ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
953, della legge 30 dicembre 2018, n.  145  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio  2019-2021),  promossi  dal  Consiglio  di  Stato  con   tre
ordinanze del 27 gennaio 2020 e con una  ordinanza  del  27  dicembre
2019, iscritte, rispettivamente, ai  numeri  56,  57,  58  e  59  del
registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione delle societa' Daunia Wind  srl  e
Daunia Serracapriola srl, Daunia Faeto srl,  dei  Comuni  di  Ordona,
Serracapriola e Faeto, delle societa' Eurowind Ordona  srl,  Eurowind
srl, Parco Eolico Ordona srl e  dell'Associazione  nazionale  energia
del vento (ANEV), nonche' gli atti di intervento del  Presidente  del
Consiglio dei ministri e dell'ANEV; 
    udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati  Franco  Gaetano  Scoca  e  Francesco  Saverio
Marini per le societa' Daunia Wind  srl,  Daunia  Serracapriola  srl,
Daunia Faeto srl, Daunia Wind  srl,  Andrea  Manzi  per  le  societa'
Eurowind Ordona srl e Eurowind srl, in  collegamento  da  remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  30
ottobre  2020,  Marcello  Cecchetti  per   il   Comune   di   Ordona,
quest'ultimo e Rosaria Gadaleta per il Comune di Serracapriola  e  il
Comune di Faeto, l'avvocato  dello  Stato  Gabriella  Mangia  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto,  ai
sensi del punto 1) del decreto del  Presidente  della  Corte  del  30
ottobre 2020; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 febbraio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 gennaio 2020 (r.o. n. 56 del  2020),  il
Consiglio di  Stato  in  sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato  questioni  incidentali  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1,  comma  953,  della  legge  30  dicembre  2018,  n.  145
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e
bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in riferimento  agli
artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione ai  principi  generali  della
materia della produzione  energetica  da  fonti  rinnovabili  sanciti
dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del  27  settembre  2001,  sulla  promozione  dell'energia
elettrica prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato
interno dell'elettricita' e 12 del decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'), e  agli  obblighi
internazionali  sanciti  dagli  artt.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  e  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il  20  marzo  1952,  nonche'
dell'art.  2  del  Protocollo  di   Kyoto   dell'11   dicembre   1997
(Convenzione sui cambiamenti climatici), ratificato e reso  esecutivo
con legge 1° giugno 2002, n. 120. 
    Il Consiglio di Stato riferisce che il Comune di Serracapriola  e
la societa' Daunia Wind srl stipulavano in data 24  maggio  2006  una
«convenzione  regolante  la  concessione  di  aree  in  favore  della
societa' per la costruzione, il funzionamento e la manutenzione di un
impianto  eolico»  su  aree  a  destinazione  agricola  comprese  nel
territorio comunale. La societa' assumeva, tra  l'altro,  l'onere  di
pagare  un  corrispettivo   annuo   per   le   obbligazioni   assunte
dall'amministrazione e per la costituzione di diritti di  servitu'  e
di ogni altro onere o disagio. 
    A seguito del rilascio dell'autorizzazione unica ex art.  12  del
d.lgs. n. 387  del  2003  da  parte  della  Regione  Puglia  e  della
realizzazione dell'impianto, la societa'  Daunia  Wind  srl  -  e  la
societa' Daunia  Serracapriola  srl,  subentrata  nel  relativo  ramo
d'azienda - a partire dall'anno  2016  non  corrispondevano  piu'  al
Comune il canone  convenuto  sull'assunto  dell'illegittimita'  della
relativa pattuizione. Le  predette  imprese  proponevano  dinanzi  al
Tribunale  amministrativo  regionale  per  la   Puglia   domanda   di
declaratoria di  nullita'  della  convenzione  stipulata  con  l'ente
territoriale, nella parte in cui contemplava l'obbligo  a  carico  di
esse ricorrenti di pagare un  corrispettivo  economico  per  la  mera
localizzazione di un impianto eolico sul territorio  comunale,  ossia
una misura di compensazione di carattere meramente  patrimoniale,  in
quanto contraria a norme imperative. 
    Nel corso del giudizio di primo grado era emanata la disposizione
censurata, la quale,  in  presenza  di  determinati  presupposti,  ha
"cristallizzato" l'efficacia degli accordi  bilaterali  in  questione
sottoscritti  prima  del  3  ottobre  2010.  In  virtu'   dello   ius
superveniens, il TAR Puglia rigettava il ricorso. 
    Le  societa'  Daunia  Wind  srl  e   Daunia   Serracapriola   srl
proponevano appello al Consiglio di Stato che riteneva  le  questioni
di legittimita' costituzionale della predetta disposizione  rilevanti
e non manifestamente infondate. 
    In particolare, in punto di rilevanza, il Collegio evidenzia  che
la norma censurata e' stata posta a  fondamento  della  decisione  di
rigetto  della  sentenza  di  primo  grado  e  che  la  stessa  trova
applicazione con riguardo alla convenzione stipulata tra le parti  le
cui misure  hanno  natura  meramente  patrimoniale  atteso  che  esse
pongono a carico degli operatori oneri economici che non sono volti a
compensare  uno  specifico  e  concreto  pregiudizio  ambientale  e/o
paesaggistico arrecato al territorio dal parco eolico. 
    Il  Consiglio  di  Stato  premette  di   non   poter   effettuare
un'interpretazione costituzionalmente  conforme  dell'art.  1,  comma
953, della legge n. 145 del 2018, nel senso  di  ritenere  lo  stesso
riferito alle sole misure di compensazione di  carattere  diverso  da
quelle  meramente  patrimoniali,  in  quanto,  da   un   lato,   tale
disposizione normativa non effettua alcuna distinzione sul  contenuto
delle misure e, da un altro, un'interpretazione  restrittiva  farebbe
venire meno la ratio dell'intervento del legislatore. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  Consiglio  di  Stato
dubita, in primo luogo, della compatibilita' della  disposizione  con
il principio di ragionevolezza,  poiche',  eccedendo  dalle  esigenze
connesse all'obiettivo  legittimo  di  adeguare  per  il  futuro  gli
accordi  contenenti  misure  compensative  di   carattere   meramente
patrimoniale alle  linee  guida  nazionali  ministeriali  entrate  in
vigore il 3  ottobre  2010,  dispone  per  il  passato  la  sanatoria
generalizzata di accordi contrari alle stesse. Tale  irragionevolezza
si  correlerebbe,  vieppiu',  alla  circostanza  che  la  norma   non
contempla ipso iure l'inefficacia, neppure per il periodo  successivo
alla propria entrata in vigore,  di  tali  convenzioni,  ne'  prevede
alcun termine entro il quale le stesse devono  essere  riviste  dalle
parti. 
    Il Collegio rimettente  assume  inoltre  un  possibile  contrasto
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018,  con  l'art.  24
Cost., poiche' vanificherebbe gli effetti di un'azione di impugnativa
per nullita'  di  clausole,  come  quelle  che  prevedono  misure  di
compensazione meramente patrimoniale, contrarie a norme imperative  e
prive di causa. 
    Il giudice a quo  solleva,  altresi',  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata  rispetto  ai  principi
della separazione dei poteri (in riferimento agli artt. 3,  97,  101,
102 e 113 Cost.) e del giusto processo, sancito, quest'ultimo,  dagli
artt. 111 Cost. e 6 CEDU (quale norma interposta ex art.  117,  primo
comma, Cost.). 
    L'incompatibilita'   con   tali   parametri   potrebbe   derivare
dall'incidenza dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 su
processi   in   corso,   in   assenza,   peraltro,    di    contrasti
giurisprudenziali  in  ordine   all'invalidita'   delle   convenzioni
stipulate dagli operatori del settore eolico con i Comuni  prevedenti
misure di compensazione di  natura  esclusivamente  patrimoniale.  Di
qui, secondo il giudice rimettente, la previsione normativa  potrebbe
violare l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  anche  in  relazione  agli
obblighi assunti  sul  piano  internazionale  ed  europeo,  sotto  il
distinto profilo del contrasto con il preminente principio di massima
diffusione delle energie rinnovabili. 
    Il Consiglio di Stato ravvisa poi una potenziale incompatibilita'
della disposizione censurata  con  il  principio  della  liberta'  di
iniziativa economica sancito dall'art. 41 Cost., nella misura in cui,
sostanzialmente, tramuta  una  libera  attivita'  di  impresa  in  un
rapporto concessorio e costituisce, preservando sino  alla  revisione
l'efficacia  di  tali  accordi,  un   disincentivo   economico   alla
continuazione dell'attivita' per l'intero ciclo degli impianti. Sotto
quest'ultimo profilo, il  Collegio  ritiene  che  la  norma  potrebbe
violare l'art. 117, primo comma, Cost., anche in relazione all'art. l
Prot. addiz. CEDU, perche'  comporta,  in  modo  imprevedibile  e  in
violazione dei principi di legalita' e proporzionalita', una  lesione
del diritto di proprieta', ossia della  legittima  aspettativa  degli
operatori economici a ottenere la restituzione degli importi  versati
in esecuzione di accordi invalidi. 
    1.1.- In data 22 giugno 2020 si sono costituite  in  giudizio  le
societa' Daunia Wind srl e Daunia  Serracapriola  srl  rilevando,  in
primo luogo, il contrasto della norma censurata con il  principio  di
effettivita' della tutela giurisdizionale, sancito dagli artt.  24  e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  6  CEDU,
nonche' ai  principi  della  separazione  dei  poteri  e  del  giusto
processo (rispetto agli artt. 3, 97, 101, 102, 111, 113 e 117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione allo stesso art. 6 CEDU),  in
virtu' dell'intervento, con una norma avente  efficacia  retroattiva,
nell'ambito di un contesto  normativo  e  giurisprudenziale  che,  in
realta', gia' prima dell'adozione delle linee guida di cui al decreto
del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee  guida
per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili),
era chiaro nel senso della  nullita'  delle  misure  compensative  di
carattere meramente patrimoniale in relazione alla costruzione  e  al
rilascio di titoli  abilitativi  per  impianti  alimentati  da  fonti
rinnovabili. Rilevano le societa' costituite che, peraltro, la stessa
norma censurata non pone in discussione l'invalidita' di tali misure,
ma ne preserva la sola efficacia all'esclusivo fine, desumibile anche
dai lavori  preparatori,  di  incidere  sui  contenziosi  in  essere,
rendendo inutiliter data la relativa tutela  giurisdizionale  e  cio'
senza una motivazione di interesse generale, non potendo considerarsi
tale quella di preservare il bilancio degli enti  locali  che  "hanno
fatto cassa" in forza di convenzioni nulle. 
    Rilevano, poi, che l'art. 1, comma 953, della legge  n.  145  del
2018, contrasta con i principi di ragionevolezza e  proporzionalita',
poiche'  non  preserva  l'efficacia  delle  convenzioni  contemplanti
misure di compensazione di natura patrimoniale per  il  solo  periodo
anteriore all'emanazione delle linee guida ministeriali, ma fino alla
propria entrata in vigore, ossia  alla  data  del  1°  gennaio  2019,
momento  a  partire  dal  quale  e'  prevista,  tuttavia,   solo   la
possibilita'  di  una  revisione  delle  convenzioni   in   modo   da
conformarle alle linee guida, senza fornire  alcuna  indicazione  per
superare l'eventuale dissenso  delle  amministrazioni  coinvolte.  La
norma censurata avrebbe inoltre carattere arbitrario, poiche' non  ha
bilanciato in alcun modo l'interesse finanziario dei Comuni coinvolti
con i diritti costituzionali degli operatori  incisi,  discriminando,
peraltro, tra quelli che hanno sottoscritto le  convenzioni  prima  e
dopo l'emanazione del d.m. 10 settembre 2010. Deducono,  inoltre,  le
predette  societa'  che  la  disposizione  della   cui   legittimita'
costituzionale dubita il Consiglio di Stato violerebbe il diritto  di
proprieta' delle stesse, sancito dall'art. 1 Prot. addiz. CEDU  e  il
principio di affidamento, fondato sull'art. 6 CEDU e  di  qui  l'art.
