ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  18-bis,
comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni
per conformare il diritto interno alla decisione quadro  2002/584/GAI
del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto
europeo  e  alle  procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  come
introdotto dall'art. 6, comma 5, lettera b), della  legge  4  ottobre
2019, n. 117 (Delega al Governo per il  recepimento  delle  direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea -  Legge  di
delegazione  europea  2018),  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, nel procedimento penale a carico di N. B.,  con
ordinanza del  19  marzo  2020,  iscritta  al  n.  102  del  registro
ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  10  marzo  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 marzo 2021. 
    Ritenuto che con ordinanza del 4 febbraio 2020, depositata il  19
marzo 2020 e pervenuta alla cancelleria di questa Corte il 10  luglio
2020, la Corte di cassazione,  sezione  sesta  penale,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 18-bis,  comma  1,
lettera c), della legge 22  aprile  2005,  n.  69  (Disposizioni  per
conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di  consegna  tra  Stati  membri),  come  introdotto
dall'art. 6, comma 5, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n.  117
(Delega al Governo per  il  recepimento  delle  direttive  europee  e
l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione
europea 2018), «nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo
della consegna del cittadino di  uno  Stato  non  membro  dell'Unione
europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora
nel territorio italiano, sempre che la Corte d'appello  disponga  che
la pena  o  la  misura  di  sicurezza  irrogata  nei  suoi  confronti
dall'autorita' giudiziaria di uno Stato  membro  dell'Unione  europea
sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno»; 
    che, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata  sarebbe
di dubbia compatibilita' con gli artt. 11 e 117, primo  comma,  della
Costituzione in relazione all'art. 4, paragrafo  6,  della  Decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio del  13  giugno  2002  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli  Stati
membri, nonche' con gli artt. 2, 3, 27, terzo  comma,  e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU), all'art. 17, paragrafo  1,  del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (PIDCP), e
all'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea
(CDFUE); 
    che la Sezione  rimettente  si  trova  a  giudicare  del  ricorso
promosso dal Procuratore generale della Repubblica di  Genova  contro
una sentenza della locale Corte d'appello, che - decidendo in sede di
rinvio dopo un  precedente  annullamento  da  parte  della  Corte  di
cassazione - aveva rifiutato la consegna  di  un  cittadino  albanese
richiesta mediante mandato di arresto europeo dalla Procura  generale
presso la Corte d'appello di Salonicco (Grecia), sulla  base  di  una
sentenza definitiva di condanna all'ergastolo e a una multa di 50.000
euro emessa a carico del medesimo per avere illegalmente  detenuto  e
trasportato, in concorso con altre persone, circa  quattro  chili  di
eroina; 
    che il rifiuto della consegna  era  stato  motivato  dalla  Corte
d'appello   territoriale   sulla   base   di   una    interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 18-bis, comma 1,  lettera  c),
della legge n. 69 del 2005, in forza della quale il giudice  italiano
potrebbe rifiutarsi di eseguire un mandato di arresto emesso  a  fini
di esecuzione di una sentenza definitiva  di  condanna  non  soltanto
allorche' la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino  di
altro  Stato  membro  dell'Unione  europea  che   legittimamente   ed
effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio  italiano,  ma
anche nei confronti di un cittadino di uno Stato terzo che  si  trovi
nelle medesime condizioni, sempre che la corte d'appello disponga che
la pena sia eseguita in Italia conformemente al diritto italiano; 
    che con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Genova  aveva
disposto l'esecuzione in  Italia  della  pena  inflitta  dalla  Corte
d'appello greca nei confronti dell'interessato,  rideterminandola  in
ventitre' anni e otto mesi di reclusione  e  40.000  euro  di  multa,
previa applicazione dell'indulto per  la  porzione  di  tre  anni  di
reclusione e 10.000 euro di multa, unitamente  alle  pene  accessorie
dell'interdizione perpetua dai pubblici  uffici  e  dell'interdizione
legale durante la pena; 
    che la Sezione  rimettente  ritiene,  tuttavia,  non  praticabile
l'interpretazione  costituzionalmente  conforme  svolta  dalla  corte
territoriale, stante il tenore letterale dell'art. 18-bis,  comma  1,
lettera c), della legge n. 69 del 2005, che prevede  la  possibilita'
di rifiuto della consegna per i  soli  cittadini  italiani  e  per  i
cittadini  dell'Unione  europea  che  si  trovino  nelle   condizioni
descritte  dalla  norma,  implicitamente   escludendo   dal   rifiuto
