TRIBUNALE DI NAPOLI 
                          IV Sezione penale 
 
    Il giudice dell'esecuzione, dott. Anna Laura Alfano; 
    Letti gli atti del procedimento nei confronti di R. G., nato a  ,
attualmente detenuto presso la casa circondariale Saporito di  Aversa
(CE), in esecuzione  della  pena  di  anni  uno  e  mesi  quattro  di
reclusione, irrogata con sentenza n. 6642/19 (Reg. Gen. n.  7901/2019
e  RGNR  n.  14278/2019),  emessa  dal  Tribunale   di   Napoli,   in
composizione monocratica in data 31 maggio 2019, passata in giudicato
in data 8 novembre 2019 (fine pena 21 aprile 2021); 
    Rilevato che la difesa ha chiesto  in  via  principale  revocarsi
l'ordine di esecuzione della carcerazione e,  in  via  subordinata  e
incidentale, ha sollevato questione di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 656, comma 9, lettera a) del  codice  di  procedura  penale
come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 23
maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1
della legge 24 luglio 2008, n. 125, per violazione degli articoli  3,
27 della Costituzione nella parte in cui dispone che  la  sospensione
della pena non puo'  essere  disposta  nei  confronti  delle  persone
condannate per il delitto  di  detenzione  e  trasporto  di  tabacchi
lavorati esteri di  contrabbando  per  il  delitto  di  cui  all'art.
291-ter,  comma  1  del  decreto  del  Presidente  della   Repubblica
n. 43/1973 richiamato dall'art 4-bis 1-ter ord. penit.; 
    Acquisito il parere del pubblico ministero del 30 dicembre 2019; 
    Sentite le parti e sciogliendo la riserva di cui  al  verbale  di
udienza del 25 febbraio 2020; 
 
                               Osserva 
 
    R. G. e' stato tratto in arresto in data 30 maggio  2019  per  il
delitto  di  trasporto  di  tabacchi  lavorati  esteri  del  peso  di
chilogrammi 195,2, occultato  e  custodito  all'interno  del  veicolo
Renault Trafic (fatto commesso in , il ,  con  l'aggravante  di  aver
adoperato mezzi di trasporto appartenenti a terzi e con  la  recidiva
reiterata specifica. 
    All'esito del giudizio per direttissima il Tribunale  di  Napoli,
in composizione monocratica, con  sentenza  pronunciata  in  data  31
maggio 2019 (n. 6642/19 Reg. Gen. n. 7901/2019 e RGNR n. 14278/2019),
ha applicato ai sensi dell'art. 444 del codice di  procedura  penale,
previa  concessione  delle  attenuanti  generiche  con  giudizio   di
equivalenza  sulla  contestata  aggravante   e   recidiva   reiterata
specifica, la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione  ed  euro
650.000,00 di multa e disposto la misura  cautelare  dell'obbligo  di
presentazione alla polizia giudiziaria. 
    La sentenza e' passata in giudicato in data  8  novembre  2019  e
l'Ufficio del pubblico ministero, una volta  diventata  esecutiva  la
sentenza, ha emesso l'ordine di esecuzione  per  la  carcerazione  n.
3728/19 del 19 novembre 2019, notificato al  condannato  in  data  23
dicembre 2019, essendo il reato di cui all'art. 291-ter, comma 1  del
decreto del Presidente della  Repubblica  n. 43/1973  ricompreso  tra
quelli di cui all'art. 4-bis richiamato nell'art. 656,  comma  9  del
codice di procedura penale. 
    Pertanto R. G. e' stato tradotto presso  la  casa  di  reclusione
Saporito di Aversa (CE) ove tutt'ora e' detenuto con fine pena al  21
aprile 2021. 
    La difesa ha chiesto, in via principale,  revocarsi  l'ordine  di
esecuzione  e,  in  via  subordinata  e  incidentale,  ha   sollevato
questione di illegittimita' costituzionale dell'art.  656,  comma  9,
lettera a) del codice di procedura penale come  modificato  dall'art.
2, comma 1, lettera m) del  decreto-legge  23  maggio  2008,  n.  92,
convertito con modificazioni dall'art. 1,  comma  1  della  legge  24
luglio 2008, n. 125, per  violazione  degli  articoli  3  e  27 della
Costituzione nella parte in cui richiama genericamente l'art. 291-ter
del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973  e  stabilisce
che non puo'  essere  disposta  la  sospensione  dell'esecuzione  nei
confronti delle  persone  condannate  per  delitto  di  detenzione  e
trasporto di tabacchi lavorati esteri di  contrabbando  aggravato  ai
sensi dell'art. 291-ter, comma 1 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 43/1973. 
    Nel corso dell'udienza e all'esito della discussione la difesa ha
allegato parere favorevole espresso in caso analogo  dall'Ufficio  di
Procura nel procedimento n. 225/20 Siep (nei confronti di D.  P.  A.,
in  atti  generalizzato),   pendente   dinanzi   ad   altro   giudice
dell'esecuzione,   nonche'   copia   della   sentenza   della   Corte
costituzionale  del  6  aprile  2016  che  ha  valutato,  secondo  la
prospettazione difensiva, caso analogo. 
    Con riferimento al requisito della rilevanza della questione,  la
difesa ha evidenziato che  la  dedotta  questione  di  illegittimita'
costituzionale - richiamandosi  al  parere  favorevole  espresso  dal
pubblico ministero in altro procedimento come allegato in atti  -  e'
rilevante ai fini del presente giudizio, giacche' la norma  censurata
ha previsto un diverso e piu' grave trattamento penitenziario in tema
di esecuzione della pena, sicche'  dall'accoglimento  della  proposta
questione deriverebbe l'applicazione di un  trattamento  meno  grave,
potendo l'Ufficio di Procura emettere  ordine  di  sospensione  della
esecuzione della pena e  consentire  al  condannato,  da  libero,  di
accedere alle misure alternative. 
    Riguardo al profilo della non manifesta  infondatezza  la  difesa
lamenta la  violazione  dei  diversi  profili  della  violazione  del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della  Costituzione  e  di
quello della  rieducazione  della  pena  di  cui  all'art.  27  della
Costituzione. 
    Quanto alla  violazione  del  principio  di  uguaglianza  formale
sancito dall'art. 3  della  Costituzione,  la  difesa  ha  dedotto  a
riguardo l'ingiustificata disparita' di trattamento dei soggetti  che
commettono reati come quello in esame rispetto ad altri connotati  da
maggiore gravita', pur inseriti  nell'art.  4-bis  1-ter  ord.  pen.,
caratterizzati dall'uso di minaccia o violenza (si pensi ai reati  di
rapina e estorsione aggravati, i delitti di sangue pur ricompresi  in
nella seconda fascia dell'art. 4-bis OP). 
    Del  pari,  deve  ritenersi  violato  anche   il   principio   di
ragionevolezza  delle  leggi,  logico  corollario  del  principio  di
uguaglianza, atteso che il delitto di trasporto di tabacchi  lavorati
esteri  di  contrabbando  sia  considerato,  sotto  il  profilo   del
trattamento esecutivo, piu' grave della  detenzione  e  trasporto  di
droghe pesanti o di  altri  reati,  come  la  rapina  o  l'estorsione
semplice, che legittimano l'applicazione dell'art 656,  comma  5  del
codice di procedura penale e l'emissione dell'ordine  di  sospensione
della pena. 