117,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto,   secondo   la   consolidata
giurisprudenza   europea,   costituiscono   "beni"   tutelabili   dal
richiamato art. 1 anche i crediti degli operatori economici sui quali
gli stessi possano vantare una  legittima  aspettativa.  Evidenziano,
infine, che la previsione censurata contrasterebbe con il diritto  di
libera iniziativa economica imponendo il pagamento di un  canone  per
lo svolgimento di un'attivita' soggetta solo ad autorizzazione e  non
ad una concessione. 
    In via subordinata, le societa' costituite chiedono alla Corte di
investire con ricorso  per  rinvio  pregiudiziale  interpretativo  la
Corte di giustizia dell'Unione europea al fine di  verificare  se  le
direttive 1996/92/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio,  del  19
dicembre 1996,  concernente  norme  comuni  per  il  mercato  interno
dell'energia elettrica,  2003/54/CE  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato
interno dell'energia elettrica e che abroga  la  direttiva  96/92/CE,
2009/72/CE del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  13  luglio
2009, relativa a norme comuni per  il  mercato  interno  dell'energia
elettrica e  che  abroga  la  direttiva  2003/54/CE,  2009/28/CE  del
Parlamento europeo  e  del  Consiglio,  del  23  aprile  2009,  sulla
promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,   recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE, 2018/2001/UE del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
dell'11 dicembre 2018,  sulla  promozione  dell'uso  dell'energia  da
fonti rinnovabili  (rifusione),  nella  parte  in  cui  prevedono  un
mercato aperto anche per il settore dell'energia, condizionandone  la
libera attivita' solo al rilascio di una autorizzazione  gratuita,  e
fissano obiettivi di semplificazione delle procedure autorizzative  e
di  certezza  per  gli  investitori,   insieme   alla   liberta'   di
circolazione delle merci, dei servizi e  dei  capitali  a  norma  del
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,  come  modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato
dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 in combinato disposto con i diritti
di liberta' di iniziativa economica e proprieta' di cui agli artt. 16
e 17  della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007 (CDFUE), e al diritto a un  ricorso  effettivo  di  cui
all'art. 47 CDFUE, ostino a  una  normativa  nazionale,  come  quella
rilevante nel presente giudizio, che conserva l'efficacia di  accordi
contemplanti  misure  compensative  meramente  patrimoniali  per   la
realizzazione di impianti volti alla produzione di energia elettrica,
sebbene ne fosse stata prevista l'illegittimita' sin dall'anno  2003,
per effetto dell'art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003. 
    1.2.- In data 23 giugno  2020  si  e'  costituito  il  Comune  di
Serracapriola, chiedendo la declaratoria di  inammissibilita'  e,  in
subordine, di non fondatezza delle questioni sollevate dal  Consiglio
di Stato. 
    Nel merito il Comune deduce, quanto alla violazione  dell'art.  3
Cost., che la sanatoria generalizzata  delle  convenzioni  contenenti
misure compensative meramente patrimoniali a carico  degli  operatori
economici del settore eolico, della cui legittimita' il Consiglio  di
Stato dubita rispetto al  predetto  parametro,  e'  coerente  con  la
consolidata giurisprudenza costituzionale che,  specie  con  riguardo
alla materia dei condoni straordinari, ritiene ammissibili  strumenti
di sanatoria di passate irregolarita' o illegittimita' se l'obiettivo
e'  chiudere  con  un  «passato  illegale»  in  vista  di  una  nuova
disciplina della materia. Tale nuova disciplina  sarebbe  costituita,
nella specie, dall'emanazione delle linee guida ministeriali  del  10
settembre 2010, prima delle quali il contesto normativo si prestava a
differenti interpretazioni in ordine alla legittimita'  delle  misure
di compensazione meramente  patrimoniali  e  rispetto  al  quale  era
derivato  un  quadro   estremamente   variegato   circa   le   misure
ammissibili, come attestato  dall'esame  delle  singole  convenzioni.
Inoltre, secondo  la  difesa  del  Comune,  a  differenza  di  quanto
evidenziato nell'ordinanza di rimessione, rispetto  alle  pattuizioni
contenute nelle convenzioni stipulate prima della data del 3  ottobre
2010, in contrasto con le predette linee guida  nazionali,  la  norma
censurata avrebbe introdotto, dalla propria entrata in vigore  (ossia
dal 1° gennaio 2019), un obbligo di adeguamento di natura  giuridica,
con la  conseguente  possibilita'  per  gli  operatori  economici  di
richiedere, ove  necessario  anche  in  giudizio,  l'adempimento  del
relativo obbligo da parte  degli  enti  territoriali.  Sottolinea  il
Comune  che  la  violazione  del  canone  di  ragionevolezza  sarebbe
vieppiu' esclusa nella fattispecie in esame, in  cui  la  scelta  del
legislatore  tiene  conto  anche  dell'esigenza,   costituzionalmente
rilevante  ex  art.  81  Cost.  e  di  interesse  generale   per   la
funzionalizzazione ad assicurare cosi' i servizi prestati  in  favore
dei cittadini, di preservare dal dissesto gli enti territoriali  che,
nel contesto antecedente all'emanazione delle linee guida  del  2010,
avevano stipulato in buona fede le convenzioni. 
    Il Comune di Serracapriola contesta anche la asserita violazione,
da parte della norma censurata, dell'art. 24 Cost., stante la valenza
generale del precetto introdotto. 
    Quanto alla terza  censura  sollevata  dal  Consiglio  di  Stato,
l'ente ne deduce l'inammissibilita' laddove si riconduce al principio
della separazione dei poteri, che  sarebbe  estraneo  al  novero  dei
principi costituzionali, e la  non  fondatezza  rispetto  all'assunta
violazione del giusto processo, trattandosi di una norma  retroattiva
che non ha quale  finalita'  esclusiva  quella  di  «sterilizzare»  i
contenziosi pendenti. 
    Secondo la  difesa  del  Comune,  poi,  la  norma  censurata  non
violerebbe neppure l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  rispetto  agli
obblighi internazionali che sanciscono la  promozione  delle  energie
rinnovabili, poiche' l'autorizzazione, rilasciata dalle Regioni e non
dai Comuni, e' gratuita. Inoltre, la previsione per la quale, ai fini
dell'operativita' della stessa, le convenzioni dovevano essere  state
oggetto di libera pattuizione con gli  operatori  economici,  esclude
dal relativo ambito applicativo tutte le ipotesi nelle quali, in modo
surrettizio,  tale  principio  di  gratuita'  sia  stato  "aggirato".
Inoltre l'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 non  sarebbe
suscettibile di determinare per il futuro  un  disincentivo  rispetto
alla piena promozione delle energie rinnovabili andando  ad  incidere
solo sul passato. Per ragioni analoghe, il Comune di  Ordona  esclude
la violazione dell'art. 41 Cost. da parte della previsione censurata,
trattandosi di obblighi liberamente assunti dagli operatori economici
e riguardando la sanatoria il solo "passato". 
    1.3.- Con atto del 23 giugno 2020 e'  intervenuto  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, deducendo l'inammissibilita' ed in subordine la
non fondatezza delle questioni sollevate. 
    La difesa statale ha dedotto l'inammissibilita'  della  questione
per omessa motivazione sulla rilevanza, dalle  quali  si  evincerebbe
peraltro che quella sottesa all'ordinanza di rimessione e' una  litis
ficta volta a proporre in via principale  questione  di  legittimita'
costituzionale  della  disposizione   censurata   in   mancanza   dei
presupposti in presenza dei quali e' eccezionalmente possibile. 
    Nel merito l'Avvocatura generale dello  Stato  evidenzia  la  non
fondatezza delle censure afferenti l'art. 3 Cost., in  quanto,  anche
in  ragione  dell'espressa  possibilita'  per  gli  enti  locali   di
stipulare  convenzioni  contenenti  misure  di  compensazione  e   di
riequilibrio  ambientale  con  gli   operatori   economici   previste
dall'art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004,  n.  239  (Riordino
del settore energetico, nonche' delega al Governo  per  il  riassetto
delle  disposizioni   vigenti   in   materia   di   energia),   prima
dell'emanazione delle linee guida di cui al d.m. 10  settembre  2010,
non  era  chiaro  il  quadro  normativo  in   tema   di   misure   di
compensazione, al punto che, con la sentenza  n.  119  del  2010,  la
Corte costituzionale aveva ritenuto opportuno fornire una definizione
delle stesse. La difesa  dello  Stato  sottolinea,  inoltre,  la  non
fondatezza  anche  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
inerenti  la  pretesa  violazione,  da   parte   della   disposizione
censurata, dei principi della separazione dei  poteri  e  del  giusto
processo,   poiche'   la   giurisprudenza   costituzionale    ritiene
ammissibili leggi retroattive adeguatamente  giustificate  sul  piano
della ragionevolezza. Sotto quest'ultimo profilo, in particolare,  la
norma censurata non potrebbe ritenersi arbitraria, in quanto  fondata
sull'esigenza di evitare il dissesto di enti locali che avevano fatto
affidamento in buona fede sull'efficacia delle  convenzioni,  con  un
bilanciamento  adeguato  dei  rispettivi  interessi  da   parte   del
legislatore, tenuto conto che tali convenzioni sono  state  stipulate
liberamente dagli operatori economici. L'Avvocatura  generale  infine
evidenzia la non fondatezza delle ulteriori censure  poiche'  l'onere
derivante dalle misure  di  compensazione  patrimoniale,  proprio  in
quanto frutto di una  libera  decisione  delle  stesse  imprese,  non
potrebbe violarne la libera iniziativa ex art. 41 Cost., ne' incidere
sul principio di massima  diffusione  delle  energie  rinnovabili  di
matrice europea. 
    1.4.-  Con  atto  del  19  giugno  2020  ha  depositato  atto  di
intervento ad adiuvandum ai sensi dell'art. 4, comma 7,  delle  Norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte   costituzionale,
l'Associazione  nazionale  energia   del   vento   (ANEV)   chiedendo
dichiararsi in via preliminare lo stesso ammissibile, poiche',  quale
associazione di categoria del settore eolico che raccoglie tra i suoi
associati la maggior parte delle aziende del comparto, vanterebbe  un
interesse   specifico    alla    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale della norma censurata dal Consiglio di Stato. 
    1.5.- Con atti rispettivamente del 19 e del 23 giugno  2020  sono
state presentate opinioni  scritte,  quali  amici  curiae,  ai  sensi
dell'art. 4-ter delle Norme integrative per i  giudizi  davanti  alla
Corte costituzionale, ritenute ammissibili con separati  decreti,  da
parte della stessa ANEV e di ANCI Puglia -  Associazione  dei  Comuni
pugliesi. 
    1.6.- In data 19 gennaio 2021  le  societa'  Daunia  Wind  srl  e
Daunia Serracapriola srl hanno depositato memoria nella quale,  oltre
a  ribadire  quanto  osservato  nell'atto  di   costituzione,   hanno
replicato   all'eccezione   di   inammissibilita'   del   Comune   di
Serracapriola per difetto di rilevanza. 
    1.7.- In data 20 gennaio  2021  il  Comune  di  Serracapriola  ha
depositato  memoria  sottolineando,  oltre  a  quanto  gia'   dedotto
nell'atto di costituzione, la  ratio  ambientale  della  disposizione
censurata, in una fase di transizione dalle misure  di  compensazione
patrimoniale a quelle di compensazione ambientale. 
    1.8.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Presidente del Consiglio
dei ministri ha ribadito l'eccezione  di  manifesta  inammissibilita'
delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale   per   carente
motivazione sulla rilevanza e l'infondatezza delle stesse. 
    2.- Con ordinanza in data 27 gennaio 2020 (r.o. n. 57 del  2020),
il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato  questioni  incidentali  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, con  riferimento
ai medesimi parametri evocati nell'ordinanza iscritta al  n.  56  del
r.o. 2020. 
    In punto di fatto il Consiglio di Stato riferisce che  il  Comune
di Faeto e la societa' Daunia Wind srl stipulavano, in data 30 agosto
2007, una «convenzione per  la  realizzazione  di  un  parco  eolico»
mediante la quale la societa' assumeva l'onere di pagare al Comune un
corrispettivo annuo per le obbligazioni assunte  dall'amministrazione
e per la costituzione di diritti di servitu' e di ogni altro onere  o
disagio, denominato «canone di compensazione complessivo». 
