ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  299,
comma 3-bis, 300, comma 2, del codice di  procedura  penale,  e  222,
primo comma, del codice penale,  promosso  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Cosenza  nel  procedimento
penale a carico di  T.  P.,  con  ordinanza  del  12  febbraio  2020,
iscritta al n.  90  del  registro  ordinanze  2020  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  29,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  24  marzo  2021  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2021. 
    Ritenuto che con ordinanza  del  12  febbraio  2020,  il  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  ordinario  di  Cosenza  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 13 e 117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  all'art.  5,  paragrafo  1,
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (CEDU),  nonche'  al
«principio   di   ragionevolezza»   -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 299, comma 3-bis, del  codice  di  procedura
penale, nella  parte  in  cui,  per  come  interpretato  dal  diritto
vivente, imporrebbe al giudice di sentire il pubblico ministero anche
in caso di perdita di efficacia della misura cautelare personale  per
intervenuto proscioglimento dell'imputato, ai  sensi  dell'art.  300,
comma 1, cod. proc. pen.; 
    che il giudice a quo censura altresi', per contrasto  con  l'art.
32, primo comma, Cost., l'art. 300, comma 1 (recte:  comma  2),  cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui,  in  caso   di   proscioglimento
dell'imputato in stato di custodia cautelare, subordina -  giusta  il
rinvio all'art. 312 cod.  proc.  pen.  -  l'applicazione  provvisoria
della misura di  sicurezza  del  ricovero  in  ospedale  psichiatrico
giudiziario (da eseguirsi oggi  in  una  residenza  per  l'esecuzione
delle misure di sicurezza - in seguito: REMS) alla  previa  richiesta
del pubblico ministero; 
    che il rimettente denuncia infine  -  sempre  per  contrasto  con
l'art. 32 Cost. - l'art. 222, primo comma, del codice  penale,  nella
parte in cui dispone che, in caso di proscioglimento  per  infermita'
psichica,  la  misura  di  sicurezza   del   ricovero   in   ospedale
psichiatrico giudiziario (da eseguirsi in una REMS) sia ordinata  per
un tempo non inferiore a due anni; 
    che il giudice a quo deve vagliare  una  richiesta  del  pubblico
ministero di revoca della misura di sicurezza  del  ricovero  in  una
REMS, applicata in via provvisoria dallo stesso rimettente - ai sensi
degli artt. 300, comma 2, e 312 cod. proc. proc. pen - nei  confronti
di un imputato gia' sottoposto a  misura  cautelare,  contestualmente
alla sentenza con cui, in  esito  a  giudizio  abbreviato,  lo  aveva
prosciolto per infermita' di mente; 
    che, secondo quanto esposto  dal  rimettente,  la  richiesta  del
pubblico  ministero   e'   fondata   sulla   dedotta   nullita'   del
provvedimento di applicazione provvisoria della misura di  sicurezza,
per essere stato lo stesso adottato in  difetto  di  richiesta  della
pubblica accusa; 
    che,  secondo  il  giudice  a  quo,  la  richiesta  del  pubblico
ministero dovrebbe  essere  accolta,  dal  momento  che,  secondo  il
diritto vivente (sono citate le sentenze della Corte  di  cassazione,
sezione sesta penale, 10 ottobre-5 dicembre 1995,  n.  3472;  sezione
quinta penale, 28 novembre 1997-22 gennaio  1998,  n.  5452;  sezione
seconda penale, 18 marzo-28 ottobre 1998, n.  1962;  sezione  seconda
penale, 27 settembre-27  ottobre  2005,  n.  39495;  sezione  seconda
penale, 18 maggio-7 giugno 2006, n. 19549; sezione sesta  penale,  24
settembre-6  ottobre  2008,  n.  38138;  sezione  prima  penale,   11
novembre-5 dicembre 2008, n. 45313), la declaratoria  di  perdita  di
efficacia della misura cautelare per proscioglimento dell'imputato, a
norma dell'art. 300, comma 1, cod. proc.  pen.,  non  avrebbe  potuto
essere adottata in difetto del previo parere del pubblico  ministero,
richiesto dall'art. 299, comma 3-bis, del medesimo codice; 
