ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  131-bis,
secondo comma, del codice penale, come modificato dall'art. 16, comma
1, lettera b), del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53  (Disposizioni
urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 8 agosto 2019, n. 77, e dello stesso  art.
16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 53 del  2019,  come  convertito,
promossi  dal  Tribunale  ordinario  di   Torino,   in   composizione
monocratica, con ordinanza  del  5  febbraio  2020  e  dal  Tribunale
ordinario di  Torre  Annunziata,  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza del 16 giugno 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 89
e 131  del  registro  ordinanze  2020  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, numeri 29 e  40,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2021  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 febbraio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 febbraio 2020, iscritta al n. 89 del reg.
ord.  2020,  il  Tribunale  ordinario  di  Torino,  in   composizione
monocratica, ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 131-bis, secondo comma, del codice penale, come  modificato
dall'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 14 giugno  2019,
n.  53  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  ordine  e  sicurezza
pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto  2019,
n. 77. 
    Ad avviso del giudice a quo, il secondo comma  dell'art.  131-bis
cod. pen.,  come  modificato,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che
l'offesa non puo'  essere  ritenuta  di  particolare  tenuita',  agli
effetti dell'applicazione della causa di non punibilita' prevista dal
primo comma, nei casi di cui all'art. 337 cod. pen., «quando il reato
e' commesso nei confronti di  un  pubblico  ufficiale  nell'esercizio
delle proprie funzioni», violerebbe gli artt. 3, 27, terzo  comma,  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 49,  paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  poiche'  l'astratta
esclusione dell'esimente, collegata unicamente al titolo  del  reato,
sarebbe «in contrasto con il principio di uguaglianza,  irragionevole
e contraria al principio di proporzionalita' che  deve  informare  le
risposte sanzionatorie». 
    1.1.- Il rimettente espone di dover giudicare sull'imputazione di
resistenza a pubblico ufficiale ascritta a J. L.,  cittadino  cinese,
per avere questi, in stato di ebbrezza, usato  violenza,  con  calci,
ginocchiate e una testata, nei confronti di due carabinieri, al  fine
di   opporsi   a   un   atto   del   loro    ufficio,    segnatamente
all'identificazione del  medesimo  J.  L.,  cui  era  stato  prestato
soccorso dal  personale  sanitario  intervenuto  su  richiesta  degli
stessi militari. 
    Il giudice a quo ritiene che la concreta offensivita'  del  fatto
sia di particolare tenuita', per «la  valutazione  complessiva  delle
condotte dell'imputato, del modesto turbamento derivato  al  regolare
funzionamento   della   pubblica   amministrazione,   l'assenza    di
conseguenze lesive per gli operatori di  polizia,  la  considerazione
del modesto livello di colpevolezza», tenuto anche conto che  J.  L.,
persona incensurata, ebbe ad agire in un grave  e  occasionale  stato
d'animo, per avere appreso dell'imminente morte del padre, lontano in
Cina. 
    1.2.- Secondo il Tribunale di Torino, il divieto  di  qualificare
come particolarmente tenue l'offesa recata da qualunque  condotta  di
resistenza a pubblico ufficiale sarebbe  irragionevole,  perche',  al
contrario delle altre preclusioni normative dell'esimente di tenuita'
(motivi  abietti  o  futili,  crudelta',  sevizie,  profittamento  di
minorata difesa, morte o lesioni  gravissime  quali  conseguenze  non
volute),  l'esclusione  non  e'  qui   determinata   da   particolari
connotazioni del fatto,  ma  soltanto  dal  titolo  del  reato;  cio'
peraltro in modo distonico rispetto ad altre fattispecie  delittuose,
le quali, pur offensive dei medesimi beni giuridici, restano soggette
all'applicazione della causa di non punibilita', come il  rifiuto  di
atti d'ufficio, l'abuso d'ufficio e le lesioni cagionate a  ufficiali
e agenti di polizia giudiziaria o pubblica sicurezza nell'adempimento
delle funzioni o del servizio. 
    Dai lavori parlamentari di conversione del d.l. n. 53  del  2019,
nel corso dei quali e'  stata  introdotta  la  censurata  preclusione
dell'esimente, non emergerebbe una precisa  ratio  della  preclusione
stessa, ma questa vi apparirebbe soltanto come  il  riflesso  di  una
«visione sacrale dei rapporti tra cittadino e autorita'»,  del  tutto
inidonea  a  giustificare  la   risposta   penale   in   termini   di
proporzionalita', cosi' come  richiesto  dagli  artt.  3,  27,  terzo
comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.