    A  seguito  del  rilascio   da   parte   della   Regione   Puglia
dell'autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387  del  2003,  e
della messa in funzione dell'impianto, la societa' Daunia Wind srl  -
e poi la societa' Daunia Faeto  srl,  subentrata  nel  relativo  ramo
d'azienda -  ne  interrompevano  la  dazione  dal  2013  sull'assunto
dell'illegittimita' della relativa pattuizione. Le  predette  imprese
adivano quindi il  giudice  amministrativo  affinche'  accertasse  la
declaratoria di nullita' per contrarieta' a  norme  imperative  della
predetta convenzione nella misura in cui contemplava il pagamento  di
un corrispettivo economico per la mera localizzazione di un  impianto
eolico sul territorio comunale. 
    Nel corso del giudizio di primo grado era emanata la disposizione
censurata, la quale,  in  presenza  di  determinati  presupposti,  ha
"cristallizzato" l'efficacia degli accordi  bilaterali  in  questione
sottoscritti prima del 3  ottobre  2010.  In  virtu'  di  tale  norma
sopravvenuta, il TAR Puglia rigettava il ricorso. 
    Le societa' Daunia  Wind  srl  e  Daunia  Faeto  srl  proponevano
appello  al  Consiglio  di  Stato,  che  riteneva  rilevanti  e   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita'  costituzionale
della predetta norma, sotto molteplici profili. 
    In ordine alla rilevanza, il  giudice  a  quo  evidenzia  che  la
disposizione e' stata posta a fondamento della decisione  di  rigetto
della sentenza di primo grado e che non vi e' dubbio  che  la  stessa
operi con riguardo alla convenzione stipulata tra  le  parti  le  cui
misure hanno natura meramente patrimoniale. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  Consiglio  di  Stato
solleva  i  medesimi  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  propri
dell'ordinanza di rimessione in pari data iscritta al n. 56 del  r.o.
2020. 
    2.1.- In data 22 giugno 2020 si sono costituite  in  giudizio  le
societa' Daunia Wind srl e Daunia  Faeto  srl  spiegando,  a  propria
volta, difese analoghe a quelle della  medesima  Daunia  Wind  srl  e
della Daunia Serracapriola srl nel procedimento di cui  all'ordinanza
iscritta al n. 56 del r.o. 2020. 
    2.2.- In data 23 giugno 2020 si  e'  costituito  in  giudizio  il
Comune di Faeto  eccependo  l'inammissibilita'  della  questione  per
difetto di motivazione sulla rilevanza  e  la  non  fondatezza  della
stessa nel merito, con difese analoghe, sotto quest'ultimo aspetto, a
quelle spiegate dal Comune di Serracapriola nel procedimento  di  cui
all'ordinanza iscritta al n. 56 del r.o. 2020. 
    2.3.- Con atto del 23 giugno 2020 e'  intervenuto  il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, deducendo l'inammissibilita' ed in subordine la
non fondatezza delle questioni sollevate per le medesime  ragioni  di
cui all'atto di intervento in  pari  data  nel  procedimento  di  cui
all'ordinanza iscritta al n. 56 del r.o. 2020. 
    2.4.- Con atto del 19 giugno 2020 ha  depositato  anche  in  tale
procedimento atto di intervento ad adiuvandum l'ANEV. 
    2.5.- Con atti rispettivamente del 19 e del 23 giugno  2020  sono
state presentate, da parte  della  stessa  ANEV  e  di  ANCI  Puglia,
opinioni scritte, quali amici curiae, ai sensi dell'art. 4-ter  delle
Norme integrative, ritenute ammissibili con separati decreti. 
    2.6.- Con memoria del 19 gennaio 2021 le societa' Daunia Wind srl
e Daunia Faeto  srl  hanno  replicato  alle  eccezioni  pregiudiziali
formulate dalle altre parti e ribadito  le  proprie  conclusioni  nel
senso della fondatezza delle questioni  sollevate  dal  Consiglio  di
Stato. 
    2.7.- Con memoria del 20 gennaio  2021  il  Comune  di  Faeto  ha
replicato - con argomentazioni sovrapponibili a quelle del Comune  di
Serracapriola nel procedimento di cui all'ordinanza iscritta al n. 56
del r.o. 2020 - alle deduzioni delle altre parti. 
    2.8.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Presidente del Consiglio
dei ministri ha ribadito l'eccezione  di  manifesta  inammissibilita'
delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale   per   carente
motivazione sulla rilevanza e in ogni caso, nel merito, la  manifesta
infondatezza delle censure prospettate. 
    3.- Con ordinanza in data 27 gennaio 2020 (r.o. n. 58 del  2020),
il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato  questioni  incidentali  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, con  riferimento
ai medesimi parametri evocati nelle ordinanze di rimessione  iscritte
ai numeri 56 e 57 del r.o. 2020. 
    In punto di fatto il Consiglio di Stato riferisce che  il  Comune
di Ordona e la societa'  Eurowind  srl  stipulavano  una  convenzione
«regolante la  concessione  per  la  realizzazione  di  una  centrale
eolica»  nella  quale  la  societa'  assumeva  l'obbligo  di   pagare
all'amministrazione una somma una tantum e alcuni importi periodici. 
    A seguito del rilascio dell'autorizzazione unica e della messa in
esercizio dell'impianto, le societa' Eurowind srl e  Eurowind  Ordona
srl  (quale  soggetto  subentrato  nel   relativo   ramo   d'azienda)
interrompevano la corresponsione di tali importi. 
    Il Comune di Ordona ne richiedeva il pagamento con  ordinanze  di
ingiunzione impugnate dinanzi al TAR Puglia che, in accoglimento  del
ricorso,  annullava   le   stesse   assumendo   l'invalidita'   della
convenzione presupposta. 
    Il Comune di Ordona  proponeva  appello  al  Consiglio  di  Stato
deducendo l'illegittimita' della decisione impugnata e facendo a  tal
fine riferimento, nelle memorie  conclusive,  allo  ius  superveniens
retroattivo costituito dall'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del
2018. 
    Il giudice rimettente ha ritenuto rilevanti e non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale della  predetta
norma,  sotto  molteplici   parametri,   coincidenti,   anche   nelle
motivazioni sottese, a quelli delle ordinanze iscritte ai numeri 56 e
57 del r.o. 2020. 
    3.1.- In data 23 giugno 2020 si  e'  costituito  in  giudizio  il
Comune di Ordona chiedendo la declaratoria di inammissibilita'  delle
questioni per macroscopica lacunosita' della motivazione in punto  di
rilevanza e formulando, nel merito, deduzioni analoghe a quelle degli
altri enti territoriali nei giudizi di cui alle ordinanze iscritte ai
numeri 56 e 57 del r.o. 2020. 
    3.2.- Con atto del 23 giugno 2020 e' intervenuto in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale, deducendo l'inammissibilita' e in subordine
la non fondatezza delle questioni sollevate per le  medesime  ragioni
dedotte nei procedimenti di cui alle ordinanze di rimessione iscritte
ai numeri 56 e 57 del r.o. 2020. 
    3.3.- In data 19 giugno 2020 ha depositato atto di intervento  ad
adiuvandum ai sensi dell'art. 4, comma 7,  delle  Norme  integrative,
l'ANEV  chiedendo  dichiararsi   in   via   preliminare   lo   stesso
ammissibile, poiche', quale associazione  di  categoria  del  settore
eolico che raccoglie tra i suoi  associati  la  maggior  parte  delle
aziende  del  comparto,  vanterebbe  un  interesse   specifico   alla
declaratoria di illegittimita' costituzionale della  norma  censurata
dal Consiglio di Stato. 
    3.4.- Sono state inoltre presentate opinioni scritte, quali amici
curiae, ai sensi  dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte  costituzionale,  da  parte  della  stessa
ANEV, di ANCI Puglia e dell'Unione nazionale  comuni  comunita'  enti
montani (UNCEM), ritenute ammissibili con separati decreti. 
    3.5.- Con memoria del 20 gennaio 2021 la societa' Eurowind srl ha
replicato alle eccezioni di carenza di motivazione sulla rilevanza  e
ha  ribadito  le  motivazioni  a  sostegno  della  fondatezza   delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal  Consiglio  di
Stato. 
    3.6.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Comune di  Ordona  ha  a
propria volta replicato - con argomentazioni sovrapponibili a  quelle
spiegate dai Comuni di Serracapriola e di Faeto  rispettivamente  nei
procedimenti di cui alle ordinanze iscritte ai numeri 56 e n. 57  del
r.o. 2020 - alle deduzioni delle altre parti. 
    3.7.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Presidente del Consiglio
dei ministri ha ribadito l'eccezione  di  manifesta  inammissibilita'
delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale   per   carente
motivazione sulla rilevanza e  la  manifesta  infondatezza,  in  ogni
caso, nel merito, delle censure prospettate. 
    4.- Con ordinanza in data 27 dicembre 2019 (r.o. n. 59 del 2020),
il Consiglio di Stato in sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato  questioni  incidentali  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018, con  riferimento
ai medesimi parametri evocati nelle ordinanze di rimessione  iscritte
ai numeri 56, 57 e 58 del r.o. 2020. 
    In punto di fatto il Consiglio di Stato riferisce che  il  Comune
di Ordona e la societa' Inergia srl stipulavano  in  data  26  luglio
2006 una «convenzione regolante la concessione per  la  realizzazione
di una centrale eolica» nella quale la societa' assumeva l'obbligo di
pagare all'amministrazione una somma  una  tantum  e  alcuni  importi
periodici. 
    A seguito del rilascio dell'autorizzazione unica e della messa in
esercizio dell'impianto, la societa' Parco Eolico  Ordona  srl,  alla
quale la controllante Inergia srl aveva conferito il  ramo  d'azienda
contenente la centrale eolica, interrompeva la corresponsione di tali
importi. 
    Il Comune di Ordona ne richiedeva il pagamento con  ordinanza  di
ingiunzione impugnata dinanzi al TAR Puglia che, in accoglimento  del
ricorso,  annullava   le   stesse   assumendo   l'invalidita'   della
convenzione presupposta. 
    Il Comune di Ordona  proponeva  appello  al  Consiglio  di  Stato
deducendo l'illegittimita' della decisione impugnata e facendo a  tal
fine riferimento, nelle memorie  conclusive,  allo  ius  superveniens
retroattivo costituito dall'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del
2018. 
    Il giudice rimettente ha ritenuto rilevanti e non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale della  predetta
norma,  sotto  molteplici   parametri,   coincidenti,   anche   nelle
motivazioni sottese, a quelli delle ordinanze iscritte ai numeri  56,
57 e 58 del r.o. 2020. 
    4.1.- In data 19 giugno 2020 si  e'  costituita  in  giudizio  la
societa' Parco Eolico  Ordona  srl,  la  quale  ha  svolto  deduzioni
analoghe a quelle spiegate nel procedimento di cui  all'ordinanza  n.
58 del 2020. 
    4.2.- In data 19 giugno 2020 si  e'  costituita  l'ANEV  -  quale
associazione   intervenuta   nel   giudizio   a   quo   -   svolgendo
considerazioni  a  sostegno  della  declaratoria  di   illegittimita'
incostituzionale della disposizione censurata. 
    4.3.- In data 23 giugno 2020 si e' costituito il Comune di Ordona
chiedendo la declaratoria di inammissibilita' ed,  in  subordine,  di
non fondatezza delle questioni sollevate dal Consiglio di Stato,  con
le medesime  argomentazioni  sottese  all'atto  di  costituzione  del
medesimo ente territoriale  nel  procedimento  di  cui  all'ordinanza
iscritta al n. 58 del r.o. 2020. 
    4.4.- Con atto del 23 giugno 2020 e' intervenuto in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale,  deducendo   l'inammissibilita'   ed,   in
subordine, la non fondatezza delle questioni sollevate,  per  ragioni
analoghe a quelle degli atti di intervento nei giudizi  di  cui  alle
ordinanze iscritte ai numeri 56, 57 e 58 del r.o. 2020. 
    4.5.- Sono state inoltre presentate opinioni scritte, quali amici
curiae, ai sensi  dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, da parte di ANCI Puglia  e
dell'UNCEM, ritenute ammissibili con separati decreti. 
    4.6.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Comune di  Ordona  ha  a
propria volta replicato - con argomentazioni sovrapponibili a  quelle
gia' spiegate nel procedimento di cui all'ordinanza r.o.  n.  58  del
2020 - alle deduzioni delle altre parti. 
