ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi,  di  usura  e  di  prescrizione),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Firenze nel procedimento penale a  carico  di  A.  E.  e
altro, con ordinanza del 9 dicembre 2019,  iscritta  al  n.  129  del
registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 dicembre  2019  (reg.  ord.  n.  129  del
2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il  divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod.
pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art.  99,
quarto comma, cod. pen., nonche', in riferimento agli  artt.  3,  25,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale  della  medesima  disposizione,  nella  parte  in  cui
prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    1.1.-  Il  giudice  rimettente  premette  di  essere  chiamato  a
giudicare con rito abbreviato due persone imputate del reato  di  cui
agli artt. 110, 116 e 628, secondo  comma,  cod.  pen.,  perche',  in
concorso tra loro e, comunque,  previo  concerto,  sottraevano  dagli
scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari  per  un  valore
complessivo di euro 8,77; in particolare dall'imputazione risulta che
una volta giunti alle casse, per assicurarsi il possesso di tali cose
e procurarsi l'impunita', l'imputata  F.  H.  M.  Z.  usava  violenza
contro la direttrice del negozio intervenuta a bloccarla  all'uscita,
spintonandola violentemente e strattonandola per un braccio, fuggendo
all'esterno dell' esercizio commerciale, seguita dall'imputato A.  E.
I due imputati venivano, poi, bloccati dal personale della Polizia di
Stato che li trovava in possesso  della  merce  appena  sottratta  ed
intenti a consumarla. 
    All'imputato A. E. e' stata  contestata  la  recidiva  reiterata,
specifica infraquinquennale e dopo l'esecuzione della pena e,  a  tal
riguardo,  il  giudice  a  quo  da'  analitico  conto  dei   numerosi
precedenti risultanti dai certificati penali dell'interessato. 
    Per  entrambi   gli   imputati,   secondo   il   giudicante,   la
responsabilita' penale risulta accertata e, ai sensi  dell'art.  116,
primo comma, cod. pen., anche l'imputato A. E. e' responsabile  della
rapina impropria, avendo programmato il  solo  furto,  non  essendovi
elementi per ritenere che  avesse  invece  previsto  e  accettato  il
rischio di realizzazione del piu' grave reato di rapina,  anche  solo
in termini di dolo eventuale. 
    Era, infatti, prevedibile che il furto potesse degenerare in  una
rapina e cio' anche alla luce dell'orientamento della  giurisprudenza
di legittimita' secondo cui «sussiste il necessario rapporto di causa
ad effetto tra il reato di furto inizialmente programmato e quello di
rapina impropria, commesso  successivamente,  poiche'  e'  del  tutto
prevedibile che un compartecipe possa trascendere ad atti di violenza
o minaccia nei confronti della parte lesa o di terzi, per assicurarsi
il profitto del furto, o comunque  guadagnare  l'impunita'»  (tra  le
tante, sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione
seconda penale: sentenze 3-29 ottobre 2018, n.  49443;  6-27  ottobre
2016, n. 45446 e 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644). 
    In favore  dell'imputato  A.  E.  sarebbero  riconoscibili  anche
plurime circostanze attenuanti. In primo luogo,  quell'attenuante  di
cui all'art. 116, secondo  comma,  cod.  pen.;  poi,  quella  di  cui
all'art. 62, numero 4), cod. pen., per il  valore  modesto  dei  beni
sottratti, e per la minima entita' dell'offesa recata  all'integrita'
fisica della vittima. 
    Inoltre, sarebbero concedibili anche  le  circostanze  attenuanti
generiche di cui all'art. 62-bis cod. pen.  in  ragione  dell'entita'
della  violenza,  della  natura  dei  beni  oggetto  della   condotta
delittuosa e delle condizioni economiche degli imputati. 
    1.2.- Cio' precisato, quanto al bilanciamento tra la  circostanza
aggravante della recidiva qualificata  e  le  menzionate  circostanze
attenuanti, il rimettente reputa necessario sollevare l'incidente  di
costituzionalita'  in  ordine  al  divieto  di  prevalenza,   fissato
dall'art.  69,  quarto  comma,  cod.  pen.,  sia  della   circostanza
attenuante ex  art.  116,  secondo  comma,  cod.  pen.  che  di  piu'
circostanze attenuanti, sulla recidiva reiterata, di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen. 
    In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva   come   nella
fattispecie al suo esame  ricorra  la  recidiva  reiterata  (peraltro
specifica, infraquinquennale e  dopo  l'esecuzione  della  pena),  la
quale non solo e' stata correttamente contestata, ma deve  applicarsi
in concreto. 
    In  considerazione   del   carattere   recente   dei   precedenti
giudiziari, dell'omogeneita' tra gli stessi e il reato ora in  esame,
del  tipo  di  devianza  di  cui   gli   stessi   sono   espressione,
dell'insufficienza in chiave dissuasiva delle condanne e  delle  pene
gia' eseguite, il rimettente afferma che la ricaduta  nel  reato  sia
effettivo  sintomo  di  una  maggiore  pericolosita'  e  colpevolezza
dell'imputato. 