    Ha poi evidenziato sul  punto  che  il  delitto  di  contrabbando
ricomprende  fattispecie  di  diverso  allarme  sociale,  minore  per
l'aggravante generica di cui al comma 1 dell'art. 291-ter del decreto
del Presidente della Repubblica n. 43/1973 di aver adoperato mezzi di
trasporto appartenenti ad estranei (comma  1.  Se  i  fatti  previsti
dall'art.  291-bis  sono  commessi  adoperando  mezzi  di   trasporto
appartenenti a persone estranee al reato, la  pena  e'  aumentata  ai
sensi dell' 64 del  codice  penale)  e  certamente  maggiore  per  le
fattispecie previste dalle aggravanti ad effetto speciale di  cui  ai
commi successivi  (comma  2.  Nelle  ipotesi  previste  dall'articolo
291-bis,  si  applica  la  multa  di  euro  25,00  per  ogni   grammo
convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni [codice
penale 633; codice di procedura penale 33-ter, 280, 381, 384,  5501],
quando: 
        a) nel commettere il reato o  nei  comportamenti  diretti  ad
assicurare il prezzo, il prodotto,  il  profitto  o  l'impunita'  del
reato, il colpevole faccia uso delle armi [codice penale  585]  o  si
accerti  averle  possedute  nell'esecuzione  del  reato  [codice   di
procedura penale 4072a)]; 
        b) nel commettere il reato o immediatamente dopo l'autore  e'
sorpreso insieme a due o piu' persone in condizioni tali da frapporre
ostacolo agli organi di polizia; 
        c) il fatto e' connesso [codice di procedura penale  12]  con
altro reato contro la fede pubblica [codice penale 453 ss.] o  contro
la pubblica amministrazione [codice penale 314 ss.]; 
        d) nel commettere il reato l'autore ha  utilizzato  mezzi  di
trasporto, che, rispetto alle caratteristiche  omologate,  presentano
alterazioni o  modifiche  idonee  ad  ostacolare  l'intervento  degli
organi di  polizia  ovvero  a  provocare  pericolo  per  la  pubblica
incolumita'  [codice  penale  337-bis;  codice  di  procedura  penale
4072a)]; 
        e) nel commettere il reato l'autore ha utilizzato societa' di
persone  o  di  capitali  ovvero  si  e'  avvalso  di  disponibilita'
finanziarie in qualsiasi modo  costituite  in  Stati  che  non  hanno
ratificato la Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e
la confisca dei proventi di reato, fatta a  Strasburgo  l'8  novembre
1990, ratificata e resa esecutiva ai  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, sensi della legge 9  agosto  1993,
n. 328 [codice penale 648-bis], e che comunque non hanno stipulato  e
ratificato convenzioni di assistenza giudiziaria con l'Italia  aventi
ad oggetto il delitto di contrabbando  [codice  di  procedura  penale
4072a)]. 
    3. La circostanza attenuante prevista  dall'articolo  62-bis  del
codice penale, se concorre con le circostanze aggravanti di cui  alle
lettere a) e d) del comma 2 del presente articolo,  non  puo'  essere
ritenuta equivalente o prevalente rispetto a esse e la diminuzione di
pena  si  opera  sulla  quantita'  di  pena  risultante  dall'aumento
conseguente alle predette aggravanti). 
    Secondo la difesa, dunque, non appare comprensibile come  per  un
reato di trasporto di quantitativi di  tabacchi  lavorati  esteri  di
contrabbando superiore a 10  chilogrammi  (fattispecie  depenalizzata
limitatamente al suddetto quantitativo), pur aggravato ai  sensi  del
comma  1  dell'art.  291-ter,  ord.  penit.,  possa  presumersi   una
pericolosita' assoluta e di rilevante allarme sociale, nonostante  il
titolo di reato, l'aggravante generica - pur elisa  nel  giudizio  di
merito dalla concessione dell'attenuante  generica  con  giudizio  di
equivalenza sulle contestate aggravanti - e la  breve  pena  inflitta
siano, invece, elementi sintomatici, a differenza degli  altri  reati
ostativi ricompresi nell'art 4-bis seconda fascia ord. penit., di  un
minore e diverso allarme sociale. 
    Quanto alla violazione dell'art. 27 della Costituzione la  difesa
evidenzia,  allo  stesso  modo,  che  il   divieto   di   sospensione
dell'esecuzione di cui all'art. 656, comma 9 del codice di  procedura
penale si fonda sulla presunzione di pericolosita'  in  relazione  al
titolo  di  reato,  alla  gravita'  della  sanzione  edittale  o   al
particolare allarme sociale destato  da  alcune  condotte  criminose,
certamente non proporzionata al fatto  per  cui  si  procede,  tenuto
conto  del  titolo  di  reato  e  della  breve  pena  prevista,   con
conseguenze paradossali in contrasto con il principio di rieducazione
della pena in quanto impediscono l'accesso del condannato  da  libero
alle misure alternative. 
    Da ultimo richiama la sentenza emessa dalla Corte  costituzionale
n. 125/2016 che si e' occupata di  un  caso  analogo  dichiarando  la
illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a)  del
codice di procedura penale nella parte in cui stabilisce che non puo'
essere disposta la sospensione dell'esecuzione  nei  confronti  delle
persone condannate per il delitto di furto con strappo. 
    L'Ufficio del pubblico ministero, nel parere espresso nell'ambito
del presente procedimento in  data  30  dicembre  2019  sulla  revoca
dell'ordine di esecuzione per  la  carcerazione  ha  evidenziato  che
l'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973
e'  inserito  tra  i   reati   ostativi,   senza   alcuna   ulteriore
specificazione in relazione al fatto come in  concreto  verificatosi;
ne' appare  pertinente  il  riferimento  fatto  a  reati  piu'  gravi
caratterizzati dalla violenza, ricomprendendo  il  suddetto  articolo
anche reati senza uso di violenza  come  quelli  contro  la  pubblica
amministrazione; per le medesime ragioni  ha  poi  non  condiviso  le
ragioni poste dalla difesa a fondamento della sollevata questione  di
illegittimita' costituzionale. 
    A diverse conclusioni perviene,  invece,  lo  stesso  Ufficio  di
Procura in procedimento analogo  nel  parere  del  13  febbraio  2020
espresso nell'ambito di  analogo  e  diverso  procedimento  (pendente
dinanzi ad altro giudice dell'esecuzione) e prodotto  in  atti  dalla
difesa. 
    Ed  invero  l'Ufficio  del  pubblico  ministero,  nel   rigettare
l'istanza avanzata dalla difesa di sospensione ex art. 656 del codice
di procedura penale per  il  sospetto  di  incostituzionalita'  della
norma (non avendo i provvedimenti emessi dal pubblico ministero nella
fase esecutiva natura giurisdizionale ma amministrativa), ha tuttavia
evidenziato  l'irragionevolezza  della  scelta  del  legislatore   di
equiparare l'aggravante di cui all'art. 291-ter, comma 1 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 43/1973  a  quelle  descritte  nel
successivo comma 2 del medesimo  articolo,  atteso  che  la  suddetta
aggravante generica viene trattata alla stregua  di  una  circostanza
aggravante   ad   effetto   speciale,   che   comporta    preclusioni
pregiudizievoli per il condannato; equiparazione  che  appare  ancora
piu' irragionevole se si considera piu' in generale che nel  catalogo
dei reati ostativi non si ravvisano altre ipotesi in cui l'aggravante
generica  comporta  la  soggezione   del   condannato   alle   rigide
preclusioni di cui all'art. 4-bis. 
    E' utile  riportare  alcuni  dei  passaggi  delle  argomentazioni
svolte dall'Ufficio del pubblico ministero nel parere sopra  indicato
allegato dalla difesa: «...Il tema dell'ampiezza  del  sindacato  del
giudice  delle  leggi  sulle  scelte  di   politica   criminale   del
legislatore  e'  oggetto  di  un   lungo   e   travagliato   percorso
giurisprudenziale tuttora in itinere e si e' recentemente concentrato
su questioni relative al quantum della pena. Si tratta  di  argomento
affine alla materia  che  ci  occupa,  perche'  offre  una  serie  di
coordinate ermeneutiche utili al perimetrare l'ampiezza del controllo
di ragionevolezza anche alla luce del  principio  di  colpevolezza  e
della funzione rieducativa della pena. 
    Pur rientrando tra i "grandi principi costituzionali di carattere
generale", il principio di  ragionevolezza  ha  manifestato  precipue
declinazioni  in  materia  penale,  spesso  articolandosi  ad   altri
principi (come quelli di determinatezza e di  offensivita',  o  della
finalita' rieducativa della pena), anche se il suo utilizzo e'  stato
condizionato - oltre che da non infrequenti difetti  di  formulazione
delle ordinanze di rimessione, specie  nell'indicazione  del  tertium
comparationis - da specifici fattori  limitativi,  e  da  particolare
cautela,  sia  a  fronte  dell'elevato  coefficiente  di  politicita'
caratteristico  delle  scelte   di   legislazione   criminale,   sia,
parallelamente, a fronte del particolare argine stabilito -  in  base
all'art. 25, comma 2 della Costituzione - dal regime  di  riserva  di
legge e dal divieto di sentenze additive in malam partem. 