    che, tuttavia,  l'obbligo  di  acquisire  tale  parere  prima  di
dichiarare la perdita di efficacia della misura  cautelare  applicata
all'imputato prosciolto si porrebbe in contrasto sia  con  l'art.  13
Cost., in quanto «l'eventuale ultrattivita' del titolo cautelare  non
poggerebbe su  gravi  indizi  di  colpevolezza  radicalmente  esclusi
dall'accertato proscioglimento dell'imputato», sia  con  l'art.  117,
primo comma, Cost.  in  relazione  all'art.  5,  paragrafo  1,  CEDU,
poiche'  la  privazione  della   liberta'   personale   dell'imputato
avverrebbe  qui  al  di  fuori   delle   ipotesi   consentite   dalla
disposizione convenzionale; 
    che sarebbe  altresi'  vulnerato  il  canone  di  ragionevolezza,
atteso che: a) l'imposizione del previo parere del pubblico ministero
produrrebbe un inammissibile effetto di  limitazione  o  differimento
degli effetti della decisione giudiziale; b)  non  sarebbe  possibile
acquisire tale parere prima  della  decisione  sulla  responsabilita'
penale dell'imputato, della quale non si potrebbe prevedere  l'esito;
c) ove la declaratoria di immediata perdita di efficacia della misura
cautelare dovesse essere posticipata rispetto al proscioglimento  per
consentire  l'acquisizione  del  parere   del   pubblico   ministero,
l'imputato rimarrebbe sottoposto, ancorche' per  un  breve  lasso  di
tempo, a una misura restrittiva della  liberta'  personale  priva  di
giustificazione; 
    che  -  prosegue  il  rimettente  -  la   richiesta   di   revoca
dell'applicazione provvisoria  del  ricovero  in  una  REMS  dovrebbe
essere accolta, anche sotto il distinto  profilo  che  la  misura  di
sicurezza non avrebbe potuto essere ordinata in difetto di  richiesta
della pubblica accusa, secondo il disposto degli artt. 300, comma  2,
e 312, cod. proc. pen.; 
    che, tuttavia,  l'art.  300,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  «ove
interpretato nel senso che [...] contenga un richiamo integrale  alle
disposizioni di cui all'art. 312 dello stesso codice»  -  e  pertanto
consenta l'applicazione provvisoria della  misura  di  sicurezza  del
ricovero in una REMS all'imputato prosciolto per  infermita'  mentale
solo su richiesta del pubblico ministero - si porrebbe  in  contrasto
con l'art. 32, primo comma, Cost.; 
    che, secondo  la  giurisprudenza  costituzionale  (e'  citata  la
sentenza n. 253 del 2003), la misura di  sicurezza  del  ricovero  in
ospedale psichiatrico giudiziario (oggi, in una REMS) ha un contenuto
essenzialmente terapeutico, sicche' subordinarne l'applicazione  alla
richiesta del pubblico ministero - il quale invece, avendo chiesto la
condanna dell'imputato, lo riterrebbe capace di intendere e di volere
- violerebbe «il diritto alla cura della salute dell'imputato affetto
da grave infermita' mentale»; 
    che tale vulnus si produrrebbe «sia nel caso che  si  pervenga  -
sulla scorta della mancanza di richiesta del pubblico  ministero  [in
ordine] all'applicazione della misura di sicurezza -  alla  eventuale
ultrattivita' della misura custodiale sino alla  definitivita'  della
sentenza  (cio'  che  garantirebbe  le  esigenze  di   tutela   della
collettivita' ma a costo di privare il malato  psichico  del  diritto
alle cure adeguate alla sua malattia); sia nel caso che,  in  assenza
della  suddetta  richiesta,  venga  dichiarata  la  mera  perdita  di
efficacia della misura custodiale (e cio' anche in disparte dal fatto
che in tale eventualita' verrebbe meno qualsivoglia misura  a  tutela
della collettivita' rispetto ai pericoli collegati alla  prognosi  di
"pericolosita' sociale" dell'incapace)»; 
    che - osserva infine il rimettente - a dispetto  dell'entrata  in
vigore dell'art. 3-ter del decreto-legge 22  dicembre  2011,  n.  211
(Interventi  urgenti  per  il  contrasto  della  tensione   detentiva
determinata dal  sovraffollamento  delle  carceri),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012, n.  9,  che  dispone  il
superamento degli ospedali psichiatrici  giudiziari  a  favore  delle
REMS,  l'art.  222,  primo  comma,  cod.  pen.,  tuttora  in  vigore,