    Cio'  argomentato,  il  giudice  a   quo   osserva   ancora   che
l'applicazione della recidiva non e' incompatibile con l'istituto del
concorso anomalo, in quanto - richiamando la sentenza della Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 13  maggio-11giugno  2015,
n. 24710 - afferma  che  il  citato  minor  coefficiente  psicologico
(prevedibilita' dello sviluppo piu'  grave  poi  concretizzatosi)  si
innesta  necessariamente  su  una  componente  dolosa  qual   e'   la
rappresentazione e  volizione  del  reato  meno  grave,  sicche'  con
riguardo a tale componente e'  dunque  possibile  la  valutazione  di
maggior   pericolosita'   e   colpevolezza    richiesta    ai    fini
dell'applicazione della recidiva. 
    Con riferimento alle altre circostanze attenuanti, il  giudice  a
quo afferma che esse, per la loro pregnanza, meriterebbero di  essere
ritenute prevalenti rispetto alla citata recidiva  qualificata  e  di
essere applicate nella loro estensione massima o quasi massima. 
    In tal  senso,  significativa  sarebbe  anche  la  richiesta  del
pubblico ministero, in sede di  formulazione  delle  conclusioni,  di
applicazione delle  attenuanti  in  misura  prevalente  sulla  citata
recidiva. 
    Tuttavia, il divieto posto dall'art. 69, quarto comma, cod.  pen.
osta ad un tale giudizio di prevalenza. 
    1.3.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva  come  il  precetto  normativo  in  esame   sia   di   dubbia
legittimita' costituzionale e, dopo aver ricordato che  questa  Corte
ha gia' affrontato in plurime occasioni e sotto differenti profili la
norma censurata, afferma che  nella  fattispecie  il  citato  divieto
trasmoda  in  una  manifesta  irragionevolezza,  sia  riguardo   alla
circostanza  attenuante  di  cui  all'art.  116  cod.  pen.,  sia  in
relazione  alla  sussistenza  di  una   pluralita'   di   circostanze
attenuanti. 
    Sotto il primo profilo, il rimettente afferma che la  circostanza
prevista dall'art. 116, secondo comma, cod. pen., anche se ad effetto
comune, sia meritevole di una considerazione  peculiare,  «in  quanto
necessaria ad assicurare la "tenuta costituzionale" dell'istituto del
concorso anomalo». 
    Il rimettente, dopo aver ricordato che la  Corte  costituzionale,
nella sentenza n. 42 del 1965,  aveva  auspicato  un  intervento  del
legislatore che ponesse fine a  dubbi  e  discrasie  suscitati  dalla
disposizione dell'art. 116 cod. pen., ritiene che in tale  quadro  la
circostanza attenuante in esame «appare essenziale per assicurare  la
legittimita'  costituzionale  ex  art.  3  Cost.  dell'istituto   del
concorso anomalo, consentendo che  situazioni  profondamente  diverse
(da un lato un vero e proprio dolo, dall'altro il dolo  di  un  fatto
diverso,  potenzialmente  del  tutto  diverso,   accompagnato   dalla
prevedibilita' del fatto piu' grave del correo) siano  sanzionate  in
modo almeno un minimo differente». 
    Il divieto di prevalenza dell'attenuante  di  cui  all'art.  116,
secondo comma, cod. pen. sulla recidiva reiterata, fissato  dall'art.
69, quarto comma, cod. pen., ad avviso del ricorrente  vanificherebbe
tale distinzione, imponendo l'applicazione al concorrente anomalo del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato piu' grave da lui non
voluto. 
    Risulterebbe, poi, violato anche l'art. 27, terzo  comma,  Cost.,
in quanto il trattamento sanzionatorio che per effetto del divieto di
prevalenza troverebbe  applicazione  sarebbe  eccessivo  e  ingiusto,
violando il canone della proporzionalita' rispetto al fatto di  reato
posto   in   essere,   globalmente    considerato,    ivi    compreso
l'atteggiamento psicologico dell'imputato. In quanto  sproporzionata,
la pena non potrebbe essere percepita dal condannato come  giusta  ed
esplicare quindi la propria funzione rieducativa. 
    1.4.- E', poi, affrontato il secondo  profilo  di  illegittimita'
della norma. 
    Il rimettente, in  particolare,  afferma  che  intende  concedere
all'imputato piu' circostanze attenuanti, tutte  ad  effetto  comune,
applicabili nella loro portata massima o quasi,  con  la  conseguenza
che, tralasciando per semplicita' la pena pecuniaria, sarebbe  a  suo
avviso congrua, ai sensi dell'art. 133 cod. pen., una pena  detentiva
di anni uno e mesi sei di reclusione, fatta salva la riduzione per il
rito. 