    Oltre al tradizionale vaglio  sulle  incriminazioni  direttamente
configgenti  con  il  "nucleo  forte"  dell'art.  3,  comma  1  della
Costituzione il controllo di ragionevolezza-eguaglianza ha consentito
- in chiave piu' congeniale alle  specificita'  della  materia  -  di
sindacare eventuali asimmetrie punitive tra norme penali, concentrate
ora sull'incongruita' dell'equiparazione sanzionatoria di fattispecie
diverse, ora sulla disparita' della scelta sanzionatoria (lato  sensu
intesa) rispetto a fattispecie assimilabili. 
    Questo modulo di giudizio, per lungo tempo limitato  ai  casi  di
sperequazione  "grave  ed  evidente",  o  comunque  tale  da  scadere
nell'arbitrio, e' stato poi gradatamente calibrato su asimmetrie meno
grossolane, e successivamente declinato sull'intrinseca  sproporzione
tra misura edittale e disvalore del fatto,  specie  alla  luce  della
funzione rieducativa della pena, finalmente assunta  come  direttrice
di  politica  criminale  gia'  nella  redazione   della   fattispecie
astratta. 
    In questo secondo schema,  dove  il  giudizio  di  ragionevolezza
prende  le   mosse   da   valutazioni   necessariamente   concernenti
l'interesse protetto e il coefficiente di offensivita' del tipo  (per
misurare  -  appunto  attraverso  la  ratio  legis  -   la   coerenza
sistematica,  ha  preso  progressivamente  corpo  il   principio   di
proporzione quale fondamentale canone  di  controllo  sull'equilibrio
tra  disvalore  del  fatto  incriminato  e   sanzione   astrattamente
comminata: un principio la cui dignita'  autonoma  appare  confermata
dall'art.  49,  comma  3  della  Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea. 
    Piu'  in  generale,  poi,  il  principio  di  ragionevolezza   ha
consentito anche alla  Corte  di  misurare  la  ammissibilita'  delle
presunzioni legali  anche  in  materia  penale,  sindacando  il  loro
effettivo radicamento empirico, e di calibrare deroghe che - non solo
per tal via - si prospettano rispetto all'ordinario operare di taluni
principi fondamentali. 
    Il lungo percorso ermeneutico intrapreso dal giudice delle leggi,
che  per  brevita'  ivi  non  puo'  ripercorrersi  integralmente,  e'
culminato con le recenti sentenze  236/2016  e  222/2018  e  il  c.d.
abbandono del tertium comparationis e delle "rime obbligate". 
    La prima pronuncia ha riguardato il giudizio di  proporzione.  Si
trattava in estrema sintesi di valutare le sanzioni previste  per  il
reato  di  alterazione  di  stato  mediante  false  dichiarazioni   o
certificazioni, punito assai piu' gravemente (reclusione da cinque  a
quindici anni) del fatto commesso attraverso la  sostituzione  di  un
neonato con un altro (reclusione da tre a dieci anni). Ebbene,  nella
sentenza n. 236/2016 vi sono affermazioni che sembrano  fare  a  meno
del  c.d.  tertium  comparationis:  "la  fondatezza  delle  questioni
sollevate si rivela [...]  in  virtu'  della  manifesta  sproporzione
della cornice edittale censurata, se considerata alla luce del  reale
disvalore della condotta punita"; ed ancora, "laddove la  proporzione
tra sanzione e offesa difetti  manifestamente,  perche'  alla  carica
offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa
il legislatore abbia  fatto  corrispondere  conseguenze  punitive  di
entita'  sproporzionata,   non   ne   potra'   che   discendere   una
compromissione  ab  initio  del  processo  rieducativo";  ed  infine,
"rimane fermo che le questioni all'attuale esame  sollecitano,  prima
di tutto, un controllo di  proporzionalita'  sulla  cornice  edittale
stabilita   dalla   norma   censurata,   alla   luce   dei   principi
costituzionali evocati (articoli 3 e 27 della Costituzione), non gia'
una  verifica  sull'asserito  diverso  trattamento  sanzionatorio  di
condotte  simili  o   identiche,   lamentato   attraverso   la   mera
identificazione  di  disposizioni  idonee   a   fungere   da   tertia
comparationis".  Proprio  facendo  leva  su  tali  affermazioni,   la
sentenza  in  esame  e'  stata  letta  nel  senso  che  "esprime  una
variazione potenzialmente decisiva  del  rapporto  tra  logica  della
proporzionalita' ex se e logica della comparazione tra  'eguali'  nel
sindacato sulle scelte sanzionatorie del legislatore", in quanto  "la
Corte  ha  ricusato  una  logica  di  diretta  comparazione  con   la
fattispecie 'parallela' della  sostituzione  di  neonati,  rifiutando
dunque  di  discutere  se  non  fosse  addirittura  invertita,  nella
previsione sanzionatoria, la proporzione tra gravita'  dei  fatti  ed
entita' delle pene". 
    Ed  ancora,  nella  stessa  prospettiva  si  e'   affermato   che
"l'importanza della presente pronuncia sta nell'avere strutturato  il
cuore  della  motivazione  non  gia'  attorno  alla   disparita'   di
trattamento  tra  la  disposizione  censurata  e  altra  disposizione
assunta  come  tertium  comparationis,   quanto   piuttosto   attorno
all'irragionevolezza   intrinseca   del   trattamento   sanzionatorio
previsto dalla disposizione  oggetto  di  scrutinio,  alla  luce  del
principio della funzione rieducativa della pena e  -  in  generale  -
dell'esigenza  di  proporzionalita'  del   sacrificio   dei   diritti
fondamentali cagionata dalla pena rispetto  all'importanza  del  fine
perseguito attraverso l'incriminazione". Andando ancora piu' a fondo,
questo nuovo modo di compiere il giudizio di  proporzione  giunge  ad
attribuire  al  tertium  comparationis  soltanto   la   funzione   di
individuare   il   trattamento    sanzionatorio    derivante    dalla
dichiarazione di illegittimita' costituzionale, quindi soltanto nella
seconda fase del  sindacato,  non  anche  nel  primo  passaggio:  "la
novita' della sentenza" - si e' affermato - "risiede nella  sequenza,
essendo evidente che la Corte non  ha  inteso  rinunciare  al  metodo
comparativo per la determinazione della sanzione proporzionata  [...]
e tuttavia, nella specie almeno, la comparazione non ha  condizionato
la rilevazione del 'vizio', valendo solo,  ed  a  seguito  di  quella
rilevazione,  ad  individuare   (in   termini   dichiaratamente   non
stringenti) una soluzione alternativa obbligata". 
    Con la sentenza n. 222/2018 la  Corte  ha  invece  rivisitato  il
proprio orientamento sulla problematica  della  disciplina  derivante
dall'eventuale accoglimento della questione di legittimita', e lo  ha
fatto in termini per certi aspetti ancor piu' dirompenti  rispetto  a
quanto si ritiene abbia fatto per il giudizio di  proporzione  basato
sul tertium. 
    Si trattava in sintesi di  valutare  se  fosse  irragionevole  la
fissita' della pena accessoria di  dieci  anni  prevista  per  alcuni
reati fallimentari (art. 216,  ultimo  comma  del  regio  decreto  n.