    4.7.- Con memoria del 20 gennaio 2021 il Presidente del Consiglio
dei ministri ha ribadito l'eccezione di manifesta inammissibilita'  e
infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con quattro  ordinanze  di  analogo  tenore,  rispettivamente
iscritte ai numeri 56, 57, 58 e 59 del relativo registro del 2020, il
Consiglio di  Stato  in  sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato  questioni  incidentali  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1,  comma  953,  della  legge  30  dicembre  2018,  n.  145
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e
bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in riferimento  agli
artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in relazione ai  principi  generali  della
materia della produzione  energetica  da  fonti  rinnovabili  sanciti
dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del  27  settembre  2001,  sulla  promozione  dell'energia
elettrica prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato
interno dell'elettricita' e 12 del decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita')  e  agli  obblighi
internazionali  sanciti  dagli  artt.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  e  1  del  Protocollo
addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il  20  marzo  1952,  nonche'
dell'art.  2  del  Protocollo  di   Kyoto   dell'11   dicembre   1997
(Convenzione sui cambiamenti climatici), ratificato e reso  esecutivo
con legge 1° giugno 2002, n. 120. 
    Il  Consiglio  di   Stato   dubita,   in   primo   luogo,   della
compatibilita' della disposizione con il principio di ragionevolezza,
poiche', eccedendo dalle esigenze connesse all'obiettivo legittimo di
adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative  di
carattere meramente patrimoniale alle linee guida approvate con  d.m.
del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il  successivo  3  ottobre
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da  fonti
rinnovabili), dispone per il passato la  sanatoria  generalizzata  di
accordi contrari alle stesse. Tale irragionevolezza si  correlerebbe,
vieppiu', alla circostanza che  la  norma  non  contempla  ipso  iure
l'inefficacia, neppure per il periodo successivo alla propria entrata
in vigore, di tali convenzioni, ne' prevede alcun  termine  entro  il
quale le stesse devono essere riviste dalle parti. 
    Il Collegio rimettente  assume  inoltre  un  possibile  contrasto
dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del  2018  con  l'art.  24
Cost., poiche' vanificherebbe gli effetti di un'azione di impugnativa
per nullita'  di  clausole,  come  quelle  che  prevedono  misure  di
compensazione meramente patrimoniale, contrarie a norme imperative  e
prive di causa. 
    Il giudice a quo  solleva,  altresi',  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata  rispetto  ai  principi
della separazione dei poteri (in riferimento agli artt. 3,  97,  101,
102 e 113 Cost.) e del giusto processo, sancito, quest'ultimo,  dagli
artt. 111 Cost. e 6 CEDU (quale norma interposta ex art.  117,  primo
comma, Cost.). 
    L'incompatibilita' con tali parametri deriverebbe  dall'incidenza
della norma su processi in corso, idonea a determinarne la decisione,
in  assenza,  peraltro,  di  contrasti  giurisprudenziali  in  ordine
all'invalidita' delle  convenzioni,  stipulate  dagli  operatori  del
settore eolico con i Comuni, prevedenti misure  di  compensazione  di
natura esclusivamente patrimoniale. 
    Il Consiglio di Stato ravvisa poi una potenziale incompatibilita'
della disposizione censurata  con  il  principio  della  liberta'  di
iniziativa economica sancito dall'art. 41 Cost., nella misura in cui,
sostanzialmente, tramuta  una  libera  attivita'  di  impresa  in  un
rapporto concessorio e costituisce, preservando sino  alla  revisione
l'efficacia  di  tali  accordi,  un   disincentivo   economico   alla
continuazione dell'attivita' per l'intero ciclo degli impianti. Sotto
quest'ultimo profilo, il  Collegio  ritiene  che  la  norma  potrebbe
violare l'art. 117, primo comma, Cost., anche in relazione all'art. l
Prot. addiz. CEDU, perche'  comporta,  in  modo  imprevedibile  e  in
violazione dei principi di legalita' e proporzionalita', una  lesione
del diritto di proprieta', ossia della  legittima  aspettativa  degli
operatori economici a ottenere la restituzione degli importi  versati
in esecuzione di accordi invalidi. 
    La norma censurata  potrebbe,  secondo  il  Collegio  rimettente,
violare l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  anche  in  relazione  agli
obblighi assunti sul piano internazionale ed europeo  ai  fini  della
massima diffusione delle energie rinnovabili, che sarebbe compromessa
dall'incidenza  di  queste   convenzioni   sul   procedimento   volto
all'emanazione del provvedimento di autorizzazione. 
    2.- I  giudizi  devono  essere  riuniti  in  ragione  della  loro
connessione oggettiva, per essere trattati  congiuntamente  e  decisi
con un'unica pronuncia. 
    3.- In via preliminare va rilevato che  l'Associazione  nazionale
energia del vento (ANEV), che e' ritualmente costituita nel  giudizio
di cui alla ordinanza iscritta al n. 59 del r.o. 2020, in quanto gia'
parte nel giudizio a quo, ha anche depositato, negli  altri  giudizi,
atto di intervento ad adiuvandum, quale associazione senza  scopo  di
lucro alla quale sono iscritte la maggior  parte  delle  imprese  del
settore delle energie rinnovabili. 
    L'intervento e' inammissibile. 
    Infatti l'art. 4, comma 7, delle Norme integrative per i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale stabilisce che  «[n]ei  giudizi  in
via incidentale  possono  intervenire  i  titolari  di  un  interesse
qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto
in giudizio». Tale disposizione recepisce la costante  giurisprudenza
di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 98 del 2019 e  n.  237  del
2013; ordinanze allegate alle sentenze n. 16  del  2017,  n.  82  del
2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291  del
2001), secondo cui  la  partecipazione  al  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del
giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e,
nel caso di legge regionale, al  Presidente  della  Giunta  regionale
(artt. 3 e 4 delle Norme integrative). In questo ambito,  e'  ammesso
l'intervento soltanto di soggetti terzi  che  siano  titolari  di  un
interesse   qualificato,   immediatamente   inerente   al    rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari
di ogni altro, dalla norma oggetto di censura (sentenze  n.  158  del
2020 con allegata ordinanza letta all'udienza del 10 giugno 2020,  n.
119 del 2020, n. 30 del 2020 con allegata ordinanza letta all'udienza
del 15 gennaio 2020, n. 253 del 2019  con  allegata  ordinanza  letta
all'udienza del 22  ottobre  2019,  n.  206  del  2019  con  allegata
ordinanza letta all'udienza del 4 giugno 2019, n. 173  del  2019  con
allegata ordinanza letta all'udienza del 18 giugno 2019;  n.  98  del
2019 e n. 180 del 2018; ordinanze n. 202 del 2020 e n. 204 del 2019).
In sostanza l'intervento e'  ammissibile  solo  nell'ipotesi  in  cui
l'incidenza  sulla  posizione   soggettiva   dell'interveniente   sia
conseguenza immediata e diretta dell'effetto che la  pronuncia  della
Corte costituzionale produce sul  rapporto  sostanziale  oggetto  del
giudizio a quo (ex multis, sentenze n. 98  del  2019  e  n.  345  del
2005). 
    Alla luce di quanto  premesso,  l'ANEV  non  vanta  un  interesse
qualificato  che  consente  l'intervento  di   terzi   nel   giudizio
incidentale davanti alla  Corte,  interesse  che,  come  evidenziato,
sussiste  solo  allorche'  si  configuri  una  «posizione   giuridica
suscettibile    di    essere    pregiudicata     immediatamente     e
irrimediabilmente dall'esito del giudizio incidentale»  (sentenze  n.
159 del  2019  e  n.  194  del  2018  con  allegata  ordinanza  letta
all'udienza del 25 settembre 2018; ordinanza n. 271 del 2020)  e  non
anche, come nel caso dell'ANEV, ove il terzo sia  portatore  di  meri
indiretti,  e  piu'  generali,  interessi,  connessi  ai  suoi  scopi
statutari. 
    4.- In via pregiudiziale occorre innanzi tutto  rilevare  che  il
pacifico  giudicato  implicito  sulla   giurisdizione   del   giudice
amministrativo fuga ogni possibile dubbio che potrebbe derivare dalla
giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di  cassazione  (Corte
di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza  12  giugno  2015,  n.
12177), la quale ha ritenuto che appartenga  alla  giurisdizione  del
giudice ordinario la  controversia  avente  ad  oggetto  l'azione  di
nullita' di una convenzione tra un operatore del settore dell'energia
eolica e un Comune, concernente l'assegnazione di aree  comunali  per
l'installazione di impianti eolici. 
    Nei distinti giudizi a quibus innanzi al Tribunale amministrativo
regionale  per  la  Puglia  la  giurisdizione   e'   stata   ancorata
all'assimilabilita' delle convenzioni  in  discussione  agli  accordi
procedimentali di cui all'art. 12 della legge 7 agosto 1990,  n.  241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e  di  diritto
di accesso ai documenti amministrativi), soggette, ai sensi dell'art.
133, primo comma, lettera a), numero 2), del  decreto  legislativo  2
luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo  44  della  legge  18
giugno 2009, n. 69, recante delega al governo  per  il  riordino  del
processo amministrativo), alla giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo. 
    In mancanza di impugnazione sul punto trova applicazione l'art. 9
del d.lgs. n. 104 del 2010,  per  cui  non  si  puo'  piu'  porre  in
discussione la giurisdizione del giudice amministrativo quando si  e'
formato il giudicato, anche implicito, sulla questione. 
    Correttamente, pertanto, il Consiglio di Stato, in nessuna  delle
quattro ordinanze di rimessione prende  in  esame  il  profilo  della
giurisdizione. 
    5.- Sotto un diverso aspetto, l'Avvocatura generale  dello  Stato
ha   dedotto,   con   riferimento    a    tutti    i    procedimenti,
l'inammissibilita'  della  questione  per  omessa  motivazione  sulla
rilevanza, dalla quale si  evincerebbe  la  lis  ficta  sottesa  alle
ordinanze di rimessione, che sarebbero  in  via  principale  volte  a
proporre le sollevate questioni di legittimita' costituzionale  della
disposizione censurata. 
    L'eccezione non e' fondata, poiche' le controversie  nelle  quali
si e' innestato  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale  hanno
origine in un effettivo contenzioso tra operatori economici e  Comuni
sulla validita' degli accordi stipulati prima del 3 ottobre  2010  e,
di  qui,  sulla  sussistenza  delle  obbligazioni  economiche   degli
operatori del settore delle energie  rinnovabili  in  relazione  alla
costruzione di impianti di  produzione  di  energia  rinnovabile  sul
territorio di questi. 
    Ne', peraltro, viene in rilievo  un  difetto  di  incidentalita',
atteso che il relativo requisito e' integrato  quando  -  come  nelle
fattispecie considerate  -  la  questione  investe  una  disposizione
avente forza di legge che il rimettente deve applicare come passaggio
obbligato ai fini della risoluzione della  controversia  oggetto  del
processo principale (tra le piu' recenti, sentenze n. 224  e  n.  188
del 2020). 
    6.- Sia il Comune di Ordona che il Presidente del  Consiglio  dei
ministri hanno dedotto l'inammissibilita' delle  questioni  sollevate
dal Consiglio di Stato con le ordinanze iscritte ai numeri  58  e  59
del r.o. 2020 per carente motivazione sulla rilevanza. 
    Tale eccezione,  con  riferimento  a  queste  due  ordinanze,  e'
fondata, mentre - puo'  aggiungersi  stante  l'evidente  parallelismo
delle quattro ordinanze di rimessione - sono  invece  ammissibili  le
questioni sollevate dalle ordinanze iscritte ai numeri 56  e  57  del
r.o. 2020. 
    6.1.-  Pur  essendo  analoghe  le   censure   di   illegittimita'
costituzionale  che  il  Consiglio  di  Stato  muove  nelle   quattro
ordinanze di rimessione, occorre distinguere in quanto  i  giudizi  a
quibus sono diversi, come mostra, se non altro,  la  circostanza  che
nei primi due (ordinanze iscritte ai numeri 56 e 57  del  r.o.  2020)
appellanti sono gli operatori del settore eolico e resistente  e'  il
Comune, vittorioso  in  primo  grado.  All'opposto  negli  altri  due
giudizi (ordinanze  iscritte  ai  numeri  58  e  59  del  r.o.  2020)
appellante e' il Comune e resistenti sono  i  produttori  di  energia
eolica, vittoriosi in primo grado. 