facoltativo di consegna i cittadini di Stati terzi; 
    che, pertanto, sulla base dell'art. 18-bis, comma 1, lettera  c),
della legge n. 69 del 2005 il ricorso del Procuratore generale  della
Repubblica di Genova dovrebbe essere accolto, anche alla  luce  della
costante giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  che  ha  sinora
sempre escluso la possibilita' di rifiutare la consegna di  cittadini
di Stati terzi pur legittimamente e stabilmente residenti o dimoranti
in Italia, e che ha altresi'  ritenuto  manifestamente  infondata  la
relativa eccezione di illegittimita' costituzionale per contrasto con
l'art. 3 Cost.,  in  ragione  della  disparita'  di  trattamento  tra
cittadini dell'Unione europea e cittadini di Stati terzi; 
    che, tuttavia, la Sezione rimettente dubita della  compatibilita'
dell'art. 18-bis, comma 1, lettera c),  con  i  molteplici  parametri
costituzionali e sovranazionali sopra menzionati; 
    che  le  questioni  sarebbero  rilevanti,  dal  momento  che   il
cittadino albanese  della  cui  consegna  si  controverte  sarebbe  -
secondo l'apprezzamento, congruamente motivato, dei giudici di merito
-  «residente  anagraficamente  in  Genova  dal  4  giugno  2018  per
immigrazione registratavi il 14 novembre 2016», e  risulterebbe  aver
ivi stabilito «il centro dei propri interessi lavorativi e familiari,
esprimendosi correttamente in lingua italiana e svolgendovi  sino  al
momento del  suo  arresto  una  regolare  attivita'  lavorativa  alle
dipendenze  di  un'impresa»:  cio'  che  consentirebbe  di   desumere
l'esistenza di un suo «radicamento  reale  e  non  estemporaneo»  sul
territorio nazionale; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
giudice a quo osserva anzitutto  che  l'art.  4,  paragrafo  6  della
decisione   quadro   2002/584/GAI,   trasposto   dalla   disposizione
censurata, prevede che lo Stato possa, ai fini dell'esecuzione di una
sentenza di condanna pronunciata nello Stato di emissione del mandato
di arresto, rifiutare la  consegna  di  persona  che  sia  cittadino,
ovvero «dimori» o «risieda» nello Stato richiesto, senza  distinguere
dunque tra l'ipotesi in cui lo straniero dimorante  o  residente  sia
cittadino di altro Stato membro o di uno Stato terzo; 
    che ad avviso del rimettente le nozioni di "residenza" o "dimora"
alluderebbero piuttosto - secondo l'interpretazione  fornitane  dalla
Corte di giustizia -  rispettivamente  alla  «situazione  in  cui  la
persona ricercata abbia  stabilito  la  propria  residenza  effettiva
nello Stato membro di esecuzione e a quella in cui tale persona abbia
acquisito, a seguito di un soggiorno stabile di una certa  durata  in
questo medesimo Stato, legami con quest'ultimo di intensita' simile a
quella dei legami che si instaurano in caso di residenza»: situazione
che potrebbe presentarsi, per  l'appunto,  tanto  nei  confronti  del
cittadino di altro Stato membro, quanto nei confronti  del  cittadino
di Stato terzo; 
    che pertanto, ad  avviso  della  Sezione  rimettente,  una  volta
introdotto il motivo di rifiuto in parola  nell'ordinamento  interno,
lo   Stato   membro   non    potrebbe    irrazionalmente    limitarne
«l'applicazione  ai  soli   cittadini   e   residenti   "comunitari",
escludendola tout court per i residenti o dimoranti "non comunitari",
se non a condizione di trasporre solo  una  porzione  del  contenuto,
generale ed onnicomprensivo della norma euro-unitaria, cosi' eludendo
l'obbligo di rispettarne fedelmente i vincoli di adeguamento ai sensi
degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost.»; 
    che, sotto un diverso profilo,  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna
ragionevole giustificazione della diversita' di  trattamento  tra  il
cittadino di Stato terzo del quale sia richiesta la consegna  a  fini
di esecuzione della pena e  lo  straniero  residente  nel  territorio
italiano del quale sia  invece  richiesta  la  consegna  ai  fini  di
un'azione penale, rispetto al quale l'art. 19, comma 1,  lettera  c),
della legge n. 69 del 2005 prevede - senza distinguere a seconda  che
si tratti di cittadino di altro Stato dell'Unione europea o di  Stato
terzo -  che  al  relativo  mandato  di  arresto  possa  essere  data
esecuzione soltanto subordinatamente alla condizione che la  persona,
dopo essere stata ascoltata, sia rinviata in Italia per scontarvi  la
pena o la misura di  sicurezza  eventualmente  pronunciata  nei  suoi
confronti dallo Stato di emissione; 
    che - rileva il giudice a quo - la giurisprudenza della Corte  di
cassazione richiede soltanto, ai fini  dell'operativita'  del  citato
art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005, la prova di
un soggiorno stabile e di una certa durata dello straniero, idoneo  a
consentire l'acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che vi
si instaurano in caso di residenza; 
    che la disparita' di trattamento tra la situazione del  cittadino
di Stato terzo rispetto all'esecuzione di mandati di arresto  a  fini
rispettivamente della esecuzione della pena (art.  18-bis,  comma  1,
lettera c, della legge n. 69 del 2005) e di  un'azione  penale  (art.