49, paragrafo 3, CDFUE. 
    1.3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni  inammissibili  o  non
fondate. 
    L'inammissibilita'   deriverebbe   dalla   circostanza   che   il
rimettente non abbia chiarito le  ragioni  specifiche  in  base  alle
quali sarebbe impedito al legislatore di selezionare  le  ipotesi  di
applicazione dell'esimente di tenuita'  in  rapporto  al  titolo  del
reato. 
    Le questioni sarebbero comunque infondate, poiche', esclusa  ogni
valenza comparativa dei tertia eterogenei  elencati  dal  rimettente,
apparterrebbe alla discrezionalita'  del  legislatore  configurare  i
limiti  di  applicazione  della  causa  di   non   punibilita',   qui
ragionevolmente  preclusa  dalla  gravita'  di  un  titolo  di  reato
ostativo  al  regolare  adempimento  dei   compiti   della   pubblica
amministrazione, e pertanto caratterizzato da un minimo edittale  non
particolarmente lieve (sei  mesi  di  reclusione)  e  da  un  massimo
coincidente col limite  generale  di  applicazione  dell'esimente  di
tenuita' (cinque anni di reclusione). 
    2.- Con ordinanza del 16 giugno 2020, iscritta al n. 131 del reg.
ord.  2020,  il  Tribunale  ordinario   di   Torre   Annunziata,   in
composizione monocratica,  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 53  del
2019,  come  convertito,  nella  parte  in  cui,  modificando  l'art.
131-bis, secondo comma, cod. pen., ha previsto che l'offesa non possa
essere ritenuta di particolare tenuita' nei casi di cui all'art.  337
cod. pen., «quando il reato e' commesso nei confronti di un  pubblico
ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma  censurata  violerebbe  gli
artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma,  e  77,  secondo
comma, Cost., quest'ultimo  per  l'estraneita'  contenutistica  della
norma stessa rispetto al decreto-legge ove e' inserita, gli altri per
contrarieta'  ai  principi  di  ragionevolezza,  proporzionalita'   e
finalismo rieducativo della pena. 
    2.1.- Il rimettente espone di dover giudicare sull'imputazione di
resistenza a pubblico ufficiale ascritta a B.V. F., per avere  questi
minacciato  e  strattonato  gli   agenti   di   polizia   giudiziaria
intervenuti dopo una lite tra lui e altra persona, cosi'  opponendosi
al compimento degli accertamenti sull'accaduto. 
    Il giudice a quo ritiene che la concreta offensivita'  del  reato
sia di particolare  tenuita',  trattandosi  di  fatto  occasionale  e
connotato  da  una  «carica  intimidatoria  particolarmente  esigua»,
giacche' determinato principalmente dallo stato di agitazione indotto
da un pregresso alterco con terzi. 
    2.2.- Secondo il Tribunale di Torre Annunziata,  la  disposizione
censurata, introdotta in sede di conversione del d.l. n. 53 del 2019,
violerebbe l'art. 77, secondo comma, Cost., poiche' «non e' omogenea,
quanto ad oggetto e finalita', rispetto al contenuto  originario  del
decreto-legge nel cui corpo e' stata inserita», cosi'  evidenziandosi
che  «la  sua  introduzione  non  era  legata  ad  alcuna   specifica
contingenza  storica  e  sociale  tale  da  richiedere   un   urgente
intervento normativo». 
    La disposizione violerebbe anche gli artt. 3, 25, secondo  comma,
e 27, primo e terzo comma, Cost., poiche', avendo riguardo al  titolo
del reato e non alla specificita' del fatto, a differenza delle altre
preclusioni normative dell'esimente, determinerebbe  un  «automatismo
sanzionatorio»  per  «presunzione   assoluta   di   non   particolare
tenuita'»; la soggezione alla medesima causa di  non  punibilita'  di
fattispecie delittuose con analogo oggetto,  come  l'interruzione  di
pubblico  servizio   e   l'oltraggio   a   magistrato   in   udienza,
testimonierebbe la valenza «simbolica» della norma  censurata,  e  lo
scadimento in una «strumentalizzazione del singolo per  finalita'  di
politica criminale». 
    2.3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale,  che  ha
chiesto dichiararsi le questioni inammissibili o non fondate. 
