso   la   partecipazione   degli   organi   ministeriali   ai
procedimenti in materia, mira a garantire  "l'effettiva  ed  uniforme
tutela dell'ambiente" (sentenza  n.  210  del  2016),  affidata  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato»  (sentenza  n.  86  del
2019). 
    E ancora, «la  circostanza  che  la  Regione  sia  intervenuta  a
dettare una deroga ai limiti per la realizzazione  di  interventi  di
ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con  riguardo
alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza  seguire
l'indicata modalita'  procedurale  collaborativa  e  senza  attendere
l'adozione congiunta del piano paesaggistico regionale,  delinea  una
lesione della sfera di  competenza  statale  in  materia  di  "tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che  si  impone
al legislatore  regionale,  sia  nelle  Regioni  a  statuto  speciale
(sentenza n. 189 del 2016) che a  quelle  a  statuto  ordinario  come
limite all'esercizio di competenze primarie  e  concorrenti»  (sempre
sentenza n. 86 del 2019). 
    Quanto detto non vanifica le competenze  delle  regioni  e  degli
enti  locali,  «ma  e'  l'impronta  unitaria   della   pianificazione
paesaggistica che e' assunta a valore imprescindibile, non derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale: il paesaggio va, cioe', rispettato come  valore  primario,
attraverso un indirizzo  unitario  che  superi  la  pluralita'  degli
interventi delle amministrazioni locali» (sentenza n. 182  del  2006;
la medesima affermazione e' presente anche nelle successive  sentenze
n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n.  197  del
2014). 
    6.3.-  Ribadito  il  principio  della  pianificazione  congiunta,
risulta priva di fondamento la tesi della Regione Lazio  che,  da  un
lato, afferma che il coinvolgimento degli organi statali e del MiBACT
sarebbe avvenuto, ma, dall'altro, approva unilateralmente  il  piano,
rinviando a una successiva determinazione  l'approvazione  di  quanto
nel frattempo effettivamente concordato. 
    Anche su questo punto e' dirimente la lettura della deliberazione
impugnata. 
    Sia nella sua premessa che nel deliberato  sono  presenti  chiari
riferimenti alla necessita' che il piano sia oggetto di intesa con il
Ministero. In particolare, nella premessa si legge  che,  «a  seguito
del completamento  della  fase  pubblicistica  dei  sopracitati  beni
paesaggistici,  il  PTPR  approvato  dovra'  essere   aggiornato   ed
integrato, di intesa con il Ministero competente nel  rispetto  degli
articoli  135  e  143  del  Codice».  Inoltre,  nel  punto  8   della
deliberazione, il Consiglio delibera «di  dare  mandato  alla  Giunta
regionale, per il tramite della  struttura  regionale  competente  in
materia di pianificazione paesistica, di porre  in  essere  gli  atti
necessari  al  raggiungimento  della  stipula  dell'Accordo  di   cui
all'articolo  143,   comma   2,   del   Codice   successivamente   al
completamento  della  fase   pubblicistica   dei   sopracitati   beni
paesaggistici». 
    Tali  affermazioni  rendono  manifesta  la   consapevolezza   del
Consiglio regionale della necessita' di addivenire a un  accordo  con
gli organi ministeriali, che avrebbe dovuto  precedere  e  non  certo
seguire la definitiva approvazione e la conseguente pubblicazione del
piano nel BUR. Ne', all'evidenza, puo' vanificare questo  vincolo  la
circostanza che l'approvazione spetti al Consiglio regionale, con  la
conseguenza, come erroneamente sostenuto dalla difesa regionale,  che
lo Stato avrebbe dovuto ricercare  con  esso  l'intesa,  in  sede  di
trattazione consiliare della  proposta  della  Giunta.  Se  e'  vero,
infatti,  che  il  Consiglio  regionale  non  puo'  essere   chiamato
semplicemente  a  ratificare  una  decisione  assunta  dalla   Giunta
regionale,  e'  altrettanto  vero   che   spettano   a   quest'ultima
l'attivita' di negoziazione con lo Stato per conto  della  Regione  e
l'impegno  ad  attivarsi  per  assicurare  che  gli  indirizzi  e  le
indicazioni del Consiglio siano esaminati ed  eventualmente  recepiti
in sede di trattativa con gli  organi  ministeriali.  Il  potere  del
Consiglio regionale di non  approvare  la  proposta  formulata  dalla
Giunta resta  naturalmente  fermo,  cosi'  come  quello  di  chiedere
l'avvio  di  una  nuova  interlocuzione  con  il  MiBACT,   ma   tale
circostanza non puo' legittimare lo  stesso  Consiglio  ad  approvare
unilateralmente cio' che deve  essere  invece  oggetto  di  decisione
condivisa. 