    6.2.- Nei primi due giudizi la disposizione censurata sopravviene
nel corso del giudizio di primo grado  e  quindi  il  TAR  Puglia  si
diffonde in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti di fatto
per la sua  applicabilita'.  In  particolare  ritiene,  motivando  in
proposito, sia l'esistenza di un accordo tale da potersi  qualificare
come «liberamente pattuito» dagli operatori del settore con gli  enti
locali, sia la iscrizione  dei  relativi  proventi  nei  bilanci  dei
Comuni, cosi' come richiede la norma sopravvenuta. 
    All'esito   di   questa   valutazione   il   TAR   conclude   per
l'applicabilita' di tale ius superveniens su cui fonda  la  pronuncia
di rigetto dell'impugnativa di nullita' della convenzione, non  senza
aver preliminarmente dichiarato,  a  seguito  di  eccezione  proposta
dalla  difesa  dei  ricorrenti,  la  manifesta   infondatezza   delle
questioni di legittimita' costituzionale della norma sopravvenuta. 
    La stessa  eccezione  e'  stata  riproposta  in  grado  d'appello
innanzi al Consiglio di Stato, il quale, invece, l'ha accolta,  cosi'
sollevando le relative questioni di legittimita' costituzionale. 
    Per la rilevanza di  tali  questioni  e'  allora  sufficiente  la
considerazione, che fa il Consiglio di Stato, secondo cui  ad  essere
investita del dubbio di legittimita'  costituzionale  e'  proprio  la
norma applicata dal TAR per pervenire alla pronuncia di  rigetto  del
ricorso introduttivo del giudizio. 
    Se la norma fosse dichiarata  costituzionalmente  illegittima  la
pronuncia del  TAR  dovrebbe  essere  necessariamente,  almeno  sotto
questo profilo, riformata. 
    Tanto basta per  ritenere  motivata  la  rilevanza  e  assicurata
l'ammissibilita' delle questioni sollevate. 
    6.3.- Negli altri  due  giudizi  invece  la  norma  censurata  e'
sopravvenuta non gia' in primo  grado,  ma  nel  corso  del  giudizio
d'appello  avverso  pronunce  del  TAR,  favorevoli  agli   operatori
resistenti,   entrambe   precedenti   l'entrata   in   vigore   della
disposizione censurata. 
    Ed allora l'onere  motivazionale,  quanto  alla  rilevanza  della
questione, era diverso, e in realta' maggiore, per  il  Consiglio  di
Stato, il quale avrebbe dovuto argomentare in  ordine  alla  ritenuta
applicabilita', nel caso di specie, dello  ius  superveniens,  quanto
sia  alla  riconducibilita'  della   singola   convenzione,   oggetto
dell'azione di nullita'  esercitata  in  giudizio,  alla  fattispecie
dell'accordo «liberamente pattuito» dagli operatori del  settore  con
gli  enti  locali,  sia  alla  iscrizione  dei   relativi   proventi,
corrisposti o dovuti, nei bilanci  del  Comune  resistente  in  primo
grado. 
    Invece il Consiglio di Stato nelle ordinanze iscritte  ai  numeri
58 e 59 del r.o. 2020, pur dando conto  in  narrativa  della  vicenda
processuale di primo grado, alla quale pero' era  stata  estranea  la
disposizione censurata non ancora sopravvenuta, ha poi  osservato,  a
fondamento  della  ritenuta  rilevanza  delle   sollevate   questioni
incidentali di legittimita' costituzionale, che tale disposizione era
stata  richiamata  dall'amministrazione  comunale  nel  suo  atto  di
appello  a  sostegno  della  propria  impugnazione  per   contrastare
l'azione di nullita' proposta dall'originaria ricorrente  ed  accolta
in primo grado. 
    Ma  questa  deduzione  della  parte   appellante   nell'atto   di
impugnazione non esonerava  il  Consiglio  di  Stato  rimettente  dal
motivare in  ordine  alla  ritenuta  sussistenza,  in  concreto,  dei
presupposti che avrebbero reso  applicabile  nel  giudizio  d'appello
tale norma, non  conosciuta,  ne'  tanto  meno  applicata,  dal  TAR,
perche' sopravvenuta solo dopo la sentenza di primo grado. 
    Tale onere motivazionale e' vieppiu' sussistente con riferimento,
in particolare, all'ordinanza iscritta al n. 58  del  r.o.  2020.  La
vicenda versata  in  quel  giudizio,  come  risulta  dalla  narrativa
dell'ordinanza, era del tutto peculiare perche'  le  convenzioni  che
venivano in rilievo erano due:  una  stipulata  direttamente  tra  la
societa' del settore eolico e il Comune per  «concessione  di  area»,
oggetto dell'azione di annullamento, e un'altra successiva, pattuita,
in seno  alla  conferenza  dei  servizi  in  occasione  del  rilascio
dell'autorizzazione unica, tra Regione, Comune e societa'. Il TAR  ha
considerato questa sequenza delle  due  convenzioni  e  -  dopo  aver
escluso che la prima potesse qualificarsi come  concessione  di  area
del Comune - e' pervenuto alla conclusione  che  la  prima  fosse  in
realta'  una  convenzione  spuria,  non  prevista  dalla  legge,  non
sussistendo un potere autorizzatorio in capo all'ente comunale  fuori
e prima della conferenza dei servizi. 
    In tal caso maggiormente sarebbe stata necessaria  una  specifica
motivazione in  ordine  alla  riconducibilita'  di  questa  singolare
vicenda alla fattispecie regolata dalla disposizione censurata. 
    Sono quindi inammissibili le questioni sollevate dal Consiglio di
Stato con le ordinanze rubricate ai nn. 58 e 59 del registro generale
dell'anno 2020. 
    7.- Il Comune di Serracapriola ha eccepito, poi,  il  difetto  di
rilevanza delle  questioni  sollevate  dal  Consiglio  di  Stato  nel
procedimento di cui all'ordinanza iscritta al n. 56 del r.o. 2020, in
quanto  la  convenzione  stipulata  dall'ente  territoriale  con   la
societa' Daunia Wind srl, come si  desumerebbe  dal  contenuto  della
stessa, atterrebbe alla concessione dell'area di proprieta' dell'ente
territoriale   per   la   realizzazione   dell'impianto   da    parte
dell'operatore economico e, quindi, il corrispettivo previsto sarebbe
un canone di concessione della predetta area ed esulerebbe dal novero
delle  misure  di  compensazione  per  le  quali  viene  in   rilievo
l'applicazione della norma censurata. 
    A propria volta, con memoria del 19 gennaio 2021, le parti  hanno
replicato a tale eccezione evidenziando che,  in  realta',  il  Parco
eolico e' collocato, come  contestualmente  documentato  mediante  la
produzione dei contratti di affitto  e  delle  visure  catastali,  su
suoli privati, mentre le aree delle quali il Comune  ha  concesso  la
disponibilita', indicate in convenzione, sarebbero solo alcune strade
pubbliche, rimaste a servizio della collettivita', sulle  quali  sono
stati realizzati alcuni tratti del cavidotto interrato a servizio del
Parco eolico. La convenzione avrebbe  quindi  ad  oggetto  misure  di
compensazione meramente patrimoniali e non  gia'  la  concessione  di
aree pubbliche, con conseguente rilevanza delle questioni sollevate. 
    L'eccezione del Comune non e' fondata, poiche' risulta dall'esame
della copiosa documentazione, prodotta dalla Daunia Wind srl e  dalla
Daunia Serracapriola srl in allegato  alla  predetta  memoria  e  non
contestata dal Comune, che, effettivamente, le aree sulle quali  sono
installati gli aereogeneratori  sono  di  proprieta'  privata  e  non
comunale. 
    Pertanto deve ritenersi che gli obblighi economici a carico degli
operatori versati  nella  convenzione  con  l'ente  locale  integrino
essenzialmente misure di compensazione  e  quindi,  potendo  in  tesi
ricadere nell'ambito di applicazione  della  disposizione  censurata,
sono rilevanti - e  anche  sotto  questo  profilo  ammissibili  -  le
questioni di legittimita' costituzionale sollevate. 
    8.- Passando  al  merito  delle  questioni,  e'  opportuno  prima
ricostruire sommariamente il comune quadro normativo  di  riferimento
nel quale si  collocano  i  giudizi  di  legittimita'  costituzionale
promossi, con le ordinanze iscritte ai numeri 56 e 57 del r.o.  2020,
dal Consiglio di Stato. 
    Su un piano generale, giova  ricordare  che,  come  e'  stato  di
recente  sottolineato  da  questa   Corte,   le   fonti   energetiche
rinnovabili (FER), definite talvolta alternative, sono  quelle  forme
di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non
sono «esauribili» nella scala dei tempi «umani» e, per estensione, il
cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali  per  le  generazioni
future (sentenza n. 237 del 2020). 
    La normativa internazionale (Protocollo di Kyoto addizionale alla
Convenzione-quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici,
adottato l'11 dicembre 1997, ratificato e reso esecutivo con legge 1°
giugno 2002, n. 120 e  Statuto  dell'Agenzia  internazionale  per  le
energie  rinnovabili  IRENA,  fatto  a  Bonn  il  26  gennaio   2009,
ratificato e reso esecutivo con legge 5 aprile 2012, n. 48) e  quella
comunitaria manifestano un deciso  favor  per  le  fonti  energetiche
rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili
(sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012). 
    Il preminente rilievo  del  principio  della  massima  diffusione
delle energie rinnovabili, comporta, come piu' volte  evidenziato  da
questa   Corte,   un'esigenza   di   semplificazione   dei   relativi
procedimenti autorizzatori (sentenze n. 237  del  2020,  n.  148  del
2019, n. 177 del 2018 e n. 275 del 2012). 
    L'art. 12  del  d.lgs.  n.  387  del  2003  individua  le  regole
fondamentali  per  la  concessione  dell'autorizzazione   unica   per
l'esercizio  di  impianti  di  produzione  di  energie   rinnovabili,
demandandone la specificazione alle linee guida  del  Ministro  dello
sviluppo economico. 
    Tale previsione e' funzionale al raggiungimento  degli  obiettivi
di massima diffusione delle  fonti  energetiche  rinnovabili  sancito
dalla normativa europea. Questa, da un lato, esige che  la  procedura
amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione  e  rapidita'  -
esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione  unica  -  e,
dall'altro, richiede che in tale contesto  confluiscano,  per  essere
ponderati, gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale,
nel  caso  di  impianti   energetici   da   fonte   eolica,   quello,
potenzialmente  confliggente,  della  tutela  del  territorio   nella
dimensione paesaggistica (sentenza n. 177 del 2018). 
    Il provvedimento di autorizzazione e' adottato dalla  Regione  (o
dalla Provincia delegata) e, secondo quanto previsto dal comma 6  del
predetto art. 12, non puo' essere subordinato ne' contemplare  misure
compensative a favore della Regione o della Provincia. 
    Peraltro l'art. 1, comma 5, della legge 23 agosto  2004,  n.  239
(Riordino del settore energetico, nonche' delega al  Governo  per  il
riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia),  prevede
che «[l]e regioni, gli enti pubblici territoriali e gli  enti  locali
territorialmente   interessati   dalla   localizzazione   di    nuove
infrastrutture energetiche ovvero dal potenziamento o  trasformazione
di infrastrutture esistenti hanno diritto di stipulare accordi con  i
soggetti  proponenti  che  individuino  misure  di  compensazione   e
riequilibrio ambientale,  coerenti  con  gli  obiettivi  generali  di
politica energetica nazionale». 