267/1942). Preliminarmente, la Corte  richiama  il  suo  orientamento
tradizionale  rigorosamente  basato  sulla  obbligatorieta':  "questa
Corte ha avuto recentemente occasione di stabilire  che,  laddove  il
trattamento  sanzionatorio   previsto   dal   legislatore   per   una
determinata figura di reato si riveli manifestazione irragionevole  a
causa della sua evidente  sproporzione  rispetto  alla  gravita'  del
fatto, un intervento correttivo del giudice delle leggi e'  possibile
a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo  possa  essere
sostituito  sulla  base  di  'precisi  punti  di  riferimento,   gia'
rinvenibili  nel  sistema  legislativo',  intesi   quali   'soluzioni
[sanzionatorie] gia' esistenti,  idonee  a  eliminare  o  ridurre  la
manifesta  irragionevolezza  lamentata".  Successivamente,  pero'  la
Corte compie  un  notevole  balzo  in  avanti,  giungendo,  in  buona
sostanza, alla conclusione  che  davanti  a  due  soluzioni  entrambe
costituzionalmente legittime la Corte, in definitiva,  puo'  compiere
una scelta: "tale principio deve essere confermato,  e  ulteriormente
precisato, nel senso che - a consentire l'intervento di questa  Corte
di fronte a un riscontrato vulnus ai principi di  proporzionalita'  e
individualizzazione del trattamento sanzionatorio - non e' necessario
che  esista,  nel  sistema,  un'unica  soluzione   costituzionalmente
vincolata in grado di sostituirsi a  quella  dichiarata  illegittima,
come quella prevista per una norma avente identica struttura e ratio,
idonea a essere assunta come  tertium  comparationis.  Essenziale,  e
sufficiente, a consentire il sindacato della Corte  sulla  congruita'
del trattamento  sanzionatorio  [...]  e'  che  il  sistema  nel  suo
complesso offra alla Corte 'precisi punti di riferimento' e soluzioni
'gia' esistenti' [...] esse stesse immuni da vizi di  illegittimita',
ancorche'  non   'costituzionalmente   obbligate'   -   che   possano
sostituirsi alla previsione sanzionatoria dichiarata illegittima; si'
da consentire a questa  Corte  di  porre  rimedio  nell'immediato  al
vulnus riscontrato, senza creare insostenibili vuoti di tutela  degli
interessi di volta  in  volta  tutelati  dalla  norma  incriminatrice
incisa dalla propria pronuncia". 
    La definitiva affermazione  del  principio  di  ragionevolezza  e
proporzionalita' "intrinseco" si e' avuta con la nota sentenza  Corte
costituzionale n. 40/2019 in materia di stupefacenti  ove,  affermata
la possibilita' del proprio sindacato sul quantum di  pena  stabilito
dal legislatore, la Corte ha rilevato come "l'ampiezza del  [vigente]
divario sanzionatorio [tra il primo e il quinto  comma  dell'art.  73
t.u.stup.] condiziona inevitabilmente la valutazione complessiva  che
il giudice di merito deve compiere al  fine  di  accertare  la  lieve
entita' del fatto (ritenuta doverosa da Corte di cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 27 settembre-9 novembre 2018, n.  51063),  con
il rischio di dar luogo a sperequazioni punitive,  in  eccesso  o  in
difetto, oltre che a  irragionevoli  difformita'  applicative  in  un
numero  rilevante  di  condotte".  Da  cio'  deriva,   pertanto,   la
violazione   dei   principi   di    eguaglianza,    proporzionalita',
ragionevolezza ex art. 3  della  Costituzione,  e  del  principio  di
rieducazione della pena ex art. 27 della Costituzione». 
    Pertanto, alla luce delle suddette argomentazioni, l'Ufficio  del
pubblico ministero ha rimesso gli atti del  diverso  procedimento  al
giudice dell'esecuzione per quanto di competenza (tutt'ora pendente). 
    Tanto premesso, osserva in via preliminare questo giudice che  il
difensore ha chiesto la sospensione dell'ordine di carcerazione della
pena  sopra  irrogata  emesso  dal  pubblico  ministero,  onde  poter
presentare istanza di  ammissione  ad  una  misura  alternativa  alla
detenzione ai sensi dell'art. 656, comma 5 del  codice  di  procedura
penale. 
    Tale istanza non potrebbe essere, allo stato,  accolta,  ad  essa
ostando la previsione di cui alla  disposizione  censurata,  che  per
l'appunto vieta di sospendere l'esecuzione della pena  detentiva  nei
confronti dei condannati per il delitto di contrabbando di  cui  agli
art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica  n.  43/1973
ricompreso  nella  seconda  fascia  dell'art.   4-bis   ord.   penit.
richiamato dall'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura
penale. 
    Cio' detto, ad avviso della scrivente la subordinata questione di
illegittimita'  costituzionale  di  cui  e'  stata  investita  appare
rilevante  e  non  manifestamente  infondata   e   pertanto   ritiene
necessario sollevare la questione di illegittimita' costituzionale. 
    In punto di rilevanza si evidenzia che l'istante e' stato  tratto
in arresto in data , unitamente ai correi  B.  V.  e  I.  C.  per  il
delitto di trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando  del
peso di chilogrammi 195,2,  occultati  e  custoditi  all'interno  del
veicolo Renault Trafic (fatto commesso in , il ), con l'aggravante di
aver adoperato mezzi di trasporto  appartenenti  a  terzi  e  con  la
recidiva reiterata specifica. 
    Il giudice monocratico, con la sentenza emessa in data 31  maggio
2019, all'esito della  convalida  dell'arresto  e  del  giudizio  per
direttissima, ha applicato ai  sensi  dell'art.  444  del  codice  di
procedura penale nei  confronti  del  R.,  previa  concessione  delle
attenuati generiche con  giudizio  di  equivalenza  sulla  contestata
aggravante e recidiva ed anche in  considerazione  della  natura  del
fatto, la pena di anni uno e  mesi  quattro  di  reclusione  ed  euro
650.000,00 di multa; decidendo poi sulla richiesta misura  cautelare,
ha disposto nei confronti del R.,  ritenendola  adeguata,  la  misura
cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. 
    Passata  in  giudicato  la  sentenza,  l'Ufficio   del   pubblico
ministero ha emesso ordine di esecuzione della pena con  carcerazione
ai sensi dell'art. 656, comma 9 del  codice  di  procedura  penale  e
dell'art. 4-bis 1-ter ord. pen. (ordine di  esecuzione  n.  3728/2019
del 19 dicembre 2019 notificato al R. il 23 dicembre 2019). 
    La questione appare rilevante. 
    La  norma  censurata  ha  previsto  un  diverso  e   piu'   grave
trattamento  in  tema  di  esecuzione  della  pena,   attraverso   la
carcerazione, nonostante il titolo di reato e la pena breve  irrogata
(previa riconoscimento dell'attenuante generica  che  ha  determinato
l'annullamento degli aumenti di pena per le contestate  aggravanti  e
recidiva),  sicche'  dall'accoglimento   della   proposta   questione
deriverebbe l'applicazione di  un  trattamento  meno  grave,  potendo
l'Ufficio di Procura emettere ai sensi dell'art.  656,  comma  5  del
codice di procedura penale ordine  di  sospensione  della  esecuzione
della pena e consentire al condannato di accedere - da libero e senza
passare per il carcere - alle misure alternative, salvo,  ovviamente,
le valutazioni sulla scelta e meritevolezza delle stesse da rimettere
al Tribunale di  sorveglianza.  L'ordine  di  carcerazione  e'  stato
emesso arrestandosi, dunque, al profilo formale della preclusione  in
ragione del titolo di reato e prima ancora di  ogni  trasmissione  al
Tribunale  di  sorveglianza,  giudice  naturale  preposto  alla  fase
giurisdizionale della  vicenda  esecutiva  nella  quale  si  dispiega
l'apprezzamento del magistrato in relazione alla sussistenza  o  meno
dei presupposti e  delle  condizioni  che  consentono  l'accesso  del
condannato a forme di esecuzione qualitativamente diverse  da  quelle
carcerarie. 
    Se infatti, in  linea  generale,  in  caso  di  condanna  a  pena
detentiva non superiore a quattro anni, anche se costituente  residuo
di maggior  pena,  il  pubblico  ministero  e'  tenuto  a  sospendere
l'ordine di  esecuzione  contestualmente  emesso  nei  confronti  del
condannato  che  si  trovi  in  stato  di  liberta'  o  agli  arresti
domiciliari, si' da consentirgli di presentare istanza  al  Tribunale
di sorveglianza competente - nei trenta giorni successivi  -  per  la
concessione di una misura  alternativa  alla  detenzione  (art.  656,
commi 5 - come modificato dalla sentenza n. 41 del 2018  della  Corte
costituzionale), il comma 9, lettera a) del  medesimo  art.  656  del
codice di procedura penale preclude invece al pubblico  ministero  di
sospendere l'ordine di esecuzione  relativo  alle  condanne  per  una
serie di delitti, tra i cui  quelli  di  cui  all'art.  4-bis  ordin.
penit. Ne consegue il necessario ingresso in carcere, nelle more  del
procedimento di sorveglianza, di chi sia condannato a pena  detentiva
non sospesa,  nonostante  l'entita'  della  pena  da  scontare  possa
consentire al condannato di essere ammesso a una  misura  alternativa
alla detenzione sin dall'inizio dell'esecuzione. 
