ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 4,
del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di  potenziamento  del
Servizio sanitario nazionale e di sostegno  economico  per  famiglie,
lavoratori  e  imprese  connesse  all'emergenza   epidemiologica   da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020,
n. 27, e dell'art. 36, comma 1, del decreto-legge 8 aprile  2020,  n.
23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di  adempimenti
fiscali per le imprese, di poteri speciali  nei  settori  strategici,
nonche' interventi in materia di  salute  e  lavoro,  di  proroga  di
termini amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni,
nella legge 5 giugno 2020, n. 40, promossi dal Tribunale ordinario di
Siena con due ordinanze del 21 maggio 2020, dal  Tribunale  ordinario
di Spoleto con ordinanza del 27 maggio 2020 e dal Tribunale ordinario
di Roma con ordinanza del 3 luglio 2020,  iscritte,  rispettivamente,
ai numeri  112,  113,  117  e  132  del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 34 e  40,
prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti l'atto di costituzione  di  A.  P.,  nonche'  gli  atti  di
intervento di N. S., E. S.,  G.  T.,  C.  S.  e  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica e nella camera di  consiglio  del  18
novembre 2020 il Giudice relatore Nicolo' Zanon,  sostituito  per  la
redazione della decisione dal Giudice Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Andrea Longo e  Massimo  Togna  per  A.  P.  e
l'avvocato dello  Stato  Massimo  Giannuzzi  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 maggio 2020 (r. o. n. 112 del  2020)  il
Tribunale ordinario di Siena ha sollevato,  in  riferimento  all'art.
25, secondo comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83, comma  4,  del  decreto-legge  17  marzo
2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale
e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27. 
    1.1.- Il rimettente riferisce di essere chiamato a  celebrare  un
dibattimento per reati edilizi commessi,  secondo  la  contestazione,
tra il 20 aprile 2015 (capo A dell'imputazione) e il 24  aprile  2017
(capo B). 
    Per i fatti piu' risalenti - qualificati ex  art.  44,  comma  1,
lettera c), in relazione all'art. 32, comma 3, del  d.P.R.  6  giugno
2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia. (Testo A)»  -  il  giudice  a  quo
individua la decorrenza del termine prescrizionale alla data  del  20
aprile 2015, indicando in cinque anni la durata del medesimo termine,
con scadenza, quindi, al 20 aprile 2020. 
    Cio'  premesso,  il  rimettente  pone   in   evidenza   come   un
«differimento urgente delle udienze e una  sospensione  dei  termini»
fossero stati disposti, con decorrenza dal 9 marzo 2020 e fino al  22
marzo successivo, mediante il  decreto-legge  8  marzo  2020,  n.  11
(Misure  straordinarie  ed  urgenti   per   contrastare   l'emergenza
epidemiologica da COVID-19 e contenere  gli  effetti  negativi  sullo
svolgimento dell'attivita' giudiziaria),  poi  decaduto  per  mancata
conversione e, comunque, espressamente abrogato ex art. 1,  comma  2,
della citata legge n. 27 del 2020. 
    Il  rimettente  da'  atto,   inoltre,   che   gli   effetti   del
provvedimento erano stati prolungati, sempre  con  decorrenza  dal  9
marzo precedente, fino al 15 aprile 2020, per effetto dei commi 1 e 2
dell'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 e che  una  dilazione  ulteriore
era intervenuta con l'art. 36, comma 1, del  decreto-legge  8  aprile
2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso  al  credito  e  di
adempimenti fiscali per le imprese, di poteri  speciali  nei  settori
strategici, nonche' interventi in materia  di  salute  e  lavoro,  di
proroga di termini amministrativi  e  processuali),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40. La  norma  stabiliva
appunto che il termine previsto ai commi 1 e 2  del  citato  art.  83
fosse prorogato all'11 maggio 2020. 
    Con il comma 4 dello stesso art. 83 del d.l. n. 18 del  2020,  e'
stato, poi, disposto che, in  corrispondenza  della  sospensione  dei
termini sancita dal precedente comma 2,  restasse  sospesa  anche  la
decorrenza del termine di prescrizione del reato. 
    1.2.- Premesso il quadro normativo, in  punto  di  rilevanza,  il
giudice a quo osserva in primo luogo che la norma censurata, al  fine
di identificare i reati interessati  dalla  sospensione  del  termine
prescrizionale, richiama i procedimenti indicati al precedente  comma
2 (cioe' quelli con sospensione dei termini processuali) e non quelli
definiti al precedente comma 1 (cioe' quelli  con  udienze  a  rinvio
obbligatorio).   Ad   avviso   del   rimettente,   tale   dato    non
giustificherebbe la tesi  secondo  cui  la  sospensione  del  termine
prescrizionale sarebbe esclusa per i giudizi  interessati  da  rinvii
d'udienza, perche' se cosi' fosse la sospensione  della  prescrizione
resterebbe inapplicata nella totalita' dei procedimenti  in  cui  sia
stato disposto un rinvio di udienza, in contrasto con la ratio legis. 
    Del  resto,  osserva  ancora   il   rimettente,   la   disciplina
originariamente prevista dal d.l. n. 11 del 2020 ancorava proprio  al
meccanismo del rinvio di udienza l'operativita' della sospensione del
corso della prescrizione. 
    In ragione di siffatti rilievi, il giudice a quo ritiene  che  la
prescrizione del reato contestato al capo A) debba intendersi sospesa
in virtu' della disposizione censurata, per complessivi  sessantatre'
giorni, dovendosi pertanto, posticipare al 22 giugno 2020 il  decorso
del  termine  massimo  di  prescrizione.  Tale   effetto   sospensivo
conseguirebbe al differimento, all'udienza del  14  maggio  2020,  di
quella  originariamente   fissata   al   7   maggio,   disposto   con
provvedimento del 29 aprile 2020. 
    In sintesi, il fatto che nel giudizio a quo si  fosse  registrato
un rinvio dell'udienza, originariamente fissata per il 7 maggio 2020,
non varrebbe ad  escludere  l'operativita'  della  sospensione  della
prescrizione del reato. 
    Inoltre, il rimettente afferma che nella specie mancherebbero  le
condizioni per un proscioglimento degli imputati  a  norma  dell'art.
129, comma 2, del  codice  di  procedura  penale,  e  che  dunque  il
giudizio non potrebbe essere definito senza  stabilire  se  il  reato
piu' risalente, tra quelli  contestati,  debba  considerarsi  estinto
nonostante   l'intervenuta   sospensione   ex   lege   del    termine
prescrizionale. 
    1.3.-  Il  rimettente  argomenta,  poi,  che   l'istituto   della
prescrizione presenterebbe  un  profilo  «statico»,  pertinente  alla
disciplina sostanziale del reato, ed uno «dinamico»,  attinente  alla
progressione  del  procedimento  penale.  Nell'ordinamento  italiano,
l'istituto  avrebbe  carattere  sostanziale,  come  stabilito   dalla
giurisprudenza  di  legittimita'  e   dalla   stessa   giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 115 del 2018,  ordinanza  n.
24 del 2017). 
    La  conseguente  soggezione  della  disciplina  al  principio  di
legalita' (secondo comma dell'art. 25 Cost.), e dunque al divieto  di
applicazione retroattiva delle variazioni con  effetti  negativi,  si
estende, secondo il giudice a quo, anche alle regole  concernenti  la
sospensione e la interruzione del termine  prescrizionale  (ordinanza
n. 24 del 2017). 
    Pertanto, l'applicazione della norma censurata a  reati  commessi
prima della sua introduzione determinerebbe una violazione del citato
parametro costituzionale. 
    A tale proposito, il giudice a quo,  nel  dichiarato  intento  di
verificare la possibilita' di un'interpretazione adeguatrice,  valuta
la tesi secondo cui - con l'art. 83, comma 4, del d.l. n. 18 del 2020
-  si  sarebbe  semplicemente  fatta  un'applicazione   della   norma
(antecedente ai fatti) fissata nel  primo  comma  dell'art.  159  del
codice  penale,  laddove  e'  stabilito   che   «[i]l   corso   della
prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui  la  sospensione  del
procedimento  o  del  processo  penale  [...]  e'  imposta   da   una
particolare disposizione di legge». 
    Il legislatore pero' non avrebbe introdotto  una  norma  espressa
sulla  sospensione  della   prescrizione,   se   avesse   inteso   il
differimento generale delle udienze alla stregua di  una  sospensione
dei processi. 
    In effetti  -  a  parere  del  rimettente  -  la  tesi  confutata
istituisce  arbitrariamente  una  coincidenza  tra  la   nozione   di
sospensione del processo e quella di rinvio dell'udienza, alla  quale
soltanto si riferisce il comma 1 del citato art. 83 del  d.l.  n.  18
del  2020.  Dovrebbe  tenersi  conto  invece,  per  un  verso,  delle
differenze lessicali che separano le previsioni a  confronto,  e  per
altro verso considerare la sistematica del  processo,  che  contempla
ipotesi di rinvio dell'udienza senza sospensione del procedimento, ed
ipotesi di sospensione del procedimento senza rinvio dell'udienza. 
    Ne' rileva il carattere emergenziale o comunque  eccezionale  del
contesto nel quale la disciplina in questione e' stata dettata.  Come
stabilito anche dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 1146
del 1988 e ordinanza n. 24 del 2017), il principio  di  legalita'  e'
principio  supremo  dell'ordinamento,  come  tale  insuscettibile  di
deroghe. 
    In definitiva, il legislatore avrebbe introdotto  una  disciplina
della prescrizione con effetti sfavorevoli per  l'autore  del  reato,
direttamente ed esclusivamente dettata dal comma 4 dell'art.  83  del
d.l. n. 18 del 2020, e strutturalmente destinata ad operare anche con
riguardo ai fatti commessi in epoca  antecedente  al  9  marzo  2020,
risultando per questa parte  in  contrasto  con  l'art.  25,  secondo
comma, Cost. 
    2.- Con distinti atti del 3  agosto  2020  sono  intervenuti  nel
giudizio di costituzionalita' N. S., G. T., C. S. ed E. S., chiedendo
che  l'art.  83  del   d.l.   n.   18   del   2020   sia   dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    3.- In data 4 settembre 2020,  in  applicazione  dell'art.  4-ter
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale, e' stata  depositata  una  opinione  scritta  a  cura
dell'associazione "Italiastatodidiritto", avente sede a  Milano,  con
uno  scopo  statutario  ampiamente   descritto,   ed   essenzialmente
incentrato  sul  contributo  degli  associati,   studiosi   di   temi
giuridici,  per  l'affermazione  e  per   la   tutela   dei   diritti
fondamentali di singoli e gruppi. 
    Nella  veste  di  amicus  curiae,  l'associazione  sollecita  una
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del comma 4  dell'art.
83 del d.l. n. 18 del 2020, per l'asserito suo contrasto  con  l'art.
25, secondo comma, Cost. 