    Quest'ultima disposizione non era  in  origine  applicabile  agli
impianti alimentati da fonti rinnovabili (art. 1,  comma  4,  lettera
f): tuttavia tale esclusione  e'  stata  ritenuta  costituzionalmente
illegittima da questa Corte, poiche'  la  stessa  si  risolve  «nella
imposizione al legislatore regionale di un  divieto  di  prendere  in
considerazione una serie di differenziati impianti, infrastrutture ed
attivita' per la produzione energetica, ai fini di valutare  il  loro
impatto sull'ambiente e sul territorio regionale  (che,  in  caso  di
loro concentrazione sul territorio, puo' anche essere  considerevole)
solo  perche'  alimentati  da  fonti  energetiche  rinnovabili.  Tale
disposizione eccede il  potere  statale  di  determinare  soltanto  i
principi  fondamentali  della  materia,  ai  sensi  del  terzo  comma
dell'art. 117  Cost.,  determinando  una  irragionevole  compressione
della potesta' regionale di apprezzamento dell'impatto che tali opere
possono  avere  sul   proprio   territorio,   in   quanto   individua
puntualmente ed in modo analitico una categoria di fonti  di  energia
rispetto alle quali sarebbe preclusa ogni valutazione da parte  delle
Regioni   in   sede   di   esercizio   delle    proprie    competenze
costituzionalmente garantite» (sentenza n. 383 del 2005). 
    Successivamente il Ministro dello sviluppo economico ha  adottato
il d.m. 10 settembre 2010, il cui Allegato 2 ha  indicato  i  criteri
per la fissazione delle misure di compensazione. 
    Sul piano procedimentale, le Linee guida di  tale  decreto  hanno
stabilito  che  eventuali  misure  di  compensazione  devono   essere
definite nell'ambito della conferenza di servizi,  sentiti  i  Comuni
interessati, i quali, pertanto, non possono concordarle autonomamente
con  gli  operatori  economici,  ma   devono   farlo   nel   contesto
procedimentale  finalizzato  all'emanazione  del   provvedimento   di
autorizzazione unica. 
    Inoltre, quanto ai presupposti e al  contenuto  delle  misure  di
compensazione, le stesse Linee guida hanno previsto -  per  quel  che
rileva maggiormente in questa sede - che «a) non da' luogo  a  misure
compensative, in modo automatico, la semplice circostanza  che  venga
realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili,
a prescindere da ogni  considerazione  sulle  sue  caratteristiche  e
dimensioni  e  dal  suo  impatto  sull'ambiente;  b)  le  "misure  di
compensazione e  di  riequilibrio  ambientale  e  territoriale"  sono
determinate  in  riferimento  a   "concentrazioni   territoriali   di
attivita',   impianti   ed   infrastrutture   ad   elevato    impatto
territoriale", con specifico riguardo alle opere in questione; c)  le
misure compensative  devono  essere  concrete  e  realistiche,  cioe'
determinate   tenendo   conto   delle   specifiche    caratteristiche
dell'impianto e del suo specifico impatto ambientale e  territoriale;
d) [...] le misure compensative sono solo  "eventuali",  e  correlate
alla circostanza che  esigenze  connesse  agli  indirizzi  strategici
nazionali  richiedano  concentrazioni  territoriali   di   attivita',
impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale; e) possono
essere  imposte  misure  compensative  di  carattere   ambientale   e
territoriale e  non  meramente  patrimoniali  o  economiche  solo  se
ricorrono tutti i presupposti indicati [...]». Inoltre, soggiunge  la
lettera h),  «le  eventuali  misure  di  compensazione  ambientale  e
territoriale definite nel rispetto dei criteri di  cui  alle  lettere
precedenti non possono comunque essere superiore al 3 per  cento  dei
proventi,  comprensivi  degli  incentivi  vigenti,  derivanti   dalla
valorizzazione   dell'energia    elettrica    prodotta    annualmente
dall'impianto». 
    In proposito questa Corte ha chiarito che  i  regimi  abilitativi
degli impianti per la produzione di energia rinnovabile sono regolati
dalle Linee guida di cui al  d.m.  10  settembre  2010,  adottate  in
attuazione del comma 10 dell'art. 12 del d.lgs. n. 387  del  2003,  e
richiamate nel decreto legislativo 3 marzo 2011,  n.  28  (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia  da
fonti rinnovabili, recante modifica e  successiva  abrogazione  delle
direttive 2001/77/CE e  2003/30/CE),  ossia  da  atti  di  normazione
secondaria, che costituiscono, in settori squisitamente  tecnici,  il
completamento della normativa primaria. Pertanto  essi  rappresentano
un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede  e  che
ad essi affida il compito di individuare le specifiche  tecniche  che
mal si conciliano con il contenuto  di  un  atto  legislativo  e  che
necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale
(sentenze n. 69 del 2018  e  n.  99  del  2012)  ed  hanno  carattere
vincolante (sentenza n. 106 del 2020). 
    9.- Tutto cio' premesso, va  innanzi  tutto  esaminata  la  prima
censura, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. sotto  il  profilo
del dedotto  difetto  di  ragionevolezza,  giacche'  la  disposizione
censurata prevederebbe, per il passato, la sanatoria generalizzata di
accordi contrari alle Linee guida del 2010; censura che e' quella  di
maggiore pregnanza e che condiziona, a cascata, anche  l'esame  delle
altre. 
    10.- La questione non e' fondata. 
    Nel contesto normativo, appena descritto, la possibilita'  per  i
Comuni di stipulare  convenzioni  con  gli  operatori  economici  del
settore delle fonti energetiche rinnovabili  contemplanti  misure  di
compensazione non era esclusa dall'art. 12, comma 6,  del  d.lgs.  n.
387 del 2003, che, nel prevedere  l'autorizzazione  all'installazione
degli  impianti,  riguardava  le   Regioni,   titolari   del   potere
autorizzatorio, nonche' le Province che potevano provvedere su delega
delle Regioni. Infatti era disposto che l'autorizzazione non  potesse
essere subordinata a  «misure  di  compensazione»,  ne'  essa  poteva
prevederle  a  favore  dell'ente  che  rilasciava   l'autorizzazione,
appunto la Regione o la Provincia. 
    Sotto il profilo soggettivo il successivo art. 1, comma 5,  della
legge n. 239 del 2004, in  sede  di  generale  riordino  del  settore
energetico, ha  poi  chiarito  che  le  Regioni  e  gli  enti  locali
territorialmente interessati dalla localizzazione di infrastrutture -
e quindi anche i  Comuni  -  comunque  «hanno  diritto  di  stipulare
accordi  con  i  soggetti  proponenti  che  individuino   misure   di
compensazione  e  riequilibrio  ambientale»,  fermo  restando  -   ha
precisato  e  ribadito  la  disposizione   -   che   l'autorizzazione
continuava a non poter essere subordinata a misure di  compensazione,
ne'   poteva   prevederle   a   favore   dell'ente   che   rilasciava
l'autorizzazione. 
    Successivamente,  l'art.  38,  comma  10,  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,
la realizzazione  delle  opere  pubbliche,  la  digitalizzazione  del
Paese,  la  semplificazione  burocratica,  l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n.  164,
ha aggiunto, tra gli enti che hanno diritto a stipulare accordi con i
soggetti proponenti, anche  gli  enti  pubblici  territoriali,  cosi'
peraltro confermando, pur dopo le  sopra  indicate  Linee  guida  del
2010,  la  possibilita'  di  accordi  aventi  ad  oggetto  misure  di
compensazione e riequilibrio ambientale. 
    Sotto il profilo oggettivo lo stesso art. 1, comma 4, lettera f),
della legge n. 239 del 2004 ha stabilito che lo Stato  e  le  Regioni
possono prevedere - nel garantire l'adeguato equilibrio  territoriale
nella localizzazione delle  infrastrutture  energetiche,  nei  limiti
consentiti dalle caratteristiche fisiche e geografiche delle  singole
Regioni  -  eventuali  misure  di  compensazione  e  di  riequilibrio
ambientale e territoriale qualora esigenze  connesse  agli  indirizzi
strategici  nazionali  richiedano  concentrazioni   territoriali   di
attivita', impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale. 
    Si e' gia' ricordato che  l'iniziale  esclusione  degli  impianti
alimentati da fonti rinnovabili da queste misure di  compensazione  e
di riequilibrio ambientale - che originariamente comportava l'esonero
degli operatori del settore dall'onere economico di  tali  misure  in
un'ottica di accentuato favore per questi ultimi, pur essendo  talora
di tutta evidenza l'«elevato impatto  territoriale»,  come  nel  caso
delle  pale  eoliche,  sul  paesaggio,  sulla  fauna  e  in  generale
sull'ambiente - e' venuta  meno  a  seguito  della  sopra  menzionata
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  di  tale  esclusione
(sentenza n. 383 del 2005). 
    La giurisprudenza amministrativa ha poi chiarito che,  in  questo
contesto normativo, e'  incompatibile  un  procedimento  di  gara  ad
evidenza pubblica o di  tipo  concessorio,  essendo  il  procedimento
esclusivamente autorizzatorio (Consiglio di Stato, parere n. 9849 del
14 ottobre 2008) e che illegittima e' la  previsione  unilaterale  di
misure compensative da parte di Comuni in delibere di Giunta  recanti
il  disciplinare  dell'attivita'  di   gestione   di   areogeneratori
(Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione  staccata
di Bari, sentenza 1° aprile 2008, n. 709; sezione staccata di  Lecce,
sez. I, sentenza 29  gennaio  2008,  n.  118);  sono  state  ritenute
illegittime anche  una  convenzione  non  seguita  poi  dal  rilascio
dell'autorizzazione unica (TAR Puglia, sezione distaccata  di  Lecce,
sentenza 7 giugno 2013, n. 1361) ovvero superata  da  una  successiva
convenzione in sede di conferenza di  servizi  (TAR  Puglia,  sezione
distaccata di Bari, sentenza 24 maggio 2018, n. 737). 
    11.-  In  sostanza  vi  era  quindi  un  duplice  piano:   quello
dell'autorizzazione  che  non  tollerava  la  previsione  di   misure
compensative; quello degli accordi tra  operatori  ed  enti  pubblici
territoriali che invece tali misure compensative potevano prevedere. 
    Questo duplice piano emerge chiaramente anche da due pronunce  di
questa Corte, quasi coeve (sentenze n. 119 e n. 124 del 2010), quanto
alle misure di compensazione. 
    La prima pronuncia ha avuto ad oggetto una  disposizione  di  una
legge della Regione Puglia che  autorizzava  la  Giunta  regionale  a
stipulare accordi nei quali, a compensazione di riduzioni programmate
delle emissioni da parte degli operatori industriali, era previsto il
rilascio di  autorizzazioni  per  l'installazione  e  l'esercizio  di
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili  ovvero  altre
misure di riequilibrio ambientale. La Corte ha ritenuto  non  fondate
le censure mosse dal Governo  ricorrente  confermando  che  «[d]evono
[...]  ritenersi  ammessi  gli  accordi  che  contemplino  misure  di
compensazione  e  riequilibrio  ambientale»  e  che  «per  misure  di
compensazione s'intende, in genere, una monetizzazione degli  effetti
deteriori che  l'impatto  ambientale  determina».  Cio'  che  non  e'
consentito e' «l'imposizione di corrispettivo (le  cosiddette  misure
di compensazione patrimoniale) quale condizione per  il  rilascio  di
titoli abilitativi per l'installazione e l'esercizio di  impianti  da
energie rinnovabili». 
    Questo condizionamento, vietato dall'art. 12 del  d.lgs.  n.  387
del 2003, in attuazione dell'art. 6 della direttiva  2001/77/CE,  non
sussisteva nell'impugnata norma regionale, che quindi ha superato  il
vaglio di costituzionalita'. 
    Invece esito diverso ha avuto il sindacato  sulla  norma  di  una
legge  della  Regione  Calabria,  oggetto  della  seconda   pronuncia
(sentenza n. 124 del  2010),  che  ha  riguardato,  tra  l'altro,  le
disposizioni che stabilivano una  serie  di  condizioni  e  di  oneri
economici   per   il   rilascio   dell'autorizzazione    unica    per
l'installazione di impianti di produzione  di  energia  elettrica  da
fonti rinnovabili. In particolare si prevedeva che  alla  domanda  di
autorizzazione fosse allegato un atto con il quale il richiedente  si
impegnava,  tra  l'altro,  a  versare  a  favore  della  Regione  una
determinata somma per ogni KW eolico di  potenza  elettrica  nominale
autorizzata. 