    Per effetto della recidiva reiterata e del divieto di  prevalenza
delle attenuanti, la pena detentiva da irrogare e', invece, quella di
anni cinque di reclusione. 
    Si delineerebbe in tal modo, ad avviso del  giudice  a  quo,  una
irragionevole divaricazione tra la pena  irrogabile  in  assenza  del
divieto di prevalenza e la pena che invece e' applicabile in presenza
dello stesso, in contrasto con l'art. 3 Cost. 
    Inoltre, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto anche
con l'art. 25, secondo comma,  Cost.,  in  quanto,  per  effetto  del
divieto di  prevalenza,  l'incidenza  della  recidiva  finirebbe  per
attribuire un peso eccessivo  al  passato  giudiziale  della  persona
rispetto alla gravita'  del  fatto  di  reato  commesso,  globalmente
considerato anche nei suoi aspetti circostanziali. 
    Richiamando la sentenza n. 105 del 2014, il  rimettente  afferma,
poi, che la norma censurata violerebbe anche l'art. 27, terzo  comma,
Cost., in  quanto  realizza  una  «deroga  rispetto  a  un  principio
generale che governa la complessa attivita' commisurativa della  pena
da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena
base  con  quelli  mediante  i  quali  essa,  secondo   un   processo
finalisticamente  indirizzato  dall'art.  27,  terzo  comma,   Cost.,
diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo  dell'applicazione
delle circostanze». 
    2.- Con atto del 20 ottobre 2020, e' intervenuto in  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  di  dichiarare  le
questioni non fondate. 
    In particolare, dopo aver passato in rassegna numerose  decisioni
di   questa   Corte,   la   difesa   dello   Stato   evidenzia   come
l'illegittimita'  costituzionale  sia  stata   pronunciata   soltanto
rispetto ad attenuanti ad effetto speciale, con funzioni  precise  ed
essenziali, quali contenere gli scarti edittali e mitigare i  livelli
di pena, per fattispecie di grande ampiezza, oppure  per  incentivare
comportamenti virtuosi dopo il reato. 
    La  deroga   alla   ordinaria   disciplina   del   bilanciamento,
riferendosi ad  una  circostanza  attenuante  comune  implicante  una
diminuzione della pena fino ad un terzo, non  comporta  ricadute  sul
trattamento sanzionatorio palesemente irragionevoli o sproporzionate. 
    L'Avvocatura generale quindi  -  richiamando  anche  la  sentenza
della Corte di cassazione (Cass., n. 24710 del 2015) che ha rigettato
un'identica eccezione di illegittimita' costituzionale - ha  concluso
per la non fondatezza della questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 9 dicembre  2019  (reg.  ord.  n.  129  del
2020), il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), nella parte in cui prevede il  divieto  di  prevalenza
della circostanza attenuante di cui all'art. 116, secondo comma, cod.
pen., sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99,
quarto comma, cod. pen.; nonche', in riferimento agli  artt.  3,  25,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale  della  medesima  disposizione,  nella  parte  in  cui
prevede il divieto di prevalenza di piu' circostanze attenuanti sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen. 
    1.1.- Il rimettente riferisce di dover giudicare, in sede di rito
abbreviato, F. H. M. Z. ed A. E., due persone imputate del  reato  di
cui agli artt. 110, 116 e 628, secondo comma, cod. pen., perche',  in
concorso tra loro  sottraevano  dagli  scaffali  di  un  supermercato
alcuni generi alimentari per un valore complessivo di euro 8,77,  con
violenza adoperata immediatamente dopo la sottrazione da uno solo dei
correi (cosiddetta rapina impropria). 
    Il giudice a quo da', altresi', atto che soltanto all'imputato A.
E., che non aveva posto in essere anche la condotta di  violenza,  e'
stata contestata la recidiva reiterata, specifica,  infraquinquennale
e dopo l'esecuzione della pena, in ragione  dei  numerosi  precedenti
risultanti dal certificato penale. 
    Cio' precisato, egli riferisce che per entrambi  risulta  provata
la  responsabilita'  per  il  reato  di  rapina,  e,  con   specifico
riferimento all'imputato A. E., afferma  che  debba  essere  ritenuto
responsabile della rapina impropria, ai sensi  dell'art.  116,  primo
comma, cod. pen., non  essendovi  elementi  per  affermare  che  egli
avesse previsto e accettato il  rischio  di  realizzazione  del  piu'
grave reato di rapina, anche solo in termini di dolo eventuale. 
    In favore di tale imputato, che  aveva  voluto  in  correita'  il
furto ma non anche la  rapina,  sarebbe  applicabile  la  circostanza
attenuante  di  cui  all'art.  116,  secondo  comma,  cod.  pen.  che
prescrive che, se il reato commesso e' piu' grave di  quello  voluto,
la pena e' diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave. 
