ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 107, comma
1, lettera b), 108, 109 e 112, comma 1,  della  legge  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 8  luglio  2019,  n.  9  (Disposizioni
multisettoriali  per  esigenze  urgenti  del  territorio  regionale),
promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  ricorso
notificato il 6-17 settembre 2019, depositato in  cancelleria  il  13
settembre 2019, iscritto  al  n.  98  del  registro  ricorsi  2019  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,  prima
serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito nell'udienza pubblica  del  1°  dicembre  2020  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesca Morici per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e, in collegamento da remoto, ai sensi del
punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre  2020,
l'avvocato  Francesco  Saverio  Marini  per   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 3 dicembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 6-17 settembre 2019 e depositato il
successivo 13 settembre, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale, in via principale,
fra l'altro, degli artt. 107, comma 1, lettera b), 108,  109  e  112,
comma 1, della legge della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  8  luglio
2019, n. 9 (Disposizioni multisettoriali  per  esigenze  urgenti  del
territorio), in riferimento agli artt. 3, 51, primo comma,  97,  117,
secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- L'art.  107,  comma  1,  lettera  b),  della  citata  legge
regionale e' impugnato nella  parte  in  cui  modifica  il  comma  5,
lettera c), dell'art. 8  della  legge  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia 9 dicembre 2016, n. 18 (Disposizioni  in  materia  di  sistema
integrato del pubblico impiego regionale e locale) e dispone che  «le
parole ", per un numero  pari  ai  posti  messi  a  concorso,"  siano
soppresse e le parole "due anni"  siano  sostituite  dalle  seguenti:
"tre anni; il bando di concorso puo' prevedere un limite  massimo  di
idonei"». 
    Tale  disposizione,  secondo  la  difesa  statale,   stabilirebbe
modalita' di utilizzazione delle graduatorie  concorsuali  diverse  e
incompatibili con quelle individuate dalla normativa statale  con  la
recente legge di riordino 30  dicembre  2018,  n.  145  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2019  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2019-2021), in  particolare  all'art.  1,
commi 361, 363 e 365. 
    La  norma   regionale   impugnata,   infatti,   non   limiterebbe
numericamente  la  possibilita'  di  utilizzo  delle  graduatorie   e
amplierebbe il  lasso  di  tempo  di  utilizzabilita'  delle  stesse,
dettando  una  disciplina  contrastante  con   quella   vigente   nel
territorio dello Stato  quanto  alla  possibilita'  di  accesso  agli
impieghi e di impegno finanziario. 
    Pertanto, la norma regionale impugnata violerebbe i  principi  di
eguaglianza, imparzialita' e buon andamento  dell'amministrazione  di
cui agli artt. 3, 51, primo  comma,  e  97  Cost.  e  invaderebbe  la
competenza  riservata  alla  legislazione   statale   nelle   materie
dell'ordinamento civile, della determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni e dei principi fondamentali di coordinamento  della
finanza pubblica, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere
l) e m), e terzo comma, Cost. 
    1.2.-  E',  poi,  impugnato   l'art.   108   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, la' dove, sostituendo  il  comma
22 dell'art. 11 della legge della Regione  Friuli-Venezia  Giulia  28
dicembre 2017, n. 45  (Legge  di  stabilita'  2018),  stabilisce  che
«[l]'indennita' di cui all'articolo 110,  sesto  comma,  della  legge
regionale 31 agosto  1981,  n.  53  (Stato  giuridico  e  trattamento
economico  del  personale  della  Regione   autonoma   Friuli-Venezia
Giulia), e' corrisposta anche agli autisti di rappresentanza  di  cui
all'articolo     38     del     Regolamento     di     organizzazione
dell'Amministrazione regionale e degli  enti  regionali  emanato  con
decreto del Presidente della Regione 27 agosto 2004, n. 0277/Pres.  e
all'articolo 14 del Regolamento di organizzazione  degli  uffici  del
Consiglio  regionale  emanato  con  deliberazione   dell'Ufficio   di
Presidenza del Consiglio regionale 30 gennaio 2019, n. 101». 
    Tale disposizione contrasterebbe con quelle contenute nel  Titolo
III del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche),  che  indica  le  procedure  da  seguire   in   sede   di
contrattazione collettiva e l'obbligo del  rispetto  della  normativa
contrattuale. 
    Il ricorrente sostiene che in tal modo la norma  impugnata  violi
la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento
civile. La Regione, infatti, non avrebbe  titolo  a  disciplinare  il
trattamento  economico  e  giuridico  dei  dipendenti  in  base  allo
statuto,  in  quanto  la  disciplina   statale   conterrebbe   «norme
fondamentali  delle  riforme  economico-sociali»,  che  costituiscono
limite all'esercizio di  tutte  le  competenze  statutarie  regionali
(art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante  lo
«Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»). 
    La medesima norma regionale  violerebbe  anche  il  principio  di
eguaglianza fra cittadini, in quanto introdurrebbe  per  i  residenti
nella  Regione   Friuli-Venezia-Giulia   un   trattamento   economico
differenziato rispetto a quello dei residenti in altre Regioni. 
    1.3.- Viene, inoltre, impugnato l'art.  109  della  citata  legge
regionale n. 9 del 2019, la' dove dispone  che,  «[i]n  relazione  al
permanere delle particolari esigenze operative e funzionali  connesse
e conseguenti al processo di riassetto  delle  autonomie  locali,  ai
fini delle assunzioni di personale  della  polizia  locale  da  parte
delle UTI e dei Comuni della Regione, gli enti medesimi continuano ad
applicare l'articolo 56, comma 20-ter, della legge n. 10  del  2016».
Quest'ultimo prevede la possibilita' di procedere ad assunzioni oltre
il limite del cento per cento della spesa relativa  al  personale  di
ruolo cessato nell'anno precedente. 
    In tal modo, secondo la difesa statale, la disposizione regionale
impugnata  si  porrebbe  in   contrasto   con   l'art.   35-bis   del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia
di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza  pubblica,
nonche' misure per la  funzionalita'  del  Ministero  dell'interno  e
l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia  nazionale   per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni,  nella
legge 1° dicembre 2018, n. 132. In base a quest'ultimo, i Comuni  che
nel triennio 2016-2018 hanno rispettato gli obiettivi dei vincoli  di
finanza pubblica possono assumere a tempo indeterminato personale  di
polizia locale, nel limite della spesa sostenuta per detto  personale
nell'anno 2016 e fermo restando il conseguimento degli  equilibri  di
bilancio. Ulteriore contrasto  viene  ravvisato  con  l'art.  33  del
decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  34  (Misure  urgenti  di  crescita
economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di  crisi),
convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, la'
dove subordina le facolta' di assunzione del  personale  pubblico  al
ricorrere  di  requisiti  di  sostenibilita'  finanziaria   che   non
sarebbero fissati nella norma regionale impugnata. 
    Tutte le citate norme statali conterrebbero principi fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica,  cui  la  Regione  non  puo'
derogare. 
    1.4.- E', infine, impugnato l'art.  112,  comma  1,  della  legge
regionale n. 9 del 2019, la' dove stabilisce che, «[i]n relazione  al
processo  di   superamento   delle   Province   e   del   conseguente
trasferimento di funzioni alla Regione e in un'ottica di coerenza  di
sistema»,  al  personale  trasferito  dalle  Province  alla  Regione,
mediante mobilita' volontaria di Comparto, si applica il  trattamento
economico di cui all'art. 50, comma  1,  della  legge  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia 28 giugno 2016, n. 10 (Modifiche a disposizioni
concernenti gli enti locali contenute nelle leggi  regionali  1/2006,
26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015,
23/2007, 2/2016 e 27/2012),  che  garantisce  il  mantenimento  della
retribuzione individuale di anzianita' o  il  maturato  economico  in
godimento all'atto del trasferimento. 