prescrive che, nel caso di proscioglimento per  infermita'  psichica,
e'  sempre  ordinato  il  ricovero  dell'imputato  in   un   ospedale
psichiatrico giudiziario per un tempo non inferiore a due anni, salvo
che si tratti di contravvenzioni o di  delitti  colposi  o  di  altri
delitti per i quali la legge  stabilisce  la  pena  pecuniaria  o  la
reclusione per un tempo non superiore nel massimo a due anni (ipotesi
in specie non ricorrente); 
    che il censurato art. 222, primo comma, cod. pen. «imporrebbe  al
giudice, in luogo di ordinare "immediatamente" la misura di sicurezza
in una c.d.  REMS,  ai  sensi  dell'art.  312  cod.  proc.  pen.,  di
[applicare], in via definitiva, la misura del ricovero  in  una  REMS
per la durata non inferiore a  due  anni:  misura  la  cui  effettiva
applicazione, rimarrebbe, tuttavia, sospesa sino alla irrevocabilita'
della sentenza di proscioglimento»; 
    che la previsione di una durata minima biennale della  misura  si
porrebbe in contrasto con l'art. 32 Cost., in  quanto  la  misura  di
sicurezza disposta nei confronti di un soggetto infermo di mente  non
dovrebbe avere un contenuto punitivo e dovrebbe essere applicata solo
«per il tempo strettamente necessario a contemperare le  esigenze  di
cura  del  paziente  con  quelle  di  tutela  della  collettivita'  -
corrispondente al lasso di tempo nel corso del quale il  destinatario
puo' essere considerato  "socialmente  pericoloso"»,  sicche'  nessun
automatismo dovrebbe guidare  il  giudice  nella  determinazione  del
tempo necessario ad assicurare tali finalita' (e' citata la  sentenza
n. 139 del 1982 di questa Corte); 
    che dovrebbe  dunque  ritenersi  «superata»  la  distinzione  tra
applicazione provvisoria e definitiva delle misure  di  sicurezza,  e
possibile per il giudice applicare, ai sensi dell'art. 300, comma  2,
cod.  proc.  pen.,  anche  in  difetto  di  richiesta  del   pubblico
ministero, una misura di sicurezza di durata non determinata, la  cui
esecuzione possa cessare non appena scemi  la  pericolosita'  sociale
dell'infermo di mente; 
    che  le  questioni  di  legittimita'   costituzionale   sarebbero
rilevanti,  in  quanto  inciderebbero  sulla  possibilita',  per   il
giudice, di disporre la revoca della misura  di  sicurezza  applicata
con effetto immediato nella sentenza di proscioglimento;  revoca  che
comporterebbe  la  permanenza  dell'imputato  in  stato  di  custodia
cautelare fino al  momento  dell'irrevocabilita'  della  sentenza  di
proscioglimento; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
manifestamente infondate; 
    che  sarebbero  anzitutto  inammissibili,  per  irrilevanza,   le
censure sollevate in riferimento agli artt. 299,  comma  3-bis,  cod.
proc.  pen.,  e  222,  primo  comma,  cod.  pen.,  in   quanto   tali
disposizioni non dovrebbero essere applicate nel giudizio a quo; 
    che erroneamente il  rimettente  assumerebbe  che  l'applicazione
della  misura  di  sicurezza  abbia  comportato   una   «declaratoria
implicita di perdita di efficacia della misura  cautelare  custodiale
in atto» e, viceversa,  che  la  revoca  della  misura  di  sicurezza
comporterebbe una "reviviscenza" della custodia cautelare; 
    che una simile ricostruzione si porrebbe in aperto contrasto,  da
un lato, con il tenore degli artt. 300, comma 1, 532, comma 1, e 306,
comma 1, cod. proc. pen.,  che  impongono  al  giudice,  in  caso  di
proscioglimento, la declaratoria di immediata  perdita  di  efficacia
della  misura  cautelare  e  l'immediata   rimessione   in   liberta'
dell'imputato; e, dall'altro lato, con  l'autonomia  strutturale  tra
misure  cautelari   e   misure   di   sicurezza,   risultante   dalla
giurisprudenza che nega l'applicabilita' dell'art. 299 cod. pen.  nel
passaggio dall'una all'altra (e' citata Corte di cassazione,  sezione
quinta penale, sentenza 2 maggio-12 giugno  2019,  n.  26080)  e  che
evidenzia la diversita' di presupposti dei due istituti (sono  citate
Corte di cassazione, sezione  quinta  penale,  sentenza  9  aprile-19
giugno 2014, n. 26589 e la sentenza n. 228 del 1999 di questa Corte). 