    Tuttavia, il divieto posto dall'art. 69, quarto comma, cod.  pen.
osterebbe ad un giudizio di prevalenza delle  circostanze  attenuanti
ai sensi dell'art. 69, secondo comma, cod. pen.; di qui la  rilevanza
della prima  questione  sollevata  con  riferimento  a  tale  divieto
applicato all'attenuante di cui all'art.  116,  secondo  comma,  cod.
pen. 
    1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva che la norma censurata  violerebbe  l'art.  3  Cost.  Infatti
irragionevolmente comporta che il correo che abbia previsto e  voluto
un reato meno grave sia punito in relazione al diverso e  piu'  grave
reato  voluto  e  realizzato  da  un  concorrente,   con   una   pena
«enormemente» piu' alta di  quella  prevista  per  il  reato  da  lui
voluto, ed inoltre, con una pena sensibilmente piu'  alta  di  quella
irrogabile al concorrente che ha voluto  e  commesso  il  piu'  grave
reato, ma al quale non trovi applicazione l'aggravante della recidiva
reiterata. 
    Inoltre, il contrasto con  l'art.  3  Cost.  sussisterebbe  anche
sotto un ulteriore e diverso profilo; la norma  censurata,  impedendo
il giudizio di prevalenza della diminuente in esame, finirebbe con il
vanificare la funzione che  la  stessa  tende  ad  assicurare,  ossia
sanzionare in modo diverso situazioni profondamente diverse sul piano
dell'elemento soggettivo:  quello  del  correo  che  pone  in  essere
l'evento diverso e piu' grave  e  quello  dell'altro  correo  che  ha
voluto solo il reato meno grave, unitamente alla  prevedibilita'  del
fatto piu' grave. 
    Sarebbe, inoltre, configurabile anche la violazione dell'art. 27,
terzo comma, Cost., perche', per effetto del divieto  di  prevalenza,
si  determinerebbe  un   trattamento   sanzionatorio   sproporzionato
rispetto  al  reato  commesso  -  considerato  anche   in   relazione
all'atteggiamento psicologico dell'imputato - che  sarebbe  percepito
come ingiusto dal condannato e, percio',  inidoneo  ad  esplicare  la
funzione rieducativa che gli e' propria. 
    1.3.- Il  rimettente,  poi,  solleva  una  seconda  questione  di
legittimita' costituzionale della stessa disposizione  censurata,  da
ritenersi subordinata. 
    Egli  afferma  che  all'imputato  sarebbero   concedibili   anche
l'attenuante di cui all'art. 62, primo comma, numero 4),  cod.  pen.,
per il danno patrimoniale  di  speciale  tenuita',  e  le  attenuanti
generiche, di cui  all'art.  62-bis  cod.  pen.  Parimenti  pero'  la
diminuzione di pena che ne conseguirebbe risulta preclusa dal divieto
di prevalenza posto dalla norma censurata, la quale violerebbe, anche
sotto questa prospettiva, plurimi parametri costituzionali. 
    Sussisterebbe, in primo luogo, la violazione dell'art.  3  Cost.,
perche' nei casi in cui piu' circostanze attenuanti siano concedibili
ed applicabili nella loro  portata  massima,  si  configurerebbe  una
irragionevole divaricazione tra la pena  irrogabile  in  assenza  del
divieto di prevalenza  e  quella  applicabile  in  presenza  di  tale
divieto. 
    La norma censurata violerebbe anche, l'art.  25,  secondo  comma,
Cost., in quanto per effetto del divieto di  prevalenza,  l'incidenza
della recidiva sarebbe  tale  da  attribuire  un  peso  eccessivo  ai
precedenti penali della persona, rispetto  alla  gravita'  del  fatto
commesso. 
    Infine,   il   divieto   di   prevalenza   di   piu'   attenuanti
confliggerebbe  con  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,   in   quanto
impedirebbe il necessario adeguamento del  trattamento  sanzionatorio
al caso concreto, risultando alla fine sproporzionato  e  impossibile
da accettare come giusto, con conseguente ostacolo alla realizzazione
della funzione rieducativa della pena. 
    2.- In via preliminare,  deve  rilevarsi  che  il  rimettente  ha
plausibilmente motivato in ordine alle ragioni che rendono  rilevanti
le questioni di legittimita' costituzionale sottoposte  all'esame  di
questa Corte. 
    2.1.- In primo luogo, il rimettente ha mostrato di far proprio il
consolidato orientamento della  giurisprudenza  costituzionale  e  di
legittimita', secondo cui  l'applicazione  della  recidiva,  pur  non
obbligatoria, si giustifica in quanto il nuovo delitto,  commesso  da
chi sia gia' stato condannato per precedenti delitti non colposi, sia
espressivo  in  concreto  del  maggior  grado   di   colpevolezza   e
pericolosita' nonche'  di  rimproverabilita'  della  condotta  tenuta
nonostante  l'ammonimento  individuale  scaturente  dalle  precedenti
condanne (sentenze n. 73 del 2020 e n. 192 del 2007; piu' di recente,
ex plurimis, sentenza n. 185 del 2015; Corte di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenza 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738). 