    In conclusione, anche in  questa  vicenda  viene  in  rilievo  lo
spirito  che  deve  informare  il  procedimento  di  adozione  e   di
approvazione dei piani  paesaggistici,  improntato  al  principio  di
leale  collaborazione,  che,  come  questa  Corte  ha   ripetutamente
affermato,  si  caratterizza  per  «la  sua  elasticita'  e  la   sua
adattabilita'», che se,  da  un  lato,  «lo  rendono  particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando  i  dualismi   ed   evitando   eccessivi   irrigidimenti»,
dall'altro    lato,    richiedono    «continue     precisazioni     e
concretizzazioni» (sentenza n. 31 del 2006). 
    Lo schema delle reiterate trattative, piu' volte richiamato nella
giurisprudenza di questa Corte per alludere al corretto funzionamento
dei  meccanismi  di  leale  collaborazione,  esprime  al  meglio   la
necessita' di un confronto costante, paritario e leale tra le  parti,
che deve caratterizzare ogni fase del procedimento e non  seguire  la
sua conclusione. 
    Nel caso di specie, la Regione Lazio,  dopo  aver  assicurato  il
coinvolgimento del MiBACT fino alla proposta di  delibera  consiliare
10 marzo 2016, n. 60, adottata dalla Giunta regionale con decisione 8
marzo 2016, n. 6, ha posto in essere una condotta che viola i  canoni
della leale collaborazione. Da questo punto di vista l'approvazione e
poi la pubblicazione della deliberazione del Consiglio regionale n. 5
del 2019 hanno determinato una  soluzione  di  continuita'  nell'iter
collaborativo  avviato  tra   Stato   e   Regione,   hanno   prodotto
l'affermazione unilaterale della volonta' di  una  parte  e  si  sono
tradotte in un comportamento non leale,  nella  misura  in  cui  -  a
conclusione del (e nonostante il) percorso  di  collaborazione  -  la
Regione ha approvato un piano non concordato, destinato a produrre  i
suoi effetti  nelle  more  dell'approvazione  di  quello  oggetto  di
accordo con il MiBACT. 
    Il ricorso deve  pertanto  essere  accolto  in  riferimento  alla
violazione del principio  di  leale  collaborazione,  in  quanto  non
spettava al Consiglio regionale approvare la deliberazione n.  5  del
2019 senza il previo coinvolgimento del MiBACT.  Conseguentemente  la
deliberazione impugnata deve essere annullata. 
    7.-  Dall'accoglimento   del   ricorso   per   conflitto   deriva
l'annullamento non solo della citata deliberazione n. 5 del  2019  ma
anche degli atti attuativi e conseguenziali, fra i quali, senz'altro,
la nota della Direzione regionale per le  politiche  abitative  e  la
pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica  della  Regione
Lazio, del 20 febbraio 2020, prot. 0153503, attuativa della  delibera
impugnata  in  quanto  relativa  ai   procedimenti   in   corso   per
l'ottenimento dell'autorizzazione paesaggistica. 
    8.- L'accoglimento del ricorso con riferimento  al  principio  di
leale collaborazione comporta l'assorbimento delle  censure  promosse
con riferimento agli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s),  e  118
Cost. e quindi anche della domanda di  istruttoria,  formulata  dalla
difesa regionale in udienza, volta ad accertare il livello di  tutela
paesaggistica assicurato dalle singole norme del PTPR. 
    Parimenti  assorbita  e'  l'istanza  di   sospensione   dell'atto
impugnato.