    Risulta percio' non implausibile affermare, in punto di rilevanza
della questione di legittimita'  costituzionale,  che  l'accoglimento
della questione comporterebbe l'inefficacia dell'ordine di esecuzione
poiche' il condannato, che non  e'  stato  sottoposto  a  una  misura
cautelare di carattere custodiale (bensi' alla misura dell'obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria), deve scontare una pena breve
e non superiore a quattro anni di detenzione (il fine pena e' fissato
al 21 aprile 2021) e la condanna si riferisce ad  un  reato  ostativo
che, solo perche' incluso nell'art. 4-bis ord. penit. e  rientra  nel
catalogo di quelli per i quali l'art. 656, comma 9,  lettera  a)  del
codice di procedura penale esclude la sospensione di tale  ordine  di
sospensione. 
    Questo  giudice   dubita,   poi,   della   compatibilita'   della
disposizione in parola con gli articoli 3, comma 1 e 27, comma  terzo
della  Costituzione,  ritenendo  la  questione   non   manifestamente
infondata. 
    Con riguardo alla dedotta violazione del principio di uguaglianza
rileva come il principio di  uguaglianza  imponga  di  trattare  allo
stesso modo le medesime situazioni e le condotte  identiche  laddove,
in  presenza  di  situazioni  di  fatto  diverse  e  piu'  gravi,  e'
plausibile un  diverso  trattamento  sanzionatorio  commisurato  allo
stato  di  fatto,  fondato  su  fattori  circostanziali,   oggettivi,
attinenti  alla  entita'  e  modalita'  della  condotta  e   al   suo
dispiegarsi. 
    Ne discende che appare  irragionevole  la  scelta  normativa  del
legislatore  di  differenziare  l'applicazione  delle  modalita'   di
esecuzione  della  pena  del  delitto  di  contrabbando  di  tabacchi
lavorati esteri, che si differenzia nelle modalita'  della  condotta,
richiamando il comma  1  una  aggravante  generica  (quella  di  aver
adoperato mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato
come nella fattispecie in esame) ed il comma 2 del medesimo  articolo
aggravanti ad effetto speciale, ricollegate  all'uso  di  armi,  alla
presenza di piu' persone ed agli ostacoli  o  violenza  opposta  agli
organi di polizia giudiziaria [lettere a) e b) del comma 2  dell'art.
291-ter], nonche' al collegamento con reati contro la  fede  pubblica
(art.  453  del  codice  penale  e  ss.)   o   contro   la   pubblica
amministrazione (art. 314 del codice  penale  e  ss.)  o  a  circuiti
finanziari e societari dediti al riciclaggio  [capi  c)  e  d)  della
medesima disposizione]. 
    Quelle indicate nel comma 2 dell'art.  291-ter  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 43/1973  costituiscono  aggravanti  ad
effetto speciale per le quali il  successivo  comma  3  del  medesimo
articolo inibisce anche il giudizio di bilanciamento delle attenuanti
generiche con alcune delle fattispecie previste sub lettere a)  e  d)
del medesimo comma. 
    E' evidente come nei reati di contrabbando possono ricomprendersi
fenomeni criminali molto  diversi  tra  loro  e  di  diverso  allarme
sociale, a seconda delle modalita' della condotta, della durata,  dei
mezzi ed uomini impiegati e dei collegamenti con  circuiti  criminali
organizzati  o  sintomatici  di   necessaria   espressione   di   una
organizzazione criminale ampia, strutturata e con  radicato  consenso
sociale, ben diversi da quelli di breve durata,  espressione  di  una
occasionalita' di  azione  e  di  una  organizzazione  rudimentale  e
approssimativa. 
    Il delitto di cui all'art.  291-ter,  comma  1  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 43/1973, pertanto,  non  richiederebbe
necessariamente l'esistenza di una stabile  organizzazione  criminale
ma potrebbe essere realizzato anche  con  condotte  estemporanee,  di
limitato  impatto  ed  e'  certo  ben  diverso  da  quei  reati   che
sacrificano il patrimonio, la liberta' e la vita delle  vittime  pure
ricompresi nella seconda fascia dell'art. 4-bis OP. 
    Pertanto, e a maggior ragione, dovrebbe escludersi la presunzione
di un siffatto collegamento nel caso come  quello  in  esame,  tenuto
conto della condotta non espressiva di un  certo  allarme  sociale  e
della brevita' della pena  (tra  l'altro  il  giudice  di  merito  ha
riconosciuto all'agente l'attenuante delle circostanze generiche  con
giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva). 
    La norma censurata  determinerebbe,  inoltre,  un  ingiustificato
deteriore  trattamento  non  solo  tra  le  diverse  fattispecie   di
detenzione e trasporto di tabacco lavorato estero di contrabbando, ma
anche rispetto ad altre piu' gravi fattispecie come la  detenzione  e
spaccio di  droghe  pesanti  non  interessate  dal  divieto  (se  non
aggravate dall'ingente quantita' sub art. 80, comma 2 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  n. 309/1990);  allo  stesso  modo   ne
deriverebbe un ingiustificato  deteriore  trattamento  del  reato  di
contrabbando rispetto ai piu' gravi delitti di rapina ed  estorsione,
parimenti non abbracciati - nelle forme non aggravate -  dal  divieto
in esame disposto per i reati di seconda fascia di cui all'art. 4-bis
1-ter ord. penit. 
    Si richiamano dunque sul punto  le  condivisibili  argomentazioni
gia' espresse dall'Ufficio del pubblico ministero nel parere espresso
in  procedimento  analogo,  richiamando  le  sentenze   della   Corte
costituzionale citate che  affermano  l'esigenza  di  operare  scelte
costituzionalmente orientate e proporzionali nel rapporto tra  offesa
e  sanzione  ed  individualizzate  della  pena  in  modo  da  evitare
asimmetrie sanzionatorie. 
    La previsione censurata si esporrebbe, poi, a  parere  di  questo
giudice,  ai  medesimi  rilievi   che   hanno   condotto   la   Corte
costituzionale,  nella  sentenza  n.  125  del  2016,  a   dichiarare
l'illegittimita'   costituzionale   del   divieto   di    sospensione
dell'ordine di carcerazione in relazione ai condannati per furto  con
strappo, previsto al secondo comma  dello  stesso  art.  624-bis  del
codice   penale,   in   relazione    in    particolare    all'agevole
ipotizzabilita'  di  «casi  in  cui,   nel   progredire   dell'azione
delittuosa, il furto con strappo si trasforma in una rapina,  per  la
necessita' di vincere la resistenza della vittima,  o  anche  in  una
rapina impropria, per la necessita' di contrastare la reazione  della
vittima  dopo   la   sottrazione   della   cosa».   Con   conseguente
irragionevolezza  -  rilevata  dalla  sentenza  suddetta  -  di   una
disciplina che, come quella allora censurata, prevedeva il divieto di
sospendere l'ordine di esecuzione rispetto al solo delitto  di  furto
con strappo, ma non - in particolare - rispetto a quello  piu'  grave
di  rapina,  pur  oggetto  di  una  possibile,  e  anzi   agevolmente
ipotizzabile, progressione criminosa. 
    La disposizione censurata si fonderebbe, inoltre, come  nel  caso
analogo  di  cui  sopra,  su  di  una  «aprioristica  presunzione  di
pericolosita',  oltrepassando   il   limite   della   non   manifesta
irragionevolezza delle scelte legislative», colpendo anche chi  abbia
commesso un reato di modesta gravita' e abbia  riportato  condanna  a
una pena detentiva breve», come il condannato nel giudizio a quo. 