    Nella fattispecie, il giudice a  quo  da'  puntuale  conto  delle
numerose condanne pronunciate nei confronti dell'imputato, alla  luce
delle quali reputa che la condotta contestatagli - concorso nel reato
di furto  degenerato  in  rapina  impropria  -  mostri  una  maggiore
pericolosita'  e  colpevolezza  dell'imputato,  insensibile  a   tali
precedenti condanne e, quindi, da un lato maggiormente rimproverabile
e dall'altro piu' incline a commettere nuovi reati. 
    2.2.- Inoltre il giudice rimettente - nella  ricostruzione  della
responsabilita' dell'imputato, quale concorrente  cosiddetto  anomalo
ai sensi dell'art. 116, primo comma, cod. pen., per il reato «diverso
da quello voluto» - tiene conto della giurisprudenza,  costituzionale
e di legittimita', in ordine a tale norma. 
    Questa Corte (sentenza  n.  42  del  1965)  ha  chiarito  che  la
responsabilita'  ai  sensi  dell'art.  116  cod.  pen.  richiede   la
sussistenza non soltanto del rapporto  di  causalita'  materiale,  ma
anche di  un  «coefficiente  di  colpevolezza»,  poi  ribadito  dalla
giurisprudenza di legittimita'. 
    Occorre cioe' un nesso psicologico,  che  postula  che  il  reato
diverso  o  piu'  grave   commesso   da   altro   concorrente   possa
rappresentarsi alla psiche del concorrente anomalo come uno  sviluppo
logicamente prevedibile di quello concordato  (ex  multis,  Corte  di
cassazione, sezione quinta  penale,  sentenza  2  ottobre-7  novembre
2019, n. 45356; sezione quarta penale, sentenza 18 ottobre-2 novembre
2018, n. 49897; sezione seconda penale, sentenza 11 luglio-29 ottobre
2018, n. 49433; sezione prima penale, sentenza 11 settembre-5 ottobre
2018,  n.  44579)  o  come  possibile  epilogo  rispetto   al   fatto
programmato (Corte di cassazione, sezione prima penale,  sentenza  10
giugno 2016-6 aprile 2017, n. 17502). 
    Al riguardo il rimettente ha puntualmente precisato che, nel caso
di specie, sussistono sia il necessario rapporto di causa ad  effetto
tra il reato di furto inizialmente programmato  e  quello  di  rapina
impropria, commesso successivamente in ragione  dell'azione  violenta
posta in essere dall'altro correo, sia  l'elemento  soggettivo  della
colpa,  poiche'  era  prevedibile   che   il   compartecipe   potesse
trascendere ad atti di violenza o minaccia nei confronti della  parte
lesa o di terzi, per assicurarsi il profitto del  furto,  o  comunque
guadagnare l'impunita' (ex plurimis,  Corte  di  cassazione,  seconda
sezione penale, sentenze: 3-29 ottobre 2018, n. 49443;  6-27  ottobre
2016, n. 45446; 18 giugno-26 luglio 2013, n. 32644). 
    In  particolare,  il  giudice  rimettente,  descrivendo  in  modo
puntuale lo svolgersi della condotta criminosa, dimostra  di  aderire
all'orientamento della giurisprudenza  di  legittimita'  che  postula
l'accertamento in concreto, alla luce di tutti gli elementi del caso,
della prevedibilita' del fatto diverso da parte di altro  concorrente
(Corte di cassazione, sezione prima penale,  sentenze  n.  17502  del
2017, gia' citata; 28 aprile-18 novembre 2016, n. 49165; 19  novembre
2013-28 febbraio 2014, n. 9770). 
    La motivazione del giudice a quo in punto di rilevanza e'  quindi
senz'altro  plausibile  e  cio'   comporta   l'ammissibilita'   delle
questioni prospettate in riferimento al divieto di  prevalenza  della
diminuente di cui all'art.116, secondo comma, cod. pen.  (ex  multis,
sentenze n. 73 del 2020 e n. 250 del 2018). 
    3.-  Nel  merito,  sono  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod.  pen.,  sollevate  in
via principale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.,
nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della  diminuente
di cui all'art. 116, secondo comma, cod. pen., sull'aggravante  della
recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, cod. pen.). 
    4.- L'art. 116, primo comma, cod. pen. - come  gia'  ricordato  -
contempla l'ipotesi in cui il reato commesso sia  diverso  da  quello
voluto da taluno dei  concorrenti,  prevedendo  che  quest'ultimo  ne
risponde se l'evento e' conseguenza della sua  azione  od  omissione.