    Tale previsione si porrebbe in contrasto  con  l'art.  30,  comma
2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001. Quest'ultimo, che disciplina
il  trattamento  giuridico  ed  economico  spettante  al   dipendente
trasferito  per  mobilita'  volontaria,  dispone  che,   «a   seguito
dell'iscrizione nel ruolo dell'amministrazione  di  destinazione,  al
dipendente trasferito per  mobilita'  si  applica  esclusivamente  il
trattamento  giuridico  ed  economico,  compreso  quello  accessorio,
previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto  della  stessa
amministrazione». 
    La norma regionale  impugnata,  ponendosi  in  contrasto  con  la
citata  previsione  statale,  violerebbe  la  competenza  legislativa
esclusiva statale in materia di ordinamento civile. 
    Tale  norma  violerebbe  anche  il  principio   di   eguaglianza,
introducendo per i residenti nella Regione  Friuli-Venezia-Giulia  un
trattamento economico differenziato rispetto a quello  dei  residenti
nelle altre Regioni. 
    2.-  Si  e'  costituita  nel   giudizio   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia-Giulia e ha chiesto che le questioni promosse  con  il
ricorso siano dichiarate inammissibili e non fondate. 
    2.1.- Quanto alle censure promosse nei  confronti  dell'impugnato
art. 107, comma 1, lettera b), la difesa regionale prospetta  profili
di  inammissibilita'  per   genericita'   e   difetto   assoluto   di
motivazione. In particolare, le norme  statali,  che  costituirebbero
parametro interposto, sarebbero  solo  elencate  nel  ricorso,  senza
specificare in che  modo  la  disciplina  impugnata  si  porrebbe  in
contrasto con le medesime. 
    Non sarebbero, poi,  neppure  richiamate  le  disposizioni  dello
statuto speciale che assegnano alla Regione una  competenza  primaria
in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla
Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto»
e di «ordinamento degli enti locali e delle relative  circoscrizioni»
(art. 4, numero 1 e numero 1-bis  dello  statuto),  ne'  sarebbe,  di
conseguenza, fornita alcuna  motivazione  circa  l'estraneita'  della
disciplina  regionale  impugnata  rispetto  alle  citate   competenze
statutarie regionali. 
    Nel merito la questione sarebbe priva di  fondamento.  La  difesa
regionale sostiene che la norma impugnata -  che,  peraltro,  non  si
porrebbe in contrasto con la disciplina  statale  delle  graduatorie,
ne' quanto alla durata, ne' quanto  all'uso  delle  medesime  -  sia,
comunque,  riconducibile  alla  competenza  regionale  residuale   in
materia di ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  regionale,
attenendo   ai   profili   pubblicistico-organizzativi   dell'impiego
pubblico. Non vi sarebbe neppure violazione degli artt. 3, 51,  primo
comma, e 97 Cost., dal momento che la norma  regionale  risponderebbe
proprio  all'obiettivo  di  soddisfare  esigenze   di   economicita',
flessibilita'  e  semplificazione  e,  essendo  espressione  di   una
competenza regionale, esercitabile in maniera differente da Regione a
Regione, non contrasterebbe con il principio di eguaglianza. Anche la
dedotta  violazione  dei  principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  sarebbe  priva  di  fondamento,  dato  che,  con  l'accordo
sottoscritto il  25  febbraio  2019  dallo  Stato  e  dalla  medesima
Regione, recepito con decreto legislativo 25 novembre  2019,  n.  154
(Norme di attuazione dello Statuto speciale  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica), si e' stabilito che  i  principi  di  coordinamento  della
finanza   pubblica   che   si   impongono   alla   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia attengono al mero rispetto degli  obiettivi  di
sistema e non possono vincolare nel dettaglio e singolarmente  l'ente
Regione o i singoli enti locali. 
    Anche le questioni promosse nei confronti dell'art 108  sarebbero
inammissibili e comunque infondate. La norma regionale impugnata  non
farebbe altro che specificare meglio i  destinatari  dell'indennita',
che era gia' stata estesa dalla norma sostituita  (l'art.  11,  comma
22, della legge regionale  n.  45  del  2017),  non  impugnata,  agli
autisti di rappresentanza della Regione. 
    Del pari inammissibili e comunque  infondate  sono  -  ad  avviso
della difesa regionale - le censure proposte  in  relazione  all'art.
109 della medesima legge regionale  n.  9  del  2019.  Premesso  che,
secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,   i   rapporti
finanziari fra Stato e autonomie speciali sono regolati dal principio
dell'accordo, inteso come vincolo di metodo e declinato  nella  forma
della leale collaborazione, la resistente ricorda che tra la  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia e lo Stato e'  stato  sottoscritto  un
accordo  con  l'obiettivo  di  ridefinire   i   rapporti   finanziari
complessivi in materia di finanza pubblica. Tale accordo ha  regolato
il  concorso  del  sistema  integrato  degli  enti  territoriali  del
Friuli-Venezia Giulia al perseguimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica per il triennio 2019-2021.  In  esso  e'  stabilito  che  il
citato sistema integrato e' vincolato, non  gia'  al  rispetto  delle
singole  misure  statali,  ma  a   garantire,   nel   complesso,   il
perseguimento dei medesimi  obiettivi  di  contenimento  della  spesa
pubblica previsti a livello statale. 
    Infine, la difesa regionale sostiene che  le  questioni  promosse
nei confronti dell'art. 112,  comma  1,  della  medesima  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019, siano entrambe inammissibili per
la  mancata  evocazione  dei  parametri   statutari   inerenti   alla
competenza regionale rilevanti nella specie. 
    La questione posta in riferimento all'art. 3  Cost.  sarebbe,  in
particolare, inammissibile in quanto non contenuta nella delibera  di
impugnazione del Consiglio dei ministri  e  comunque  fondata  su  un
erroneo presupposto interpretativo, dal momento che - diversamente da
quanto sostenuto dal ricorrente -  la  norma  non  opererebbe  alcuna
differenziazione in base alla residenza del lavoratore  del  comparto
unico regionale. 
    Non vi  sarebbe,  inoltre,  nessun  contrasto  con  la  normativa
statale  interposta.   La   conservazione   dell'anzianita'   e   del
trattamento economico goduto presso l'amministrazione di  provenienza
sarebbe  elemento  strutturale  e  connaturato   all'istituto   della
mobilita', senza alcuna differenziazione fra mobilita' obbligatoria o
volontaria, secondo quanto previsto dall'art. 30 del  d.lgs.  n.  165
del 2001 e dalla sua interpretazione consolidata nel diritto vivente.
La norma regionale impugnata sarebbe, peraltro, compatibile anche con
la contrattazione collettiva a livello regionale (artt. 27 e  60  del
CCRL 7 dicembre 2006 e art. 21 CCRL 15 ottobre 2018). 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni formulate nelle memorie scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  con  il  ricorso
indicato  in  epigrafe,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale  di  varie  disposizioni  della  legge  della  Regione
Friuli-Venezia   Giulia   8   luglio   2019,   n.   9   (Disposizioni
multisettoriali per esigenze urgenti del territorio).  Fra  di  esse,
vengono, in particolare, qui in esame gli artt. 107,  comma  1,  108,
109 e 112, comma 1, impugnati in riferimento agli artt. 3, 51,  primo
comma, 97, 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma,  della
Costituzione. 
    La decisione  delle  altre  questioni,  proposte  con  lo  stesso
ricorso, e' riservata a separata pronuncia. 
    Considerato che le disposizioni  di  cui  si  discute  riguardano
ambiti diversi, occorre procedere separatamente allo scrutinio  delle
questioni promosse. 
    2.- In linea preliminare, si devono esaminare alcune eccezioni di
inammissibilita' che la difesa regionale ha sollevato con riferimento
a tutte le questioni relative alle quattro disposizioni impugnate. 
    2.1.-   Anzitutto,   la    difesa    regionale    ne    eccepisce
l'inammissibilita' per  genericita'  e  difetto  di  motivazione.  Le
censure sarebbero proposte con  la  mera  indicazione  del  parametro
costituzionale e delle  norme  statali  interposte  che  si  assumono
violate - peraltro in alcuni casi solo genericamente  identificate  -
senza una adeguata motivazione a sostegno del preteso contrasto. 