    Richiamati gli argomenti spesi nell'atto di  intervento  relativo
al giudizio iscritto nel reg.  ord.  n.  89  del  2020,  l'Avvocatura
aggiunge che  la  previsione  di  inapplicabilita'  dell'esimente  di
tenuita' in caso di resistenza a pubblico ufficiale e'  coerente  con
l'oggetto del d.l. n. 53 del 2019,  come  convertito,  cioe'  con  la
materia dell'ordine e della sicurezza pubblica; essendo il  fatto  di
particolare  tenuita'  pur  sempre  un  fatto  offensivo,  la   norma
troverebbe  giustificazione  «nella   particolare   tutela   che   il
legislatore ha inteso apprestare  al  diritto-dovere  della  pubblica
amministrazione di non subire  intralci  nell'assolvimento  dei  suoi
compiti». 
    L'interveniente assume inoltre  che  una  parte  delle  sollevate
censure sia stata  superata  dall'ultima  modifica  della  norma,  in
quanto l'art. 7, comma 1, del decreto-legge 21 ottobre 2020,  n.  130
(Disposizioni  urgenti  in  materia   di   immigrazione,   protezione
internazionale e  complementare,  modifiche  agli  articoli  131-bis,
391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonche' misure  in  materia
di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico
trattenimento, di  contrasto  all'utilizzo  distorto  del  web  e  di
disciplina del Garante nazionale dei diritti  delle  persone  private
della liberta' personale), convertito, con modificazioni, nella legge
18 dicembre 2020, n. 173, per  un  verso,  ha  limitato  l'esclusione
dell'esimente di tenuita' alla resistenza  nei  confronti  -  non  di
qualunque pubblico ufficiale,  bensi'  soltanto  -  dell'ufficiale  o
agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria  nell'esercizio
delle proprie funzioni, e,  per  l'altro,  ha  previsto  l'esclusione
medesima anche nell'ipotesi di cui  all'art.  343  cod.  pen.,  cioe'
nell'ipotesi di oltraggio a magistrato in udienza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Torino, in composizione monocratica
(reg. ord. n. 89 del 2020), ha sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 131-bis, secondo comma, del  codice  penale,
come modificato dall'art. 16, comma 1, lettera b), del  decreto-legge
14 giugno 2019, n. 53 (Disposizioni urgenti in materia  di  ordine  e
sicurezza pubblica), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  8
agosto 2019, n. 77, nella parte in cui stabilisce  che  l'offesa  non
puo'  essere  ritenuta  di   particolare   tenuita',   agli   effetti
dell'applicazione della causa di non punibilita' prevista  dal  primo
comma del medesimo art. 131-bis, nei casi di cui  all'art.  337  cod.
pen., «quando il reato e'  commesso  nei  confronti  di  un  pubblico
ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». 
    2.- Il Tribunale ordinario di Torre Annunziata,  in  composizione
monocratica (reg. ord. n. 131 del 2020), ha  sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1,  lettera  b),  del
d.l. n. 53 del 2019, come convertito, nella parte in cui, modificando
l'art. 131-bis, secondo comma, cod. pen., ha stabilito  che  l'offesa
non puo'  essere  ritenuta  di  particolare  tenuita',  agli  effetti
dell'applicazione della causa di non punibilita' prevista  dal  primo
comma del medesimo art. 131-bis, nei casi di cui  all'art.  337  cod.
pen., «quando il reato e'  commesso  nei  confronti  di  un  pubblico
ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni». 
    3.- Entrambi i giudici a quibus  sospettano  che  la  preclusione
dell'esimente di particolare tenuita' per il reato  di  resistenza  a
pubblico ufficiale, in quanto  collegata  unicamente  al  titolo  del
reato e non alle concrete modalita' del fatto,  sia  irragionevole  e
possa determinare l'inflizione di una pena ingiustificata. 
    In tal senso, il Tribunale di Torino evoca  i  parametri  di  cui
agli  artt.  3,  27,  terzo  comma,  e  117,   primo   comma,   della
Costituzione, quest'ultimo in relazione  all'art.  49,  paragrafo  3,
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, e il Tribunale di Torre Annunziata i parametri di  cui
agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost. 
    3.1.-  Il  secondo  rimettente  denuncia  anche   la   violazione
dell'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,   poiche'   assume   che   la
disposizione censurata, introdotta in sede di conversione del d.l. n.
53 del 2019, non sia omogenea rispetto al contenuto originario e alla
finalita' complessiva del  decreto-legge  all'interno  del  quale  e'
stata inserita. 