    Sul   punto   della   censurata   aprioristica   presunzione   di
pericolosita' si richiama  anche  la  recente  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 253 del 2019 (che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1 della legge 26  luglio  1975,
n. 354, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti
di cui all'art. 416-bis del  codice  penale  e  per  quelli  commessi
avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al
fine di agevolare l'attivita' delle associazioni  in  esso  previste,
possano  essere  concessi  permessi  premio  anche  in   assenza   di
collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo
ordin. penit., allorche'  siano  stati  acquisiti  elementi  tali  da
escludere, sia  l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata, sia il pericolo del ripristino  di  tali  collegamenti),
ove la Corte, nell'affrontare la delicata questione  dell'accesso  ai
benefici  premiali  dei  condannati  per  i  piu'  gravi  delitti  di
criminalita'  organizzata  ricompresi  nella  prima  fascia  di   cui
all'art. 4-bis ord. pen., in assenza di  una  collaborazione  con  la
giustizia,  richiama  la  sentenza  n.  306  del   1993,   che,   pur
dichiarando, tra l'altro, non fondate le questioni  allora  sollevate
sull'art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., in  relazione  all'art.  27,
terzo comma della Costituzione - osservo' che  inibire  l'accesso  ai
benefici penitenziari ai condannati per determinati  gravi  reati,  i
quali non collaborino  con  la  giustizia,  comporta  una  «rilevante
compressione»   della   finalita'   rieducativa   della   pena:   «la
tipizzazione per titoli di reato non appare consona  ai  principi  di
proporzione e di individualizzazione della pena che caratterizzano il
trattamento penitenziario, mentre  appare  preoccupante  la  tendenza
alla configurazione normativa di "tipi  d'autore",  per  i  quali  la
rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere  perseguita»
in caso di mancata collaborazione. 
    Queste ultime valutazioni -  l'irragionevole  compressione  della
finalita' rieducativa della pena attuata attraverso  la  tipizzazione
per titoli di reato, non consona ai  principi  di  proporzione  e  di
individualizzazione della  pena  che  caratterizzano  il  trattamento
penitenziario - applicate alla fattispecie in  esame,  certamente  di
diverso  e  lieve  allarme  sociale,   conducono   a   ritenere   non
manifestamente infondata la questione anche sotto  il  profilo  della
irragionevole  applicazione  del  principio  della   presunzione   di
pericolosita' disancorata da ogni  valutazione  in  concreto  per  il
delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 43/1973 solo perche' inserito  tra  i  reati  «di
seconda  fascia»  dell'art.  4-bis  ord.  penit.  -  che  comprendono
omicidio,  rapina  ed  estorsione  aggravate,  nonche'  produzione  e
traffico di ingenti quantita' di stupefacenti, delitti, questi, per i
quali, come sottolinea la Corte, le connessioni con  la  criminalita'
organizzata  erano,  nella  valutazione  del  legislatore,  meramente
eventuali, come affermato  nella  sentenza  n.  149  del  2018  e  si
richiedeva - in termini inversi, dal  punto  di  vista  probatorio  -
l'insussistenza di  elementi  tali  da  far  ritenere  attuali  detti
collegamenti. 
    Infatti, in tal caso, la fattispecie di cui all'art.  291-quater,
comma 1 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  43/1973
riposerebbe su una presunzione  -  se  pure  eventuale  e  con  onere
probatorio inverso - di  elevatissima  pericolosita',  collegabile  a
contesti di criminalita' organizzata - e non risponderebbe, comunque,
a  dati  di  esperienza,  riassumibili  nella  formula  dell'id  quod
plerumque accidit, determinando il contrasto del medesimo art.  4-bis
1-ter ordin. penit. con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Del resto, come gia' detto, non solo il delitto di  cui  all'art.
291-ter, comma 1 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  non
richiederebbe   necessariamente   l'esistenza    di    una    stabile
organizzazione  criminale,  potendo  essere   realizzato   attraverso
condotte  estemporanee,  ma  la  presunzione  del  collegamento   con
organizzazioni criminali dovrebbe  essere  esclusa  per  il  tipo  di
reato, nel caso in cui sia caratterizzato da  un'aggravante  generica
e, a maggior ragione, quando essa venga elisa dal  bilanciamento  con
l'attenuante  delle  circostanze  generiche,  come  si  evince  dagli
accertamenti di fatto compiuti dal  giudice  del  merito;  e  proprio
sulla  scorta  di  questi  emerge   una   incoerenza   irragionevole,
costituzionalmente illegittima per lesione  degli  articoli  3  della
Costituzione, tra la complessiva ratio sottostante al disposto di cui
all'art. 4-bis, 1-ter ordin. penit., da una parte, e l'inclusione  in
esso,  dall'altra,  dell'art.  291-ter,  comma  1  del  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 43/1973 (fattispecie  ben  diversa  da
quella di cui all'art. 291-ter, comma 2  che  prevede  aggravanti  ad
effetto  speciale,  come  del  resto  anche  le   altre   fattispecie
ricomprese nel medesimo art. 4-bis seconda fascia ord. pen. o  quella
sottostante alla fattispecie associativa di cui  all'art.  291-quater
attinente ad  organizzazioni  criminali  dedite  all'importazione  di
tabacco lavorato  estero  di  contrabbando,  ricompreso  nella  prima
fascia di cui all'art. 4-bis 1 ord. penit.). 
    Non e' di poco rilievo  evidenziare  che  la  disciplina  di  cui
all'art. 4-bis ordin. penit. consiste nel sottolinearne la natura  di
disposizione speciale, di carattere restrittivo, che dispone la forma
di  esecuzione  piu'  grave  -  la  carcerazione  -  per  determinate
categorie  di  detenuti  che  si  presumono  socialmente   pericolosi
unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la  detenzione
e' stata disposta. 
    Una   disposizione   che,   ormai,   ricollega   un   trattamento
penitenziario piu'  aspro  all'allarme  sociale  derivante  dal  mero
titolo di reato per cui e' condanna, irragionevole rispetto ad  altre
allarmanti  fattispecie;  quella  della  importazione   di   tabacchi
lavorati  esteri   aggravato   genericamente   ai   sensi   dell'art.
291-quater, comma 1  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
n. 43/1973 dovrebbe essere,  dunque,  espunta  dal  catalogo  di  cui
all'art. 4-bis 1-ter ordin. penit., tenuto conto anche  del  giudizio
di bilanciamento delle circostanze generiche svolto  dal  giudice  di
merito e della breve pena irrogata, che ha privato di ogni validita',
sul piano logico e statistico, la presunzione  del  collegamento  del
condannato con  organizzazioni  criminali  o  comunque  con  circuiti
criminali organizzati, riducendo per  lo  piu'  il  fatto  ad  evento
occasionale e isolato. 
    La stessa giurisprudenza di legittimita'  (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenze  3  febbraio  2016,  n.  37578,  e  19
settembre 2012, n. 36) ha chiarito che il legislatore, nell'elenco di
cui all'art. 4-bis ordin.  penit.,  ha  voluto  attribuire  esclusivo
rilievo a profili di  carattere  oggettivo,  sulla  scorta  del  mero
titolo di reato giudicato, in ragione della pericolosita'  di  quanti
ne siano stati ritenuti responsabili, a prescindere  dalle  decisioni
in  concreto  assunte  in  tema  di   trattamento   punitivo   e   di
bilanciamento tra circostanze (in questo senso anche l'ordinanza n. 3
del 2018  della  Corte  costituzionale,  con  riferimento  ad  alcuni
delitti ricompresi nell'art. 4-bis, comma 1-quater, ordin. penit.). 
    Sotto il profilo della non manifesta  infondatezza  si  evidenzia
ancora  che  la  presunzione  assoluta  di   pericolosita'   -   gia'
ridimensionata rispetto alla scelta delle misure cautelari che  altro
non sono che l'esatta inquadratura speculare di  quelle  alternative,
sebbene fondate su ragioni di continenza diverse - non puo'  sfuggire
al giudizio di adeguatezza e  proporzionalita'  della  sola  custodia
carceraria come parametro di commisurazione al fatto commesso ed alla
persona. 
    Sul   punto   si   richiama   la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale sugli  «automatismi»  nell'applicazione  delle  misure
cautelari   personali,   secondo   la   quale   la   presunzione   di
pericolosita', che impone l'applicazione della misura  custodiale  in
carcere, trova giustificazione -  sulla  base  di  dati  d'esperienza
generalizzati, riassumibili  nella  formula  dell'id  quod  plerumque
accidit - solo per l'affiliato all'associazione mafiosa, ma la stessa
giustificazione non trova in relazione ai condannati  per  reati  che
tale affiliazione non presuppongono. 