    che del pari inammissibile sarebbe  la  questione  relativa  agli
artt. 300, comma 2, e 312 cod. proc. pen.,  risolvendosi  la  censura
del   rimettente   -   il   quale   denuncerebbe    «l'ingiustificato
"condizionamento" derivante ai poteri del giudice dalla previsione di
una  necessaria  iniziativa   del   pubblico   ministero»   -   nella
sollecitazione di un intervento riservato alla  discrezionalita'  del
legislatore; 
    che, con la sentenza n. 4 del 1992, questa  Corte  ha  dichiarato
non fondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'allora
vigente art. 291, comma 1-bis, cod. proc.  pen.,  che  consentiva  al
giudice di disporre misure cautelari meno gravi solo se  il  pubblico
ministero non avesse espressamente richiesto di provvedere in  ordine
alle misure indicate, evidenziando, tra l'altro, la coerenza di  tale
assetto normativo con «un  modello  processuale  che  dichiaratamente
mira  ad  esaltare  il   ruolo   delle   parti   ed   a   preservare,
correlativamente, la terzieta' del giudice»; 
    che tali principi si attaglierebbero anche  al  caso  di  specie,
dovendosi ritenere che la necessita'  della  richiesta  del  pubblico
ministero per l'applicazione provvisoria di una misura  di  sicurezza
sia conforme al modello "accusatorio"  che  costituisce  cardine  del
vigente codice di rito e miri a preservare l'equidistanza del giudice
dalle parti; 
    che, in definitiva, la previsione della  richiesta  del  pubblico
ministero quale «presupposto inderogabile sul piano  processuale  per
abilitare il giudice a disporre  l'applicazione  provvisoria  di  una
misura di sicurezza» (ancora sentenza n. 228 del 1999)  costituirebbe
una scelta non solo  afferente  all'ambito  di  discrezionalita'  del
legislatore ma anche pienamente coerente con «un  principio  basilare
che informa l'intero sistema della procedura penale». 
    Considerato che, con l'ordinanza di rimessione  in  epigrafe,  il
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario  di  Cosenza
solleva tre distinte questioni di legittimita' costituzionale; 
    che con la prima questione  -  prospettata  in  riferimento  agli
artt. 13 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 5, paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo (CEDU), nonche' al «principio di ragionevolezza»  -
il  rimettente  censura  l'art.  299,  comma  3-bis,  del  codice  di
procedura penale, nella parte  in  cui,  per  come  interpretato  dal
diritto  vivente,  imporrebbe  al  giudice  di  sentire  il  pubblico
ministero  anche  in  caso  di  perdita  di  efficacia  della  misura
cautelare personale per intervenuto proscioglimento dell'imputato, ai
sensi dell'art. 300, comma 1, cod. proc. pen.; 
    che,  rispetto  a  tale   questione,   e'   fondata   l'eccezione
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato   di   inammissibilita'   per
irrilevanza; 
    che il rimettente  deve  infatti  decidere  sulla  richiesta  del
pubblico  ministero  di  revocare  l'applicazione   provvisoria   del
ricovero in una residenza per l'esecuzione delle misure di  sicurezza
(in seguito: REMS), disposta dallo stesso  giudice  a  carico  di  un
imputato ai sensi degli artt. 300, comma 2, e 312  cod.  proc.  proc.
