ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
605, della legge 27 dicembre 2017, n.  205  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento
vertente tra I.M. F. e il Ministero dell'istruzione, dell'universita'
e della ricerca e altro, con ordinanza del 13 novembre 2019, iscritta
al n. 248 del registro ordinanze 2019  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2020. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  I.M.  F.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  17  novembre  2020  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Francesco Paoletti  per  I.M.  F.  e  l'avvocato
dello Stato Federico Basilica per il  Presidente  dei  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 17 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al registro ordinanze n. 248 del 2019,
il  Consiglio  di  Stato  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre  2017,
n. 205 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2018  e  bilancio  pluriennale  per  il   triennio   2018-2020),   in
riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. 
    La norma oggetto della questione di  legittimita'  costituzionale
stabilisce che, entro il 2018, si debba bandire un concorso  pubblico
per l'assunzione, nel  Comparto  scuola,  di  direttori  dei  servizi
generali e amministrativi. Essa prevede che a tale  concorso  possano
partecipare anche gli assistenti amministrativi i quali, alla data di
entrata in vigore della legge, abbiano  maturato  almeno  tre  interi
anni di servizio, negli ultimi otto, nelle mansioni di direttore  dei
servizi generali e amministrativi. L'ammissione al concorso  di  tali
candidati avviene «anche in mancanza del requisito culturale  di  cui
alla tabella B allegata al contratto collettivo nazionale  di  lavoro
relativo al personale del Comparto scuola  sottoscritto  in  data  29
novembre 2007, e successive modificazioni». 
    Il Consiglio di Stato riferisce di  essere  chiamato  a  decidere
sull'appello contro la sentenza con cui il  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio aveva respinto il ricorso  promosso  in  primo
grado da una candidata, volto a ottenere  l'annullamento  degli  atti
amministrativi che le impedivano di partecipare al concorso,  bandito
nel 2018, per n. 2.400 posti di  direttore  dei  servizi  generali  e
amministrativi (DSGA) vacanti  presso  gli  istituti  scolastici.  Il
bando  di  concorso  prevedeva  la  partecipazione  degli  assistenti
amministrativi che, pur  se  privi  del  titolo  culturale  richiesto
(laurea specialistica indicata dalla tabella B allegata al  contratto
collettivo nazionale di lavoro relativo  al  personale  del  Comparto
scuola,  sottoscritto  in  data  29  novembre  2007,   e   successive
modificazioni), avessero maturato, alla data  di  entrata  in  vigore
della legge n. 205 del 2017, almeno tre anni interi di servizio negli
ultimi otto, anche non continuativi, sulla base di incarichi annuali,
svolgendo le  mansioni  di  DSGA.  Tale  previsione,  ad  avviso  del
rimettente, e' sostanzialmente riproduttiva del citato art. 1,  comma
605, della legge n. 205 del 2017, che prevede  la  partecipazione  al
concorso per i candidati che si trovino in possesso del requisito  di
esperienza triennale alla data di entrata in vigore  della  legge  n.
205 del 2017 (1° gennaio 2018), ma non anche per coloro  che  abbiano
maturato il medesimo requisito in epoca successiva, purche' entro  la
scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione
al  concorso  (nella  specie,  il  27  gennaio  2019).  L'interessata
«avrebbe conseguito i tre anni alla data del 1 agosto 2018».  Sarebbe
la stessa formulazione della norma  primaria,  dunque,  a  costituire
«elemento direttamente  ostativo  alla  auspicata  partecipazione  al
concorso da parte della odierna appellante». 