    Era  quindi  contemplata  una   misura   di   compensazione   che
condizionava il rilascio dell'autorizzazione.  Cio'  le  disposizioni
regionali censurate non potevano prevedere e quindi questa Corte, nel
ribadire comunque, anche  testualmente,  i  principi  gia'  affermati
nella sentenza n. 119 del 2010,  e'  giunta  all'opposta  conclusione
della dichiarazione di illegittimita' costituzionale. Siffatte misure
- ha affermato la pronuncia - «si configurano quali compensazioni  di
carattere economico espressamente vietate dal legislatore statale». 
    12.- Le citate Linee guida del  2010,  di  natura  regolamentare,
segnano un netto  cambiamento  nell'evoluzione  della  disciplina  di
settore  nella  misura  in  cui  pongono   piu'   in   dettaglio   la
regolamentazione delle misure di  compensazione,  prevedendo  criteri
marcatamente limitativi per la loro fissazione. 
    Sono  soprattutto  due  le  prescrizioni  che  costituiscono  una
discontinuita'  rispetto  al  passato,  tracciando  uno   spartiacque
temporale tra prima e dopo l'entrata in vigore delle Linee guida. 
    Da una parte, si e' previsto  espressamente  che  non  e'  dovuto
alcun   corrispettivo   monetario   in   favore   dei   Comuni,    ma
l'autorizzazione unica  puo'  prevedere  l'individuazione  di  misure
compensative, «a carattere  non  meramente  patrimoniale»,  a  favore
degli stessi Comuni. Tali misure compensative sono definite  in  sede
di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati,  anche  sulla
base di quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali, ma non
possono essere fissate unilateralmente da un singolo Comune. 
    D'altra parte, le misure compensative non possono essere comunque
superiori al tre per cento dei proventi. 
    Quindi non sono  piu'  stati  possibili  ne'  accordi  bilaterali
direttamente  tra  Comune  (o,  piu'  in  generale,  ente  locale)  e
operatore   economico,   ne'   misure   compensative   esclusivamente
monetarie, ossia solo  per  equivalente,  dovendo  essere  invece  "a
carattere non meramente patrimoniale" e quindi almeno miste, in parte
specifiche e in parte per equivalente, e con il tetto massimo pari al
tre per cento dei proventi, nonche' convenute esclusivamente in  sede
di conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione unica. 
    Nel complesso questa piu' restrittiva disciplina regolamentare  -
entrata in vigore il 3 ottobre 2010 e applicabile alle autorizzazioni
rilasciate successivamente a tale data e alle relative convenzioni  -
mirava, in  modo  virtuoso,  da  una  parte  a  favorire  un  settore
energetico strategico, quale quello delle fonti rinnovabili,  con  la
previsione di un tetto massimo di  onere  economico  a  carico  degli
operatori, e dall'altra parte a  promuovere  effettive  e  specifiche
misure   compensative   a   tutela   dell'ambiente,   inciso    dalla
localizzazione  degli  impianti  produttivi,  laddove  in  precedenza
quelle per equivalente, solo monetarie, non sempre si traducevano  in
misure di effettivo riequilibrio ambientale. 
    13.- Per  altro  verso,  pero',  questa  normativa  regolamentare
determinava una situazione squilibrata, perche' gli stessi  operatori
economici,  nel   medesimo   settore   delle   energie   rinnovabili,
comprensive dell'energia eolica, erano  soggetti  a  regole  diverse,
quanto alle misure compensative  e  di  riequilibrio  ambientale.  Lo
spartiacque era costituito appunto dall'entrata in vigore delle Linee
guida del 2010. 
    La  normativa  regolamentare  appariva  carente  in  quanto   non
prevedeva un meccanismo di  riallineamento  di  quello  che  per  gli
operatori del settore era  un  onere  economico  (l'approntamento  di
misure  di  compensazione  e  riequilibrio  ambientale),   il   quale
risultava regolato in modo  diacronicamente  differenziato  e  quindi
diseguale. 
    Costituiva,  in  particolare,  fattore  distorsivo  del   mercato
l'applicazione  solo  alle  nuove   autorizzazioni   e   alle   nuove
convenzioni,  successive  al  3  ottobre  2010,  delle   prescrizioni
relative alle misure compensative e di riequilibrio ambientale. 
    Di li'  a  poco,  infatti,  lo  stesso  legislatore  si  e'  reso
avvertito dell'esigenza di un  completamento  della  disciplina  e  -
all'art. 34, comma 16, del decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179
(Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012,  n.  221  -  ha  rimesso
nuovamente a un decreto del Ministero dello  sviluppo  economico,  di
concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,  sentita  la
conferenza unificata, la definizione dei modi in cui potevano  essere
stipulati gli accordi tra le Regioni, gli enti pubblici  territoriali
e gli enti locali territorialmente interessati  dalla  localizzazione
di infrastrutture energetiche e gli  operatori  del  settore,  quanto
alle misure di compensazione e riequilibrio ambientale. 
    Il riallineamento e'  infine  previsto  proprio  dalla  censurata
disposizione della legge di bilancio  del  2018,  il  cui  fulcro  e'
costituito dall'obbligo di revisione degli accordi -  quelli  di  cui
all'art. 1, comma 5, della legge n. 239 del 2004, stipulati prima del
3 ottobre 2010 (data di entrata in vigore delle Linee  guida)  -  per
metterli in linea, e quindi conformi, a queste ultime e  segnatamente
ai criteri contenuti nell'allegato 2 del decreto del  Ministro  dello
sviluppo economico 10 settembre 2010. 
    Questo obbligo a contrattare - non mera esortazione,  ma  vincolo
giuridico, suscettibile eventualmente di inadempimento, con tutte  le
relative conseguenze civilistiche, quale l'eccezione di inadempimento
di cui all'art. 1460 del codice civile  -  e'  poi  inserito  in  una
regolamentazione piu' ampia, secondo un bilanciamento  ponderato  che
ne svela la complessiva ragionevolezza. 
    Da una parte si prevede che gli accordi, oggetto dell'obbligo  di
revisione pro futuro sulla base delle Linee guida del 2010, rimangono
inalterati per il periodo precedente «mantenendo piena efficacia»  e,
per l'effetto,  «i  proventi  economici  liberamente  pattuiti  dagli
operatori del settore con gli enti locali [...] restano acquisiti nei
bilanci degli enti locali». Si tratta di  una  norma  sostanzialmente
confermativa del fatto che le  prescrizioni  delle  Linee  guida  del
2010, che orientano la revisione degli accordi per il futuro,  mentre
per il passato non condizionano e non pregiudicano l'efficacia  degli
stessi, atteso che il citato decreto ministeriale  non  prevedeva  la
sua applicazione retroattiva agli accordi gia' stipulati. 
    Dall'altra parte, a completamento  della  complessiva  misura  di
razionalizzazione, la norma prevede che gli importi gia' erogati e da
erogare in favore degli enti locali concorrono  alla  formazione  del
reddito d'impresa del  titolare  dell'impianto  alimentato  da  fonti
rinnovabili. Si tratta infatti di costi afferenti  la  produzione  di
energia elettrica da fonti rinnovabili, e quindi come tali deducibili
a fini fiscali anche  quando  imputati  all'obbligo  di  adempiere  a
misure  di  compensazione  e  riequilibrio  ambientale  di  contenuto
meramente patrimoniale. 
    14.- Nel loro insieme queste misure  (obbligo  di  revisione  dei
"vecchi" accordi pro futuro, mantenimento della loro efficacia per il
passato, deducibilita' fiscale dei proventi  corrisposti  come  costi
del reddito d'impresa) convergono verso l'obiettivo,  perseguito  dal
legislatore, a un tempo di garantire la concorrenza, riallineando  le
condizioni degli operatori del settore, quanto all'onere delle misure
compensative e di riequilibrio ambientale, e altresi'  di  promuovere
la tutela dell'ambiente  e  del  paesaggio  con  misure  compensative
specifiche e non gia' (solo) per equivalente. 
    Cio' assicura la ragionevolezza complessiva della norma. 
    15.- La disposizione censurata ha anche un'innegabile idoneita' a
superare le incertezze interpretative segnalate  dalle  ordinanze  di
rimessione  con  riferimento  alla  giurisprudenza  di  alcuni   TAR,
essenzialmente in ordine alla circostanza  che  l'art.  1,  comma  5,
della legge n. 239 del 2004, nel riconoscere agli  enti  locali,  tra
cui i Comuni, la possibilita' di stipulare  accordi  con  i  soggetti
proponenti l'installazione sul  proprio  territorio  di  impianti  di
produzione di  fonte  elettrica  (anche  rinnovabile),  prevedeva  la
possibilita' di convenire pattiziamente «misure di compensazione e di
riequilibrio ambientale» tout court, senza precisarne  il  contenuto.
Non era del tutto chiaro, dunque, se  i  predetti  accordi  dovessero
contemplare solo misure  di  compensazione  di  carattere  specifico,
ossia  interventi  "positivi"  sull'ambiente  volti  a  bilanciare  i
pregiudizi sullo stesso (e talvolta sul paesaggio),  derivanti  dalla
messa in esercizio dei predetti impianti, ovvero potessero  prevedere
anche misure di  carattere  meramente  patrimoniale,  cioe'  volte  a
"compensare" tali pregiudizi per equivalente. 
    Ma nel bilanciamento complessivo operato  dalla  norma  censurata
sta  anche  -  e  si  giustifica  -  questo  sostanziale  chiarimento
interpretativo,   in   chiave   confermativa   di   una    disciplina
diacronicamente  differenziata,  che  fa  perno   sullo   spartiacque
temporale del 3 ottobre 2010, quanto alle «misure di compensazione  e
riequilibrio ambientale». 
    16.- In conclusione,  va  dichiarata  non  fondata  la  questione
sollevata dal Consiglio di Stato in riferimento all'art. 3 Cost. 
    17.-  Occorre  ora  passare  ad  esaminare  le  altre   questioni
sollevate. 
    La ritenuta ragionevolezza, nei  termini  sopra  indicati,  della
disposizione censurata conduce anche, a cascata, alla non  fondatezza
di tutte le altre censure,  che  hanno  un  filo  conduttore  comune,
quello della assunta sanatoria di un vizio di nullita' assoluta degli
accordi recanti misure compensative, sanatoria  asseritamente  recata
dalla disposizione censurata; la quale invece, prevedendo  che  detti
accordi mantengono «piena efficacia», e'  solo  confermativa  -  come
sopra esposto - della non applicazione retroattiva delle prescrizioni
delle Linee guida del 2010, quanto a tali misure, a tutti gli accordi
stipulati prima del 3 ottobre 2010, data  di  entrata  in  vigore  di
queste ultime. 
    18.- E' dedotta la violazione del diritto di azione  in  giudizio
sancito dall'art. 24 Cost., in quanto  l'art.  1,  comma  953,  della
legge n. 145 del 2018 vanificherebbe  gli  effetti  di  un'azione  di
impugnativa per nullita' delle  clausole  di  "vecchi"  accordi,  che
contemplavano misure di  compensazione  "meramente  patrimoniale"  (e
quindi in asserita violazione  delle  Linee  guida)  contenute  nelle
convenzioni stipulate tra enti territoriali  ed  operatori  economici
operanti nel settore delle fonti energetiche rinnovabili prima del  3
ottobre 2010. 
    La questione non e' fondata. 
    Come  si  e'  rilevato,  il  citato  d.m.  10   settembre   2010,
espressamente prevede, all'art. 1, comma 2, che  le  Linee  guida  in
allegato entrano in vigore nel quindicesimo  giorno  successivo  alla
data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (ossia  il  3  ottobre
2010). 
    La conferma di cio', da parte di una norma di  livello  primario,
qual e'  la  disposizione  censurata,  eleva  il  rango  della  fonte
regolamentare, ma non frustra il diritto di azione dell'operatore che
un tale accordo abbia (liberamente) sottoscritto - e anche per  lungo
tempo eseguito - e del quale ora  deduca  la  nullita'  assoluta  per
violazione di norme imperative. La  non  retroattivita'  delle  Linee
guida era gia' esclusa dallo stesso decreto ministeriale,  pur  norma
di rango subprimario. 
    Sul piano sostanziale della disciplina dell'atto negoziale,  ogni
altra ragione di inefficacia delle convenzioni, che in ipotesi derivi
da nullita' assoluta, e' fuori dall'ambito  applicativo  della  norma
censurata. 