Pero', ove il reato commesso risulti  essere  piu'  grave  di  quello
voluto, l'art. 116, secondo comma, cod. pen. stabilisce che  la  pena
e' diminuita. 
    Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto comune che, ai
sensi dell'art. 65 cod. pen., comporta la diminuzione della  pena  in
misura non eccedente il terzo. 
    Quando tale diminuente concorre con l'aggravante  della  recidiva
reiterata prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen., il giudizio
di prevalenza e, quindi, la diminuzione della pena, e' impedita dalla
disposizione censurata, rimanendo possibile, a favore  dell'imputato,
solo il giudizio di equivalenza. Infatti la legge n. 251 del 2005  ha
riformulato il quarto comma dell'art. 99 cod. pen.,  introducendo  il
divieto di prevalenza di qualsiasi circostanza attenuante, inclusa la
diminuente del vizio parziale di mente, nell'ipotesi - tra l'altro  -
di recidiva reiterata, precludendo cosi' in modo assoluto al  giudice
di applicare, in tal caso, la relativa diminuzione di pena. 
    5.- Tale norma, nel testo risultante dalla legge n. 251 del 2005,
e'  stata  oggetto  di  numerose  dichiarazioni   di   illegittimita'
costituzionale, che hanno restituito al giudice  la  possibilita'  di
ritenere, nell'ambito  dell'obbligatorio  giudizio  di  bilanciamento
delle  circostanze   eterogenee,   la   prevalenza,   rispetto   alla
circostanza  aggravante  della   recidiva   reiterata,   di   singole
circostanze attenuanti, che sono state  distintamente,  di  volta  in
volta, oggetto di verifica di costituzionalita'. 
    In generale, questa Corte ha  affermato  che  deroghe  al  regime
ordinario  del  bilanciamento  tra  circostanze,  come   disciplinato
dall'art. 69 cod. pen., sono  si'  costituzionalmente  ammissibili  e
rientrano nell'ambito delle scelte discrezionali del legislatore,  ma
sempre  che  non  «trasmodino  nella  manifesta  irragionevolezza   o
nell'arbitrio» (sentenze n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012;  in  senso
conforme, sentenza n.  88  del  2019),  non  potendo  in  alcun  caso
giungere    «a    determinare    un'alterazione    degli    equilibri
costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilita'
penale» (sentenze n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012). 
    Nella maggior parte dei casi, le dichiarazioni di  illegittimita'
costituzionale hanno riguardato «circostanze espressive di  un  minor
disvalore  del  fatto  dal  punto  di  vista  della  sua   dimensione
offensiva»  (sentenza  n.  73  del  2020),  in  quanto  riferite   ad
attenuanti a effetto speciale, tali essendo quelle che importano  una
diminuzione della pena superiore ad un terzo (art. 63,  terzo  comma,
cod. pen.): cosi' la «lieve entita'»  nel  delitto  di  produzione  e
traffico illecito di stupefacenti (sentenza  n.  251  del  2012);  la
«particolare tenuita'» nel delitto di ricettazione (sentenza  n.  105
del 2014); la «minore gravita'»  nel  delitto  di  violenza  sessuale
(sentenza n. 106  del  2014);  il  «danno  patrimoniale  di  speciale
tenuita'» nei delitti di bancarotta  e  ricorso  abusivo  al  credito
(sentenza n. 205 del 2017). 
    In un caso la dichiarazione di illegittimita' ha avuto ad oggetto
il divieto di prevalenza  di  una  circostanza  -  l'essersi  il  reo
adoperato per evitare che il delitto  di  produzione  e  traffico  di
stupefacenti sia portato a conseguenze ulteriori - diretta a premiare
l'imputato per la propria condotta post delictum (sentenza n. 74  del
2016). 
    Piu' recentemente l'esito di incostituzionalita' ha riguardato la
circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89
cod. pen., espressiva non gia' di una minore offensivita' del  fatto,
quanto  piuttosto  della   ridotta   rimproverabilita'   dell'autore,
derivante dal minor grado  di  discernimento.  In  relazione  a  tale
fattispecie questa Corte ha affermato che  il  «disvalore  soggettivo
dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volonta'
criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della  colpa,  ma
anche dalla eventuale presenza di  fattori  che  hanno  influito  sul
processo  motivazionale   dell'autore,   rendendolo   piu'   o   meno
rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020). 
    6.- Nella fattispecie ora all'esame della  Corte  il  divieto  di
prevalenza dell'attenuante di cui al secondo comma dell'art. 116 cod.
pen. si rivela in contrasto  con  i  parametri  evocati  dal  giudice
rimettente, per una ragione ancora  piu'  stringente  di  quelle  che
hanno portato alle precedenti,  sopra  richiamate,  dichiarazioni  di
illegittimita' costituzionale. 