    Tale norma, che qualifica la procedura come «concorso  pubblico»,
cui dovrebbe  essere  garantita  la  piu'  ampia  partecipazione,  in
coerenza con i principi  costituzionali,  ha  esteso  la  platea  dei
soggetti ammessi a partecipare, valorizzando «un requisito  rilevante
in termini di esperienza maturata in capo  a  soggetti  eventualmente
privi  del  titolo  di  studio».  Nel  prescrivere  che  quest'ultimo
requisito fosse presente al  momento  dell'entrata  in  vigore  della
legge n. 205 del 2017,  ben  prima  della  scadenza  del  termine  di
presentazione delle domande di partecipazione fissato nel bando, essa
sarebbe entrata in contrasto con una  «regola  generale  in  tema  di
concorsi», codificata dall'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio  1957,  n.  3
(Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  lo   statuto   degli
impiegati civili dello Stato), nonche'  dall'art.  2,  comma  7,  del
d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme  sull'accesso
agli impieghi nelle  pubbliche  amministrazioni  e  le  modalita'  di
svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre  forme  di
assunzione nei pubblici impieghi). Tale regola  costituirebbe,  anche
nell'interpretazione  data   dalla   giurisprudenza   amministrativa,
«espressione di  un  principio  generale,  strettamente  connesso  ai
principi  di  imparzialita'  dell'Amministrazione  e  di  parita'  di
trattamento dei candidati», e  risulterebbe  coerente  con  il  favor
partecipationis nelle procedure di selezione. 
    Viceversa,  la  norma  introdotta  nel  2017  darebbe  luogo  «ad
illogicita' e disparita' di trattamento  potenzialmente  contrastanti
con i principi costituzionali». Vi  sarebbe,  infatti,  «il  concreto
rischio  che  possano  esservi  vantaggi  solo   per   alcuni   degli
appartenenti alla categoria, con esclusione degli altri»,  senza  che
la deroga alla regola generale appaia sorretta da alcuna ragione, ne'
da una particolare esigenza di pubblico  interesse.  Quest'ultima,  a
detta del rimettente, non emergerebbe neppure dai lavori  preparatori
della legge. Ne conseguirebbe una disparita' di trattamento, sia  «in
relazione  agli  altri  possessori  del  requisito  in  esame»,   sia
«rispetto ai  possessori  dell'alternativo  requisito  ordinario  del
titolo di studio, il quale, a fini di partecipazione e contrariamente
al requisito in esame, puo' essere stato acquisito anche dopo la data
dell'1 gennaio 2018». 
    Il   rimettente,   nell'affermare,   anche   alla   luce    della
giurisprudenza costituzionale, che il pubblico concorso e'  la  forma
ordinaria   di   reclutamento   del    personale    della    pubblica
amministrazione, ribadisce che possono intervenire deroghe  «solo  in
presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico»
e  sempre  che  l'area  delle  eccezioni  sia  «delimitata  in   modo
rigoroso».  La  natura  «aperta»  e  «comparativa»  della   procedura
concorsuale e' prescritta in vista dell'obiettivo  di  selezionare  i
candidati che posseggano le professionalita' necessarie a svolgere le
mansioni richieste, in base al criterio del «merito». Il Consiglio di
Stato ritiene che cio' non accada nel caso  di  specie.  Il  criterio
temporale imposto dalla  norma  costituirebbe,  infatti,  un  «limite
irragionevole alla piu' ampia partecipazione»,  poiche'  non  sarebbe
sorretto - pur a fronte del «carattere ordinario del concorso»  -  da
alcuna specifica esigenza di interesse pubblico.  Ne  deriverebbe  la
violazione dell'art. 3 Cost. «da solo e in combinato disposto con gli
artt. 51 e 97 Cost.», e vi sarebbe «una  grave  lesione  ai  principi
costituzionali di parita' tra i cittadini (art.  3),  di  uguaglianza
nell'accesso agli uffici pubblici (art. 51)  e  di  accesso  mediante
concorso, salvo i casi stabiliti dalla  legge,  agli  impieghi  nelle
pubbliche amministrazioni (art. 97)». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che sostiene la non fondatezza della questione. 