    Come e' stato piu' volte chiarito da questa  Corte,  la  garanzia
del diritto di azione in giudizio costituisce un  posterius  rispetto
alla sussistenza  del  diritto  sul  piano  sostanziale  (ex  multis,
sentenze n. 15 del 2012, n. 303 del 2011, n. 401 del 2008, n. 29  del
2002 e n. 419 del 2000); e non puo' dirsi violato  in  ragione  della
portata, piu' o meno favorevole, della disciplina sostanziale. 
    Non e' dunque violato il parametro evocato. 
    19.- I giudici a quibus assumono, inoltre, un possibile contrasto
della norma censurata con i principi della separazione dei poteri (in
riferimento agli artt. 3, 97, 101, 102 e  113  Cost.)  e  del  giusto
processo,  sancito  dagli  artt.  111  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU. 
    Secondo la prospettazione del Consiglio di Stato  rimettente,  in
particolare,   l'incompatibilita'   con   tali   parametri   potrebbe
correlarsi all'incidenza dell'art. 1, comma 953, della legge  n.  145
del 2018 sui processi in corso, in assenza,  peraltro,  di  contrasti
quanto alla ritenuta invalidita', "smentita" dal  legislatore,  delle
convenzioni stipulate  dagli  operatori  del  settore  delle  energie
rinnovabili  con  i  Comuni,  recanti  la  previsione  di  misure  di
compensazione di natura esclusivamente patrimoniale. 
    Le questioni non sono fondate. 
    E' ben vero che il legislatore non puo' introdurre una  norma  al
solo fine di determinare l'esito di un giudizio in termini favorevoli
allo Stato o a un ente pubblico  in  genere,  non  esclusi  gli  enti
locali, quale nella fattispecie  e'  il  Comune;  cio'  costituirebbe
eccesso di potere legislativo censurabile anche in relazione all'art.
6 CEDU. Non e' infatti consentito  «risolvere,  con  la  forma  della
legge, specifiche controversie [...], violando i principi relativi ai
rapporti  tra  potere  legislativo   e   potere   giurisdizionale   e
concernenti la  tutela  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi»
(sentenze n. 12 del 2018, n. 85 del 2013, n. 94 del 2009 e n. 374 del
2000). In generale  e'  violato  il  principio  costituzionale  della
parita'  delle  parti  «quando   il   legislatore   statale   immette
nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare  che  determina  lo
sbilanciamento fra le due posizioni in gioco»  (sentenze  n.  12  del
2018, n. 191 del 2014 e n. 186 del 2013). 
    In una prospettiva analoga si pone la stessa giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale ha piu' volte  ribadito
che i principi del giusto processo sancito dall'art. 6  CEDU  ostano,
salvo motivi imperativi di interesse generale,  all'interferenza  del
potere legislativo nell'amministrazione della giustizia allo scopo di
influenzare l'esito giudiziario del controversia  (ex  multis,  Corte
europea dei diritti dell'uomo, sentenze 30  gennaio  2020,  Cicero  e
altri contro Italia; 15 aprile 2014, Stefanetti e altri contro Italia
e 28 ottobre 1999, Zielinski ed altri contro Francia). 
    Nella fattispecie pero' l'intento del legislatore  -  come  sopra
esposto - e' stato quello di tutelare il mercato e l'ambiente con  un
intervento  bilanciato  di  razionalizzazione  nel  cui  contesto  e'
inserita   anche   la   conferma   del   carattere    diacronicamente
differenziato  della  piu'  restrittiva  disciplina   delle   «misure
compensative e di riequilibrio ambientale» dettata dalle Linee  guida
del 2010. Il mantenimento dell'efficacia  dei  "vecchi  accordi"  tra
operatori e Comuni (quelli ante 3 ottobre 2010) non ha alcuna portata
sanante di una asserita invalidita' sopravvenuta e, nei limiti in cui
cio' ha  anche  una  ricaduta  sull'interpretazione  della  normativa
previgente, e' comunque giustificato dalla gia' rilevata  complessiva
ragionevolezza della norma. 
    La parte - che ha atteso oltre dieci  anni  prima  di  promuovere
l'azione di nullita' di una convenzione liberamente pattuita  con  il
Comune e poi  eseguita  -  ha  citato  alcune  pronunce  dei  giudici
amministrativi di primo grado che avrebbero ingenerato  un  legittimo
affidamento sull'invalidita' della convenzione stessa. 
    Ma, in disparte la  peculiarita'  delle  singole  fattispecie  di
volta in volta venute all'esame dei giudici amministrativi, quale  ad
esempio quelle sopra richiamate al punto 10, deve  rilevarsi  che  la
stessa Corte EDU ha riconosciuto la possibilita' che  il  legislatore
emani  norme  retroattive,  pur  potenzialmente  incidenti  in   modo
determinante su processi in corso, ove ricorrano motivi imperativi di
interesse generale (da ultimo, Corte EDU, sentenza 30  gennaio  2020,
Cicero e altri contro Italia). 
    Fare  salvi  i  «motivi  imperativi  d'interesse  generale»,  che
suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi nelle
situazioni che qui rilevano, non puo' non lasciare ai  singoli  Stati
contraenti  quantomeno  una  parte  del  compito  e   dell'onere   di
identificarli,  poiche'  nella  posizione  migliore  per  assolverlo,
trattandosi,  tra  l'altro,  degli  interessi  che  sono  alla   base
dell'esercizio del potere legislativo (sentenze n. 156 del  2014,  n.
78 e n. 15 del 2012, n. 1 del 2011 e n. 311 del 2009). 
    Pertanto il legislatore, nel rispetto del  limite  posto  per  la
materia penale dall'art. 25 Cost., «puo' emanare  norme  retroattive,
anche di interpretazione autentica, purche' la  retroattivita'  trovi
adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi,  diritti
e beni  di  rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti
"motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione
europea  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'   fondamentali»
(sentenza n. 78 del 2012). 
    Sotto  questo  aspetto,  la   norma   censurata   trova   congrua
giustificazione, come si e' gia'  sottolineato,  nella  finalita'  di
tutelare il mercato e l'ambiente, preservando  anche  la  tenuta  dei
bilanci dei Comuni; obiettivi questi  che  ben  possono  qualificarsi
come «motivi imperativi d'interesse generale». 
    Del resto questa Corte, a differenza di quella di Strasburgo,  e'
chiamata a svolgere una valutazione «sistemica e non frazionata»  dei
diritti  coinvolti  dalla  norma  di  volta  in   volta   scrutinata,
effettuando il necessario bilanciamento  in  modo  da  assicurare  la
«massima espansione delle garanzie» di tutti i diritti e  i  principi
rilevanti,   costituzionali   e   sovranazionali,    complessivamente
considerati, che  sempre  si  trovano  in  rapporto  di  integrazione
reciproca (sentenze n. 170 e n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012). 
    20.- Non e' fondata neanche la  censura  che  investe  l'art.  1,
comma 953, della legge n. 145 del 2018  in  riferimento  all'art.  41
Cost., atteso che l'efficacia della norma e'  espressamente  limitata
alle convenzioni che sono state liberamente stipulate tra le parti e,
quindi, deve essere esclusa  dal  relativo  ambito  applicativo  ogni
ipotesi nella quale l'autonomia privata di  uno  dei  contraenti  sia
stata violata in danno dell'altro, cosi' incidendo sulla liberta'  di
iniziativa economica. 
    21.- Non e' sussistente neppure la dedotta  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU,
in quanto la norma censurata comporterebbe, in modo imprevedibile  ed
in contrasto con i principi  di  legalita'  e  proporzionalita',  una
lesione del diritto di proprieta' degli operatori economici che hanno
realizzato e messo in esercizio gli impianti  da  fonti  rinnovabili,
cosi' ostando al soddisfacimento di un credito avente consistenza  di
valore patrimoniale fondato sul diritto nazionale ed europeo. 
    E' vero che la Corte europea intende in senso ampio la nozione di
diritto di proprieta', al  punto  da  estenderla  anche  ai  crediti,
purche' fondati su legittime aspettative che abbiano una solida «base
legale»  nel  diritto  interno,  attestata,  ad   esempio,   da   una
consolidata giurisprudenza  favorevole  (sentenze  Grande  Camera,  6
ottobre 2005, Maurice contro Francia, paragrafo 63; 31  maggio  2011,
Maggio contro Italia, paragrafo 54;  7  giugno  2011,  Agrati  contro
Italia, paragrafo 73 e 15  aprile  2014,  Stefanetti  contro  Italia,
paragrafo 48). 
    Tuttavia l'incertezza  del  quadro  normativo  di  riferimento  e
l'insussistenza  di  un  diritto   vivente   sull'invalidita'   delle
convenzioni  che  contemplano  misure  di   compensazione   meramente
patrimoniale in favore dei Comuni  stipulate  prima  dell'entrata  in
vigore delle Linee guida del 2010,  non  puo'  far  ritenere  che  il
diritto  di  proprieta'  cosi'  inteso  degli   operatori   economici
sussistesse, in quanto non era fondato, come richiesto  dalla  stessa
Corte di Strasburgo, su una solida base normativa. 
    In ogni caso, un'ingerenza nel diritto al pacifico godimento  dei
beni e' ammissibile ove sussista un giusto equilibrio tra le esigenze
dell'interesse  generale  della  comunita'  e  gli  imperativi  della
salvaguardia dei  diritti  fondamentali  dell'individuo  (per  tutte,
Corte EDU, Grande Camera, 6 ottobre  2005,  Maurice  contro  Francia,
citata), esigenze che, per quanto evidenziato rispetto  alla  censura
afferente l'art.  3  Cost.,  sono  state  pienamente  rispettate  dal
legislatore con la norma impugnata, sicche' anche  tale  verifica  di
proporzionalita' appare superata (tra le piu'  recenti,  sentenze  n.
276, n. 235 e n. 167 del 2020). 
    22.- Non e' fondata, infine, la censura  che  investe  l'art.  1,
comma 953, della legge n. 145 del 2018, rispetto all'art. 117,  primo
comma,  Cost.,  in  relazione  agli  obblighi   assunti   sul   piano
internazionale ed europeo (ed  in  particolare  agli  artt.  6  della
direttiva 2001/77/CE e 2 del Protocollo  di  Kyoto  dell'11  dicembre
1997 sui cambiamenti climatici), anche sotto il distinto profilo  del
contrasto con il preminente principio  di  massima  diffusione  delle
energie  rinnovabili,  piu'  volte  richiamato  nella  giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019,
n. 177 del 2018, n. 275 del 2012 e n. 282 del 2009). 
    Cio' in quanto i Comuni - pur  partecipando  alla  conferenza  di
servizi  -  non  hanno  alcuna  competenza  in  ordine  al   rilascio
dell'autorizzazione  all'esercizio  di  impianti  di  produzione   di
energia rinnovabile, demandata dall'art. 12 del  d.lgs.  n.  387  del
2003 alla  Regione  (ovvero  alla  Provincia  delegata),  sicche'  il
"regime" delle convenzioni in esame, frutto di un libero accordo  tra
le parti, non puo' incidere negativamente  sulla  massima  diffusione
delle energie  da  fonti  rinnovabili,  in  quanto  e'  "esterno"  al
procedimento di autorizzazione. 
    23.- Da  tale  non  fondatezza  della  questione  discende  anche
l'assenza di un dubbio interpretativo, circa la compatibilita', sotto
i profili indicati, della norma censurata con il diritto  dell'Unione
europea, talche' non puo' accogliersi la sollecitazione della parte a
disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. 
    Invero, sebbene in linea di principio - in  quanto  giurisdizione
nazionale ai sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato  dalla  legge  2  agosto
2008, n.  130  -  questa  Corte  esperisce  il  rinvio  pregiudiziale
ogniqualvolta cio' sia necessario per chiarire il significato  e  gli
effetti  delle  norme  del  diritto  primario  dell'Unione   europea,
potendo, all'esito di tale valutazione,  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata,  rimuovendo  cosi'  la
stessa dall'ordinamento nazionale con effetti erga omnes (sentenza n.
63 del 2019; ordinanze n. 182 del 2020 e n. 117 del 2019), e'  a  tal
fine necessario un dubbio interpretativo sulla  compatibilita'  della
norma censurata con il diritto europeo, dubbio che non sussiste nella
fattispecie in esame.