19, comma 1, lettera c,  della  medesima  legge)  determinerebbe  una
violazione dell'art. 3 Cost. «per quel che attiene  al  rispetto  dei
canoni di ragionevolezza e coerenza  sistematica»  delle  scelte  del
legislatore; 
    che la mancata previsione di una  causa  di  rifiuto  facoltativo
della consegna del  cittadino  di  Stato  terzo  da  parte  dell'art.
18-bis,  comma  1,  lettera  c),  della  legge   n.   69   del   2005
pregiudicherebbe altresi' la finalita' di reinserimento sociale della
persona condannata, in violazione  -  oltre  che  della  ratio  dello
stesso art. 4, paragrafo 6, della  decisione  quadro  2002/584/GAI  -
dell'art. 27, terzo comma, Cost.; 
    che, infatti, «l'esclusione a priori della  possibilita'  che  il
residente (o dimorante) cittadino di uno Stato terzo sconti  la  pena
in Italia» non consentirebbe «di perseguirne  la  "risocializzazione"
attraverso la conservazione, per  quanto  e'  possibile,  dei  legami
familiari e sociali  durante  la  fase  di  esecuzione  della  pena»:
finalita', quest'ultima, di cui il diritto dell'Unione si  fa  carico
anche mediante la decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio del  27
novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del  reciproco
riconoscimento alle sentenze penali che  irrogano  pene  detentive  o
misure  privative  della  liberta'  personale,  ai  fini  della  loro
esecuzione nell'Unione europea, che  istituisce  un  sistema  per  il
trasferimento di detenuti condannati nello Stato membro con il  quale
il condannato mantiene  legami,  familiari,  linguistici,  culturali,
sociali o economici o di altro tipo, al fine ultimo di agevolarne  il
reinserimento sociale al termine dell'esecuzione della pena; 
    che  analoghe  considerazioni  supporterebbero,  ad  avviso   del
giudice a quo,  il  dubbio  di  compatibilita'  tra  la  disposizione
censurata e il diritto fondamentale alla vita privata e familiare del
condannato, dal momento che la sua consegna  allo  Stato  richiedente
rischierebbe di recidere tutti i legami affettivi,  sentimentali,  di
reciproca assistenza e solidarieta' scaturenti dalla vicinanza  della
propria famiglia: con conseguente violazione  dell'art.  7  CDFUE  (e
dunque degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.),  da  leggersi  alla
luce della giurisprudenza della Corte EDU  formatasi  in  materia  di
art. 8 CEDU,  nonche'  dell'art.  17  PIDCP,  entrambi  autonomamente
rilevanti nell'ordinamento nazionale per il  tramite  dell'art.  117,
primo comma,  Cost.,  oltre  che  dello  stesso  art.  2  Cost.,  che
garantisce protezione ad ogni formazione sociale in cui si svolge  la
personalita' umana; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri tramite l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che  le
questioni  sollevate  siano  dichiarate  inammissibili  e,  comunque,
infondate; 
    che le questioni sarebbero, anzitutto, inammissibili per  difetto
di rilevanza, dal momento  che  la  Corte  d'appello  di  Genova  non
avrebbe dovuto applicare  al  condannato  l'indulto  in  mancanza  di
consenso dello Stato di  emissione,  che  non  risulta  essere  stato
richiesto,  di  talche'  essa   avrebbe   dovuto,   alternativamente,
autorizzare la consegna ovvero disporre l'integrale esecuzione  della
pena, salvo quanto stabilito  dall'art.  10,  comma  5,  del  decreto
legislativo 7 settembre 2010, n. 161 (Disposizioni per conformare  il
diritto  interno  alla   Decisione   quadro   2008/909/GAI   relativa
all'applicazione del  principio  del  reciproco  riconoscimento  alle
sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative  della
liberta'  personale,  ai  fini  della  loro  esecuzione   nell'Unione
europea), non risultando peraltro  nel  caso  di  specie  neppure  la
verifica  del  consenso  del  Ministro   della   giustizia   italiano
all'esecuzione  della  sentenza  in  Italia,  necessario   ai   sensi