    Nel rimarcare che  la  norma  del  2017  «rappresenta  [...]  una
eccezione alla regola, prevista  una  tantum  al  precipuo  scopo  di
stabilizzare una parte del personale  ATA  che  abbia  acquisito  una
apprezzabile professionalita' a  seguito  di  reiterati  incarichi  a
tempo determinato», la difesa erariale ne evidenzia il  carattere  di
legge-provvedimento, poiche'  la  norma  sarebbe  operante  solo  con
riguardo  a  «uno  specifico  concorso»  e  «nei  confronti  di   una
circoscritta categoria di soggetti». La fissazione del termine ultimo
del 1° gennaio 2018, ai fini della valutazione del servizio prestato,
risulterebbe quindi «perfettamente in linea con  la  finalita'  e  la
straordinarieta' della previsione stessa». 
    Il legislatore, secondo la difesa erariale, avrebbe effettuato un
«bilanciamento di interessi contrastanti»,  entrambi  «meritevoli  di
apprezzamento»: da un lato, il favor partecipationis,  da  declinarsi
nel   senso   della   necessita'   di   un   «riconoscimento    della
professionalita' maturata dagli assistenti amministrativi», ancorche'
non in possesso del necessario  titolo  di  accesso  alla  selezione;
dall'altro lato, il principio meritocratico, che protegge «il diritto
dei soggetti in possesso del prescritto titolo di studio a concorrere
[...] solo con coloro che siano dotati dei requisiti  previsti  dalle
fonti  legislative  e  contrattuali».  La  soluzione  prescelta   dal
legislatore del 2017 corrisponderebbe a «un approdo di  certezza  del
diritto e dei rapporti», visto che,  «[q]uanto  piu'  il  termine  e'
ristretto, [...] tanto piu' si riespande il principio meritocratico». 
    In presenza di leggi-provvedimento,  secondo  il  Presidente  del
consiglio dei ministri, «il parametro della ragionevolezza  non  puo'
certo coincidere con quello dell'eguaglianza formale».  Nel  caso  di
specie, si avrebbe «una ragionevole deroga alla par condicio  formale
dei  partecipanti  ad  un  pubblico  concorso»,  in  una  logica  «di
giustizia sostanziale». Del resto, la disposizione contestata, «lungi
dallo  stabilizzare  il  personale  sulla  sola  base  del   servizio
prestato, si limita ad ammetterlo alla procedura concorsuale»,  senza
che con cio' la selezione possa dirsi trasformata  in  una  procedura
riservata. 
    Il possesso della laurea quale requisito di ammissione alla  data
di scadenza per la presentazione della domanda di  partecipazione  al
concorso sarebbe assicurato, poiche' si prevede che il  titolo  debba
essere stato conseguito entro tale data. Al contempo,  viene  ammessa
l'eccezione che salvaguarda l'avvenuta maturazione di un  determinato
periodo di servizio nelle funzioni di DSGA  entro  una  «data  certa,
ravvicinata e nella disponibilita' del legislatore»: in tal modo, «la
data non e'  richiesta  per  il  possesso  di  un  requisito  ma  per
circoscrivere l'assenza dello stesso». 
    Nel richiamare l'ampia discrezionalita' del  legislatore  per  la
determinazione dei criteri di ammissione ai concorsi  (e'  citata  la
sentenza di questa Corte n. 51 del 1994), la  difesa  statale  rileva
che  «l'apparente  disparita'   di   trattamento»,   denunciata   dal
rimettente, risulterebbe «pienamente giustificata» dalla  «necessita'
di valorizzare la laurea e, conseguentemente,  di  arginare  in  modo
netto   il   regime   transitorio   in   favore   degli    assistenti
amministrativi».  Peraltro,  l'ancoraggio  alla  data  fissa  del  1°
gennaio  2018  conferirebbe  all'operazione  un  maggior   grado   di
certezza, «in modo da non riservare all'Amministrazione alcun residuo
margine di discrezionalita' sulla portata della  deroga  al  possesso
del titolo di studio». 