pen. contestualmente alla sentenza con la quale, in esito a  giudizio
abbreviato, lo aveva prosciolto per infermita' mentale; 
    che l'applicazione provvisoria  della  misura  di  sicurezza,  ex
artt. 300, comma 2,  e  312  cod.  proc.  pen.,  costituisce  vicenda
distinta - seppur, nel caso di specie, contestuale  -  rispetto  alla
declaratoria di perdita di efficacia  della  custodia  cautelare  per
intervenuto proscioglimento, ai sensi dell'art.  300,  comma  1,  del
medesimo codice; 
    che  di  cio'  si   trae   conferma   dalla   giurisprudenza   di
legittimita', secondo cui, ove alla revoca di  una  misura  cautelare
faccia seguito l'applicazione provvisoria di una misura di  sicurezza
ex art. 312 cod. proc. pen., deve escludersi che i due  provvedimenti
integrino un'unica vicenda  cautelare,  nella  quale  il  secondo  si
configuri come sostitutivo del primo, ai  sensi  dell'art.  299  cod.
proc.  pen.,  attesa  la  diversita'  dei  presupposti  indiziari   e
funzionali delle due misure  (Corte  di  cassazione,  sezione  quinta
penale, sentenza 2 maggio-12 giugno 2019, n. 26080); 
    che la decisione del rimettente  in  ordine  alla  richiesta  del
pubblico  ministero  di  revocare  l'applicazione  provvisoria  della
misura di sicurezza non potrebbe  comunque  provocare  il  ripristino
della precedente custodia cautelare, venuta meno  ex  lege  ai  sensi
dell'art. 300, comma 1, cod. proc. pen. al momento della pronuncia di
proscioglimento dell'imputato; 
    che deve percio' escludersi che il rimettente sia  chiamato,  nel
procedimento a quo, a fare  nuovamente  applicazione  dell'art.  300,
comma 1, cod. proc. pen., e che si ponga dunque in tale  procedimento
un problema di applicazione del censurato art. 299, comma 3-bis, cod.
proc. pen., il quale prescrive - in via generale - la necessita'  del
parere del pubblico ministero in caso di revoca o sostituzione  delle
misure cautelari coercitive o interdittive; 
    che,   conseguentemente,    la    questione    di    legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento a tale norma  e'  ictu  oculi
irrilevante e, per tale ragione, manifestamente inammissibile; 
    che, con  la  seconda  questione,  il  rimettente  denuncia,  per
contrasto con l'art. 32, primo comma,  Cost.,  l'art.  300,  comma  1
(recte, come si evince dalla motivazione: comma 2), cod. proc.  pen.,
nella parte in cui, in caso di proscioglimento dell'imputato in stato
di custodia cautelare, subordina - giusta il rinvio all'art. 312 cod.
proc. pen. - l'applicazione provvisoria  della  misura  di  sicurezza
alla previa richiesta del pubblico ministero; 
    che, ad avviso  del  giudice  a  quo,  posto  che  la  misura  di
sicurezza  del  ricovero   in   una   REMS   avrebbe   un   contenuto
essenzialmente   terapeutico,   condizionarne   l'applicazione   alla
richiesta del pubblico ministero violerebbe  «il  diritto  alla  cura
della salute dell'imputato affetto da grave infermita' mentale»; 
    che  la  questione  e'  in  questo  caso  rilevante,  in   quanto
suscettibile di determinare l'esito della  decisione  del  giudice  a
quo, chiamato a vagliare  la  richiesta  del  pubblico  ministero  di
revoca dell'applicazione in via provvisoria del ricovero in una  REMS
all'imputato prosciolto, proprio perche' adottata ex art. 300,  comma
2, cod. proc. pen.,  ma  in  difetto  della  previa  richiesta  della
pubblica accusa; 
    che il rimettente muove dal presupposto  interpretativo,  in  se'
non implausibile, secondo cui sarebbe  necessaria  la  richiesta  del
pubblico ministero anche per l'applicazione provvisoria della  misura
di sicurezza all'imputato contestualmente  prosciolto  per  vizio  di
mente, atteso che l'art. 300, comma 2, cod. proc.  pen.  dispone  che
«se l'imputato si trova in stato  di  custodia  cautelare  e  con  la
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere  e'  applicata
la  misura  di  sicurezza  del  ricovero  in  ospedale   psichiatrico
giudiziario, il  giudice  provvede  a  norma  dell'articolo  312»,  e
quest'ultima disposizione richiede il parere del  pubblico  ministero
per l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza; 
    che,   tuttavia,   il   parametro   costituzionale   evocato   e'
inconferente; 
    che non v'e' dubbio, secondo la giurisprudenza di  questa  Corte,
che  le  REMS  siano  strutture  «a  esclusiva  gestione   sanitaria»
(sentenza n. 99 del 2019), e che durante  il  ricovero  debba  essere
assicurata  all'internato  ogni  piu'  opportuna  terapia  delle  sue
patologie psichiche (come gia' affermato dalla sentenza  n.  253  del
2003 in relazione alla generalita' delle misure di sicurezza  per  le
persone inferme  di  mente),  con  lo  scopo  ultimo  di  assicurarne
l'obiettivo  della  risocializzazione  (sentenza  n.  73  del   2020)
attraverso   un   trattamento   individualizzato   volto   anche   al
superamento, o al contenimento degli effetti, di tali patologie; 
    che, cionondimeno, il  ricovero  nelle  REMS  e'  pur  sempre  la
modalita' oggi prevista dall'ordinamento per eseguire  la  misura  di
sicurezza del ricovero in  ospedale  psichiatrico  giudiziario  (art.