    2.1.1.- Tali eccezioni possono essere tutte superate. 
    Secondo il costante orientamento di questa Corte, «il  ricorrente
ha l'onere di individuare le disposizioni  impugnate  e  i  parametri
costituzionali dei quali lamenta la  violazione  e  di  svolgere  una
motivazione che non sia meramente assertiva», indicando  le  «ragioni
per le quali vi sarebbe il contrasto con  i  parametri  evocati»  (da
ultimo, sentenza n.  194  del  2020).  Tuttavia,  allorquando  l'atto
introduttivo, pur  nella  sua  sintetica  formulazione,  consenta  di
individuare   «con   sufficiente   chiarezza   [...]   il   parametro
asseritamente violato [...] e  la  ratio  del  prospettato  contrasto
della disposizione denunciata con il parametro stesso»  (sentenza  n.
187 del 2020), l'impugnativa proposta e' ammissibile. 
    Nella specie, le questioni, pur proposte in maniera sintetica  e,
talora, con la sola asserzione del contrasto  della  norma  regionale
impugnata  con  la  normativa  statale  interposta,  superano  quella
«soglia minima di chiarezza [...] che rende ammissibile l'impugnativa
proposta (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 194 del  2020).  Il
semplice raffronto del  contenuto  delle  disposizioni  regionali  di
volta in volta impugnate con il parametro specificamente evocato  e',
infatti, in tali casi, sufficiente, nonostante  la  concisione  delle
censure, a consentire a questa Corte di individuare i  termini  delle
questioni e di esaminarle nel merito. 
    2.2.- La difesa regionale lamenta, inoltre, che il ricorrente non
faccia alcun riferimento alle disposizioni  dello  statuto  speciale,
la' dove assegnano alla Regione specifiche competenze  cui  sarebbero
riconducibili le norme  regionali  impugnate,  ne',  di  conseguenza,
spieghi -  come  avrebbe  dovuto  fare  -  in  che  modo  tali  norme
esorbitino dalle stesse competenze statutarie regionali. 
    2.2.1.- Anche tale eccezione e' superabile. 
    Questa Corte ha ripetutamente affermato  che  «nel  caso  in  cui
venga impugnata, in via  principale,  la  legge  di  una  Regione  ad
autonomia  speciale,  la  compiuta   definizione   dell'oggetto   del
giudizio, onere di cui e' gravato il ricorrente, non puo' prescindere
dalla  indicazione  delle  competenze  legislative   assegnate   allo
statuto»  (sentenza  n.  199  del  2020).   Vi   e',   tuttavia,   la
possibilita', sia pur «residuale, e comunque legata a ipotesi in  cui
e' evidente l'estraneita' delle competenze  statutarie  ad  un  certo
ambito materiale perche' immediatamente riferibile  a  un  titolo  di
competenza riservato allo Stato [...], che  l'atto  introduttivo  del
giudizio faccia leva unicamente su elementi "indiziari" (sentenza  n.
153 del 2019), come la  giurisprudenza  costituzionale  o  il  quadro
della normativa statale, senza confrontarsi espressamente, sia pur in
modo sintetico, col quadro delle competenze statutarie» (sentenza  n.
174 del 2020). 
    Le questioni promosse nei confronti degli  artt.  107,  comma  1,
108, 109 e 112, comma 1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  9
del 2019 sono in linea con tali indicazioni. 
    Il ricorrente riconduce le norme regionali in questione ad ambiti
materiali quali  l'«ordinamento  civile»  e  la  «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali»,  nonche'  ai  «principi  di  coordinamento  della   finanza
pubblica», tutti ambiti che coincidono con i limiti individuati dallo
statuto speciale  quanto  all'esercizio  delle  competenze  regionali
anche primarie e dunque notoriamente riservati allo Stato. Cio' rende
sufficiente, ai soli fini  dell'ammissibilita'  dell'impugnativa,  il
richiamo della normativa  statale  quale  "indizio"  dell'estraneita'
delle competenze  statutarie  ai  citati  ambiti,  senza  imporre  il
confronto espresso con il quadro delle stesse. 
    3.- Si puo' ora passare all'esame delle  questioni  promosse  nei
confronti delle singole disposizioni. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art.  107,
comma 1, lettera b), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9  del
2019 nella  parte  in  cui,  modificando  il  comma  5,  lettera  c),
dell'art. 8 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 9  dicembre  2016,
n. 18 (Disposizioni in materia  di  sistema  integrato  del  pubblico
impiego  regionale  e  locale),  interviene  sulla  disciplina  delle
graduatorie, eliminando il riferimento all'impiego delle stesse  «per
un numero pari ai posti messi a concorso»,  nonche'  estendendone  da
due a tre anni il periodo di vigenza. 
    Il ricorrente sostiene che tale disposizione stabilisca modalita'
di   utilizzazione   delle   graduatorie   concorsuali   diverse    e
incompatibili con quelle individuate dall'art. 1, commi  361,  363  e
365 della legge 30 dicembre 2018,  n.  145  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio  2019-2021),  la'   dove   non   limita   numericamente   la
possibilita' di utilizzo delle graduatorie e amplia il lasso di tempo
di  utilizzabilita'  delle  stesse.  In  tal  modo   detterebbe   una
disciplina contrastante con  quella  vigente  nell'intero  territorio
dello Stato quanto alla possibilita' di accesso agli  impieghi  e  di
impegno finanziario,  in  violazione  dei  principi  di  eguaglianza,
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione pubblica  di  cui
agli artt. 3, 51, primo comma, e 97 Cost., ma anche della  competenza
riservata alla legislazione statale nelle  materie  dell'«ordinamento
civile»  e  della  «determinazione  dei  livelli   essenziali   delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e  dei  «principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica». 
    4.1.- Le questioni non sono fondate in riferimento ad alcuno  dei
parametri invocati. 
    La norma regionale impugnata modifica la lettera c) del  comma  5
dell'art. 8 della citata legge regionale n. 18 del 2016, che detta la
disciplina dell'accesso alla  qualifica  di  dirigente.  Quest'ultima
disposizione, dopo aver previsto che «[l]'accesso alla  qualifica  di
dirigente nelle amministrazioni del Comparto unico avviene per  corso
concorso o per concorso» (comma 1),  con  riguardo  alla  graduatoria
finale  del   concorso,   a   seguito   della   modifica   introdotta
dall'impugnato art. 107, stabilisce che  essa  «comprende  anche  gli
idonei, a concorso, e rimane vigente per un periodo di tre  anni;  il
bando di concorso puo' prevedere un limite massimo di idonei»  (comma
5, lettera c). Tale norma introduce, in  tal  modo,  la  possibilita'
dello scorrimento della graduatoria  finale  per  l'assunzione  degli
idonei non piu' vincolato al numero dei posti messi a concorso e  per
un tempo - quello di vigenza della graduatoria - esteso da due a  tre
anni. 
    Questa Corte ha, anche di recente, affermato  che  la  disciplina
delle «procedure concorsuali pubblicistiche per l'accesso all'impiego
regionale (sentenze n. 191 del 2017, punto 5.4.  del  Considerato  in
diritto e n. 251 del 2016, punto 4.2.1. del Considerato in diritto) e
la  regolamentazione  delle   graduatorie,   che   rappresentano   il
provvedimento conclusivo delle procedure selettive (sentenza  n.  241
del 2018, punto 4. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 126  del
2020), rientrano nella competenza legislativa residuale in materia di
ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  delle   Regioni.   Le
relative disposizioni, pertanto,  in  quanto  inerenti  «a  una  fase
antecedente al sorgere  del  rapporto  di  lavoro,  non  invadono  la
competenza  legislativa   esclusiva   dello   Stato   nella   materia
«ordinamento  civile,  attenendo  all'organizzazione  del  personale,
ambito in cui si  esplica  la  competenza  residuale  delle  Regioni»
(sentenza n. 126 del 2020). 
    Cio' vale - questa Corte ha affermato - anche per una  Regione  a
statuto  speciale  come  la  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste, titolare di una competenza primaria statutaria in materia di
«ordinamento degli uffici e degli enti  dipendenti  dalla  Regione  e
stato giuridico ed economico del personale» e di  «ordinamento  degli
enti locali e delle relative circoscrizioni» (art.  2,  primo  comma,
lettere a e b, dello della legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.