    3.1.- In data 8 settembre 2020, in applicazione  dell'art.  4-ter
delle Norme integrative, e' stata depositata una opinione  scritta  a
cura  dell'associazione  forense  "Unione  camere  penali   italiane"
(UCPI), avente sede a Roma,  che  la  Corte  costituzionale  ha  gia'
riconosciuto  come  ente   rappresentativo   dell'avvocatura   penale
italiana (e' citata la sentenza di questa Corte n. 180 del 2018). 
    Nella  veste  di  amicus  curiae,  l'associazione  sollecita  una
dichiarazione di illegittimita' costituzionale del comma 4  dell'art.
83 del d.l. n. 18 del 2020, per l'asserito suo contrasto  con  l'art.
25, secondo comma, Cost. 
    4.- Con atto depositato l'8 settembre  2020,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, e' intervenuto nel giudizio, chiedendo  che  la
questione sia dichiarata non fondata. 
    In particolare, secondo la difesa dello Stato, la norma censurata
disciplina   la   sospensione   del   termine    prescrizionale    in
corrispondenza  di  una  sospensione  dei   procedimenti;   in   cio'
consisterebbe l'oggetto sostanziale della disciplina,  concernente  i
termini processuali, stabilita al comma 2 dello stesso  art.  83  del
d.l. n. 18 del 2020. 
    Non sarebbe dubbio, quindi, che la sospensione dei termini  valga
anche  per  procedimenti  relativi  a  reati   commessi   prima   del
provvedimento governativo.  E  tuttavia  cio'  non  implicherebbe  la
violazione del  divieto  di  applicazione  retroattiva  della  legge,
perche' gia' l'art. 159 cod. pen. (norma certamente  preesistente  ai
fatti) stabilisce la sospensione del  termine  prescrizionale  quando
questa sia prevista, come nel caso  di  specie,  da  una  particolare
disposizione di legge. 
    Il diritto alla previa conoscenza delle conseguenze  del  proprio
agire  e'  soddisfatto  dalla  consapevolezza  che  la  corsa   della
prescrizione potra' essere interrotta da evenienze  di  vario  genere
(come dimostra il variegato elenco dell'art. 159 cod. pen.),  ma  non
richiede che i consociati abbiano contezza ab initio del se, del come
e del quando d'una siffatta eventualita'. 
    5.- In data 27 ottobre 2020, l'Avvocatura generale ha  depositato
memoria,  ribadendo  le  argomentazioni,   contenute   nell'atto   di
intervento, a  sostegno  della  non  fondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    6.- Con ordinanza del 21 maggio 2020 (r. o. n. 113 del  2020)  il
Tribunale ordinario di Siena ha sollevato,  in  riferimento  all'art.
25, secondo comma, Cost., questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 83, comma 4, del d.l.  n.  18  del  2020,  convertito,  con
modificazioni, nella legge n. 27 del 2020. 
    Il  rimettente  riferisce  di  essere  chiamato  a  celebrare  un
dibattimento per  reati  edilizi  che,  in  esito  ad  una  specifica
disamina delle circostanze del caso concreto,  lo  stesso  rimettente
considera commessi alla data del 16 maggio  2015,  indicando  poi  in
cinque anni la  durata  del  termine  prescrizionale,  con  scadenza,
dunque, al 16 maggio 2020. 
    Cio' premesso, in punto di rilevanza, il  rimettente  svolge  nel
merito delle censure  argomentazioni  identiche  a  quelle  formulate
nell'ordinanza rubricata al r. o. n. 112 del  2020,  da  egli  stesso
deliberata nel medesimo giorno. 
    6.1.- Con atto del 3  agosto  2020  sono  intervenuti  anche  nel
presente giudizio di costituzionalita' N. S., G. T., C. S. ed E.  S.,
chiedendo che l'art. 83 del  d.l.  n.  18  del  2020  sia  dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    6.2.- In data 4 settembre 2020, nella qualita' di amicus  curiae,
l'associazione  "Italiastatodidiritto",  ha  depositato  una  propria
opinione scritta, con lo scopo di sollecitare  una  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale del comma 4 dell'art. 83 del d.l. n. 18
del 2020, per l'asserito suo contrasto con l'art. 25, secondo  comma,
Cost. 
    Gli argomenti sviluppati nell'atto sono analoghi  a  quelli  gia'
proposti con l'opinione depositata nell'ambito del giudizio r. o.  n.
112 del 2020. 
    7.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale, e' intervenuto nel giudizio con atto
depositato  l'8  settembre  2020,  chiedendo  che  la  questione  sia
dichiarata non fondata. 
    Gli argomenti sviluppati nell'atto di intervento ricalcano quelli
proposti con l'analogo atto concernente il giudizio r. o. n. 112  del
2020. 
    7.1.-  Con  memoria  depositata  in   data   28   ottobre   2020,
l'Avvocatura generale ha  ribadito  le  argomentazioni  in  punto  di
infondatezza,  sviluppando  le  stesse   considerazioni   di   quelle
contenute nella memoria depositata, in pari data, nel giudizio r.  o.
n. 112 del 2020. 
    8.- Con ordinanza del 27 maggio 2020 (r. o. n. 117 del  2020)  il
Tribunale ordinario di Spoleto ha sollevato, in riferimento  all'art.
25, secondo comma, ed all'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione
all'art.  7  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 83,  comma
4, del d.l. n. 18 del 2020, «come modificato» dall'art. 36  del  d.l.
n. 23 del 2020. 
    9.- Il rimettente, in punto di rilevanza, riferisce di  procedere
nei confronti di persona imputata del delitto di oltraggio a pubblico
ufficiale di cui all'art. 341-bis cod. pen., per il quale il  termine
di  prescrizione,  tenuto  conto  degli  atti  interruttivi,  sarebbe
maturato il 5 aprile 2020, in assenza della sospensione disposta  con
la norma censurata che  ha,  invece,  determinato  la  proroga  della
scadenza al 7 giugno 2020. 
    In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo  afferma
che il divieto di applicazione retroattiva della norma sostanziale di
diritto penale, volto ad assicurare la certezza di libere  scelte  di
azione, si applica anche alla  disciplina  della  prescrizione  (sono
citate le sentenze di questa Corte n. 115 del 2018, n. 324 del 2008 e
n. 364 del 1988, nonche' l'ordinanza n. 24 del 2017). 
    Per questa ragione, a parere  del  giudice  a  quo,  il  disposto
dell'art. 159 cod. pen., nella parte in  cui  si  riferisce  a  norme
particolari che prevedano la sospensione di  termini  prescrizionali,
dovrebbe essere riferito solo a norme presenti  nello  stesso  codice
penale, o comunque introdotte da leggi antecedenti al fatto cui  deve
applicarsi la disciplina della prescrizione. 
    Una interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbe  mirare
ad escludere che l'art. 83, comma 4, del  d.l.  n.  18  del  2020  si
applichi a reati commessi prima del provvedimento governativo. Ma  si
tratterebbe di una interpretazione contro il tenore  letterale,  dato
che, nel definire il campo di applicazione della norma censurata,  il
legislatore si e' riferito a procedimenti pendenti (nel cui ambito  i
termini processuali sono stati  sospesi),  e  dunque  necessariamente
concernenti reati antecedenti. Ne' la disciplina puo' essere riferita
solo a reati commessi dopo il 9 marzo 2020 e prima della data  finale
di scadenza della sospensione, perche' in  sostanza  si  avrebbe  una
abrogazione tacita della norma, che ha avuto ben altra finalita'. 
    La questione di costituzionalita', d'altra  parte,  non  potrebbe
essere  risolta  attribuendo  alla  norma  una  natura   processuale,
evocando la giurisprudenza sovranazionale in materia di  prescrizione
(sono citate le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 22
giugno  2000,  Coëme  e  altri  contro  Belgio;  20  settembre  2011,
Neftyanaya Kompaniya Yukos contro Russia). La CEDU, osserva ancora il
rimettente, definisce standard minimi di tutela, ma certo non  azzera
o riduce gli spazi maggiori di garanzia accordati ai singoli  diritti
nelle Carte nazionali. 
    Irreparabile  resterebbe,  infine,   la   lesione   del   diritto
all'oblio, la cui garanzia e' stata  piu'  volte  riconosciuta  dalla
giurisprudenza costituzionale quale  obiettivo  della  disciplina  in
materia di prescrizione (sono citate le ordinanze di questa Corte  n.
24 del 2017 e n. 143 del 2014). 
    10.- In data 4 settembre 2020, nella qualita' di  amicus  curiae,
l'associazione  "Italiastatodidiritto",  ha  depositato  una  propria
opinione scritta, con lo scopo di sollecitare  una  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale del comma 4 dell'art. 83 del d.l. n. 18
del 2020, per contrasto con l'art. 25, secondo comma,  Cost.,  e  con
l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione quest'ultimo all'art.  7
CEDU. 
    Gli argomenti sviluppati nell'atto sono analoghi  a  quelli  gia'
proposti con l'opinione depositata nell'ambito dei giudizi r.  o.  n.
112 e n. 113 del 2020. 
    11.- In data 8 settembre 2020, l'associazione forense UCPI, nella
qualita'  di  amicus  curiae,  ha  depositato  una  propria  opinione
scritta,  con  lo  scopo  di   sollecitare   una   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale del comma 4 dell'art. 83 del d.l. n. 18
del  2020,  per  contrasto  con  l'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,
formulando  osservazioni  analoghe  a  quelle   gia'   proposte   con
l'opinione depositata nell'ambito del giudizio iscritto al r.  o.  n.
112 del 2020. 
    12.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale, e' intervenuto nel giudizio con atto
depositato l'8 settembre  2020,  chiedendo  che  le  questioni  siano
dichiarate manifestamente infondate. 
    Gli argomenti sviluppati nell'atto  di  intervento  ricalcano  in
parte quelli  proposti  con  l'analogo  atto  concernente  i  giudizi
iscritti al r. o. n. 112 e n. 113 del 2020. 
    13.- Con ordinanza del 3 luglio 2020 (r. o. n. 132 del 2020),  il
Tribunale ordinario di Roma ha sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83, comma  4,  del  d.l.  n.  18  del  2020,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  n.  27  del  2020,  e
dell'art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, convertito, con  modificazioni,
nella legge n. 40 del  2020,  in  riferimento  all'art.  25,  secondo
comma, Cost., e all'art. 117, primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 7, comma 1, CEDU ed all'art. 49  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007.
L'art. 36, comma 1, e' censurato nella misura in cui  proroga  all'11
maggio 2020 il termine previsto dall'art. 83, commi 1 e 2. 
    14.- Il  rimettente  fornisce  una  descrizione  analitica  circa
l'andamento del giudizio a quo,  concernente  un  reato  di  calunnia
(art. 368 cod. pen.)  e  pendente  in  fase  dibattimentale  fin  dal
novembre del 2016, con ripetuti eventi di interruzione e  sospensione
del corso del termine prescrizionale, ed anche con  rinvii  d'udienza
determinati dalla recente legislazione d'emergenza. 