    La struttura della fattispecie prevista dall'art. 116 cod. pen. -
norma introdotta dal codice penale del 1930 e ispirata  a  un  rigore
marcatamente accentuato nella  repressione  dei  reati  commessi  con
concorso di persone - e' tutt'affatto particolare se confrontata  con
il  principio  generale  della  personalita'  della   responsabilita'
penale, posto dall'art. 27, primo comma, Cost., e  dalla  conseguente
preclusione di ogni forma di  responsabilita'  oggettiva  penale  (ex
plurimis, sentenza n. 364 del 1988). 
    Qualora due o piu' persone si accordino allo scopo di  commettere
un reato, rispondono tutte  di  quest'ultimo  (art.  110  cod.  pen.)
perche' da ciascuno "voluto" e quindi  investito  da  dolo,  pur  con
possibile diverso grado di intensita' e di partecipazione causale si'
da  potersi  distinguere  tra  chi  ha  promosso  od  organizzato  la
cooperazione nel reato, ovvero diretto l'attivita' delle persone  che
sono concorse nel reato medesimo (nel qual caso la pena e' aumentata:
art. 112, primo comma, numero 2, cod. pen.) e chi invece abbia  avuto
minima importanza nella  preparazione  o  nell'esecuzione  del  reato
(cio' che comporta che la pena e' diminuita: art. 114,  primo  comma,
cod. pen.). 
    Invece l'art. 116, primo comma, cod. pen.  prevede  l'ipotesi  in
cui un concorrente risponde del reato «diverso da  quello  voluto»  e
quindi in realta' "non voluto"; non di meno ne  risponde  perche'  ha
voluto il reato oggetto dell'accordo e il  reato  diverso  da  quello
voluto e' conseguenza della sua azione od omissione. 
    Se  si  considera  la  formulazione  testuale  della  norma,   il
principio della  personalita'  della  responsabilita'  penale  appare
essere  in  sofferenza,  quanto  meno  nella  misura  in   cui   tale
disposizione richiede soltanto che l'evento  del  reato  diverso  sia
conseguenza dell'azione od omissione del correo, ossia il solo  nesso
di causalita' materiale. 
    Ma alla tenuta costituzionale della norma contribuiscono  da  una
parte l'interpretazione  adeguatrice,  costituzionalmente  orientata,
accolta fin dalla citata sentenza n. 42 del 1965 e dalla sopra citata
giurisprudenza di legittimita', e d'altra parte proprio  l'attenuante
prevista dal secondo comma  dell'art.  116  cod.  pen.,  che  ha  una
funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio. 
    Infatti si e' gia' rilevato  che,  pur  mancando  il  dolo  (anzi
dovendo escludersi che  esso  ricorra  anche  nella  forma  del  dolo
eventuale), e' pero' «necessaria, per  questa  particolare  forma  di
responsabilita' penale, la presenza anche di un elemento soggettivo»,
ossia «un coefficiente di partecipazione anche psichica»: occorre, in
altre parole, che  «il  reato  diverso  o  piu'  grave  commesso  dal
concorrente debba  potere  rappresentarsi  alla  psiche  dell'agente,
nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei  fatti  umani,  come  uno
sviluppo logicamente prevedibile di quello  voluto,  affermandosi  in
tal  modo  la  necessaria  presenza  anche  di  un  coefficiente   di
colpevolezza» (sentenza n. 42 del 1965). 
    La giurisprudenza di legittimita',  sopra  richiamata,  ha,  poi,
chiarito che si tratta di prevedibilita' in concreto, tenuto conto di
tutte le peculiarita' del caso di specie. Il correo  e'  responsabile
per il fatto-reato non voluto, perche' avrebbe dovuto  prevedere  che
l'attuazione dell'accordo delittuoso sarebbe potuta  sfociare  in  un
reato diverso; mentre - puo' aggiungersi - la  previsione,  da  parte
del correo, dell'evento diverso, con accettazione del rischio che  si
verifichi, ridonda in dolo  eventuale  e  quindi  in  responsabilita'
piena, non diminuita dall'attenuante in esame (Corte  di  cassazione,
sezione prima penale, sentenza 28 giugno-30 agosto 1995, n. 9273). 
    7.- Ancorche' il difetto di  prevedibilita'  possa  ascriversi  a
colpa, il trattamento  sanzionatorio,  pero',  e'  quello  del  reato
doloso, tale essendo la prescrizione del primo  comma  dell'art.  116
cod. pen.; ossia lo stesso trattamento previsto per il correo che  ha
commesso - e voluto - il reato "diverso". 
    In cio' la norma esibisce tutto il suo  rigore  sanzionatorio  se
solo la si compara ad un'altra fattispecie generale e per certi versi
simile: quella dell'art. 83 cod. pen. Norma questa che, al  di  fuori
dell'ipotesi del concorso, prevede che se l'«evento [e']  diverso  da
quello voluto», l'agente e' responsabile a titolo di colpa  e  quindi
solo ove il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo. 