    3.- Si e' costituita in giudizio I.M. F., appellante nel giudizio
a quo, che ha chiesto l'accoglimento della questione di  legittimita'
costituzionale, limitandosi ad aderire  alle  argomentazioni  esposte
nell'ordinanza di rimessione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di Stato ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
605, della legge 27 dicembre 2017, n.  205  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020), per violazione degli artt.  3,  51  e  97  della
Costituzione. 
    Per l'anno 2018 la norma censurata ha previsto l'indizione di  un
concorso  per  l'assunzione  di  direttori  dei  servizi  generali  e
amministrativi   (DSGA)   nel   Comparto    scuola,    aperto    alla
partecipazione, fra gli altri, anche degli assistenti  amministrativi
che, ancorche' privi del requisito culturale ordinario  indicato  dal
contratto collettivo (la laurea specialistica indicata dalla  tabella
B allegata al contratto collettivo nazionale di  lavoro  relativo  al
personale del Comparto scuola, sottoscritto in data 29 novembre 2007,
e  successive  modificazioni),  avessero  maturato  un  triennio   di
esperienza nelle mansioni di DSGA negli ultimi otto anni. L'epoca  di
maturazione  di  quest'ultimo  requisito  e'  stata  individuata  dal
legislatore nella «data di entrata in vigore  della  presente  legge»
(1° gennaio 2018), anziche' nella data di scadenza dei termini per la
presentazione delle domande di partecipazione al concorso. 
    Su questa opzione prescelta dal  legislatore  si  concentrano  le
censure del rimettente. Sarebbe stata violata una «regola generale in
tema di concorsi», stabilita dalle norme che  disciplinano  l'accesso
ai pubblici impieghi (sono richiamati l'art. 2 del d.P.R. 10  gennaio
1957, n. 3, recante «Testo unico delle  disposizioni  concernenti  lo
statuto degli impiegati civili dello Stato», e l'art. 2, comma 7, del
d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, «Regolamento recante norme sull'accesso
agli impieghi nelle  pubbliche  amministrazioni  e  le  modalita'  di
svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre  forme  di
assunzione nei  pubblici  impieghi»).  Si  creerebbe,  in  tal  modo,
«illogicita' e disparita' di trattamento potenzialmente  contrastanti
con i principi costituzionali» e si  determinerebbe  un'irragionevole
limitazione  della  «piu'  ampia  partecipazione  in  condizioni   di
parita'», con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. «da solo e  in
combinato disposto con gli artt. 51 e 97 Cost.». 
    2.- La questione non e' fondata. 
    Questa Corte ha affermato che il principio del pubblico concorso,
di  cui  all'art.  97,  quarto  comma,  Cost.,  non  e'  di  per  se'
incompatibile, nella  logica  dell'agevolazione  del  buon  andamento
della pubblica  amministrazione,  con  la  previsione  per  legge  di
«condizioni di accesso  intese  a  consolidare  pregresse  esperienze
lavorative maturate nella  stessa  amministrazione»,  purche'  l'area
delle eccezioni sia delimitata in modo  rigoroso  e  sia  subordinata
all'accertamento     di     specifiche     necessita'      funzionali
dell'amministrazione e allo  svolgimento  di  procedure  di  verifica
dell'attivita' svolta (sentenza  n.  113  del  2017,  punto  2.3  del
Considerato in diritto; in precedenza, sentenze n. 167 del 2013 e  n.
310, n. 189 e n. 52 del 2011). 
    Questa  Corte  ha  inoltre  chiarito  che  «occorre  trovare   un
ragionevole punto  di  equilibrio»  tra  il  principio  del  pubblico
concorso  e  l'interesse  a  consolidare  le   pregresse   esperienze
lavorative del personale (da ultimo, sentenza n. 164 del 2020,  punto
20 del Considerato in diritto). 