    In sintesi, il giudice  a  quo  osserva  che  nell'assenza  della
sospensione disposta dalle norme censurate, il reato in contestazione
si sarebbe estinto per prescrizione alla data del 22 aprile 2020.  Di
qui, secondo il rimettente, la rilevanza delle questioni sollevate. 
    15.- Il Tribunale, dopo l'analitico esame  delle  norme  connesse
all'emergenza  sanitaria  e  della  loro  successione,  osserva,   in
sintesi, come il legislatore abbia voluto per un  verso  disporre  il
rinvio di tutti i procedimenti penali oltre un dato termine  (termine
oggetto di progressive dilazioni e da ultimo  fissato  all'11  maggio
2020), e per altro verso abbia voluto  stabilire  la  sospensione  di
tutti i termini processuali, disponendo analoga sospensione  riguardo
al tempo necessario per la prescrizione dei reati. 
    E'  stata,  dunque,  istituita   una   «stretta   ed   automatica
correlazione» tra il  rinvio  e  la  sospensione  di  procedimenti  e
termini processuali, da un lato, e la sospensione della prescrizione,
dall'altro.  Tale  sospensione,   d'altronde,   sarebbe   chiaramente
riferita anche a fatti commessi prima della relativa previsione,  per
ragioni logiche ed anche secondo il disposto dell'art. 159 cod. pen. 
    Il Tribunale rammenta poi che la  prescrizione  e'  istituto  del
diritto sostanziale (sono citate le sentenze di questa Corte  n.  115
del 2018, n. 265 del 2017, n. 143 del 2014, n. 324 del 2008,  n.  393
del 2006 e n. 275 del 1990, nonche' l'ordinanza n. 24 del 2017), come
tale soggetto al divieto  di  applicazione  retroattiva  della  legge
sfavorevole,  che  esprime  un  principio  supremo   dell'ordinamento
(sentenza n. 1146 del 1988 e ordinanza n. 24  del  2017),  presidiato
tanto dall'art. 25, secondo comma, che dall'art.  117,  primo  comma,
Cost. 
    Inoltre,  ad  avviso   del   rimettente,   la   regola   di   non
retroattivita' concerne non solo la disciplina del tempo necessario a
prescrivere, ma anche quella delle interruzioni e  delle  sospensioni
del decorso del relativo termine,  in  quanto  anch'essa  concorre  a
determinare il limite temporale entro il quale e'  possibile  per  lo
Stato far valere la propria pretesa punitiva. 
    Di conseguenza, sarebbe preclusa al legislatore  la  possibilita'
di introdurre cause di sospensione  del  termine  prescrizionale  con
effetti valevoli per reati commessi in epoca antecedente. Cio' sia in
applicazione del secondo comma dell'art. 25  Cost.,  sia  in  ragione
dell'art. 7, comma 1, CEDU  (per  il  tramite  dell'art.  117,  primo
comma, Cost.), come interpretato  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo. 
    Inoltre, il  rimettente  richiama  la  sentenza  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea in materia di  prescrizione  dei  reati
che ledono gli interessi finanziari della  stessa  Unione  (Corte  di
giustizia dell'Unione europea, grande sezione,  sentenza  5  dicembre
2017, in causa C-42/17), che ha riferito i principi sanciti dall'art.
7 CEDU alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati  dell'Unione,
ed ha stabilito che, in base agli artt. 49  e  51,  primo  paragrafo,
CDFUE, tali  Stati  non  possono  omettere  l'applicazione  di  norme
interne che assicurino le garanzie apprestate da tali norme. 
    16.- In definitiva la disposizione  censurata,  introducendo  con
efficacia  retroattiva  una   disciplina   piu'   sfavorevole   della
sospensione dei termini di prescrizione, contrasterebbe col principio
di non retroattivita' della legge penale e  dunque  con  i  parametri
indicati. 
    17.- Con atto depositato in data 8 ottobre 2020, si e' costituito
in giudizio A. P., imputato nel procedimento principale, il quale  ha
chiesto  dichiararsi  l'illegittimita'  costituzionale  delle   norme
censurate aderendo alle argomentazioni  contenute  dell'ordinanza  di
rimessione. 
    18.- Con atto depositato il 20 ottobre 2020,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri e' intervenuto in  giudizio,  per  il  tramite
dell'Avvocatura generale. 
    In particolare, e' richiamato  il  disposto  dell'art.  159  cod.
pen.,  nella  parte  in  cui  collega  una  sospensione  dei  termini
prescrizionali ad «ogni caso in cui la sospensione del procedimento o
del processo penale e' imposta da  una  particolare  disposizione  di
legge»: condizione questa che sarebbe integrata in ragione di  quanto
disposto ai commi 1, 2, 4 e 9 dell'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020. 
    19.- Con memoria depositata in  data  6  novembre  ottobre  2020,
l'Avvocatura  generale  ha  ribadito  la  propria  richiesta  che  le
questioni sollevate siano dichiarate non fondate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe (r. o. n.
112, n. 113, n. 117 e n. 132  del  2020),  di  cui  si  e'  detto  in
narrativa, i Tribunali ordinari di Siena, Spoleto  e  Roma  sollevano
tutti questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 83, comma 4,
del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di  potenziamento  del
Servizio sanitario nazionale e di sostegno  economico  per  famiglie,
lavoratori  e  imprese  connesse  all'emergenza   epidemiologica   da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020,
n. 27, nella parte in cui  dispone  la  sospensione  del  termine  di
prescrizione, con riferimento ai  procedimenti  penali  indicati  nel
comma 2 della stessa disposizione, anche per fatti commessi prima del
9 marzo 2020. 
    1.1.- Le ordinanze iscritte ai n. 117  e  n.  132  del  2020  dei
Tribunali  di  Spoleto  e  di  Roma  sollevano  anche  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 36, comma 1, del  decreto-legge
8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito
e di adempimenti fiscali per  le  imprese,  di  poteri  speciali  nei
settori strategici, nonche' interventi in materia di salute e lavoro,
di proroga di termini amministrativi e processuali), convertito,  con
modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, nella parte  in  cui
dispone la proroga all'11 maggio 2020 dei termini posti ai commi 1  e
2 del d.l. n. 18 del 2020. 
    1.2.- In tutte le ordinanze si prospetta la violazione  dell'art.
25, secondo comma, della Costituzione,  che  vieta  la  punizione  di
alcuno in forza di una legge entrata in vigore dopo il fatto commesso
e che, secondo  i  rimettenti,  preclude  l'applicazione  retroattiva
delle norme che modificano in senso peggiorativo la disciplina  della
prescrizione. 
    1.3.- Le ordinanze n. 117 e n. 132 del 2020 prospettano anche  la
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, che pone
il divieto di applicazione della legge penale a fatti commessi  prima
dell'introduzione della legge medesima. 
    1.4.-  L'ordinanza  n.  132  del   2020,   infine,   censura   le
disposizioni impugnate  anche  in  riferimento  all'art.  117,  primo
comma, Cost., in  relazione  all'art.  49  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  la  quale
vieta di condannare alcuno  per  un'azione  o  un'omissione  che,  al
momento in cui e' stata commessa, non  costituiva  reato  secondo  il
diritto interno o il diritto internazionale,  e  parimenti  vieta  di
infliggere una pena piu' grave di quella applicabile  al  momento  in
cui il reato e' stato commesso. 
    2.- Le questioni di legittimita'  costituzionale,  sollevate  dai
Tribunali   rimettenti   con   le    richiamate    ordinanze,    sono
sostanzialmente analoghe sul piano  giuridico  e  si  rende,  quindi,
opportuna  la  loro  trattazione  congiunta  mediante  riunione   dei
giudizi. 
    3.- Preliminarmente  deve  essere  dichiarata  l'inammissibilita'
degli interventi di N. S., G.  T.,  C.  S.  ed  E.  S.,  spiegati  in
relazione ai giudizi di legittimita' costituzionale  originati  dalle
ordinanze del Tribunale di Siena (n. 112 e n. 113 del 2020),  fissati
in camera di consiglio. 
    Ai sensi dell'art. 4, comma 7,  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, come sostituito  dall'art.
1 della delibera di questa Corte in sede non  giurisdizionale  dell'8
gennaio 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
17, serie generale, del  22  gennaio  2020,  «[n]ei  giudizi  in  via
incidentale  possono  intervenire  i   titolari   di   un   interesse
qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto
in giudizio». 
    Tale disposizione  ha  recepito  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte in ordine  all'ammissibilita'  dell'intervento  spiegato
nei giudizi in via incidentale da soggetti diversi  dalle  parti  del
giudizio principale, secondo cui i soggetti che non  sono  parti  del
giudizio a  quo  possono  intervenire  nel  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale solo ove siano titolari di  un  interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale  dedotto
in giudizio, e non di un interesse semplicemente regolato, al pari di
ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze  n.
158 del 2020 con allegata ordinanza letta all'udienza del  10  giugno
2020, n. 119 del 2020, n. 30 del 2020 con  allegata  ordinanza  letta
all'udienza del 15 gennaio 2020, n. 159 e n. 98 del 2019, n. 217,  n.
180 e n. 77 del 2018, n. 70 e n. 33 del 2015). 
    Pertanto, in linea con questo orientamento, i  soggetti  del  cui
intervento trattasi, imputati in altri procedimenti penali, non  sono
parti dei giudizi principali innanzi al Tribunale di Siena, ne'  sono
titolari di un  interesse  qualificato,  immediatamente  inerente  al
rapporto sostanziale dedotto in quel giudizio, ma sono  portatori  di
un interesse semplicemente regolato, al pari  di  ogni  altro,  dalle
norme oggetto di censura,  cioe'  l'interesse  di  tutti  coloro  che
rivestono la qualita' di imputati in giudizi penali pendenti,  a  non
subire  l'incidenza  di  tali   norme   sul   decorso   del   termine
prescrizionale. 
    4.- Invece, con decreto del Presidente della Corte costituzionale
del  12  ottobre  2020,  ai  sensi  dell'art.   4-ter   delle   Norme
integrative, introdotto dall'art. 2 della  delibera  della  Corte  in
sede non giurisdizionale dell'8 gennaio 2020, sono state  ammesse  le
opinioni   scritte   dall'Associazione    "Italiastatodidiritto"    e
dall'Associazione forense "Unione camere penali italiane" (UCPI),  in
qualita' di amici curiae, per la loro idoneita' ad  offrire  elementi
utili alla conoscenza e alla valutazione del caso sottoposto a questa
Corte, anche in ragione della sua complessita'. 
    5.- Le ordinanze di rimessione sono state pronunciate nell'ambito
di procedimenti penali - aventi  ad  oggetto  imputazioni  per  reati
edilizi (r. o. n. 112 e n.113 del 2020), per il delitto di  oltraggio
a pubblico ufficiale di cui all'art. 341-bis cod. pen. (r. o. n.  117
del 2020) e per il delitto di calunnia di cui all'art. 368 cod.  pen.
(r. o. n. 132 del 2020) - pendenti nella fase del  dibattimento,  nei
quali,  qualora  le   disposizioni   censurate   fossero   dichiarate
incostituzionali,  i   giudici   rimettenti   dovrebbero   dichiarare
l'estinzione dei reati per  essere  decorso  il  termine  massimo  di
prescrizione; laddove, invece,  applicando  la  sospensione  di  tale
termine come  previsto  dalle  disposizioni  censurate,  non  sarebbe
maturata la prescrizione dei reati. 
    Sussiste, quindi,  all'evidenza,  la  rilevanza  delle  sollevate
questioni di legittimita'  costituzionale,  anche  se  non  puo'  non
notarsi la eccessiva durata di giudizi che gia' solo in primo  grado,
ancora  in  corso,  hanno  quasi  esaurito  il   tempo   massimo   di
prescrizione dei reati (che, nel massimo, al netto delle sospensioni,
e' di cinque anni per le contravvenzioni edilizie e di sette  anni  e
mezzo per i delitti di oltraggio a pubblico ufficiale e di calunnia),
si' da far dipendere la risposta di giustizia nel merito delle accuse
da una sospensione della prescrizione di soli sessantaquattro  giorni
(dal 9 marzo all'11 maggio 2020), quale quella oggetto delle  censure
di legittimita' costituzionale. 
    5.1.- Tutte le ordinanze di rimessione  sono  sorrette  da  ampia
motivazione in ordine alla ritenuta non  manifesta  infondatezza  dei
dubbi di legittimita' costituzionale, sicche' le sollevate  questioni
sono certamente ammissibili. 
    6.- Appare necessario richiamare brevemente il contesto normativo
connesso  all'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19  in   tema   di
svolgimento dell'attivita' giudiziaria, nel cui ambito  si  collocano
le disposizioni censurate. 
    Il  primo   intervento   emergenziale   concernente   l'attivita'
giurisdizionale posto in  essere  dal  Governo  per  rispondere  alle
esigenze scaturite dall'epidemia esplosa sul territorio nazionale  si
e' avuto con il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 (Misure  urgenti  di
sostegno per famiglie, lavoratori e  imprese  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19), il quale, all'art.  10,  ha  interessato
esclusivamente i procedimenti civili e  penali  pendenti  presso  gli
uffici giudiziari dei circondari dei tribunali  cui  appartenevano  i
Comuni  indicati  all'allegato  1  al  decreto  del  Presidente   del
Consiglio  dei  ministri  1°  marzo  2020   (Ulteriori   disposizioni
attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.  6,  recante  misure
urgenti  in  materia  di  contenimento  e   gestione   dell'emergenza
epidemiologica da COVID-19). 
    Con tale provvedimento, con efficacia limitata ai  territori  ivi
indicati, non solo si era prevista la sospensione dei  termini  e  il
rinvio delle udienze, ma si era altresi' stabilito che, a partire dal
3 marzo 2020, il corso della prescrizione fosse sospeso per il  tempo
in cui il processo fosse rinviato o  i  termini  procedurali  fossero
sospesi e comunque fino al 31 marzo 2020  (art.  10,  comma  10,  del
citato decreto-legge).  Tale  iniziale  ipotesi  di  sospensione  del
decorso della prescrizione non e' investita da alcuna delle ordinanze
di rimessione. 
    A distanza di pochi giorni, il Governo e' intervenuto  nuovamente
d'urgenza con il decreto-legge  8  marzo  del  2020,  n.  11  (Misure
straordinarie ed urgenti per contrastare  l'emergenza  epidemiologica
da COVID-19  e  contenere  gli  effetti  negativi  sullo  svolgimento
dell'attivita' giudiziaria), per disciplinare il rinvio delle udienze
e  la  sospensione  dei  termini  nei  procedimenti  civili,  penali,
tributari  e  militari,  questa  volta  con  efficacia  generalizzata
sull'intero territorio nazionale. 
    In particolare, all'art. 1, comma 1, si prevedeva che a decorrere
dal giorno successivo alla data di  entrata  in  vigore  del  decreto
medesimo (9 marzo 2020) e sino al  22  marzo  2020,  le  udienze  dei
procedimenti  civili  e  penali  pendenti  presso  tutti  gli  uffici
giudiziari fossero rinviate d'ufficio a data successiva al  22  marzo
2020.  Erano  fatti  salvi  alcuni   procedimenti,   di   particolare
delicatezza e urgenza, indicati all'art. 2, comma 2, lettera g),  del
medesimo decreto-legge. 
    Contestualmente, al comma 2 dello stesso  art.  1,  si  stabiliva
anche la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi  atto
dei detti procedimenti,  fatti  salvi  quelli  gia'  richiamati.  Era
previsto, altresi', che ove il decorso avesse avuto inizio durante il
periodo di sospensione, l'inizio stesso sarebbe stato differito  alla
fine di detto periodo di sospensione. 
    Per il periodo successivo (23 marzo-31  maggio),  ai  capi  degli
uffici giudiziari era  stato  attribuito  il  potere  di  autorizzare
provvedimenti di dilazione degli adempimenti processuali in base alle
esigenze  del  territorio  e  in  considerazione   della   situazione
epidemica.  Non  si  trattava,   pero',   di   una   discrezionalita'
illimitata, in quanto il comma 4 dell'art. 2 del d.l. n. 11 del  2020
stabiliva che una serie di termini processuali, tra cui anche  quelli
di durata  della  custodia  cautelare,  e  comunque,  il  termine  di
prescrizione restassero  sospesi  anche  per  questi  giudizi,  fatte
sempre salve le eccezioni gia' indicate, ma solo fino  al  31  maggio
2020, sempreche' ne fosse stato disposto il rinvio. 
    A distanza di nove giorni, il Governo e'  nuovamente  intervenuto
con il d.l. n. 18 del 2020 e, prima ancora che maturassero i  termini
di  decadenza  dei  dd.ll.  n.  9  e  n.  11  del  2020  per  mancata
conversione, detti provvedimenti sono stati  abrogati,  con  salvezza
degli effetti, dall'art. 1, comma 2, della legge 24 aprile  2020,  n.
27 (Conversione in legge, con  modificazioni,  del  decreto-legge  17
marzo 2020, n. 18,  recante  misure  di  potenziamento  del  Servizio
sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie,  lavoratori
e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.  Proroga
dei termini per l'adozione di decreti legislativi). 
    L'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 ha dettato una piu'  mirata  ed
articolata disciplina volta a  provocare  la  stasi  delle  attivita'
processuali  nell'ambito  della  giurisdizione  ordinaria,   compresa
quella penale. Con tale norma, per quanto attiene ai processi penali,
si e' disposto in via generale e  obbligatoria,  salvo  le  eccezioni
concernenti alcune tipologie urgenti di procedimento,  il  rinvio  di
ufficio delle udienze a data  successiva  al  15  aprile  2020  e  la
sospensione dei «termini per il  compimento  di  qualsiasi  atto  dei
procedimenti civili e penali» dal 9 marzo al 15  aprile  2020,  senza
possibilita' di intervento da parte dei capi degli uffici  giudiziari
(art. 83, commi 1 e 2). 
    In  relazione  a  tali  fattispecie  si  e'  anche  disposta   la
sospensione dei termini di prescrizione, oltre  che  dei  termini  di
durata massima  delle  misure  cautelari  personali.  Cio'  e'  stato
previsto dalla disposizione di cui all'art. 83,  comma  4,  del  d.l.
citato, norma su cui si appuntano le censure dei rimettenti. 
    Si e', poi, sostanzialmente confermato il potere dei  capi  degli
uffici giudiziari - gia' previsto dal  d.l.  n.  11  del  2020  -  di
adottare non solo misure organizzative volte a  contenere  l'afflusso
del pubblico, ma anche provvedimenti di  carattere  generale,  tra  i
quali, ai fini che qui interessano, assumono rilievo quelli  volti  a
prevedere la possibilita' di disporre il rinvio delle udienze  penali
a data successiva al 30 giugno, salvo che per i procedimenti  segnati
da particolare  urgenza  espressamente  indicati  al  comma  3  della
disposizione in questione (art. 83, comma 7, lettera g). 
    Anche con riferimento a tali discrezionali casi di  rinvio  delle
udienze  penali,  si  e'  prevista  la  sospensione  dei  termini  di
prescrizione del reato e di durata delle misure cautelari, ma fino al
30 giugno, e cio' indipendentemente dal differimento dell'udienza  ad
una data successiva (art. 83, comma 9). 
    Infine, e' intervenuto l'art. 36 del d.l. n. 23 del 2020, con  il
quale il Governo ha stabilito che il  termine  del  15  aprile  2020,
previsto dai commi 1 e 2 dell'art. 83 del d. l. n. 18 del  2020,  era
prorogato all'11 maggio 2020, cosi' modificando la portata del  comma
4 della stessa disposizione. 
    Pertanto, per effetto della proroga  disposta  dall'art.  36  del
d.l. n. 23 del 2020 (disposizione censurata dalle ordinanze n. 117  e
n. 132 del 2020), la sospensione  dei  termini  prescrizionali,  allo
stato, opera dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020. 
    E' in questa disciplina emergenziale  che  si  colloca  la  norma
censurata (art. 83, comma 4,  del  d.l.  n.  18  del  2020),  recante
un'ipotesi speciale di sospensione del termine  di  prescrizione  dei
reati; norma la quale prevede che «[n]ei procedimenti penali  in  cui
opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2  sono  altresi'
sospesi, per lo stesso periodo,  il  corso  della  prescrizione  e  i
termini di cui agli articoli  303  e  308  del  codice  di  procedura
penale». 
    7.-  Giova,  poi,  premettere  che  in   generale   la   concreta
determinazione della durata  del  tempo  di  prescrizione  dei  reati
appartiene alla discrezionalita' del legislatore censurabile solo  in
caso di  manifesta  irragionevolezza  o  sproporzione  rispetto  alla
gravita' del reato (sentenza di questa Corte n. 143 del 2014). 
    Nell'esercizio di tale discrezionalita' il legislatore  opera  un
bilanciamento tra valori di rango costituzionale. 
    Da  una  parte,  c'e'  l'esigenza  che  -  mediante   l'esercizio
obbligatorio dell'azione penale ad opera del pubblico ministero (art.
112 Cost.) - i comportamenti in violazione della legge  penale  siano
perseguiti  perche'  il  rispetto  di  quest'ultima   appartiene   ai
fondamentali del comune vivere civile, mentre la sua violazione crea,
in misura direttamente proporzionale alla gravita' del fatto, allarme
sociale e mina la fiducia dei cittadini. Nello stesso verso, inoltre,
rileva la tutela delle  vittime  dei  reati:  la  persona  offesa  ha
anch'essa diritto, quando costituita parte  civile,  all'accertamento
del reato per ottenere il  risarcimento  del  danno  per  la  lesione
subita. 