dell'art. 10, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 161 del 2010; 
    che le questioni sarebbero comunque  infondate  nel  merito,  dal
momento che i motivi di rifiuto di consegna stabiliti dalla decisione
quadro 2002/584/GAI e trasposti nell'ordinamento degli  Stati  membri
dovrebbero   essere   considerati    come    altrettante    eccezioni
all'operativita' del principio del mutuo  riconoscimento,  ed  essere
percio' oggetto di una  interpretazione  restrittiva,  risultando  in
particolare precluso  agli  Stati  membri  estendere  le  ipotesi  di
legittimo rifiuto  all'esecuzione  del  mandato  di  arresto  europeo
rispetto a quelle previste dalla menzionata decisione quadro, che  ad
avviso dell'Avvocatura generale imporrebbe esclusivamente - alla luce
della  pertinente  giurisprudenza  della   Corte   di   giustizia   -
l'equiparazione della posizione del cittadino dello Stato richiesto a
quella dei cittadini di altri Stati membri che abbiano effettivamente
e legittimamente residenza o dimora nello Stato richiesto; 
    che neppure sussisterebbe il denunciato vulnus all'art. 27, terzo
comma,  Cost.,  dal  momento  che  il  principio  di  rieducazione  e
risocializzazione della pena sarebbe attuato in qualunque ordinamento
dell'Unione europea, non essendovi peraltro alcuna  garanzia  che  lo
straniero, una volta scontata la pena, possa effettivamente permanere
in Italia; 
    che nemmeno  sussisterebbe  alcuna  irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto alla disciplina dettata dall'art. 19,  comma  1,
lettera c), della legge n. 69 del 2005, «dal momento che gli  effetti
cui mira il mandato di arresto europeo esecutivo e quelli ai quali e'
finalizzato il mandato di arresto processuale sono  diversi,  essendo
quest'ultimo volto a ridurre, negli Stati membri, la celebrazione  di
procedimenti in absentia, rispetto ai quali, nel  caso  di  condanna,
per l'esecuzione della pena  irrogata  era  gia'  prevista,  sin  dal
sistema delle estradizioni, il rifiuto della  richiesta  di  consegna
della persona»; 
    che, con decreto presidenziale del 4 febbraio 2021, la camera  di
consiglio per la  decisione  della  presente  causa,  originariamente
fissata per il 10 febbraio 2021, e' stata rinviata al 10 marzo  2021,
in considerazione dell'avvenuta  promulgazione,  medio  tempore,  del
decreto legislativo 2 febbraio  2021,  n.  10  (Disposizioni  per  il
compiuto adeguamento  della  normativa  nazionale  alle  disposizioni
della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa  al  mandato  d'arresto
europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in  attuazione
delle delega di cui all'articolo 6 della legge  4  ottobre  2019,  n.
117), pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  il  5
febbraio  2021,  il  cui  art.  15  ha  modificato  la   disposizione
censurata, e il cui art. 17 ha altresi' modificato  l'art.  19  della
legge n. 69  del  2005,  invocato  quale  tertium  comparationis  dal
giudice rimettente nella questione formulata con riferimento all'art.
3 Cost.; 
    che il 18 febbraio 2021  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
depositato una nota in  pari  data  del  Ministero  della  giustizia,
contenente osservazioni sulle modifiche recate dal d.lgs. n.  10  del
2021 alla disciplina di cui e' causa; 
    che in tali osservazioni il Ministero della giustizia rileva  che
le modifiche apportate da un lato confermano - all'art. 18-bis  della
legge n. 69 del 2005, come riformulato - la non  opponibilita'  della
causa  di  rifiuto  prevista   dalla   disposizione   censurata   con
riferimento al cittadino di uno Stato terzo, e dall'altro escludono -
all'art. 19 della medesima legge n. 69 del 2005, come  riformulato  -
che l'autorita' giudiziaria italiana possa ora rifiutare la  consegna
del cittadino di  uno  Stato  terzo  ai  fini  di  un'azione  penale,
essendosi  cosi'  eliminata  la  discrasia  tra  le  due   discipline
lamentata dal rimettente. 