    4.- I giudizi vanno riuniti e  decisi  con  unica  sentenza,  non
soltanto per l'ampia coincidenza delle questioni e dei parametri,  ma
anche perche' nel giudizio di cui al reg. ord. n. 131 del 2020  viene
sollevata  una  questione  potenzialmente  assorbente,  qual  e'   la
denuncia di violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Infatti, riguardando lo stesso corretto esercizio della  funzione
legislativa, tale questione, ove risultasse  fondata,  eliderebbe  in
radice  la  norma  censurata,   determinando   l'assorbimento   delle
ulteriori questioni, riferite ad altri parametri  costituzionali  (ex
plurimis, sentenze n. 186 del 2020, n. 288 del 2019, n. 169 del  2017
e n. 154 del 2015). 
    4.1.-  Ancora  in  via  preliminare,  deve  constatarsi  che   la
sopravvenienza dell'art. 7, comma 1,  del  decreto-legge  21  ottobre
2020, n.  130  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  immigrazione,
protezione internazionale e complementare,  modifiche  agli  articoli
131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonche' misure  in
materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali  di
pubblico trattenimento, di contrasto all'utilizzo distorto del web  e
di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private
della liberta' personale), convertito, con modificazioni, nella legge
18 dicembre 2020, n. 173, non impone la restituzione  degli  atti  ai
rimettenti. 
    Per giurisprudenza costante,  non  ogni  nuova  disposizione  che
modifichi, integri o comunque incida su quella oggetto  del  giudizio
di costituzionalita' richiede una nuova valutazione del giudice a quo
circa la perdurante sussistenza dei presupposti di  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della  questione,  ben  potendo  questa  Corte
ritenere essa stessa che la nuova disposizione non  alteri  la  norma
quanto alla parte oggetto della censura, oppure che la  modifichi  in
aspetti marginali o in misura non significativa,  sicche'  permangano
attuali le valutazioni del rimettente sulla rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale (sentenza
n. 125 del 2018; ordinanza n. 185 del 2020);  non  impone  quindi  la
restituzione  degli  atti  lo  jus  superveniens  che   incida   solo
parzialmente sulla norma della cui costituzionalita' si dubita, senza
mutare i termini della questione, per come e' stata posta dal giudice
a quo (sentenza n. 203 del 2016). 
    Avendo limitato l'esclusione della causa di non  punibilita'  per
particolare tenuita' del fatto alla resistenza nei confronti dei soli
ufficiali e  agenti  di  pubblica  sicurezza  o  polizia  giudiziaria
(anziche' di ogni pubblico ufficiale), l'art. 7, comma 1, del d.l. n.
130 del  2020,  come  convertito,  non  ha  mutato  i  termini  delle
questioni sollevate dai giudici a quibus, in quanto, per cio' che  si
evince dalle ordinanze  di  rimessione,  le  condotte  di  resistenza
oggetto dei capi di imputazione  sottoposti  al  loro  giudizio  sono
state tenute, per l'appunto, in danno di agenti di pubblica sicurezza
o polizia giudiziaria, per opporsi all'attivita' da questi intrapresa
a fini di identificazione delle persone e accertamento dei fatti. 
    4.2.- Non e' fondata l'eccezione  di  inammissibilita'  formulata
dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  sull'assunto  che   i
rimettenti non avrebbero specificato le ragioni per le quali  sarebbe
vietato  al  legislatore  limitare  l'applicazione  dell'esimente  di
tenuita' in rapporto al titolo del reato. 
    Quale causa di inammissibilita' della questione  incidentale,  il
difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza e' la carenza
di un'adeguata e autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la
norma   censurata   integrerebbe   una   violazione   del   parametro
costituzionale evocato (ex plurimis, sentenze n. 54 del 2020,  n.  33
del 2019 e n. 240 del 2017). 
    I  rimettenti  hanno  invece  diffusamente   motivato   la   loro
valutazione  di   non   manifesta   infondatezza   delle   questioni,
illustrando ampiamente la tesi secondo la  quale  l'esclusione  della
causa di non punibilita' rapportata al solo titolo di reato  ex  art.
337 cod. pen. produrrebbe ingiustificate disparita' di trattamento  e
osterebbe alla proporzionalita' della risposta penale. 
    4.3.-  Inammissibile  deve  essere   dichiarata   unicamente   la
questione sollevata dal Tribunale di Torino in relazione all'art. 49,
paragrafo 3, CDFUE, quale parametro interposto rispetto all'art. 117,
primo comma, Cost. 
    Per giurisprudenza costante di questa Corte, la CDFUE puo' essere
invocata, quale parametro interposto in un giudizio  di  legittimita'
costituzionale,   soltanto   quando   la   fattispecie   oggetto   di
legislazione  interna  sia  disciplinata  dal  diritto  europeo   (ex
plurimis, sentenze n. 278 e n. 254 del 2020, n. 194 del 2018 e n.  63
del 2016). 