    A fronte di queste esigenze vi e', dall'altra parte,  l'interesse
dell'imputato ad andare esente da responsabilita' penale per  effetto
del  decorso  del  tempo;  interesse  che  il  legislatore  ordinario
riconosce e tutela con la disciplina  della  prescrizione  e  che  si
traduce nel diritto dell'imputato ad ottenere dal  giudice  penale  -
una  volta  decorso  il  termine  di  prescrizione  del  reato  -  il
riconoscimento, con sentenza di proscioglimento, dell'estinzione  del
reato (art. 157, primo comma, cod. pen.), sempre che dagli  atti  del
procedimento o del processo non risulti evidente che non ha  commesso
il fatto addebitatogli ovvero che questo non costituisca reato o  non
sia previsto dalla legge come reato (art. 129 del codice di procedura
penale) e sempre che egli non rinunci alla prescrizione chiedendo  un
accertamento di non  colpevolezza  (art.  157,  settimo  comma,  cod.
pen.).  Analogamente  e  alle  stesse  condizioni  sara'   possibile,
all'esito del procedimento penale, il decreto  di  archiviazione  per
estinzione del reato ascritto all'indagato. 
    La ratio della rilevanza di  questa  garanzia  per  l'indagato  o
l'imputato si collega preminentemente all'«interesse generale di  non
piu' perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo
la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente  attenuato
(...) l'allarme della coscienza comune» (sentenza n. 393 del 2006; in
precedenza, sentenza n. 202 del 1971; ordinanza n. 337 del 1999).  Si
e' fatto anche riferimento, talora, al "diritto all'oblio"  (sentenze
n. 115 del 2018, n. 24 del 2017, n. 45 del 2015, n.143 del 2014 e  n.
23 del 2013). 
    Vi e', in sostanza, un «affievolimento progressivo dell'interesse
della comunita' alla punizione del comportamento penalmente illecito,
valutato, quanto ai tempi necessari, dal legislatore, secondo  scelte
di politica criminale legate alla gravita' dei reati» (sentenza n. 23
del 2013), sebbene il decorso del  tempo  non  valga  di  per  se'  a
stendere un velo di piena immunita' sul fatto-reato. 
    Anche dopo la sentenza di proscioglimento  per  essere  il  reato
estinto per prescrizione, il giudice civile potra' accertare,  stante
il diverso regime della prescrizione in materia civile, che un  reato
e' stato commesso  da  chi  e'  chiamato  a  risarcire  i  danni  non
patrimoniali (art. 2059 del codice civile in riferimento all'art. 185
cod. pen.). Come anche lo stesso giudice penale, che abbia dichiarato
il  proscioglimento  in  ragione  dell'estinzione   del   reato   per
prescrizione, puo' non di meno doversi pronunciare sulla sussistenza,
o no, del reato ai fini (non  della  punibilita'  dell'imputato,  ma)
solo risarcitori in favore della  persona  offesa,  costituita  parte
civile, allorche' l'estinzione del reato sia dichiarata  dal  giudice
d'appello  o  dalla  Corte  di  cassazione   quando   nei   confronti
dell'imputato e' stata gia'  pronunciata  condanna,  anche  generica,
alle restituzioni o al risarcimento dei  danni  cagionati  dal  reato
(art. 578 cod. proc.  pen.).  Inoltre,  l'estinzione  del  reato  per
prescrizione non esclude che il giudice debba applicare una misura di
sicurezza come la confisca,  quale  in  particolare  quella  prevista
dagli artt. 240-bis e  322-ter  cod.  pen.  in  riferimento  all'art.
578-bis cod. proc. pen. 
    8.- Cio' premesso,  le  questioni  sollevate  in  riferimento  al
principio di legalita' di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.,  non
sono fondate. 
    9.- Occorre procedere innanzi tutto a richiamare e  circoscrivere
la  portata  di  tale  principio  con  riguardo  all'istituto   della
prescrizione dei reati. 
    Deve ribadirsi a tal proposito - come questa Corte ha piu'  volte
affermato - che la determinazione della  durata  del  tempo,  il  cui
decorso estingue il reato per prescrizione (art.  157,  primo  comma,
cod.  pen.),  ricade  nell'area  di  applicazione  del  principio  di
legalita' posto dall'art. 25, secondo comma, Cost., a mente del quale
«[n]essuno puo' essere punito se non in forza di una  legge  che  sia
entrata in vigore prima del fatto commesso». 
    E' la legge del tempus commissi delicti che non solo definisce la
condotta penalmente rilevante e ad  essa  riconduce  la  pena,  quale
quella detentiva o pecuniaria (art. 17 cod. pen.), ma anche fissa  il
tempo oltre il quale la sanzione  non  potra'  essere  applicata  per
essere il reato estinto per prescrizione (art. 157 cod. pen.),  tempo
che puo' essere anche illimitato  allorche'  per  delitti  gravissimi
(puniti con la pena dell'ergastolo) sia la legge stessa  a  prevedere
che la prescrizione non estingue i reati  (art.  157,  ultimo  comma,
cod. pen.). 
    Questa  proiezione  diacronica  della  punibilita'   integra   la
fattispecie penale nel senso che non solo  l'autore  del  fatto  deve
essere posto in grado di  conoscere  ex  ante  qual  e'  la  condotta
penalmente sanzionata (ossia la fattispecie di reato) e quali saranno
le conseguenze della sua azione in termini  di  sanzioni  applicabili
(ossia la pena), ma deve egli avere anche previa consapevolezza della
disciplina concernente la dimensione temporale in cui sara' possibile
l'accertamento nel processo, con carattere  di  definitivita',  della
sua responsabilita' penale (ossia la durata del tempo di prescrizione
del reato), anche se cio' non comporta la  precisa  predeterminazione
del dies ad quem in cui maturera' la prescrizione. 
    Il principio di legalita' richiede che la persona accusata di  un
reato abbia, al momento della commissione del fatto,  contezza  della
linea di orizzonte temporale - tracciata dalla durata, per cosi' dire
"tabellare", prevista in generale dall'art. 157 cod. pen., ma  talora
fissata con norme speciali in riferimento  a  particolari  reati  (ad
esempio, in caso di delitti in materia di imposte sui redditi  e  sul
valore aggiunto) - entro la  quale  sussistera',  in  ogni  caso,  la
punibilita' della condotta contestata. Le norme che definiscono  tale
dimensione temporale devono essere  vigenti  al  momento  in  cui  la
condotta, penalmente rilevante come reato, e' posta in essere.  Anche
se  per  reati  gravissimi  (quelli  puniti   con   l'ergastolo)   il
legislatore - come gia' ricordato - prevede la loro punibilita' senza
limiti di tempo, il principio di legalita'  e'  parimenti  rispettato
nella misura in cui tale imprescrittibilita'  risulta  posta  da  una
disposizione di legge in vigore  al  momento  della  commissione  del
fatto, vuoi in modo espresso  (come  nel  vigente  art.  157,  ultimo
comma, cod. pen.), vuoi in termini impliciti, come era nell'art.  157
cod. pen. nella sua originaria formulazione, per il fatto di prendere
in considerazione solo le pene temporanee e tale non era  l'ergastolo
(Corte di cassazione, sezioni unite  penali,  sentenza  24  settembre
2015-12 maggio 2016, n. 19756). 
    Anche recentemente si  e'  affermato  che  la  prescrizione,  nel
nostro ordinamento  giuridico,  costituisce  un  istituto  di  natura
sostanziale   «che   incide   sulla   punibilita'   della    persona,
riconnettendo  al   decorso   del   tempo   l'effetto   di   impedire
l'applicazione   della    pena»,    sicche'    «rientra    nell'alveo
costituzionale  del  principio  di   legalita'   penale   sostanziale
enunciato  dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.  con   formula   di
particolare ampiezza» (sentenza n.  115  del  2018  e,  negli  stessi
termini, sentenze n. 324 del 2008, n. 393 del 2006 e ordinanza n.  24
del 2017). 
    In definitiva, la prescrizione, pur  determinando,  sul  versante
processuale, l'arresto della procedibilita'  dell'azione  penale,  si
configura  come  causa  di  estinzione  del  reato  sul  piano   piu'
specificamente sostanziale. 
    10.- La dimensione diacronica della punibilita', quindi, concerne
innanzi tutto la definizione "tabellare" del  tempo  di  prescrizione
dei reati, che coglie il profilo  strettamente  sostanziale.  Ma  non
l'esaurisce perche'  essa,  poi,  si  colloca  nel  processo  e  puo'
risentire  indirettamente  delle  vicende  e  di  singoli   atti   di
quest'ultimo nella misura in cui  -  sotto  il  profilo  processuale,
appunto   -   sono   previste   e   disciplinate,   in   particolare,
l'interruzione e la sospensione del decorso del tempo di prescrizione
dei reati alle condizioni e nei limiti di legge (artt. 159 e 160 cod.
pen.); sicche' non e' mai prevedibile ex ante l'esatto termine finale
in cui si compie e opera la prescrizione,  termine  che  puo'  essere
raggiunto in un arco temporale  variabile  e  dipendente  da  fattori
plurimi e in concreto non predeterminabili. 
    Al riguardo,  questa  Corte  ha  osservato  che  la  prescrizione
costituisce,  nel  vigente  ordinamento,  un   istituto   di   natura
sostanziale «pur potendo  assumere  una  valenza  anche  processuale»
(sentenza n. 265 del 2017) e «[s]ebbene possa proiettarsi  anche  sul
piano processuale - concorrendo, in specie, a realizzare la  garanzia
della ragionevole durata  del  processo  (art.  111,  secondo  comma,
Cost.)» (sentenza n. 143 del 2014). 
    La garanzia del principio di legalita' (art. 25,  secondo  comma,
Cost.)  nel  suo  complesso  (tale  percio'  da  coprire   anche   le
implicazioni  sostanziali  delle  norme  processuali)  da'  corpo   e
contenuto a un diritto fondamentale della persona  accusata  di  aver
commesso un reato, diritto che - avendo come  contenuto  il  rispetto
del principio di legalita' - da una parte, non  e'  comprimibile  non
entrando in bilanciamento con altri diritti in  ipotesi  antagonisti;
si tratta, infatti, di una garanzia della persona contro i  possibili
arbitri del legislatore, la quale rappresenta  un  «valore  assoluto,
non suscettibile di bilanciamento con  altri  valori  costituzionali»
(sentenze n. 32 del 2020, n. 236 del 2011 e n. 394 del 2006). 
    Dall'altra  parte,  tale  garanzia,  espressa  dal  principio  di
legalita' di cui all'art. 25, secondo  comma,  Cost.,  appartiene  al
nucleo essenziale dei diritti di liberta' che concorrono  a  definire
la identita'  costituzionale  dell'ordinamento  giuridico  nazionale,
quale riconosciuta dall'ordinamento dell'Unione europea, segnatamente
nella clausola generale di cui all'art. 4, paragrafo 2, del  Trattato
sull'Unione Europea  (TUE),  cosi'  come  firmato  a  Lisbona  il  13
dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 (ordinanza  n.