3-ter, comma 4, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n.  211,  recante
«Interventi  urgenti  per  il  contrasto  della  tensione   detentiva
determinata dal  sovraffollamento  delle  carceri»,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012,  n.  9),  ossia  di  una
misura privativa della liberta' personale il cui scopo tipico  e'  il
contenimento   della   pericolosita'   sociale   dell'internato    in
conseguenza della previa commissione di un fatto di reato  (art.  202
cod. pen.); 
    che, conseguentemente, e' sfornito di plausibilita'  l'assunto  -
implicito nella trama argomentativa del rimettente - di un  interesse
riconducibile alla sfera  di  tutela  dell'art.  32  Cost.,  in  capo
all'imputato prosciolto per vizio di mente, a ottenere  non  gia'  un
trattamento (volontario o  obbligatorio)  strutturalmente  funzionale
alla tutela della sua salute  mentale  ai  sensi  degli  artt.  33  e
seguenti della legge  23  dicembre  1978,  n.  833  (Istituzione  del
servizio sanitario nazionale), bensi' l'applicazione della misura  di
sicurezza  del  ricovero  in  una   REMS,   interesse   che   sarebbe
suscettibile  di  essere  pregiudicato  dall'eventuale  inerzia   del
pubblico ministero nel richiedere l'applicazione in  via  provvisoria
della misura; 
    che l'evidente inconferenza del  parametro  invocato  a  supporto
della questione ne comporta la manifesta inammissibilita'; 
    che, con la terza questione, il  rimettente  censura,  ancora  in
riferimento all'art. 32 Cost., l'art. 222, primo  comma,  del  codice
penale, nella parte in cui dispone che, in  caso  di  proscioglimento
per infermita' psichica, la misura di sicurezza del ricovero  in  una
REMS sia ordinata per un tempo non inferiore a due anni; 
    che anche tale questione all'evidenza difetta di rilevanza,  come
eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato; 
    che, infatti,  nel  procedimento  a  quo  si  discute  unicamente
dell'applicazione provvisoria della  misura  di  sicurezza,  regolata
dagli artt. 206 cod. pen., 312 e 313 cod. proc.  pen.,  i  quali  non
prevedono alcuna durata minima di tale applicazione provvisoria; 
    che, per contro, il censurato art. 222, primo  comma,  cod.  pen.
disciplina  l'applicazione  in  via  definitiva   della   misura   di
sicurezza, della quale non si discute nel procedimento a quo; 
    che, ad ogni buon conto, lo stesso art. 222 cod. proc. pen.  deve
essere  interpretato  nel  senso  che  «spetta  al   giudice   [della
sorveglianza] il potere di revoca della misura di sicurezza - ove sia
accertata la cessazione dello stato di pericolosita'  -  anche  prima
che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima  stabilita
dalla legge (sentenza n. 110 del 1974)» (ordinanza n. 287 del 2009); 
    che,  pertanto,  anche  la  terza  questione  e'   manifestamente
inammissibile.