    Il Tribunale non ha  fornito  alcuna  motivazione  in  proposito,
risultando invece che esso e' chiamato a pronunciarsi  in  ordine  al
reato di resistenza a pubblico ufficiale, il quale, all'evidenza, non
attiene all'ambito di attuazione del diritto dell'Unione europea. 
    5.- Nel merito, le  ulteriori  questioni  non  sono  fondate,  in
riferimento ad alcuno dei parametri evocati. 
    5.1.- La questione sollevata dal Tribunale di Torre Annunziata in
riferimento all'art. 77 Cost. postula che la  disposizione  censurata
«non [sia] omogenea, quanto  ad  oggetto  e  finalita',  rispetto  al
contenuto  originario  del  decreto-legge  nel  cui  corpo  e'  stata
inserita». 
    Ad avviso  del  giudice  a  quo,  l'esclusione  dell'esimente  di
tenuita' per il reato di resistenza a  pubblico  ufficiale  «non  era
legata ad alcuna specifica contingenza  storica  e  sociale  tale  da
richiedere  un  urgente  intervento  normativo»,  e  quindi  la   sua
introduzione in sede di conversione del d.l. n. 53 del  2019  sarebbe
viziata da eterogeneita' funzionale. 
    5.1.1.- Per giurisprudenza  costante,  la  legge  di  conversione
rappresenta una legge funzionalizzata e specializzata, che  non  puo'
aprirsi ad  oggetti  eterogenei  rispetto  a  quelli  originariamente
contenuti nell'atto con forza di legge,  e  tuttavia  un  difetto  di
omogeneita', rilevante come violazione dell'art. 77,  secondo  comma,
Cost., si determina solo quando la disposizione aggiunta in  sede  di
conversione sia totalmente «estranea», o addirittura «intrusa», cioe'
tale da interrompere ogni nesso di correlazione tra il  decreto-legge
e la legge di conversione (ex plurimis, sentenze n. 115 del 2020,  n.
247, n. 226 e n. 181 del 2019, n. 169 del 2017, n. 145 del 2015 e  n.
251 del 2014; ordinanze n. 204 e n. 93 del 2020). 
    La coerenza delle disposizioni aggiunte in  sede  di  conversione
rispetto alla disciplina originaria  del  decreto-legge  puo'  essere
valutata sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal  punto
di vista funzionale e finalistico (ex plurimis, sentenze n.  247,  n.
226 e n. 181 del 2019; ordinanze n. 204 e n. 93 del 2020). 
    Per i decreti-legge a contenuto plurimo, eterogeneo  ab  origine,
occorre considerare  specificamente  il  profilo  teleologico,  cioe'
l'osservanza della  ratio  dominante  che  li  ispira  (ex  plurimis,
sentenze n. 115 del 2020, n. 154 del 2015 e n. 32 del 2014; ordinanza
n. 34 del 2013). 
    5.1.2.- Sotto il  titolo  «Disposizioni  urgenti  in  materia  di
ordine e sicurezza pubblica», il d.l. n. 53  del  2019  evidenzia  un
oggetto   piuttosto   eterogeneo,   che    spazia    dal    contrasto
all'immigrazione illegale (Capo I)  al  potenziamento  dell'efficacia
dell'azione amministrativa a supporto delle  politiche  di  sicurezza
(Capo II), fino al contrasto  alla  violenza  occasionata  da  eventi
sportivi (Capo III). 
    Tuttavia, la ratio dominante  dell'atto  urgente  e'  chiaramente
orientata - come si evince  dalle  finalita'  esplicitate  nella  sua
premessa - verso l'obiettivo di «garantire piu' efficaci  livelli  di
tutela della sicurezza pubblica», «rafforzare le norme a garanzia del
regolare e pacifico svolgimento di manifestazioni in luogo pubblico e
aperto  al  pubblico»,  tutto  cio'  «nel  piu'  ampio  quadro  delle
attivita' di prevenzione dei  rischi  per  l'ordine  e  l'incolumita'
pubblica». 
    In quanto  finalizzata  ad  assicurare  una  maggiore  tutela  ai
pubblici ufficiali quali tramite necessario dell'agire della pubblica
amministrazione, l'addizione operata dalla legge di conversione,  che
ha escluso l'applicazione dell'esimente di tenuita'  nell'ipotesi  di
resistenza a pubblico ufficiale, non puo' dirsi pertanto  «estranea»,
ne'  tantomeno  «intrusa»,  rispetto  alla  materia  della   pubblica
sicurezza, di cui variamente si occupa il d.l. n. 53  del  2019,  ne'
rispetto alla sua prevalente ratio ispiratrice. 