4, recante «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»), che incontra  il
limite delle «norme fondamentali  di  riforma  economico-sociale».  A
seguito  della  modifica  del  Titolo  V   della   Parte   II   della
Costituzione, alla citata Regione, infatti,  «spetta  la  piu'  ampia
competenza  legislativa  residuale  in  materia  di  "ordinamento   e
organizzazione amministrativa regionale" di cui all'art. 117,  quarto
comma, Cost.» (sentenza n. 77 del 2020), in virtu'  della  cosiddetta
clausola di favore di cui all'art. 10 della legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione), in quanto «prevede una forma di autonomia  piu'  ampia
di quella gia' attribuita alla stessa Regione» dallo statuto speciale
(sentenza n. 77 del 2020; nello stesso senso,  sentenza  n.  241  del
2018). In considerazione del fatto  che  lo  statuto  speciale  della
Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  assegna   una   competenza
primaria  alla  Regione  nella  medesima  materia  individuata  dallo
statuto speciale valdostano («ordinamento degli Uffici e  degli  Enti
dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale
ad essi addetto» e «ordinamento degli enti locali  e  delle  relative
circoscrizioni»: art. 4,  numero  1  e  numero  1bis,  dello  statuto
speciale del Friuli-Venezia Giulia),  entro  gli  stessi  limiti,  la
medesima conclusione deve trarsi anche per essa. 
    Le  disposizioni  regionali   impugnate,   pertanto,   la'   dove
definiscono le regole di accesso all'impiego regionale e di  utilizzo
delle relative  graduatorie  concorsuali,  costituiscono  espressione
della   competenza   regionale   in   materia    di    organizzazione
amministrativa del personale, vincolata solo «al rispetto dei  limiti
costituzionali del buon andamento e dell'imparzialita' e dei principi
di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 126 del 2020). 
    Nell'escludere, nei confronti delle  Regioni,  la  vincolativita'
delle previsioni, invocate quali norme statali interposte,  contenute
nell'art. 1, commi 361 e 365, della legge n. 145  del  2018,  cui  si
aggiunge, nel presente giudizio, il riferimento al comma 363,  questa
Corte ha gia' avuto modo di dichiarare l'estraneita' della disciplina
in esse contenuta, attinente alla regolamentazione delle  graduatorie
delle procedure selettive per l'accesso all'impiego pubblico statale,
anche alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Quest'ultima  e'
infatti invocabile solo «in relazione a specifiche prestazioni  delle
quali  la  normativa  statale  definisca  il  livello  essenziale  di
erogazione» (sentenza n. 126 del 2020, punto 6.  del  Considerato  in
diritto), nella specie insussistenti. 
    Le citate previsioni statali - di cui e' stata frattanto disposta
l'abrogazione (anche se dei soli commi 361 e 365) ad opera  dell'art.
1, comma 148, della legge 27  dicembre  2019,  n.  160  (Bilancio  di
previsione per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per  il
triennio  2020-2022)  -  non  corrispondono  neppure  a  quei  limiti
costituzionali di buon andamento e di  imparzialita'  della  pubblica
amministrazione cui le Regioni devono attenersi nell'esercizio  della
propria competenza. L'ampio campo di azione riservato al  legislatore
regionale «consente allo stesso di intervenire [...] con efficienza e
ragionevolezza nella gestione delle graduatorie, anche tenendo  conto
della posizione degli idonei. Un reclutamento imparziale degli idonei
inseriti nelle graduatorie non entra in contrasto con gli artt.  3  e
97 Cost., proprio perche' costituisce una delle possibili espressioni
del  buon  andamento   e   dell'imparzialita'   dell'amministrazione,
nell'esercizio della competenza legislativa regionale»  (sentenza  n.
77 del 2020, punto 4.3.1. del  Considerato  in  diritto).  E  cio'  a
condizione che il periodo di  efficacia  delle  graduatorie  non  sia
definito  in  modo  da  «pregiudicare  l'esigenza  di   aggiornamento
professionale» (sentenza n. 241 del 2018). 
    Lo scorrimento  delle  graduatorie,  «dapprima  individuato  come
strumento eccezionale,  ha  perso  con  il  passare  del  tempo  tale
caratteristica, per configurarsi, in molte occasioni, quale soluzione
alternativa all'indizione di nuovi  concorsi»  (sentenza  n.  77  del
2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto). 
    In questa prospettiva, la  scelta  del  legislatore  friulano  di
consentire lo scorrimento delle graduatorie finali per  assumere  gli
idonei nel termine di efficacia delle medesime graduatorie -  fissato
in tre anni, peraltro, in armonia con le norme statali allora vigenti
(art. 35, comma 5-ter, del d.lgs. n. 165  del  2001)  -  e'  volta  a
contemperare, in maniera non palesemente irragionevole,  le  esigenze
di contenimento  delle  spese  relative  all'indizione  di  procedure
concorsuali e di reclutamento imparziale degli idonei, con quelle  di
garanzia della  permanenza  dei  requisiti  professionali  richiesti.
Essa, pertanto, non supera il limite del rispetto dei principi di cui
agli artt. 3, 51 e 97 Cost. 
    Anche l'ipotizzato contrasto  di  tale  scelta  regionale  con  i
principi di coordinamento della finanza pubblica si rivela  privo  di
fondamento. 
    Occorre, anzitutto, premettere che questa Corte  ha  riconosciuto
la natura di principi di coordinamento della  finanza  pubblica  alle
disposizioni di cui all'art. 1, comma 1148, della legge  27  dicembre
2017,  n.  205  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il  triennio  2018-2020),
che, stabilendo la proroga del termine per l'esercizio, da  parte  di
amministrazioni pubbliche soggette a vincoli nelle assunzioni,  della
facolta' di assunzione di  personale,  circoscrivendola  a  un  nuovo
termine, individuava in quest'ultimo anche il limite per  la  proroga
dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi  pubblici.  Una  simile
previsione  e'  stata  ricondotta  alla  normativa  di  coordinamento
finanziario,  in  quanto  agiva  sul  rilevante  aggregato  di  spesa
pubblica costituito dalla spesa per  il  personale  e  poneva  limiti
transitori alla facolta' delle Regioni  e  degli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale di procedere ad assunzioni (sentenza n.  241  del
2018, punto 3. del Considerato in diritto). 
    Le disposizioni di cui all'art. 1, commi 361, 363  e  365,  della
legge n. 145 del 2018, prima modificate e poi  abrogate  -  la'  dove
prescrivevano l'utilizzo delle graduatorie finali dei concorsi per il
reclutamento  del  personale  presso  le  amministrazioni   pubbliche
esclusivamente per la copertura dei posti  messi  a  concorso  (comma
361),  con  riferimento  solo  «alle  graduatorie   delle   procedure
concorsuali bandite successivamente alla data di entrata  in  vigore»
della medesima legge (comma 365) - dettavano, diversamente dal citato
art. 1, comma 1148, della legge n. 205 del  2017,  una  disciplina  a
regime dell'uso delle  medesime  graduatorie,  relativa  a  procedure
concorsuali  non  ancora  bandite  e  svincolata  da   considerazioni
inerenti a misure di limitazione delle assunzioni. 
    In ogni caso, sebbene  «i  principi  fondamentali  fissati  dalla
legislazione  dello  Stato   nell'esercizio   della   competenza   di
coordinamento della  finanza  pubblica  si  applic[hi]no  anche  alle
autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2017, n.  40  del
2016, n. 82 e n. 46 del  2015),  in  quanto  funzionali  a  prevenire
disavanzi     di     bilancio,     a     preservare      l'equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e
anche a garantire l'unita' economica della Repubblica»  (sentenza  n.