    Invece l'art. 116,  primo  comma,  cod.  pen.  non  opera  questo
decalage da reato doloso a reato colposo.  Prevede  al  contrario  la
stessa responsabilita' per il reato, diverso  da  quello  voluto  con
l'accordo delittuoso, commesso da altro correo, parificando  cosi'  a
quest'ultimo la posizione  del  concorrente  che  non  ha  voluto  il
fatto-reato. 
    Ed e' qui che, come detto, soccorre il  secondo  comma  dell'art.
116 cod. pen. per operare la necessaria diversificazione quanto  alla
dosimetria della pena. Il trattamento sanzionatorio non  puo'  essere
pienamente parificato quando il reato  commesso  sia  piu'  grave  di
quello voluto. In tal caso la pena  per  il  correo  che  risponde  a
titolo di colpa di un reato doloso piu' grave  di  quello  voluto  e'
necessariamente   riequilibrata   mediante    l'operativita'    della
diminuente  prevista  dalla  norma.  Anch'essa  quindi   concorre   a
sorreggere la tenuta costituzionale di questa eccezionale fattispecie
di responsabilita' penale, della quale peraltro gia' la  sentenza  n.
42 del 1965 auspicava una revisione e che e' stata oggetto  di  varie
iniziative di riforma, finora senza esito. 
    8.- Questa finalita' di necessario riequilibrio  del  trattamento
sanzionatorio nella fattispecie del concorso anomalo di cui  all'art.
116 cod. pen. mostra  il  carattere  tutt'affatto  particolare  della
diminuente in esame, al di la' dell'essere essa un'attenuante  comune
e non gia' ad effetto speciale. 
    La scelta del legislatore di sanzionare con la pena prevista  per
un delitto doloso il reo, al  quale  viene  mosso  un  rimprovero  di
colpa,  trova  un  bilanciamento  proprio  nella  previsione  di  cui
all'art. 116, secondo comma,  cod.  pen.,  secondo  cui  la  pena  e'
diminuita. 
    Invece la norma censurata impedisce, in modo assoluto, al giudice
di ritenere prevalente la diminuente in questione, in presenza  della
circostanza aggravante della recidiva reiterata, con cio' frustrando,
irragionevolmente, gli effetti che l'attenuante  mira  ad  attuare  e
compromettendone   la    necessaria    funzione    di    riequilibrio
sanzionatorio. 
    Il divieto inderogabile di prevalenza  dell'attenuante  in  esame
non risulta, quindi, compatibile con il principio  costituzionale  di
determinazione di una pena proporzionata. 
    Infatti il principio di proporzionalita' della pena rispetto alla
gravita'  del  reato  «esige  in  via  generale  che  la   pena   sia
adeguatamente  calibrata  non   solo   al   concreto   contenuto   di
offensivita' del fatto di reato per gli interessi protetti, ma  anche
al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo (sentenza n.  222
del 2018). E il quantum di disvalore soggettivo  dipende  in  maniera
determinante non solo dal contenuto della volonta' criminosa  (dolosa
o colposa) e dal grado  del  dolo  o  della  colpa,  ma  anche  dalla
eventuale  presenza  di  fattori  che  hanno  influito  sul  processo
motivazionale dell'autore, rendendolo  piu'  o  meno  rimproverabile»
(sentenza n. 73 del 2020). 
    9.- In definitiva,  la  sproporzione  della  pena  rispetto  alla
rimproverabilita' del fatto posto in essere, globalmente considerato,
conseguente  al  divieto  di  prevalenza  censurato,   determina   un
trattamento sanzionatorio che impedisce alla  pena  di  esplicare  la
propria funzione rieducativa con violazione dell'art. 27 Cost. 
    Inoltre, il contrasto dell'art. 69, quarto comma, cod. pen.,  con
l'art. 3 Cost. viene in rilievo sotto il profilo della violazione del
principio di uguaglianza, in quanto il divieto censurato finisce  per
vanificare la funzione che la diminuente di cui all'art. 116, secondo
comma, cod. pen., tende  ad  assicurare,  ossia  sanzionare  in  modo
diverso situazioni profondamente  distinte  sul  piano  dell'elemento
soggettivo (quello del correo che pone in essere l'evento  diverso  e
piu' grave e quello di chi vuole il reato meno grave senza prevedere,
colpevolmente, che questo possa degenerare nel fatto piu' grave). 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., come  sostituito  dall'art.  3
della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di
prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 116,  secondo
comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all'art.  99,  quarto  comma,
cod. pen. 
    10.-  Dalla  dichiarazione  di   illegittimita'   costituzionale,
consegue che la questione del medesimo art. 69,  quarto  comma,  cod.
pen., sollevata, in via subordinata, come  sopra  rilevato  al  punto
1.3., resta assorbita.