    La valorizzazione di esperienze lavorative maturate nel tempo, se
-  come  si  e'  ricordato  -  puo'  giustificare,  al  ricorrere  di
specifiche condizioni, il consolidamento delle stesse  in  deroga  al
principio del pubblico concorso, puo', a  maggior  ragione,  incidere
sulla determinazione dei requisiti di ammissione al concorso, rimessa
all'ampia discrezionalita' del legislatore.  Anche  in  tal  caso  il
punto di equilibrio fra l'individuazione dei  requisiti  ordinari  di
ammissione  al  concorso,  indicati  nel  contratto  collettivo   del
Comparto scuola e inerenti al  possesso  dello  specifico  titolo  di
studio  richiesto   per   l'adeguato   svolgimento   delle   funzioni
corrispondenti ai  posti  messi  a  concorso,  e  la  deroga  a  tale
individuazione,  finalizzata  alla  valorizzazione  delle   pregresse
esperienze lavorative, deve essere ricercato nel rispetto del «limite
dei principi di ragionevolezza e di salvaguardia del  buon  andamento
della p.a.» (cosi' sentenza n. 51 del 1994, punto 2  del  Considerato
in diritto; analogamente, sentenze n. 99 del 1998 e n. 136 del 2004). 
    Gia' in epoca risalente questa Corte ha affermato, sia  pure  con
riferimento al diverso requisito di accesso rappresentato  dall'eta',
che rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire  criteri
per l'accesso ai pubblici impieghi, purche' i  «requisiti  non  siano
determinati in modo arbitrario o irragionevole» (sentenza n. 466  del
1997, punto 3 del Considerato in diritto)  e  costituiscano  «opzione
non  obbligata  sul  piano  costituzionale»,   ben   potendo   essere
perseguite altre soluzioni, in vista di un trattamento uniforme tra i
concorrenti (sentenza n. 466 del 1997, punto  4  del  Considerato  in
diritto). 
    In generale, la scelta di fissare il possesso  dei  requisiti  di
ammissione alla data di scadenza della presentazione  delle  domande,
pur assurgendo a principio generale della legislazione  sui  concorsi
pubblici, come evidenziato dal rimettente, non costituisce una scelta
costituzionalmente   obbligata.   Nella   sua   discrezionalita'   il
legislatore puo' dunque indicare una data diversa  e  anteriore,  con
riferimento a requisiti posti in deroga a quelli  ordinari,  entro  i
limiti della non manifesta irragionevolezza e  della  uniformita'  di
trattamento tra categorie omogenee di candidati. 
    Nel caso di specie, tali limiti non appaiono valicati. 
    A fronte della ragione di interesse pubblico - la  valorizzazione
una  tantum,  nell'interesse  dell'amministrazione  di  appartenenza,
delle pregresse esperienze lavorative di coloro che,  pur  sprovvisti
del requisito culturale richiesto, avevano gia' svolto le funzioni di
DSGA per un periodo sufficiente ad assicurare  un'adeguata  capacita'
professionale  -  il  legislatore  ha  individuato,  ai  fini   della
maturazione del requisito di ammissione in esame, la data di  entrata
in vigore della legge, anziche' la data di scadenza  del  termine  di
presentazione della domanda di partecipazione al concorso. 
    Tale  scelta  si  giustifica  per  l'oggettiva   diversita'   che
intercorre tra il titolo di studio, inteso quale requisito  culturale
ordinario di ammissione al  concorso,  e  il  periodo  di  esperienza
triennale,  individuato   in   via   eccezionale,   quale   requisito
alternativo per delimitare, al momento dell'entrata in  vigore  della
legge, la platea dei candidati. 
    La  previsione  censurata  non  determina  alcuna   irragionevole
limitazione della piu' ampia partecipazione al concorso consentita ai
candidati in possesso del requisito generale di ammissione  e  dunque
non  contrasta  neppure  con  il   principio   del   buon   andamento
dell'amministrazione.