103 del 2018), essi, tuttavia,  sono  individuati  nel  rispetto  del
«principio dell'accordo, inteso come vincolo di metodo (e non gia' di
risultato)  e  declinato  nella  forma  della  leale   collaborazione
(sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012)» (sentenza n. 103
del 2018). Questo metodo e' funzionale sia al  «raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei»,  sia
a evitare «che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre  i
limiti  consentiti  l'autonomia  finanziaria   ad   esse   spettante»
(sentenza n. 62 del 2017). 
    In armonia con tali indicazioni, il 25  febbraio  2019  e'  stato
stipulato - in attuazione di quanto stabilito dall'art. 1, comma 875,
della legge  n.  145  del  2018,  inerente  alla  individuazione  del
necessario  concorso  anche  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia al raggiungimento degli obiettivi di  finanza  pubblica  -  un
accordo fra lo Stato e la medesima Regione, poi confluito  nel  testo
del d.lgs. 25 novembre  2019,  n.  154  che  contiene  le  «Norme  di
attuazione   dello   Statuto   speciale   della   Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica». 
    Tale accordo impone il rispetto  degli  obiettivi  di  sistema  e
stabilisce che il sistema integrato - inclusivo della Regione,  degli
enti  locali  situati  sul  suo  territorio  e  dei  rispettivi  enti
strumentali e organismi interni (art.  1)  -  concorre  alla  finanza
pubblica con un contributo in termini di saldo  netto  da  finanziare
(art. 4), puntualmente individuato per gli  anni  2019-2021,  ma  non
indica vincoli di dettaglio inerenti all'ente Regione  o  ai  singoli
enti locali. 
    Pertanto, le previsioni di cui all'art. 1, commi 361, 363 e  365,
della legge n. 145 del 2018 - ora, come chiarito, in parte abrogate -
non sono vincolanti per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    4.1.1.- In conclusione, le questioni relative all'art. 107, comma
1, lettera b), della legge regionale  n.  9  del  2019,  promosse  in
riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere  l)  e
m), e terzo comma, Cost. devono essere dichiarate non fondate. 
    5.- E', poi, impugnato l'art. 108, che, sostituendo il  comma  22
dell'art. 11 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 28 dicembre 2017,
n. 45 (Legge di stabilita' 2018), dispone che  l'indennita'  mensile,
non pensionabile, che l'art. 110,  sesto  comma,  della  legge  della
Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato  giuridico
e  trattamento  economico  del  personale  della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia), gia' riconosceva agli «addetti di  segreteria
del Presidente e dei Vicepresidenti  del  Consiglio,  dei  Presidenti
delle Commissioni consiliari,  del  Presidente  della  Giunta,  degli
Assessori e dei Presidenti  degli  Enti  regionali»,  e'  corrisposta
anche  agli  «autisti  di   rappresentanza».   Questi   ultimi   sono
individuati negli autisti  di  rappresentanza  del  Presidente  della
Regione e degli assessori  regionali  (art.  38  del  Regolamento  di
organizzazione dell'Amministrazione regionale e degli enti  regionali
emanato con decreto del Presidente della Regione 27 agosto  2004,  n.
0277/ Pres.), del Presidente del Consiglio  regionale  (art.  14  del
Regolamento di organizzazione degli uffici  del  Consiglio  regionale
emanato con deliberazione dell'Ufficio di  Presidenza  del  Consiglio
regionale 30 gennaio 2019, n. 101), nonche' in quelli assegnati  alla
Segreteria  generale  del  Consiglio  regionale  e   all'Ufficio   di
gabinetto della Presidenza della Regione e ai loro sostituti. 
    Tale previsione si porrebbe  in  contrasto  con  le  disposizioni
contenute nel Titolo III del d.lgs. n. 165 del 2001,  che  regola  le
procedure da seguire in sede di contrattazione e impone  il  rispetto
della normativa contrattuale. Essa, quindi, violerebbe la  competenza
statale esclusiva in materia di «ordinamento civile»,  in  quanto  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, le cui competenze  statutarie
devono essere esercitate nel rispetto delle «norme fondamentali delle
riforme economico-sociali» (art. 4 dello statuto), non avrebbe titolo
a disciplinare il trattamento economico e  giuridico  dei  dipendenti
regionali. Quest'ultimo, a seguito della privatizzazione  del  lavoro
pubblico, e' regolato dalla legge dello Stato e, in virtu' del rinvio
da questo operato, dalla contrattazione collettiva. 
    La medesima norma violerebbe anche il  principio  di  eguaglianza
fra cittadini, in quanto introdurrebbe per  i  soli  residenti  nella
Regione un trattamento economico differenziato rispetto a quello  dei
residenti in altre Regioni. 
    5.1.-   Preliminarmente,   occorre   esaminare   l'eccezione   di
inammissibilita' sollevata dalla difesa regionale in  relazione  alla
questione promossa in riferimento all'art. 3 Cost. Tale questione non
sarebbe  ammissibile,  perche'  non  contenuta  nella   delibera   di
impugnazione del Consiglio dei ministri. 
    5.1.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Nella  relazione  del  Dipartimento  per  gli  affari   regionali
allegata alla delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri del
5 settembre 2019, fra i parametri in riferimento ai quali e' promossa
la questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  108  della
citata legge regionale n.  9  del  2019,  e'  espressamente  indicato
l'art. 3 Cost. In  particolare,  in  essa,  si  sostiene  ci  sia  il
«contrasto con il principio di eguaglianza fra  i  cittadini  di  cui
all'art. 3 della Costituzione in  quanto  il  personale  delle  altre
regioni nella stessa situazione lavorativa si troverebbe di fronte ad
una diversa qualificazione degli emolumenti». 
    5.2.- Nel merito, la questione promossa in  riferimento  all'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. e' fondata. 
    5.2.1.- La norma regionale  impugnata  sostituisce  il  comma  22
dell'art. 11 della legge regionale di stabilita'  per  il  2018,  che
disponeva  che  l'indennita'  mensile   non   pensionabile   prevista
dall'art. 110, sesto comma, della legge regionale  n.  53  del  1981,
nell'ambito della disciplina dello  «Stato  giuridico  e  trattamento
economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia»
(cosi' la rubrica del citato art. 110), in favore degli  «addetti  di
segreteria del Presidente e dei  Vicepresidenti  del  Consiglio,  dei
Presidenti delle Commissioni consiliari, del Presidente della Giunta,
degli Assessori e dei Presidenti degli Enti regionali» e per tutta la
durata dell'incarico, fosse corrisposta, «a decorrere dal 1°  gennaio
2018 e  rapportandola  ai  periodi  di  effettivo  svolgimento  delle
funzioni, anche agli autisti di rappresentanza della Regione». Con le
modifiche apportate dall'art. 108 della  legge  regionale  n.  9  del
2019, si e' precisato che la citata indennita' e' corrisposta,  oltre
che agli addetti di segreteria, «agli autisti  di  rappresentanza  di
cui   all'articolo   38    del    Regolamento    di    organizzazione
dell'Amministrazione  regionale  e  degli  enti  regionali  [...]   e
all'articolo 14 del Regolamento di organizzazione  degli  uffici  del
Consiglio regionale [...]», e cioe' agli autisti del Presidente della
Regione e degli Assessori regionali, e del Presidente  del  Consiglio
regionale,  nonche',  in  riferimento  «ai   periodi   di   effettivo
svolgimento delle funzioni di guida di rappresentanza,  agli  autisti
assegnati  alla  Segreteria  generale  del  Consiglio   regionale   e
all'Ufficio di  Gabinetto  della  Presidenza  della  Regione»  e  «al
personale che sostituisce gli autisti di rappresentanza  in  caso  di
loro assenza o impedimento». 
    Risulta  evidente,  dal  tenore  letterale   della   disposizione
impugnata, che essa, la' dove  prevede  l'estensione  dell'indennita'
per  gli  addetti  di  segreteria  agli  autisti  di  rappresentanza,
puntualmente individuati, interviene a  disciplinare  il  trattamento
economico di una specifica categoria del personale regionale. 
    Secondo   il   costante   orientamento    della    giurisprudenza
costituzionale, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego,
la disciplina del trattamento giuridico ed economico  dei  dipendenti
pubblici, tra i quali, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del  d.lgs.  n.