    Reso piu' nitido dalla delimitazione soggettiva operata dall'art.
7, comma 1, del d.l. n.  130  del  2020,  come  convertito,  nel  suo
specifico riferimento ai pubblici ufficiali che  esercitano  funzioni
di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria,  il  legame  teleologico
tra l'esclusione della causa di non punibilita' e la  ratio  di  piu'
incisiva   salvaguardia   dell'azione   pubblica   non   puo'   dirsi
insussistente con riguardo alla disposizione introdotta  dalla  legge
n. 77 del 2019 in sede di conversione del d.l. n. 53 del 2019. 
    5.2.- Non sono fondate neppure le questioni sollevate da entrambi
i   rimettenti   sulla   base   dei   principi   di   ragionevolezza,
proporzionalita' e finalismo rieducativo della pena, segnatamente  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (reg.  ord.  n.  89
del 2020) e agli artt. 3, 25, secondo comma,  e  27,  primo  e  terzo
comma, Cost. (reg. ord. n. 131 del 2020). 
    Ad avviso dei giudici a quibus, il divieto  di  qualificare  come
particolarmente  tenue  l'offesa  recata  da  qualunque  condotta  di
resistenza a pubblico ufficiale sarebbe  irragionevole,  perche',  al
contrario  delle  altre  preclusioni   normative   dell'esimente   di
tenuita', l'esclusione non sarebbe  qui  determinata  da  particolari
connotazioni del fatto, ma soltanto dal titolo del reato. 
    Fondata unicamente su  una  «visione  sacrale  dei  rapporti  tra
cittadino e autorita'», l'aprioristica  esclusione  dell'esimente  di
tenuita' per il reato di resistenza  a  pubblico  ufficiale  potrebbe
determinare l'irrogazione di  una  sanzione  non  giustificata  dalla
concreta offensivita' del fatto,  e  quindi  inutilmente  afflittiva,
oltre a ingenerare disparita' di  trattamento  per  titoli  di  reato
omogenei. 
    5.2.1.- Inserito dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16
marzo  2015,  n.  28,  recante  «Disposizioni  in  materia   di   non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto, a norma dell'articolo
1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014,  n.  67»,  l'art.
131-bis cod. pen. ha previsto «una generale causa di esclusione della
punibilita' che si raccorda con  l'altrettanto  generale  presupposto
dell'offensivita' della condotta,  requisito  indispensabile  per  la
sanzionabilita' penale di qualsiasi condotta in violazione di  legge»
(sentenza n. 120 del 2019). 
    Esso fissa una «soglia massima di gravita'», correlata a una pena
edittale non superiore nel massimo a cinque  anni  di  reclusione,  e
quindi,  per  i  titoli  di  reato  che  non  eccedono  tale  soglia,
stabilisce una «linea di demarcazione trasversale»,  che  esclude  la
punibilita'  delle  condotte  aventi  «in  concreto»  un   tasso   di
offensivita' marcatamente ridotto (ancora, sentenza n. 120 del 2019). 
    Infatti, il primo comma dell'art. 131-bis cod. pen.  dispone  che
«[n]ei reati per i quali e' prevista la pena detentiva non  superiore
nel massimo  a  cinque  anni,  ovvero  la  pena  pecuniaria,  sola  o
congiunta alla predetta pena, la punibilita' e' esclusa  quando,  per
le modalita' della  condotta  e  per  l'esiguita'  del  danno  o  del
pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma,  l'offesa
e' di particolare tenuita' e il comportamento risulta non  abituale».
Il limite applicativo correlato al massimo edittale deve  essere  ora
inteso alla luce della sentenza n. 156 del 2020,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis  cod.  pen.  «nella
parte  in  cui  non  consente  l'applicazione  della  causa  di   non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai reati per  i  quali
non e' previsto un minimo edittale di pena detentiva». 
    Nel testo originario, il secondo  comma  dell'art.  131-bis  cod.
pen. conteneva un solo periodo, a tenore del  quale  «[l]'offesa  non
puo' essere ritenuta di particolare  tenuita',  ai  sensi  del  primo
comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o  futili,  o  con
crudelta', anche in danno di  animali,  o  ha  adoperato  sevizie  o,
ancora, ha profittato  delle  condizioni  di  minorata  difesa  della
vittima, anche in riferimento all'eta' della stessa ovvero quando  la
condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze  non
volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona». 