24 del 2017). Nello statuto delle garanzie di  difesa  dell'imputato,
il principio di legalita' di cui all'art. 25, secondo  comma,  Cost.,
esteso fino a comprendere anche la determinazione  della  durata  del
tempo di prescrizione dei reati, ha un ruolo centrale,  affiancandosi
al principio di non colpevolezza  dell'imputato  fino  alla  condanna
definitiva  (art.  27,  secondo  comma,  Cost.)  e  a  quello   della
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.).  Da
ultimo, esso si proietta finanche sull'esecuzione della  pena  quanto
al regime delle misure alternative della detenzione (sentenza  n.  32
del 2020). 
    11.- Il rispetto del  principio  di  legalita'  comporta  innanzi
tutto che -  come  la  condotta  penalmente  sanzionata  deve  essere
definita dalla legge con  sufficiente  precisione  e  determinatezza,
talche' sarebbe costituzionalmente illegittima la  previsione  di  un
reato in termini sostanzialmente  indefiniti  e  generici  (come,  da
ultimo, la fattispecie oggetto della  sentenza  n.  25  del  2019)  -
parimenti la fissazione della durata del tempo di  prescrizione  deve
essere sufficientemente determinata.  Tale  non  e'  -  sul  versante
sostanziale della  garanzia  -  la  cosiddetta  «regola  Taricco»  di
derivazione dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale -
ampliando la misura "tabellare" del tempo di prescrizione  di  alcuni
reati fiscali in materia di tributi armonizzati - non ha ingresso nel
nostro  ordinamento,  neppure  ex  nunc,   stante   il   difetto   di
determinatezza del presupposto che condiziona la maggiore  estensione
temporale della prescrizione (sentenza n. 115 del 2018). 
    Inoltre il rispetto del principio di  legalita'  implica  la  non
retroattivita' della norma di legge che, fissando la durata del tempo
di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in  peius
la   perseguibilita'   del   fatto   commesso.   Il   principio    di
irretroattivita' della norma penale sfavorevole,  infatti,  «si  pone
come essenziale  strumento  di  garanzia  del  cittadino  contro  gli
arbitri   del    legislatore,    espressivo    dell'esigenza    della
"calcolabilita'" delle  conseguenze  giuridico-penali  della  propria
condotta,    quale    condizione    necessaria    per    la    libera
autodeterminazione individuale» (sentenze n. 236 del 2011  e  n.  394
del 2006). 
    Simmetricamente la norma che invece riduca la durata del tempo di
prescrizione costituisce disposizione penale piu' favorevole ai sensi
dell'art. 2 cod. pen., applicabile in  melius  anche  ai  fatti  gia'
commessi  in  precedenza  (quindi  retroattivamente)  nei  limiti  di
operativita'   della   lex   mitior,   quali    riconosciuti    dalla
giurisprudenza di  questa  Corte  (sentenza  n.  393  del  2006).  Il
principio  di  retroattivita'  della  norma  penale  piu'  favorevole
rinviene il proprio fondamento non gia' nell'art. 25  Cost.,  ma  nel
principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), essendo quindi «suscettibile
di limitazioni e deroghe» che,  tuttavia,  «devono  giustificarsi  in
relazione alla necessita' di  preservare  interessi  contrapposti  di
analogo rilievo» (ex plurimis, sentenze n. 215 del 2008 e n. 394  del
2006;  da  ultimo,  sentenza  n.  63  del  2019)  e  possono  trovare
fondamento  e  limite  anche   nel   condizionamento   ad   attivita'
processuali (sentenza n. 238 del 2020). 
    12.- Il rispetto del principio di legalita'  coinvolge  anche  la
disciplina della decorrenza, della  sospensione  e  dell'interruzione
della   prescrizione   stessa   perche'   essa,   nelle   sue   varie
articolazioni, concorre - come  gia'  rilevato  -  a  determinare  la
durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione. 
    Si tratta di vicende processuali che incidono  sulla  complessiva
durata del tempo di prescrizione dei reati. 
    L'interruzione  del  termine   prescrizionale   -   che   dipende
dall'adozione di determinati provvedimenti, tassativamente indicati -
ne comporta l'azzeramento del computo con  la  ripresa  ex  novo  del
relativo corso (art. 160 cod.  pen.).  Sicche'  e'  impossibile,  per
l'imputato, prevedere ex ante quante volte il termine sara' azzerato,
ma c'e' la garanzia del limite di durata massima della  prescrizione,
pur interrotta nel suo decorso, anche se  per  reati  di  particolare
allarme sociale (quali quelli di criminalita' organizzata), ove anche
soggetti a prescrizione, il regime dell'interruzione del  decorso  di
quest'ultima non ha un limite di durata massima  (art.  161,  secondo
comma, cod. pen.). 
    Parimenti non sara' prevedibile ex  ante  per  l'imputato  quante
volte il decorso del termine di prescrizione sara' sospeso (art.  159
cod. pen.), senza peraltro  che  sussista  alcun  limite  massimo  di
durata  del  termine  prescrizionale,  fatta  salva  l'ipotesi  della
sospensione del processo per assenza dell'imputato (art.  159,  primo
comma, numero 3-bis, cod. pen., in relazione all'art. 420-quater cod.
proc. pen.). 
    Anche le regole del processo  possono  avere  un'incidenza  sulla
disciplina della prescrizione. 
    Basti ricordare che  -  ancora  sul  versante  processuale  -  e'
comunemente accettata e da tempo applicata, la regola di  derivazione
giurisprudenziale (a partire da Corte di  cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 22 novembre-21 dicembre 2000, n. 32; in seguito,  in
termini anche piu' ampi, Corte di cassazione, sezioni  unite  penali,
sentenza 17 dicembre 2015-25 marzo 2016,  n.  12602),  che  ferma  il
decorso della prescrizione al momento della sentenza di  merito,  pur
non ancora definitiva,  ove  impugnata  con  ricorso  per  cassazione
dichiarato  inammissibile.  Si  ritiene  infatti   che   il   ricorso
inammissibile sia inidoneo ad aprire una utile  fase  processuale  ai
fini del perfezionarsi della causa estintiva. 
    13.- In questo contesto l'art. 159, primo comma, cod. pen.,  come
sostituito dall'art. 6, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n.  251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), ha una funzione di cerniera perche' contiene,  da  una
parte, una causa generale di sospensione - secondo  cui  «[i]l  corso
della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la  sospensione
del procedimento o del  processo  penale  [...]  e'  imposta  da  una
particolare disposizione di legge» - e dall'altra, una  catalogazione
di altri "casi" particolari. 
    Anche prima della novella del 2005,  questa  dicotomia  era  gia'
nell'originaria formulazione della disposizione nel codice  del  1930
che  parimenti  affiancava  una  previsione  generale,  negli  stessi
termini,  ai  casi  particolari,   all'epoca   limitati   all'ipotesi
dell'autorizzazione a procedere e alla questione  deferita  ad  altro
giudizio. 
    Tale previsione - connotata da piena continuita' normativa tra la
formulazione del 1930 e quella del 2005 - rispetta  il  principio  di
legalita' di  cui  all'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  avendo  un
contenuto   sufficientemente   preciso    e    determinato,    aperto
all'integrazione di altre piu' specifiche disposizioni di  legge,  le
quali devono comunque rispettare - come si dira' infra al punto 14  -
il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo
comma, Cost.) e quello di ragionevolezza e proporzionalita' (art.  3,
primo comma, Cost.). 
    Essa afferma che la stasi ex lege del procedimento o del processo
penale determina anche, in simmetria e di norma,  una  parentesi  nel
decorso  del  tempo  di  prescrizione  dei  reati.  Pur  non  potendo
escludersi che vi siano, in particolare,  cause  di  sospensione  del
processo  che  non  comportano  la  sospensione  anche  del   termine
prescrizionale, si ha in generale che, se il processo ha  una  stasi,
le conseguenze investono tutte  le  parti:  la  pubblica  accusa,  la
persona offesa costituita parte civile e  l'imputato.  Come  l'azione
penale e la pretesa risarcitoria hanno un temporaneo  arresto,  cosi'
anche, per preservare l'equilibrio della tutela dei valori in  gioco,
e' sospeso il termine di prescrizione  del  reato  per  l'indagato  o
l'imputato. 
    Cio' e' coerente con il richiamato bilanciamento (sopra al  punto
7), che e' al fondo della fissazione del termine di durata del  tempo
di prescrizione dei reati; bilanciamento che rischierebbe  di  essere
alterato se «una particolare disposizione di legge», che  preveda  la
sospensione del procedimento o del processo penale, in  ipotesi,  per
la  ragione  imperiosa  di   una   sopravvenuta   calamita'   (quale,
nell'attualita', la pandemia da COVID-19, ma similmente in precedenza
eventi tellurici, disastri idrogeologici e  altri),  debba  sempre  -
come ritengono i giudici rimettenti a fondamento delle  loro  censure
di illegittimita' costituzionale  -  lasciar  scorrere  il  tempo  di
prescrizione  dei  reati  gia'  commessi  prima  della   disposizione
censurata e invece arrestarne il decorso solo per  i  reati  commessi
dopo, cosi'  decurtandone  soltanto  per  questi  ultimi  la  durata,
incongruamente quanto inutilmente per essere la  prescrizione  appena
iniziata a decorrere. 
    Si ha, invece, che al momento della commissione del fatto il  suo
autore sa ex ante che, se  il  procedimento  o  il  processo  saranno
sospesi in ragione dell'applicazione di una disposizione di legge che
cio' preveda, lo sara' anche il decorso del termine  di  prescrizione
(art. 25, secondo comma, Cost.).  Rimangono  in  ogni  caso,  da  una
parte, la garanzia della riserva alla legge  della  previsione  delle
ipotesi di sospensione del procedimento o del processo (ex art.  111,
primo comma, Cost.),  dall'altra  parte,  quanto  alla  ricaduta  sul
decorso del tempo di prescrizione dei reati, la garanzia  della  loro
applicabilita' per l'avvenire a partire dall'entrata in vigore  della
norma che tale sospensione preveda (art. 11 delle Disposizioni  sulla
legge  in  generale);  ossia  una  nuova  causa  di   sospensione   -
riconducibile alla causa generale di cui all'art. 159,  primo  comma,
cod. pen. e quindi applicabile anche a condotte pregresse - non  puo'
decorrere da una data antecedente alla legge che  la  prevede.  Cio',
naturalmente, in aggiunta alla garanzia della predeterminazione della
durata "tabellare" della prescrizione (art. 157 cod. pen.), di cui si
e' detto sopra al punto 9. 
    Comunque, queste ipotesi  di  sospensione  del  processo  -  come
questa Corte ha gia' avuto modo di rilevare (sentenza n. 24 del 2014)
-  «automaticamente  coinvolgono  [...]  la  disciplina  di   diritto
sostanziale della prescrizione del reato». La consapevolezza di  tale
automatismo  nell'autore  della  condotta  penalmente  rilevante   e'
sufficiente ad assicurare il  rispetto  del  principio  di  legalita'
(art. 25, secondo comma, Cost.), integrato,  nella  fattispecie,  dal
principio secondo cui la legge non dispone che per  l'avvenire  (art.