165 del 2001, sono  ricompresi  anche  i  dipendenti  delle  Regioni,
compete unicamente al legislatore statale, rientrando  nella  materia
dell'ordinamento civile (ex multis, sentenze n. 196 del 2018, n.  175
e n.  72  del  2017).  Tale  disciplina  e',  pertanto,  retta  dalle
disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva, cui
la legge dello Stato rinvia (sentenza n. 199 del 2020). 
    Cio' riguarda anche il personale regionale  applicato  presso  le
segreterie degli organi politici regionali e la disciplina  del  loro
trattamento  economico  accessorio.  Questa  Corte  ha   gia'   avuto
occasione di  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  di  norme
regionali volte a disciplinare, fra  l'altro,  anche  il  trattamento
economico  (accessorio)  del  personale  addetto   alle   segreterie,
ravvisando  la  violazione  della  riserva  di  competenza  esclusiva
assegnata al legislatore statale in  materia  di  ordinamento  civile
(sentenza n. 146 del 2019; nello stesso senso  sentenza  n.  213  del
2012). 
    La  norma  regionale  impugnata,   pertanto,   nel   disciplinare
l'indennita' mensile degli autisti  di  rappresentanza,  finisce  per
regolare uno degli «istituti tipici del rapporto di  lavoro  pubblico
privatizzato  [...]  con   conseguente   lesione   della   competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia  di  ordinamento  civile
(sentenze nn. 339, 77 e 7 del 2011, nn. 332 e 151 del 2010 e  n.  189
del 2007)» (sentenza n. 213 del 2012). 
    Nessun rilievo riveste la circostanza che la norma impugnata  sia
intervenuta solo a  puntualizzare  una  disciplina  introdotta  dalla
norma  sostituita  -  che  aveva  gia'   esteso   agli   autisti   di
rappresentanza l'indennita', prevista dalla risalente legge regionale
n. 51 del 1983 per gli  addetti  di  segreteria  -  e  che  la  norma
sostituita non fosse stata impugnata. L'art. 108 della legge n. 9 del
2019  ha  non   solo   riprodotto   la   previsione   dell'estensione
dell'indennita'  operata  dalla  legge  regionale  n.  45  del  2017,
rinnovando la lesione, ma ha anche ulteriormente esteso la  categoria
dei  beneficiari  dell'indennita',  la'  dove  li   ha   puntualmente
identificati negli autisti di rappresentanza  addetti  al  Presidente
della Giunta, agli assessori e al Presidente del Consiglio regionale,
ma  anche  alla  segreteria  generale  del  Consiglio   regionale   e
all'Ufficio di gabinetto della Presidenza della Regione. 
    5.2.2.- Deve, quindi, dichiararsi l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 108 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2019. 
    5.2.3.- Resta assorbita  la  questione  promossa  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l'art.
109 della citata legge regionale n. 9 del 2019, la'  dove  stabilisce
che «[i]n relazione al permanere delle particolari esigenze operative
e funzionali connesse e conseguenti al processo  di  riassetto  delle
autonomie locali», per le  «assunzioni  di  personale  della  polizia
locale»  relative  all'anno  2019,  «nonche'  con  riferimento   alle
procedure concorsuali  gia'  avviate  nell'anno  2018  e  non  ancora
concluse alla data di entrata in vigore  della  presente  legge»,  le
Unioni territoriali intercomunali (UTI)  e  i  Comuni  della  Regione
«continuano ad applicare l'articolo 56,  comma  20-ter,  della  legge
18/2016», che prevede la  possibilita'  di  procedere  ad  assunzioni
anche oltre il limite del cento per cento  della  spesa  relativa  al
personale di ruolo cessato nell'anno precedente. 
    Il ricorrente denuncia il contrasto fra la disposizione regionale
impugnata e l'art. 35-bis del decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113
(Disposizioni urgenti  in  materia  di  protezione  internazionale  e
immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita'
del Ministero dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento
dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e  la  destinazione  dei
beni  sequestrati  e  confiscati  alla   criminalita'   organizzata),
convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n.  132,
la' dove stabilisce un tetto alla spesa inerente  all'assunzione  del
personale della polizia locale per l'anno 2019. Quest'ultimo  dispone
che i Comuni, che  nel  triennio  2016-2018  abbiano  rispettato  gli
obiettivi dei vincoli di finanza pubblica, possono assumere  a  tempo
indeterminato personale di polizia locale,  nel  limite  della  spesa
sostenuta per il medesimo personale nell'anno 2016 e  fermo  restando
il conseguimento degli equilibri di bilancio. 
    La norma regionale  impugnata  sarebbe  anche  in  contrasto  con
l'art. 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti  di
crescita economica e per la risoluzione di specifiche  situazioni  di
crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n.
58,  in  quanto  non  fisserebbe  i   requisiti   di   sostenibilita'
finanziaria, cui il citato decreto-legge  subordina  la  facolta'  di
assunzione del personale pubblico. 
    Entrambe  le  norme  statali  richiamate  conterrebbero  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, cui la  Regione
non puo' derogare. 
    6.1.- La questione non e' fondata. 
    L'art. 109 della legge regionale  n.  9  del  2019,  al  fine  di
soddisfare le «particolari esigenze operative e funzionali connesse e
conseguenti al processo di riassetto delle autonomie locali», avviato
con la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2014, n.
26 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel  Friuli-Venezia
Giulia.  Ordinamento  delle  Unioni  territoriali   intercomunali   e
riallocazione  di  funzioni  amministrative)  e   disciplinato,   fra
l'altro, dalla legge  regionale  n.  18  del  2016,  nell'ambito  del
«sistema  integrato  di  interventi  per  la  gestione  di  attivita'
riguardanti  le  amministrazioni  del  Comparto  unico  del  pubblico
impiego regionale e locale», non fa che ribadire quanto gia' previsto
dall'art. 50-ter della medesima legge regionale n. 18  del  2016  per
gli anni 2018 e 2019. Quest'ultimo dispone che i Comuni e le UTI,  in
cui si articola il citato sistema integrato, possono effettuare,  per
l'anno 2019 e in relazione alle procedure  concorsuali  gia'  avviate
nell'anno 2018 e non ancora concluse alla data di entrata  in  vigore
della medesima legge, assunzioni di personale  della  polizia  locale
«anche oltre il limite del 100 per  cento  della  spesa  relativa  al
personale  di  ruolo  cessato  nell'anno  precedente»,  purche'   nel
«rispetto degli obblighi di contenimento della spesa di personale  di
cui all'articolo 22 della legge regionale 18/2015». Tali obblighi  di
contenimento della spesa di personale  sono  individuati  nel  citato
art. 22 della legge regionale 17 luglio 2015, n.  18  (La  disciplina
della finanza locale del Friuli-Venezia Giulia, nonche'  modifiche  a
disposizioni  delle  leggi  regionali  19/2013,  9/2009   e   26/2014
concernenti gli enti locali), nel  testo  vigente  al  momento  della
proposizione del  ricorso,  «nei  limiti  del  valore  medio  di  uno
specifico triennio». 
    Il ricorrente contesta la non conformita' di tale  previsione  ai
principi di coordinamento  della  finanza  pubblica  individuati  sia
nell'art. 35-bis del d.l. n. 113 del 2018 - che vincola i  Comuni  ad
assumere  personale  di  polizia  locale,  nel  limite  della   spesa
sostenuta per il medesimo personale nell'anno 2016 - sia nell'art. 33
del d.l. n. 34 del 2019, che subordina la facolta' di assunzione  del
personale pubblico alla "sostenibilita'  finanziaria"  delle  stesse.
Entrambi  i  citati  principi  si  imporrebbero  anche  alla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    Tale assunto e' privo di fondamento. 
    Occorre anzitutto sottolineare che l'art. 33 del d.l. n.  34  del
2019 ha introdotto un nuovo criterio di contenimento delle spese  per
le assunzioni del personale da parte dei Comuni,  diverso  e  non  in
linea con quello indicato nell'art. 35-bis del d.l. n. 113 del  2018,
in quanto non piu' legato alle cessazioni  e  alle  assunzioni  degli
anni precedenti, ma alla "sostenibilita' finanziaria" delle  medesime
assunzioni, ancorata a valori soglia riferiti alla spesa  complessiva
per tutto il personale dipendente. 