    L'art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 53  del  2019,  nella
formulazione   originaria,   ha   aggiunto   un   ulteriore   periodo
(«[l]'offesa  non  puo'  altresi'  essere  ritenuta  di   particolare
tenuita' quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore
nel massimo a  due  anni  e  sei  mesi  di  reclusione,  commessi  in
occasione o a causa di manifestazioni  sportive»),  che  tuttavia  e'
stato integrato dalla legge di conversione  con  l'addizione  «ovvero
nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato  e'
commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio  delle
proprie funzioni». 
    Da ultimo, l'art. 7, comma 1, del d.l.  n.  130  del  2020,  come
convertito, ha stabilito che nel secondo periodo  del  secondo  comma
dell'art. 131-bis cod. pen.  le  parole  «di  un  pubblico  ufficiale
nell'esercizio delle proprie funzioni» sono sostituite da quelle  «di
un ufficiale o agente di pubblica  sicurezza  o  di  un  ufficiale  o
agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie  funzioni,
e nell'ipotesi di cui all'articolo 343». 
    5.2.2.- Per giurisprudenza costante, le cause di non  punibilita'
costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicche' la
loro estensione comporta strutturalmente un giudizio di  ponderazione
a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo
quelle che sorreggono da un lato la norma generale  e  dall'altro  la
norma  derogatoria,  giudizio   che   appartiene   primariamente   al
legislatore (sentenze n. 156 del 2020, n. 140 del 2009  e  n.  8  del
1996). 
    Da tale premessa discende che le scelte del legislatore  relative
all'ampiezza applicativa  della  causa  di  non  punibilita'  di  cui
all'art.  131-bis   cod.   pen.   sono   sindacabili   soltanto   per
irragionevolezza manifesta (sentenze n. 156 del 2020  e  n.  207  del
2017). 
    Del resto, il fatto particolarmente lieve cui si riferisce l'art.
131-bis cod. pen. e'  pur  sempre  un  fatto  offensivo,  costituente
reato, che il legislatore sceglie di non punire  per  riaffermare  la
natura di extrema ratio  della  sanzione  penale  e  deflazionare  il
carico della giurisdizione (sentenza n. 156 del  2020;  ordinanza  n.
279 del 2017). 
    5.2.3.-  La  scelta  legislativa  di  escludere  dal   campo   di
applicazione dell'esimente di  tenuita'  il  reato  di  resistenza  a
pubblico  ufficiale  non  e'  manifestamente  irragionevole,  poiche'
viceversa corrisponde all'individuazione  discrezionale  di  un  bene
giuridico complesso, ritenuto meritevole di speciale protezione. 
    Gia' dopo la sentenza n. 341 del 1994, con la quale ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  341  cod.  pen.  laddove
prevedeva il minimo edittale di sei mesi di reclusione per  il  reato
di oltraggio in riflesso di una «concezione autoritaria e sacrale dei
rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini», questa Corte  ha  avuto
modo di evidenziare come  l'elemento  costitutivo  della  violenza  o
minaccia  finalizzata   ad   alterare   il   regolare   funzionamento
dell'attivita' della pubblica amministrazione impediva  di  estendere
tale ratio decidendi sia  al  reato  di  violenza  o  minaccia  a  un
pubblico ufficiale di cui all'art. 336 cod. pen. (sentenza n. 314 del
1995), sia a  quello  di  resistenza  a  pubblico  ufficiale  di  cui
all'art. 337 cod. pen. (ordinanza n. 425 del 1996). 
    Successivamente, anche per il "nuovo" reato di oltraggio  di  cui
all'art. 341-bis cod.  pen.,  questa  Corte  ha  messo  in  luce  una
dimensione offensiva ormai piu' ampia  di  quella  della  fattispecie
codicistica originaria, in quanto l'introduzione di un  requisito  di
stretta contestualita' tra la condotta del reo e il compimento di uno
specifico atto funzionale (requisito espresso dalla locuzione «mentre
compie un atto d'ufficio») ha configurato un «delitto offensivo anche
del buon andamento della  pubblica  amministrazione,  sub  specie  di
concreto  svolgimento  della  (legittima)  attivita'   del   pubblico
ufficiale, non diversamente da quanto accade - per l'appunto - per il
delitto di cui all'art. 337 cod. pen.» (sentenza n. 284 del 2019). 