11 delle Disposizioni sulla legge in generale) e dalla garanzia  che,
in applicazione stretta di questo principio,  non  e'  possibile  che
l'incidenza indiretta sul tempo di prescrizione abbia una  proiezione
retroattiva. 
    14.- Ne' puo' temersi che, nella sostanza, al di la' del rispetto
formale del principio di legalita', pur cosi'  integrato,  il  rinvio
aperto a ogni «particolare disposizione di  legge»,  che  preveda  la
sospensione del procedimento o del processo penale, possa  costituire
una falla, nel senso di  una  possibile  illimitata  dilatazione  del
tempo   complessivo   di   prescrizione   del   reato   in    ragione
dell'applicazione di ogni disposizione che preveda la sospensione del
procedimento  o  del  processo  penale.  Infatti,  il  rispetto   del
principio di legalita' - nella misura in  cui  e'  predeterminata  la
regola che vuole che alla sospensione del procedimento o del processo
penale in forza di una «particolare disposizione di legge» si  associ
anche la sospensione del decorso del tempo di prescrizione del  reato
- non esclude, ma anzi  si  coniuga  -  come  gia'  rilevato  -  alla
possibile verifica di conformita' sia  al  canone  della  ragionevole
durata  del  processo  (art.  111,  secondo  comma,  Cost.),  sia  al
principio di ragionevolezza e proporzionalita' (art. 3, primo  comma,
Cost.), a confronto dei quali sara' sempre possibile il sindacato  di
legittimita' costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti
e  dei  processi  penali,   nonche',   piu'   specificamente,   della
conseguente sospensione del termine di prescrizione. 
    Nella fattispecie in esame,  del  resto,  non  vengono  sollevati
dubbi di legittimita' costituzionale da parte dei giudici  rimettenti
sotto questo profilo, ma non puo' non osservarsi, da una  parte,  che
la breve durata della sospensione del decorso della  prescrizione  e'
pienamente compatibile con il canone  della  ragionevole  durata  del
processo e, dall'altra parte, che, sul piano della  ragionevolezza  e
proporzionalita', la misura e' giustificata dalla finalita' di tutela
del bene della salute collettiva (art. 32, primo  comma,  Cost.)  per
contenere il rischio  di  contagio  da  COVID-19  in  un  eccezionale
momento di emergenza sanitaria. 
    Con cio' si deve anche escludere il rischio di abuso  del  potere
legislativo. 
    Il necessario collegamento con la sospensione del processo fa si'
che, ove esso  manchi,  diversa  risulta  essere  la  fattispecie  di
sospensione del decorso della  prescrizione,  la  quale  non  sarebbe
riconducibile alla causa generale dell'art. 159,  primo  comma,  cod.
pen. Tale e' quella prevista dall'art. 1, comma 15,  della  legge  23
giugno 2017, n.  103  (Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di
procedura  penale  e  all'ordinamento   penitenziario),   applicabile
pertanto solo ai reati commessi a partire dalla data  di  entrata  in
vigore della norma stessa. 
    Rimane, infine, nella discrezionalita' del legislatore  prevedere
eventualmente, in riferimento a specifiche  fattispecie,  l'ulteriore
garanzia di un limite massimo di durata dell'arresto  temporaneo  del
decorso della prescrizione,  come  nell'ipotesi  di  sospensione  del
processo per assenza dell'imputato  (art.  159,  ultimo  comma,  cod.
pen.). 
    15.- Una volta precisata la portata del  principio  di  legalita'
(nel suo duplice  aspetto  sostanziale  e  processuale)  e  la  causa
generale di sospensione del corso della prescrizione, di cui all'art.
159, primo comma, cod. pen., occorre ora passare  a  verificare,  sul
piano interpretativo, se il censurato comma 4 dell'art. 83  del  d.l.
n. 18 del 2020,  letto  complessivamente  nel  contesto  degli  altri
commi,  preveda,  o  no,  una  sospensione  dei  procedimenti  penali
riconducibile a tale causa generale. 
    In tal senso e' gia' la giurisprudenza  di  legittimita'  che  ha
ripetutamente ricondotto la sospensione della prescrizione,  prevista
dalla  disposizione  censurata,  alla  fattispecie  generale  di  cui
all'art. 159,  primo  comma,  cod.  pen.,  ritenendo  di  conseguenza
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
qui in esame (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14
luglio-7 settembre 2020, n. 25222; sezione terza penale, sentenza  23
luglio-9 settembre 2020, n. 25433; sezione quinta penale, sentenza 13
luglio-2 novembre 2020, n. 30434; sentenza 13 luglio-2 novembre 2020,
n. 30437; anche sezione terza penale,  sentenza  2  luglio-17  luglio
2020, n. 21367, che e' pervenuta ad analoga conclusione seppur  sulla
base di un diverso percorso argomentativo). 
    Questa giurisprudenza - che va assumendo  la  forma  del  diritto
vivente - ha collegato la sospensione dei termini stabiliti dal comma
2  dell'art.  83  citato  per  il  periodo  9  marzo-11  maggio  2020
(cosiddetta "prima fase"  delle  misure  stabilite  per  fronteggiare
l'emergenza epidemiologica) - sospensione, quest'ultima, che riguarda
la generalita' dei termini per compimento di qualsiasi atto,  sicche'
sono  sospesi  «i  termini  stabiliti  per  la  fase  delle  indagini
preliminari, per l'adozione di  provvedimenti  giudiziari  e  per  il
deposito della loro  motivazione,  per  la  proposizione  degli  atti
introduttivi del  giudizio  e  dei  procedimenti  esecutivi,  per  le
impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali» -  al  rinvio
d'ufficio,  per  il  medesimo  arco  temporale,  delle  udienze   dei
procedimenti penali  pendenti  presso  tutti  gli  uffici  giudiziari
stabilito dal comma 1 del  medesimo  art.  83  e  ne  ha  tratto  una
considerazione unitaria delle due discipline: sospensione dei termini
e rinvio del processo sono, di regola, inscindibilmente collegati. 
    Si  e'  affermato  che  «l'esame  dell'effetto  combinato   delle
discipline dettate dai commi 1 e 2 dell'art. 83 cit.  mette  in  luce
come esse diano corpo a un caso di sospensione del procedimento o del
processo: il rinvio d'ufficio di tutte le udienze e la sospensione di
tutti i termini (con le eccezioni stabilite dal comma  3)  convergono
nell'attribuire  alla  situazione   processuale   determinata   dalle
previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 83 cit. i connotati  della
sospensione del procedimento o del processo a norma del  primo  comma
dell'art. 159 cod. pen.» (Cass., n. 25222 del 2020). 
    In sostanza - come del resto si ritiene anche nelle ordinanze  di
rimessione del Tribunale di Siena - il combinato disposto dei commi 1
e 2 dell'art. 83  contempla  l'integrale  sospensione  dell'attivita'
giurisdizionale nel periodo  emergenziale,  prevedendo  non  solo  il
rinvio delle udienze (comma 1), ma anche la sospensione  dei  termini
processuali di qualsiasi natura (comma 2). 
    Peraltro   questa   interpretazione   della   giurisprudenza   di
legittimita', che riconduce tale sospensione alla previsione generale
dell'art. 159, primo comma, cod. pen., e' in linea di continuita' con
altri casi di sospensione dei processi  -  rilevanti  anche  ai  fini
della  sospensione  del  corso  della  prescrizione  -  collegati   a
situazioni di emergenza derivate, ad esempio, da eventi  sismici.  Si
tratta di ipotesi che presentano - come gia' detto - una ratio affine
a quella della  disciplina  censurata,  chiamata  a  fronteggiare  la
pandemia da COVID-19. E' il caso, ad esempio,  del  decreto-legge  28
aprile 2009, n. 39 (Interventi urgenti in  favore  delle  popolazioni
colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile
2009  e  ulteriori  interventi   urgenti   di   protezione   civile),
convertito, con modificazioni, in legge 24 giugno 2009, n. 77, il cui
art. 5  prevedeva  una  sospensione  dei  processi  penali,  nonche',
espressamente, la sospensione, per la stessa durata, del corso  della
prescrizione: la giurisprudenza di  legittimita'  ne  ha  piu'  volte
fatto applicazione con riferimento a condotte, penalmente  rilevanti,
poste in essere prima del d.l. n. 39 del 2009 (ex  multis,  Corte  di
cassazione,  sezione  terza  penale,  sentenza  13  dicembre   2012-7
febbraio 2013, n. 5982). 
    Parimenti e' stato ritenuto - senza che insorgesse  alcun  dubbio
in ordine al rispetto del principio di legalita' - che la sospensione
della prescrizione come conseguenza della  sospensione  dei  processi
riguardasse  i  reati  gia'  commessi  in  precedenza  in   ulteriori
fattispecie, quali quelle in materia di condono edilizio e di condono
fiscale e in occasione della riforma  del  cosiddetto  patteggiamento
allargato. 
    Con  riferimento  ad   un'ipotesi   di   condono   edilizio,   la
giurisprudenza, prendendo in esame la sospensione della prescrizione,
conseguente    alla    sospensione    del    processo,    intervenuta
successivamente alla commissione del fatto, l'ha ritenuta  pienamente
operante senza rilevare  possibili  aspetti  di  incostituzionalita',
proprio perche' espressiva del principio  generale  di  cui  all'art.
159, primo comma, cod. pen., per cui la prescrizione non decorre  fin
tanto che non  viene  meno  l'impedimento  all'esercizio  dell'azione
penale  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite  penali,  sentenza  3
dicembre 1996-13 febbraio 1997, n. 1283). 
    Occorre comunque che sia una «particolare disposizione di  legge»
a  stabilire  i  presupposti  della   fattispecie,   sicche'   «nella
individuazione dei casi in cui la  sospensione  del  procedimento  e'
rilevante  ai  fini  della  prescrizione,   rimane   tuttora   valida
l'esigenza che le valutazioni del giudice siano vincolate  a  criteri
predeterminati» (Corte di cassazione, sezioni unite penali,  sentenza
28 novembre 2001-11 gennaio 2002, n. 1021). 
    E si e' precisato che non  basta  la  previsione  ex  lege  della
sospensione del decorso della prescrizione, perche' «[e']  richiesto,
piuttosto, che il legislatore abbia previsto, unitamente a quella, la
sospensione del procedimento o del processo»  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 21 giugno-7 settembre 2018, n. 40150). 
    In altri termini la sospensione del processo, cui va  ricollegata
quella della prescrizione, e' prevista da una norma che  imponga  una
"stasi" del giudizio basata su elementi certi ed oggettivi. 
    16.-  La  riconducibilita'  della  fattispecie  in   esame   alla
disciplina di cui all'art. 159,  primo  comma,  cod.  pen.,  esclude,
quindi, che si sia in presenza di un intervento  legislativo,  recato
dalla  norma  censurata,   in   contrasto   con   il   principio   di
irretroattivita' della norma penale sostanziale  sfavorevole  sancito
dall'art. 25, secondo comma, Cost. 