    Questa considerazione rivela, anzitutto,  una  incoerenza  fra  i
principi  di  coordinamento  evocati  congiuntamente  come  parametri
interposti. 
    Al di la' di cio', l'art. 33-ter del medesimo d.l. n. 34 del 2019
dimostra la non vincolativita', in radice, per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia di entrambe le citate disposizioni.  Il  citato
art. 33-ter del d.l. n. 34 del 2019, infatti, nell'inserire  i  commi
da 875-bis a 875-septies all'art. 1 della legge di  bilancio  per  il
2019  (legge  n.  145  del  2018),  disciplina  dettagliatamente   le
specifiche forme del contributo alla finanza pubblica  da  parte  del
«sistema   integrato   degli   enti   territoriali   della    regione
Friuli-Venezia Giulia», in applicazione «dell'accordo sottoscritto il
25 febbraio 2019 tra il Ministro dell'economia e delle finanze  e  il
Presidente della regione Friuli-Venezia Giulia  ai  sensi  del  comma
875, con il quale  e'  data  attuazione  alle  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 77 del 2015, n. 188 del 2016, n. 154 del 2017 e  n.
103 del 2018» (comma 875-bis). 
    Questa Corte, come si e' gia' ricordato (supra, punto  4.1.),  ha
ripetutamente affermato che i  principi  fondamentali  fissati  dalla
legislazione  dello  Stato   nell'esercizio   della   competenza   di
coordinamento della finanza pubblica  che  le  Regioni  ad  autonomia
speciale  sono  tenute  a  rispettare   devono   essere   individuati
nell'osservanza del «principio dell'accordo, inteso come  vincolo  di
metodo (e non gia' di risultato) e declinato nella forma della  leale
collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118  del  2012)»
(sentenza n. 103 del 2018). 
    E' in questa prospettiva che l'art. 1, comma 875, della legge  n.
145 del 2018  ha  demandato  a  un  apposito  accordo  bilaterale  la
ridefinizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato  e  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,  al  fine  di  assicurare  il
necessario  concorso  di  quest'ultima  agli  obiettivi  di   finanza
pubblica.  In  tale  accordo  sono  stati,  pertanto,  individuati  i
principi   generali   di   coordinamento   della   finanza   pubblica
specificamente vincolanti per la Regione in  questione,  fra  cui  si
segnalano il mantenimento dei bilanci dei soggetti che compongono  il
sistema integrato degli enti territoriali del  Friuli-Venezia  Giulia
in equilibrio, ai sensi degli  artt.  97  e  119  Cost.,  nonche'  il
contributo in termini di saldo netto da finanziare, che,  per  l'anno
2019, e' puntualmente definito. Ove si consideri  che,  nel  medesimo
accordo, e' espressamente stabilito che «gli obblighi  derivanti  dal
presente Accordo sostituiscono le misure  di  concorso  alla  finanza
pubblica del sistema  integrato,  comunque  denominate,  previste  da
intese o da disposizioni di leggi  vigenti»  anche  per  l'anno  2019
(art. 4 del d.lgs. n. 154 del 2019), appare evidente che le  puntuali
previsioni delle disposizioni di  legge  statale  che  il  ricorrente
invoca quali norme interposte non sono da ritenersi vincolanti per la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    7.- E', infine,  impugnato  l'art.  112,  comma  1,  della  legge
regionale n. 9 del 2019, la' dove stabilisce che, «[i]n relazione  al
processo  di   superamento   delle   Province   e   del   conseguente
trasferimento di funzioni alla Regione e in un'ottica di coerenza  di
sistema»,  al  personale  trasferito  dalle  Province  alla  Regione,
mediante mobilita' volontaria di Comparto, si applica il  trattamento
economico di cui all'art. 50,  comma  1,  della  legge  regionale  28
giugno 2016, n. 10 (Modifiche a  disposizioni  concernenti  gli  enti
locali contenute nelle  leggi  regionali  1/2006,  26/2014,  18/2007,
9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e
27/2012),  che  garantisce   il   mantenimento   della   retribuzione
individuale di  anzianita'  o  il  maturato  economico  in  godimento
all'atto del trasferimento. 
    Tale previsione violerebbe la  competenza  esclusiva  statale  in
materia di ordinamento civile, in quanto si porrebbe in contrasto con
l'art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    Quest'ultimo, in tema di mobilita'  volontaria,  dispone  che  «a
seguito   dell'iscrizione   nel   ruolo    dell'amministrazione    di
destinazione, al  dipendente  trasferito  per  mobilita'  si  applica
esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello
accessorio, previsto nei contratti collettivi  vigenti  nel  comparto
della stessa amministrazione». 
    La norma regionale impugnata si porrebbe anche in  contrasto  con
il principio di eguaglianza,  in  quanto  introdurrebbe  per  i  soli
residenti  nella  Regione  un  trattamento  economico   differenziato
rispetto a quello dei residenti nelle altre Regioni. 
    7.1.- In linea  preliminare,  occorre  esaminare  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dalla difesa regionale nei confronti della
questione promossa in riferimento all'art. 3 Cost. Tale questione non
sarebbe ammissibile in quanto non sarebbe contenuta nella delibera di
impugnazione del Consiglio dei ministri. 
    7.1.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Nella  relazione  del  Dipartimento  per  gli  affari   regionali
allegata alla delibera di impugnazione  del  Consiglio  dei  ministri
(del 5 settembre 2019), fra i parametri in riferimento ai quali  sono
promosse le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  112
della citata legge regionale n. 9 del 2019 e'  espressamente  evocato
l'art. 3 Cost. Tale evocazione e' connessa al dedotto contrasto della
norma regionale impugnata con la «regolazione uniforme», dettata  dal
legislatore  statale,  «a  cui  deve  attenersi  tutta  la   pubblica
amministrazione   il   cui    rapporto    di    lavoro    e'    stato
contrattualizzato». 
    7.2.- La questione promossa in riferimento all'art. 3  Cost.  e',
tuttavia, priva di fondamento nel merito, in quanto  si  basa  su  un
erroneo presupposto interpretativo. 
    7.2.1.-  Come  si  e'  ricordato,  il  ricorrente   denuncia   la
violazione  dell'art.  3  Cost.  da  parte  della   norma   regionale
impugnata,  in  quanto   introdurrebbe   un   trattamento   economico
differenziato per i soli dipendenti residenti nella Regione  rispetto
a quello previsto per i residenti in altre Regioni. 
    L'infondatezza di un simile assunto e' rivelata dal chiaro tenore
letterale  della  disposizione  impugnata,  che  non   opera   alcuna
differenziazione di trattamento in base alla residenza del lavoratore
del comparto unico regionale,  ma  si  rivolge,  indistintamente,  al
personale trasferito dalle Province alla Regione  mediante  mobilita'
volontaria di comparto. 
    7.3.- Anche la questione promossa nei  confronti  dell'art.  112,
comma 1, della legge regionale n. 9 del 2019, in riferimento all'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., e' priva di fondamento. 
    7.3.1.- La norma regionale impugnata, che fa espresso riferimento
al «superamento delle Province» e al  «conseguente  trasferimento  di
funzioni alla Regione», si  inserisce  nell'ambito  del  processo  di
riordino del «sistema  Regione-autonomie  locali  nel  Friuli-Venezia
Giulia», originariamente tratteggiato gia' dalla legge della  Regione
Friuli-Venezia Giulia 12 dicembre 2014, n. 26 (Riordino  del  sistema
Regione-Autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia. Ordinamento delle
Unioni  territoriali  intercomunali  e  riallocazione   di   funzioni
amministrative). L'art. 1 di tale legge - poi abrogato dall'art.  40,
comma 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29  novembre
2019, n. 21 (Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli  enti
locali  del  Friuli-Venezia  Giulia  e  istituzione  degli  Enti   di
decentramento  regionale)  -  si  proponeva  «l'individuazione  delle
dimensioni ottimali per l'esercizio di funzioni amministrative  degli
enti locali, la definizione dell'assetto delle forme associative  tra
i Comuni e la riorganizzazione  delle  funzioni  amministrative»,  in
vista della «valorizzazione di  un  sistema  policentrico»,  volto  a
favorire   «la   coesione   tra   le    istituzioni    del    sistema
Regione-Autonomie   locali,   l'uniformita',   l'efficacia    e    il
miglioramento   dei   servizi   erogati   ai    cittadini,    nonche'
l'integrazione delle politiche sociali, territoriali ed economiche». 