    E si ribadisce non sempre le fattispecie  come  quelle  in  esame
riguardano fenomeni espressione di criminalita' organizzata  e  grave
allarme sociale: esse possono essere realizzate, in base  a  dati  di
comune  esperienza,  anche   da   fatti   estemporanei,   senza   una
significativa predisposizione di uomini  o  mezzi,  al  di  fuori  di
circuiti criminali. 
    Di conseguenza, come gia' accennato, la  disposizione  in  parola
violerebbe anche l'art 27, terzo  comma  della  Costituzione  poiche'
parrebbe irragionevole applicare, al  passaggio  in  giudicato  della
sentenza, la misura restrittiva del  carcere  come  esecuzione  della
pena in casi come quello in esame, a prescindere da ogni  valutazione
in concreto, e caso per caso, sul percorso  di  emenda  intrapreso  e
ingiustificatamente incidere,  quindi,  sulla  finalita'  rieducativa
della pena e sul principio di individualizzazione della  stessa,  che
impongono,  salva  la  ragionevolezza  della  presunzione  legale  di
pericolosita', valutazioni commisurate alle condizioni e  ai  segnali
di cambiamento del singolo individuo. 
    L'ordinamento penitenziario e' costellato da  rigidi  automatismi
(si pensi agli sbarramenti per l'accesso ai benefici posti per alcuni
reati confluiti nel 4-bis o  agli  sbarramenti  dei  limiti  edittali
della  pena),   che   non   consentono   di   determinare   in   modo
costituzionalmente e  convenzionalmente  orientato  la  modalita'  di
espiazione della pena. Automatismi in contrasto con gli articoli 3  e
27, terzo comma della Costituzione con  riferimento  ai  principi  di
ragionevolezza e funzione rieducativa della pena, attesa l'automatica
incidenza,   sul   percorso   rieducativo   dei   condannati,   delle
sopravvenute preclusioni all'accesso  a  benefici  penitenziari  e  a
misure alternative alla detenzione,  con  conseguente  impossibilita'
per  l'autorita'  giudiziaria   preposta   di   operare   valutazioni
individualizzate in sede di esame delle  istanze  di  concessione  di
detti benefici e misure. 
    Non vanno trascurati i principi  espressi  nello  sviluppo  della
giurisprudenza  costituzionale,   che   ritiene   che   e'   criterio
costituzionalmente vincolante quello che esclude rigidi automatismi e
richiede   sia    resa,    invece,    possibile    una    valutazione
individualizzata, caso per caso (sentenza n. 436/1999, 257/2006), che
eviti un automatismo sicuramente  in  contrasto  con  i  principi  di
proporzionalita'  ed  individualizzazione  della  pena  (sentenza  n.
255/2006). 
    Le modalita' di esecuzione carceraria non possono basarsi su meri
automatismi e riequilibrare, a favore della prima, il rapporto tra la
funzione rieducativa e quelle istanze ispirate ad esigenze di  difesa
sociale. Il modello di esecuzione penale costituzionalmente  ispirato
alla finalizzazione rieducativa della pena  rende  inaccettabile  dal
punto  di  vista  costituzionale  preclusioni  legali  assolute   che
dipendano dal solo titolo di  reato  della  condanna  in  esecuzione,
anziche' dalla condotta del soggetto. 
    L'esclusione del reato di contrabbando di cui al comma 1 dell'art
291-ter,  comma  1  del  decreto  del  Presidente  della   Repubblica
n. 43/1973 dall'accesso alla sospensione dell'esecuzione della  pena,
sancita  dalla  disposizione  censurata,  sarebbe  in  tal  modo   in
contrasto con i principi  di  individualizzazione  della  pena  e  di
finalita' rieducativa della stessa, ove tale esclusione  riguardi  un
condannato per un fatto  che,  pur  qualificato  ai  sensi  dell'art.
291-ter, comma 1, non desta un certo allarme  sociale,  tenuto  conto
anche della brevita' della pena  irrogata  e  comunque  inferiore  ai
quattro anni. 
    Non puo' non considerarsi che il giudice di  merito  ha  irrogato
una pena cui e' pervenuto considerando  l'entita'  della  condotta  e
valutato condizioni soggettive oltre che oggettive  ed  ha  applicato
una misura cautelare non custodiale. 
    Gli  elementi  oggetto   di   valutazione   della   prognosi   di
pericolosita' di recidivanza, gia' analizzati  dal  giudice  in  fase
cautelare all'esito del  giudizio  di  merito  -  che  ha  applicato,
all'esito dell'irrogazione di una pena breve, la misura non detentiva
dell'obbligo di  presentazione  alla  polizia  giudiziaria,  in  modo
adeguato e proporzionale al fatto reato e tenendo conto  anche  della
personalita' del condannato - appaiono  essere  rimasti  gli  stessi,
sebbene ispirati a ragioni  di  continenza  diversi,  anche  dopo  il
passaggio in giudicato della sentenza. 
    Ed appare irragionevole che, cio'  nonostante,  al  passaggio  in
giudicato della sentenza, si aprano le  porte  girevoli  del  carcere
sulla base di un automatismo  che  prescinde  dalla  valutazione  del
fatto come giudicato e soprattutto della persona. 
    Il  percorso  rieducativo  della  pena   deve   essere,   invero,
individualizzato, modulato sull'uomo e non sul fatto commesso  e  non
certo su presunzioni legali di irrecuperabilita'  sociale,  ne'  pene
che si risolvano nella restrizione basata sul mero titolo  di  reato,
spezzando tra l'altro una  continuita'  con  le  scelte  operate  dal
giudice in fase cognitiva, specie se il passaggio in giudicato  della
sentenza avviene in tempi rapidi dalla pronuncia della  pronuncia  di
condanna ed irrogazione della pena, come nel caso in esame, in virtu'
della  scelta  del  rito  alternativo  di  applicazione  della  pena;
continuita' necessaria soprattutto ai fini di garantire  un  percorso
unitario e coerente del reo-condannato, che puo' realizzarsi solo con
il ragionevole e coordinato raccordo tra le  fasi  di  cognizione  ed
esecuzione,   interrotto   invece   dalla   ostativita'   di   rigidi
automatismi. E' irragionevole, allora, ritenere di escludere il reato
di contrabbando aggravato genericamente dalla sospensione dell'ordine
di esecuzione allorquando la pena irrogata, breve  e  inferiore  agli
anni quattro, e' «strutturalmente e  funzionalmente»  collegata  alla
possibilita' di ottenere misure alternative di  cui,  in  continuita'
con quella cautelare irrogata, se pure ispirata a ragioni diverse  di
contenimento della pericolosita', condivide lo  scopo  di  deflazione
carceraria  e  di  prevenzione  speciale,  sulla  base  della  comune
presunzione di una ridotta pericolosita' del condannato ed ai fini di
un processo di rieducazione individualizzato. 
    Un automatismo che sembra  contrastare  anche  sotto  il  profilo
della violazione del principio dell'affidamento,  che  imporrebbe  la
cristallizzazione del trattamento sanzionatorio irrogabile all'autore
del reato, sotto il profilo dell'entita' e qualita'  della  pena,  al
momento della commissione del fatto o, quantomeno, del  passaggio  in
giudicato della sentenza di condanna. 