    Ne' argomento contrario puo' desumersi dall'espressa  previsione,
contenuta nella disposizione censurata, della sospensione del decorso
del termine di prescrizione dei reati, la quale, nella  ricostruzione
fatta  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',   potrebbe   apparire
ridondante in quanto la sospensione stessa discenderebbe direttamente
dalla norma generale contenuta nell'art. 159, primo comma, cod.  pen.
In realta' la previsione del comma 4 del censurato art.  83,  secondo
cui e' sospeso anche il corso della  prescrizione  in  ragione  della
sospensione del procedimento o del processo penale,  non  e'  inutile
perche' fissa, in modo espresso  e  quindi  in  termini  maggiormente
chiari, compatibili con il rispetto del principio di eguaglianza,  la
collocazione della disposizione nell'alveo della  causa  generale  di
sospensione contenuta nell'art. 159, primo comma, cod. pen.,  secondo
una  tecnica  legislativa  non  nuova.  Una  fattispecie  analoga  si
rinviene, con riferimento ad altra  situazione  emergenziale  che  ha
imposto la stasi dei processi penali, nell'art. 49, commi 6 e 9,  del
decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 (Interventi urgenti  in  favore
delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016),  convertito,
con modificazioni, nella legge 15 dicembre 2016, n. 229. 
    Sotto questo profilo, il principio  di  legalita'  e'  rispettato
perche' la sospensione del  corso  della  prescrizione  di  cui  alla
disposizione censurata, essendo riconducibile alla fattispecie  della
«particolare disposizione di legge» di cui al primo  comma  dell'art.
159 cod. pen., puo' dirsi essere anteriore alle  condotte  contestate
agli imputati nei giudizi a quibus. La regola, secondo cui quando  il
procedimento o il processo penale e' sospeso in applicazione  di  una
particolare  disposizione  di  legge  lo  e'  anche  il  corso  della
prescrizione,  e'  certamente  anteriore  alle  condotte   penalmente
rilevanti proprio perche' contenuta nel  codice  penale  del  1930  e
ribadita dalla richiamata novella del 2005. 
    17.-  La  regola  "tempus  regit  actum"   diventa   di   stretta
applicazione allorche' concerne la prescrizione, nel  senso  che  gli
atti e le vicende processuali non potrebbero aver mai una  proiezione
retroattiva quanto all'incidenza indiretta sul tempo di  prescrizione
dei reati; profilo questo che viene in  rilievo  anche  nel  presente
giudizio quanto al periodo iniziale della  sospensione  dei  processi
penali dal 9 marzo al 17 marzo 2020. 
    E' vero che l'art. 83, commi 1 e 2, del  d.l.  n.  18  del  2020,
entrato in vigore il 17 marzo 2020, ha previsto  la  sospensione  dei
processi  e  dei  procedimenti  penali  fin  dal  9  marzo  e  quindi
(apparentemente) in modo retroattivo quanto al periodo dal  9  al  17
marzo; retroattivita' che non potrebbe  parimenti  riflettersi  sulla
sospensione del  termine  di  prescrizione  dei  reati,  in  generale
prevista dal censurato comma 4 della medesima disposizione. 
    In realta', pero', cosi' non e' perche'  il  rinvio  ex  lege  (e
quindi la sospensione temporanea) dei  procedimenti  e  dei  processi
penali  nel  (breve)  periodo  precedente  il  17  marzo  2020  e  la
simmetrica sospensione del termine di prescrizione  trovano  il  loro
fondamento normativo nell'art. 1 del d.l. n. 11 del 2020, entrato  in
vigore il 9 marzo 2020, il quale  si'  non  e'  stato  convertito  in
legge, e anzi prima ancora e' stato abrogato dall'art. 1 della  legge
n. 27 del 2020, ma la stessa  disposizione  ne  ha  fatti  salvi  gli
effetti prodottisi e  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base  del
medesimo, unitamente a quelli oggetto del precedente d.l.  n.  9  del
2020. Vi e' pertanto continuita' normativa tra la  disposizione  (fin
quando vigente) del d.l. n. 11 del 2020, che  all'art.  1,  comma  3,
richiama l'art. 10 del d.l. n. 9 del 2020  (e  quindi  anche  il  suo
comma 13 sulla sospensione del corso della prescrizione), e quella di
salvezza della legge n. 27 del 2020, sicche' il periodo di rinvio (id
est sospensione) di procedimenti e processi penali dal 9 al 17  marzo
trova il suo fondamento in una norma vigente gia' alla data  iniziale
di questo intervallo temporale. 
    Non c'e' stata pertanto alcuna sospensione retroattiva del  corso
della prescrizione come conseguenza della sospensione di procedimenti
e processi penali, bensi' ha trovato piena applicazione il  principio
secondo cui la legge (nella specie, di contenuto processuale) dispone
per l'avvenire (art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale) e
pertanto legittima e' la ricaduta sulla prescrizione  in  termini  di
sospensione della sua durata, prevista dall'art. 1 del d.l. n. 11 del
2020, in combinato disposto con l'art. 10, comma 13, del  d.l.  n.  9
del 2020, in piena sintonia con l'art. 159, primo comma, cod. pen. 
    18.- In conclusione,  le  questioni,  poste  con  riferimento  al
parametro interno dell'art. 25, secondo comma, Cost., sono tutte  non
fondate. 
    19.- Invece, le  questioni  poste  in  riferimento  ai  parametri
europei sono inammissibili. 
    Il Tribunale di Spoleto ha evocato - come parametro interposto in
riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. - l'art. 7 CEDU  che  al
comma 1 prevede che «[n]essuno puo' essere condannato per una  azione
o una omissione che,  al  momento  in  cui  e'  stata  commessa,  non
costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. 
    Parimenti, non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella
applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso». 
    In  proposito,  questa  Corte  (sentenza  n.  230  del  2012)  ha
ricordato che «l'art. 7 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali  [...]  -  secondo
l'interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo  -
da  un  lato,  sancisce  implicitamente   anche   il   principio   di
retroattivita' dei trattamenti penali piu' favorevoli e,  dall'altro,
ingloba nel concetto di "legalita'" in materia  penale  non  solo  il
diritto di produzione legislativa, ma  anche  quello  di  derivazione
giurisprudenziale». 
    Si ha pero' che il Tribunale rimettente - pur ricordando la  tesi
della  natura  processuale  dell'istituto  della  prescrizione  fatta
propria dalla Corte di Strasburgo (sentenza 22 giugno 2000,  Coëme  e
altri contro Belgio; sentenza 20 settembre 2011, Neftyanaya Kompaniya
Yukos contro Russia) e quindi un orientamento  giurisprudenziale  che
predica una garanzia di portata meno estesa  di  quella  ritenuta  da
questa Corte, la quale, come si e'  visto,  ha  invece  affermato  la
natura sostanziale dell'istituto - non indica benche' minimamente  in
che termini il  parametro  convenzionale  offrirebbe,  comunque,  una
protezione del principio di legalita' maggiore  di  quella  dell'art.
25, secondo comma, Cost. 
    Anzi la predicata natura processuale della prescrizione riduce il
perimetro della non retroattivita' della norma penale  rispetto  alla
ricostruzione dell'istituto, quale presente nella  giurisprudenza  di
questa Corte, che - come gia' sopra ricordato - ne afferma invece  la
natura sostanziale. 
    Con riferimento proprio al  principio  di  legalita'  in  materia
penale (art. 25, secondo comma, Cost.) questa Corte ha affermato  che
«gli stessi principi o  analoghe  previsioni  si  rinveng[o]no  nella
Costituzione e nella CEDU, cosi' determinandosi  una  concorrenza  di
tutele, che pero' possono  non  essere  perfettamente  simmetriche  e
sovrapponibili; vi  puo'  essere  uno  scarto  di  tutele,  rilevante
soprattutto laddove la giurisprudenza della Corte EDU  riconosca,  in
determinate fattispecie, una tutela piu' ampia» (sentenza n.  25  del
2019). Quindi in questa ipotesi di "concorrenza di tutele" si ha  che
l'invocato parametro convenzionale (art. 7  CEDU)  ben  puo'  offrire
talora, in riferimento a determinate  fattispecie,  una  tutela  piu'
ampia del parametro nazionale (art. 25, secondo comma, Cost.). Ed  e'
quanto accaduto allorche' la  questione,  ritenuta  inizialmente  non
fondata in riferimento a quest'ultimo (sentenza n. 282 del 2010),  e'
poi risultata invece fondata in riferimento al  parametro  interposto
(sentenza n. 25 del 2019). 
    Ma il Tribunale di Spoleto nulla argomenta in  proposito  e  anzi
mostra di essere consapevole che, con riferimento all'istituto  della
prescrizione, e'  il  parametro  nazionale  ad  avere  un  ambito  di
applicazione piu' ampio di quello convenzionale. 
    20.- Analoga e ulteriore ragione di inammissibilita' sussiste con
riferimento all'ordinanza del Tribunale  di  Roma,  che  invoca  come
parametro interposto non solo l'art. 7  CEDU,  ma  anche  l'art.  49,
comma 1, CDFUE, che sancisce una garanzia ricalcata sul principio  di
legalita'. Prevede infatti che «[n]essuno puo' essere condannato  per
un'azione o un'omissione che, al momento in cui  e'  stata  commessa,
non  costituiva  reato  secondo  il  diritto  interno  o  il  diritto
internazionale. Parimenti, non puo' essere  inflitta  una  pena  piu'
grave di quella applicabile al momento  in  cui  il  reato  e'  stato
commesso. Se, successivamente alla commissione del  reato,  la  legge
prevede l'applicazione di una  pena  piu'  lieve,  occorre  applicare
quest'ultima». 
    Alla  stessa  carenza  motivazionale  in  ordine   al   parametro
convenzionale,  riscontrabile  nell'ordinanza   di   rimessione,   si
aggiunge anche l'assoluta mancanza  di  motivazione  in  ordine  alla
riferibilita' a una materia rientrante nell'ambito di attuazione  del
diritto dell'Unione europea. La giurisprudenza  di  questa  Corte  e'
costante nell'affermare che la  CDFUE  puo'  essere  invocata,  quale
parametro interposto in un giudizio di  legittimita'  costituzionale,
soltanto quando la fattispecie oggetto di  legislazione  interna  sia
disciplinata dal diritto europeo (ex plurimis, da ultimo, sentenza n.
254 del 2020). Il Tribunale - pur richiamando la sentenza pronunciata
dalla Corte di giustizia (Grande sezione, sentenza 5  dicembre  2017,
in causa C-42/17, M. A. S. e M. B.), che riguarda appunto la  materia
europea nella misura in cui concerne il reato di omesso versamento di
tributi armonizzati - nulla argomenta in proposito, risultando invece
che esso e' chiamato a pronunciarsi in ordine al contestato reato  di
calunnia;  il  quale,  all'evidenza,  non   ricade   nell'ambito   di
attuazione del diritto dell'Unione europea.