    Si trattava di una misura funzionale, tra  l'altro,  al  riordino
disposto dal legislatore statale con la legge 7 aprile  2014,  n.  56
(Disposizioni  sulle  citta'  metropolitane,  sulle  province,  sulle
unioni e fusioni di comuni). 
    Tale processo di riordino regionale ha conosciuto varie fasi. Fra
queste particolare rilievo ha assunto quella legata alla soppressione
delle Province, disposta con la legge  della  Regione  Friuli-Venezia
Giulia 9 dicembre  2016,  n.  20  (Soppressione  delle  Province  del
Friuli-Venezia Giulia  e  modifiche  alle  leggi  regionali  11/1988,
18/2005,  7/2008,  9/2009,  5/2012,  26/2014,  13/2015,   18/2015   e
10/2016), in attuazione dell'art. 12 della  legge  costituzionale  28
luglio 2016, n. 1 (Modifiche  allo  Statuto  speciale  della  regione
Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge  costituzionale  31  gennaio
1963, n. 1, in materia di enti locali,  di  elettorato  passivo  alle
elezioni  regionali  e  di  iniziativa  legislativa   popolare).   Il
legislatore costituzionale, nel modificare lo statuto  speciale,  ha,
infatti,  impresso  un  significativo  mutamento   all'organizzazione
regionale, sopprimendo le Province e disponendo, di  conseguenza,  il
trasferimento delle relative funzioni «ai comuni, anche  nella  forma
di citta' metropolitane,  o  alla  regione,  con  le  risorse  umane,
finanziarie  e  strumentali  corrispondenti,  e  la  successione  nei
rapporti  giuridici»  (cosi'  il  citato   art.12,   comma   2).   La
realizzazione di tali trasferimenti e'  stata,  poi,  regolata  dalla
richiamata legge regionale  n.  20  del  2016,  secondo  un  processo
graduale. 
    Nell'ambito di tale processo  e  nelle  more  della  soppressione
delle Province si e' previsto che queste  ultime,  in  linea  con  il
progressivo ridimensionamento delle proprie funzioni, riducessero  le
proprie dotazioni organiche. Cio' ha comportato il trasferimento  del
personale che, per effetto di tale  riduzione,  «sia  dichiarato  non
fondamentale per le funzioni che permangono in capo  alle  Province»,
«presso la  Regione  a  eccezione  di  quello  che,  per  effetto  di
mobilita' volontaria, consegua il  trasferimento  presso  una  Unione
territoriale intercomunale» (art. 46, comma 2, della legge  regionale
28 giugno 2016, n. 10 recante «Modifiche a  disposizioni  concernenti
gli enti locali contenute  nelle  leggi  regionali  1/2006,  26/2014,
18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007,
2/2016 e 27/2012»). Nei confronti di tale personale, come  di  quello
trasferito a seguito della entrata in vigore della legge regionale n.
20 del 2016, per  effetto  del  riordino  conseguente  all'avvio  del
processo di soppressione delle Province, l'art. 50,  comma  1,  della
citata legge regionale n. 10 del 2016, ha disposto  la  conservazione
della retribuzione individuale di anzianita' o del maturato economico
in godimento all'atto del  trasferimento,  in  linea,  peraltro,  con
quanto statuito dal legislatore statale all'art. 1, comma 96, lettera
a), della legge n. 56 del 2014, in relazione al personale  trasferito
dalle Province alle Regioni o agli enti locali. 
    7.3.2.- In questo contesto si colloca l'impugnato art. 112, comma
1, che interviene in una fase successiva  a  quella  delineata  dalla
legge regionale n. 20 del 2016, ma ancora in costanza  del  «processo
di superamento delle Province  e  del  conseguente  trasferimento  di
funzioni alla Regione». Esso, «in un'ottica di coerenza di  sistema»,
dispone che il trattamento economico previsto dall'art. 50, comma  1,
della  legge  regionale  n.  10  del  2016  -   che   garantisce   la
conservazione della retribuzione  individuale  di  anzianita'  o  del
maturato economico in  godimento  all'atto  del  trasferimento  -  si
applichi «anche nei confronti del personale trasferito dalle Province
alla Regione, successivamente alla data di entrata  in  vigore  della
medesima legge regionale, mediante mobilita' volontaria di Comparto».
Tale disposizione e'  da  considerarsi  armonica  rispetto  a  quanto
statuito  dalla  contrattazione  collettiva  di  lavoro   a   livello
regionale, in cui si riconosce ai lavoratori  che,  a  seguito  della
mobilita' di Comparto, transitano da un ente a un  altro  all'interno
del  Comparto  unico,  il  mantenimento  del  «proprio  inquadramento
tabellare» inerente  alla  «categoria  di  appartenenza  e  posizione
economica» (art. 27 del CCRL Comparto unico non  dirigenti,  relativo
al biennio  economico  2004-2005),  comprensivo  della  «retribuzione
individuale di anzianita'» e del «maturato economico»  (art.  60  del
medesimo CCRL sopra citato), come confermato dall'art.  21  del  CCRL
relativo al Personale del Comparto unico del personale non  dirigente
- Triennio normativo ed economico 2016/2018. 
    Tali indicazioni sono in linea con la  contrattazione  collettiva
nazionale  del  Comparto   Regioni   e   autonomie   locali,   quanto
all'inquadramento retributivo del personale trasferito (art.  28  del
CCNL Comparto delle Regioni e delle autonomie locali per  il  biennio
economico 2000/2001) e si rivelano coerenti non solo con il  disposto
dell'art. 30, comma 2-quinquies, del d.lgs.  n.  165  del  2001,  che
impone di applicare al personale trasferito il trattamento  economico
di cui ai contratti collettivi  vigenti  nel  medesimo  comparto,  ma
anche con la ratio sottesa all'istituto della mobilita'  disciplinato
dal comma  1  del  citato  art.  30  del  d.lgs.  n.  165  del  2001.
Quest'ultimo, volto a regolare il «passaggio diretto»  di  dipendenti
pubblici da un'amministrazione a un'altra, e', nell'ottica stessa del
d.lgs.  n.  165  del  2001,  strumento   preordinato   a   realizzare
«l'ottimale  distribuzione  delle   risorse   umane   attraverso   la
coordinata attuazione» dei relativi processi (art. 6,  comma  2,  del
medesimo  d.lgs.  n.  165  del  2001)  in  vista  di  una  efficiente
organizzazione e gestione dei compiti amministrativi. 
    In questa prospettiva appare  evidente  che  la  norma  regionale
impugnata, che  si  inserisce  nel  complesso  processo  di  riordino
amministrativo degli enti territoriali  della  Regione,  indotto  dal
legislatore costituzionale, costituisce  esercizio  della  competenza
regionale in materia di organizzazione amministrativa e non invade la
sfera di competenza statale  esclusiva  in  materia  di  «ordinamento
civile».  Lungi  dal  sostituirsi  al  legislatore  statale  o   alla
contrattazione collettiva  quanto  alla  disciplina  del  trattamento
economico del personale trasferito, essa rinvia proprio a tali fonti,
richiamandone le prescrizioni, al fine di promuovere, in un'ottica di
coerenza di sistema, la mobilita' di comparto. Obiettivo  finale  e',
infatti, il superamento definitivo delle Province e il  completamento
del trasferimento delle funzioni alla Regione, al fine di  consentire
a quest'ultima di gestire nella maniera piu' adeguata ed efficiente i
nuovi compiti amministrativi che le sono stati affidati.