    L'esclusione del titolo di reato di cui all'art.  337  cod.  pen.
dalla sfera applicativa dell'esimente di tenuita' corrisponde  quindi
-  secondo  un   apprezzamento   discrezionale   non   manifestamente
irragionevole  -  alla  peculiare  complessita'  del  bene  giuridico
protetto dalla norma incriminatrice, peraltro rimarcata  anche  dalle
sezioni unite della Corte di cassazione, laddove hanno osservato  che
il normale  funzionamento  della  pubblica  amministrazione  tutelato
dall'art. 337 cod. pen. va inteso «in senso ampio»,  poiche'  include
anche «la sicurezza e la liberta' di  determinazione»  delle  persone
fisiche che esercitano le pubbliche funzioni (sentenza 22 febbraio-24
settembre 2018, n. 40981). 
    In presenza di un fatto-reato  intrinsecamente  offensivo  di  un
bene  giuridico  di  tale  complessita',  l'opzione  legislativa   di
escludere  la  valutazione   giudiziale   di   particolare   tenuita'
dell'offesa - oltre che non manifestamente  irragionevole  -  non  e'
neppure contrastante con i principi di proporzionalita'  e  finalismo
rieducativo della pena, considerato altresi' che  i  criteri  di  cui
all'art. 133, primo comma, cod. pen., richiamati  dall'art.  131-bis,
primo  comma,  cod.  pen.,  seppure   non   rilevano   agli   effetti
dell'applicazione della causa di non punibilita', mantengono tuttavia
la loro ordinaria funzione di dosimetria sanzionatoria, unitamente  a
quelli di cui al secondo comma del medesimo art. 133. 
    5.2.4.- Non e' pertinente il  richiamo  del  Tribunale  di  Torre
Annunziata alla giurisprudenza  di  questa  Corte  sulle  presunzioni
assolute in materia penale,  segnatamente  concernenti  l'adeguatezza
cautelare della sola custodia in carcere. 
    Tali presunzioni si fondano su un'illazione legislativa,  la  cui
rispondenza all'id  quod  plerumque  accidit  costituisce  un  limite
intrinseco di ragionevolezza,  l'osservanza  del  quale  deve  essere
verificata in termini di congruita'  della  «base  empirico-fattuale»
(da ultimo, sentenza n. 191 del 2020). 
    Nel caso in scrutinio, viceversa, il legislatore non ha  compiuto
un'operazione logica di tipo presuntivo, che possa vagliarsi  secondo
un parametro di regolarita' fattuale, ma,  nell'esercizio  della  sua
discrezionalita' in materia di politica criminale, ha identificato un
bene giuridico di speciale pregnanza, cui ha  ritenuto  di  assegnare
una protezione rafforzata. 
    5.2.5.-  I  tertia  addotti  dai  rimettenti  nella   prospettiva
dell'art. 3 Cost. risultano sprovvisti dell'omogeneita' necessaria  a
impostare il giudizio comparativo. 
    Cosi',  non  e'  pertinente  che  l'esimente  di  tenuita'  resti
applicabile all'abuso d'ufficio ex art. 323 cod. pen., al rifiuto  di
atti d'ufficio ex art. 328 cod. pen. e all'interruzione  di  pubblico
servizio  ex  art.  340  cod.  pen.,   poiche'   queste   fattispecie
delittuose, per quanto incidano anch'esse sul regolare  funzionamento
della pubblica  amministrazione,  non  vedono  tuttavia  direttamente
coinvolta la sicurezza e la liberta' della persona  fisica  esercente
la funzione pubblica, intesa quale soggetto passivo del reato. 
    Tale coinvolgimento personale ricorre nella fattispecie aggravata
ex artt. 576, primo comma, numero 5-bis), 582 e  585  cod.  pen.,  la
quale  pero',  ove  la   condotta   causativa   delle   lesioni   sia
teleologicamente  collegata  a  una  resistenza  nei  confronti   del
pubblico ufficiale, e sia quindi diretta a  intralciare  il  regolare
funzionamento  della  pubblica  amministrazione,  ricade   senz'altro
nell'esclusione dell'esimente di tenuita' prevista per il  titolo  di
reato di cui all'art. 337 cod. pen. 
    Infine, quanto all'oltraggio a magistrato in udienza ex art.  343
cod. pen., la sua mancata previsione fra i titoli di reato eccettuati
dall'applicazione della causa di  non  punibilita'  -  omissione  che
peraltro avrebbe potuto  denunciare  un'irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto all'oltraggio generico e non anche  rispetto  ai
piu' gravi reati con base violenta di cui agli artt. 336 e  337  cod.
pen. - e' stata colmata dall'art. 7, comma 1, del  d.l.  n.  130  del
2020, come convertito. 
    6.-  Per   quanto   esposto,   in   disparte   quella   giudicata
inammissibile, le questioni devono essere dichiarate non fondate,  in
riferimento a tutti i parametri evocati.