    Considerato  che   le   menzionate   disposizioni   del   decreto
legislativo 2 febbraio 2021, n.  10  (Disposizioni  per  il  compiuto
adeguamento  della  normativa  nazionale  alle   disposizioni   della
decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra stati membri,  in  attuazione  delle
delega di cui all'articolo 6 della legge  4  ottobre  2019,  n.  117)
hanno modificato sia la disposizione censurata, sia  la  disposizione
invocata  dal  giudice  a  quo  quale  tertium  comparationis   nella
questione formulata con riferimento all'art. 3 della Costituzione; 
    che il nuovo testo dell'art. 18-bis della legge 22  aprile  2005,
n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla  decisione
quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno  2002,  relativa  al
mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna  tra  Stati
membri) prevede ora, al comma 2, che «[q]uando il mandato di  arresto
europeo e' stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una
misura di sicurezza privative della liberta' personale, la  corte  di
appello puo' rifiutare la consegna della persona  ricercata  che  sia
cittadino italiano o cittadino  di  altro  Stato  membro  dell'Unione
europea legittimamente ed effettivamente residente  o  dimorante  nel
territorio italiano da almeno cinque anni, sempre  che  disponga  che
tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia  conformemente
al suo diritto interno»; 
    che, pertanto, la nuova formulazione della disposizione censurata
- collocata ora in un  autonomo  secondo  comma  dell'art.  18-bis  -
restringe l'ambito di applicazione del  motivo  di  rifiuto  da  essa
disciplinato alle sole ipotesi del cittadino italiano e del cittadino
di  altro  Stato  membro  dell'Unione   europea   legittimamente   ed
effettivamente residente o dimorante in Italia da almeno cinque anni,
confermando cosi' implicitamente l'esclusione del cittadino di  Stato
terzo gia' desumibile dalla  precedente  formulazione  oggetto  delle
censure del giudice a quo; 
    che il nuovo testo dell'art. 19 della legge n. 69 del 2005,  come
modificato dal d.lgs. n. 10 del 2021, prevede ora alla lettera b) che
«se il mandato  di  arresto  europeo  e'  stato  emesso  ai  fini  di
un'azione penale nei confronti di cittadino italiano o  di  cittadino
di  altro  Stato  membro  dell'Unione   europea   legittimamente   ed
effettivamente residente nel territorio  italiano  da  almeno  cinque
anni, l'esecuzione del mandato e' subordinata alla condizione che  la
persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello
Stato italiano per  scontarvi  la  pena  o  la  misura  di  sicurezza
privative della liberta' personale eventualmente applicate  nei  suoi
confronti nello Stato membro di emissione»; 
    che, dunque, il novellato art. 19 prevede che la consegna ai fini
di un'azione penale e' subordinata  alla  condizione  del  rinvio  in
Italia della persona richiesta per l'esecuzione della  pena  o  della
misura di sicurezza soltanto nei confronti del cittadino  italiano  e
del   cittadino   di   altro   Stato   membro   dell'Unione   europea
legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano da
almeno cinque anni, e non piu'  -  come  avveniva  nel  vigore  della
precedente formulazione dello stesso  art.  19  -  nei  confronti  di
qualsiasi persona avente cittadinanza italiana o residente in Italia; 
    che - per quanto l'art. 28 del d.lgs. n. 10 del 2021 disponga  la
perdurante applicazione della previgente disciplina quando  la  corte
d'appello abbia gia' ricevuto  il  mandato  d'arresto  europeo  o  la
persona richiesta sia gia' stata arrestata - le  modifiche  apportate
dallo stesso d.lgs. n. 10 del 2021 alle disposizioni della  legge  n.
69 del 2005 incidono cosi' profondamente sull'ordito logico  che  sta
alla  base  delle  censure  prospettate  da  rendere  necessaria   la
restituzione degli atti al giudice a quo perche' possa procedere alla
rivalutazione  della  non  manifesta  infondatezza  delle   questioni
prospettate, tenendo conto delle intervenute modifiche normative.