    Del  resto  nel  senso   dell'auspicio   al   superamento   delle
preclusioni e degli automatismi normativi ed abbattimento di tutte le
«barriere  ostative»,  anche  di  quelle   predisposte   per   alcune
fattispecie ricomprese nella  seconda  fascia  nell'art.  4-bis  ord.
penit.,  si  erano  espressi,  sulla  scia  di  una   interpretazione
costituzionalmente  orientata,  gli  Stati  Generali  dell'Esecuzione
Penale  nel  progetto  di   riforma   dell'esecuzione   penale,   sul
condivisibile assunto  secondo  cui  «ogni  presunzione  assoluta  di
pericolosita' contrasta con il finalismo rieducativo della pena e con
il principio dell'individualizzazione del trattamento» (cfr. proposta
9 e Relazione accompagnatoria); argomentazioni che  avevano  ispirato
una riforma dell'esecuzione della pena che escludeva da ogni forma di
automatismo alcune delle  fattispecie  di  cui  alla  seconda  fascia
dell'art. 4-bis OP  proponendone  l'abrogazione.  Lo  si  evince  dal
documento  finale  degli  Stati   Generali   dell'Esecuzione   Penale
(aggiornato  al  18   aprile   2016):   «...L'auspicato   ampliamento
qualitativo e quantitativo delle misure di comunita', ove realizzato,
finirebbe per accentuare l'attuale asimmetria tra chi  puo'  accedere
alle misure e chi ne  resta  aprioristicamente  escluso,  se  non  si
provvedesse a rimuovere le  barriere  normative  che  interdicono  la
concessione  di  tali  misure  per  motivi  che   prescindono   dalla
partecipazione  all'opera  di  recupero  sociale.  Il   conseguimento
dell'obbiettivo di dare effettivita' al "diritto  alla  rieducazione"
(v. Parte prima) passa anche per il  superamento  di  preclusioni  ed
automatismi normativi che si frappongono in radice alla  possibilita'
di attuare un  progetto  individualizzato  di  risocializzazione.  Si
tratta, in altri termini, di procedere ad  una  attenta  ricognizione
critica e ad una sostanziale "bonifica" del sistema dalle presunzioni
assolute di non concedibilita' di una misura rieducativa, in  ragione
del  titolo  del  reato  commesso  o  dello  status   del   soggetto,
indifferenti all'evoluzione psico-comportamentale del condannato». 
    L'applicazione rigida e automatica della  detenzione  carceraria,
senza  possibilita'   di   valutazione   -   anteriore   all'ingresso
nell'istituto di pena del condannato -  da  parte  del  Tribunale  di
sorveglianza, risulterebbe, dunque, in  contrasto  con  il  finalismo
rieducativo della  pena,  che  postulerebbe  sempre  una  valutazione
individualizzata del prevenuto in  relazione  alla  concedibilita'  o
meno dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario. 
    Gia' la Corte costituzionale nella sentenza n. 216 del 2019 - con
la quale  ha  ritenuto  non  manifestamente  fondata  l'eccezione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a)  del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  stabilisce  che  la
sospensione  dell'esecuzione  di  cui  al  comma  5  della   medesima
disposizione non puo' essere disposta nei  confronti  dei  condannati
per il delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624-bis,  comma
primo del codice penale in riferimento agli articoli 3, primo  comma,
e 27, terzo  comma  della  Costituzione  -  ha  tuttavia  evidenziato
comunque necessario segnalare al legislatore, per ogni sua  opportuna
valutazione,  l'incongruenza  cui  puo'  dar  luogo  il  difetto   di
coordinamento attualmente esistente tra la disciplina  processuale  e
quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere  alle  misure
alternative  alla  detenzione,  in  relazione  alla  situazione   dei
condannati  nei  cui  confronti  non  e'  prevista   la   sospensione
dell'ordine di carcerazione ai  sensi  dell'art.  656,  comma  5  del
codice di  procedura  penale,  ai  quali  -  tuttavia  -  la  vigente
disciplina sostanziale riconosce la possibilita' di accedere a talune
misure alternative sin dall'inizio dell'esecuzione della pena:  come,
per l'appunto, i condannati per i reati elencati dall'art. 656, comma
9, lettera a) del codice di procedura penale, diversi  da  quelli  di
cui all'art. 4-bis ordin. penit. (per i quali l'accesso  ai  benefici
penitenziari  e'   invece   subordinato   a   specifiche   stringenti
condizioni).  Cio',  in  particolare,  in  relazione  al  rischio   -
specialmente accentuato nel caso di pene detentive di  breve  durata,
peraltro indicative di solito di una minore pericolosita' sociale del
condannato  -  che  la  decisione  del  tribunale   di   sorveglianza
intervenga dopo che il  soggetto  abbia  ormai  interamente  o  quasi
scontato la propria pena. Eventualita', quest'ultima,  purtroppo  non
infrequente, stante il notorio sovraccarico di lavoro che affligge la
magistratura di sorveglianza, nonche'  il  tempo  necessario  per  la
predisposizione  della  relazione  del  servizio  sociale  in  merito
all'osservazione del condannato in carcere. 
    Ed ancora  nella  sentenza  sopra  indicata  la  Corte  segnalava
comunque:  «pur  senza  affiancare  ai  parametri   "interni"   della
prospettata questione di  legittimita'  costituzionale  [...]  quello
"interposto"  costituito  dalla  Convenzione  europea   dei   diritti
dell'uomo»  -  si  evidenzia  come  la   prospettata   questione   di
legittimita' costituzionale trae  forza  anche  dalla  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo, rispetto agli obblighi  da
essa fissati nei confronti dell'ordinamento italiano in relazione  al
superamento  della  situazione  di  sovraffollamento  degli  istituti
penitenziari»; esigenza alla quale sarebbe, tra  l'altro,  funzionale
il  meccanismo  della  sospensione  dell'esecuzione  dell'ordine   di
esecuzione della pena stabilito dall'art. 656, comma 5 del codice  di
procedura penale, irragionevolmente precluso  ai  condannati  per  il
delitto di contrabbando di  tabacchi  lavorati  esteri  solo  perche'
ricompresi nella seconda fascia dell'art. 4-bis ord. penit. 
    In conclusione nella specie, appare  possa  essere  ravvisato  un
irragionevole e aprioristico automatismo legislativo: il legislatore,
infatti, ha, con valutazione che appare non  immune  da  censure  sul
piano costituzionale, ritenuto che, indipendentemente dalla  gravita'
della condotta posta in essere dal condannato  e  dall'entita'  della
pena  irrogatagli,  la  pericolosita'  individuale  evidenziata   dal
trasporto di  tabacchi  lavorati  esteri  di  contrabbando  aggravato
genericamente ai sensi dell'art. 291-ter, comma  1  del  decreto  del
Presidente   della   Repubblica   n. 43/1973,   rappresenti   ragione
sufficiente per negare in via generale ai condannati per  il  delitto
in esame il beneficio della sospensione dell'ordine di  carcerazione,
in attesa della valutazione caso per caso, da parte del Tribunale  di
sorveglianza, della possibilita' di concedere al singolo condannato i
benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua
condanna. 
    E', infatti, indubbio che il meccanismo di sospensione automatica
dell'ordine di esecuzione di cui all'art. 656, comma 5 del codice  di
procedura penale sia anche funzionale a evitare l'inutile  meccanismo
delle porte girevoli con ingresso nel sistema  penitenziario  -  gia'
afflitto da grave sovraffollamento -  di  condannati  che  potrebbero
essere ammessi a misure alternative sin  dall'inizio  dell'esecuzione
della pena; meccanismo che puo' trovare giustificazione sempre  entro
i  limiti  segnati  dalla  non  manifesta   irragionevolezza,   nella
definizione delle  categorie  di  detenuti  che  di  tale  meccanismo
possono beneficiare. 
    Analogamente, la disposizione censurata non consentirebbe sin  da
subito al Tribunale di sorveglianza di graduare - come fatto nel caso
in esame dal giudice di merito nella scelta della pena da irrogare  e
della misura cautelare da irrogare - la sanzione  in  relazione  alla
gravita' del caso concreto; cio' che, invece, apparirebbe  necessario
dal punto di vista dell'art. 3 e 27 della Costituzione,  dal  momento
che le fattispecie possono avere,  nei  diversi  casi  concreti,  una
gravita'  molto  diversa  tra  loro;  una   sorta   di   «automatismo
sanzionatorio» correlato ad una  presunzione  iuris  et  de  iure  di
gravita' del  fatto  e  di  pericolosita'  del  condannato,  se  pure
recidivo reiterato, che preclude  al  Tribunale  di  sorveglianza  di
pervenire, nella  fattispecie  concreta,  a  diverse  conclusioni  in
continuita' con la sanzione irrogata dal giudice di merito e  con  la
misura cautelare non detentiva disposta. Una simile presunzione iuris
et  de   iure   dovrebbe   considerarsi   illegittima,   secondo   la
giurisprudenza della Corte sopra richiamata ogniqualvolta sia agevole
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa.