ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21,
terzo periodo, del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78  (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  30  luglio
2010, n. 122; dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, nella  legge  15  luglio
2011, n. 111; dell'art. 1, comma  1,  lettera  a),  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento  in
materia  di  proroga  del  blocco  della   contrattazione   e   degli
automatismi  stipendiali  per  i   pubblici   dipendenti,   a   norma
dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111), promossi  dalla  Corte  dei  conti  -  sezione  giurisdizionale
regionale per il Lazio con quattro ordinanze del 20 e del  22  agosto
2018, iscritte, rispettivamente, ai  numeri  63,  66,  67  e  65  del
registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica numeri 24 e 25, prima serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di G. J., di L. N., P. C. e C.  M.
e dell'Istituto nazionale della previdenza  sociale  (INPS),  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 14  aprile  2021  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 14 aprile 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 63 del  2020),
la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Lazio,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in  legge  30  luglio  2010,  n.  122;
dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6  luglio  2011,
n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio  2011,  n.  111,  e
dell'art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122
(Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione  e
degli automatismi stipendiali per  i  pubblici  dipendenti,  a  norma
dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
98, convertito, con modificazioni, dalla legge  15  luglio  2011,  n.
111), nella parte in cui prevedono che, per il dipendente pubblico in
favore del quale sia stata  disposta  una  progressione  di  carriera
negli anni dal 2011 al 2014 e che  sia  stato  altresi'  collocato  a
riposo  nell'arco  di  tale  quadriennio,  ai  fini  del  trattamento
pensionistico gli effetti di quella progressione  di  carriera  siano
limitati esclusivamente a quelli giuridici anche oltre la data del l°
gennaio 2015. 
    Il giudice rimettente premette di aver accertato, con dispositivo
letto all'udienza del  22  gennaio  2018,  che  G.  J.,  ex  militare
dell'Esercito, era stato collocato  a  riposo  il  31  dicembre  2014
perche' dichiarato permanentemente non idoneo  al  servizio  militare
incondizionato, sicche' dal giorno prima era stato promosso dal grado
di brigadiere generale a quello di maggiore generale in base all'art.
1076  del  decreto  legislativo  15  marzo  2010,   n.   66   (Codice
dell'ordinamento militare), nella formulazione all'epoca vigente.  Da
tale  promozione,  tuttavia,  non  era  derivato  allo  stesso  alcun
beneficio stipendiale in costanza del rapporto d'impiego, a causa del
blocco  degli  effetti  economici  delle  progressioni  di   carriera
introdotto  per  il  personale   cosiddetto   non   contrattualizzato
dall'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del  2010,  come
convertito, per il triennio 2011-2013 e poi prorogato  per  tutto  il
2014.  La  Corte  dei  conti  ritiene,  inoltre,  che  non   potrebbe
sperimentarsi una interpretazione  costituzionalmente  orientata  del
predetto assetto normativo, per evitare disparita' di trattamento con
coloro i quali sono stati collocati in quiescenza dopo la data del 1°
gennaio 2015, ritenendo  che  da  tale  momento  la  progressione  in
carriera riverbera effetti economici sul piano pensionistico, e  cio'
in virtu' del combinato disposto degli artt. 43 e 53  del  d.P.R.  29
dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme  sul
trattamento di quiescenza dei  dipendenti  civili  e  militari  dello
Stato), secondo cui «[a]i fini della determinazione della misura  del
trattamento di quiescenza [...] la base pensionabile» e'  «costituita
dall'ultimo  stipendio  o  dall'ultima   paga   [...]   integralmente
percepiti». 
    Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale  delle  norme  censurate,  in  quanto  comporterebbero
un'illegittima disparita' di trattamento ai sensi dell'art. 3  Cost.,
fondata sulla circostanza che gli effetti del  blocco  disposto  sono
solo temporanei nei confronti di coloro  che  rimangono  in  servizio
dopo  la  cessazione  dello  stesso  mentre   diventano   permanenti,
riverberandosi sul trattamento pensionistico, per coloro i quali sono
collocati a riposo "in costanza" del  blocco  medesimo.  Il  medesimo
giudice rimettente sottolinea, in proposito, che di  regola  la  data
della   collocazione   in   quiescenza   prescinde   dalla   volonta'
dell'interessato e che l'irragionevolezza  della  disciplina  sarebbe
particolarmente  evidente  nella  vicenda  sottesa  all'ordinanza  di
rimessione nella quale l'avanzamento in carriera del  ricorrente  era
avvenuto per la speciale promozione cosiddetta alla  vigilia  di  cui
all'art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, all'epoca vigente,
promozione che, di conseguenza, sebbene di carattere doveroso in base
alla  legge,  avrebbe  finito  con  l'assumere  carattere   meramente
virtuale. 
    Con atto di costituzione depositato in data 25 giugno 2020, G. J.
ha evidenziato che non e' suscettibile di  incidere  sulla  questione
sollevata la sentenza n. 200 del 2018 di questa  Corte,  sopravvenuta
all'ordinanza di rimessione, in virtu' della natura "speciale"  della
promozione  disposta  ai  sensi  dell'art.  1076   cod.   ordinamento
militare.  Sottolinea  che  lo  statuto   peculiare   della   propria
progressione in carriera rispetto agli effetti  del  blocco  dovrebbe
trarsi  anche  dalla  circostanza  che  l'istituto  della  promozione
cosiddetta "alla vigilia" e' stato in seguito abrogato  dall'art.  1,
comma  258,  della  legge  23  dicembre   2014,   n.   190,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)», a decorrere dal  1°  gennaio
2015 e  che,  quindi,  per  le  promozioni  anteriori  a  tale  data,
l'applicazione del "blocco"  di  cui  all'art.  9,  comma  21,  terzo
periodo, del d.l.  n.  78  del  2010  (come  convertito  e  prorogato
all'anno   2014)   comporterebbe    un'inammissibile    anticipazione
dell'abrogazione, non voluta dal  legislatore,  come  si  desumerebbe
dagli stessi dati della Relazione  tecnica  a  tale  legge.  Conclude
pertanto nel senso  dell'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
censurate, ove ritenute applicabili anche nell'ipotesi di  promozione
avvenuta in forza  dell'allora  vigente  art.  1076,  comma  1,  cod.
ordinamento militare. 
    Con atto depositato in data 30 giugno  2020,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo in via  pregiudiziale
l'inammissibilita' della questione poiche' l'ordinanza di  rimessione
sarebbe motivata  per  relationem  alla  precedente  ordinanza  della
stessa Corte dei conti -  sezione  giurisdizionale  per  la  Liguria,
avente ad oggetto le medesime norme e iscritta al n. 71 reg. ord. del
2017, decisa con la citata sentenza n. 200 del 2018. Ne  deriverebbe,
peraltro, anche una genericita' della  censura  relativa  all'art.  3
Cost., in quanto non parametrata su alcun fattore concreto o  tertium
comparationis. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale  evidenzia  la  non  fondatezza
della questione in  virtu'  dei  principi  enunciati  nella  indicata
sentenza n. 200 del 2018. 
    Con atto depositato  in  data  30  giugno  2020,  e'  intervenuto
l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS),  deducendo
l'inammissibilita' o comunque la non fondatezza delle  questioni,  in
quanto sarebbero identiche a quelle gia' dichiarate non  fondate  con
l'indicata sentenza n. 200 del 2018. 
    2.- Con ordinanza del 22 agosto 2018 (reg. ord. n. 65 del  2020),
la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Lazio,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l.  n.  78
del 2010, e dell'art. 16, comma l, lettera b), del  d.l.  n.  98  del
2011, come convertiti, nonche' dell'art. l, comma l, lettera a),  del
d.P.R. n. 122 del  2013,  nella  parte  in  cui,  per  il  dipendente
pubblico in favore del quale sia stata disposta una  progressione  di
carriera negli anni dal  2011  al  2014  e  che  sia  stato  altresi'
collocato a riposo nell'arco di tale quadriennio, prevedono  che  per
il trattamento pensionistico gli effetti di  quella  progressione  di
carriera permangano limitati ai soli fini giuridici  anche  oltre  la
data del l° gennaio 2015. 
    Il giudice rimettente premette di aver rigettato, con dispositivo
letto all'udienza del 22 gennaio 2018, la domanda con la quale L. N.,
ex militare della Marina collocato a riposo in data 9 novembre  2013,
aveva chiesto che fosse accertato da tale momento il proprio  diritto
ad ottenere il trattamento  pensionistico  commisurato  al  grado  di
ammiraglio ispettore capo attribuitogli a decorrere dal  10  novembre
2011, a causa del blocco degli effetti economici  delle  progressioni
di   carriera   introdotto   per   il   personale   cosiddetto    non
contrattualizzato dall'art. 9, comma 21, terzo periodo, del  d.l.  n.
78 del 2010,  come  convertito,  per  il  triennio  2011-2013  e  poi
prorogato per tutto il 2014. Il giudice a quo  evidenzia  di  essersi
invece   riservato   di   decidere,   all'esito   dell'incidente   di
legittimita'  costituzionale,  sulla  domanda   dell'interessato   di
corresponsione del trattamento pensionistico in questione  a  partire
dalla data del 1° gennaio 2015, di cessazione del "blocco", ritenendo
non essendo possibile un'interpretazione costituzionalmente  conforme
- volta  cioe'  a  evitare  disparita'  di  trattamento  rispetto  ai
militari collocati in quiescenza dopo  tale  data  -  in  virtu'  del
combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092  del  1973,
secondo  cui  «[a]i  fini  della  determinazione  della  misura   del
trattamento di quiescenza [...] la base pensionabile» e'  «costituita
dall'ultimo  stipendio  o  dall'ultima   paga   [...]   integralmente
percepiti». 
    Cio' premesso, la  Corte  dei  conti  dubita  della  legittimita'
costituzionale   del   censurato   assetto   normativo   in    quanto
determinerebbe un'illegittima  disparita'  di  trattamento  ai  sensi
dell'art. 3 Cost., poiche' gli effetti  del  blocco  finirebbero  con
l'essere solo temporanei nei confronti di  coloro  che  rimangono  in
servizio  dopo  la  cessazione  dello  stesso  e   diventano   invece
permanenti, riverberandosi sul trattamento pensionistico, per  coloro
i quali sono collocati a riposo "in costanza"  del  blocco  medesimo.
Tale disparita' di  trattamento  sarebbe  vieppiu'  irragionevole  in
quanto la data del collocamento a riposo  di  norma  prescinde  dalla
volonta' dell'interessato. 
    Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si e' costituito L. N.
deducendo l'illegittimita' costituzionale ex art. 3 Cost. delle norme
censurate che, per i militari, considerate le  modalita'  di  calcolo
del  trattamento  pensionistico  in  base   all'ultima   retribuzione
percepita, finiscono  per  l'assumere  carattere  permanente  (e  non
temporaneo, secondo le indicazioni  che  sarebbero  ritraibili  dalla
giurisprudenza costituzionale) e la cui applicazione  dipende  da  un
criterio meramente casuale  (ossia  la  cessazione  del  rapporto  di
lavoro in pendenza del "blocco"). 
    Con atto depositato in data 6  luglio  2020,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato,  svolgendo  difese  analoghe  a
quelle compiute nel procedimento di cui all'ordinanza iscritta al  n.
63 reg. ord. del 2020. 
    3.- Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 66 del  2020),
la  Corte  dei  Conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Lazio,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l.  n.  78
del 2010; dell'art. 16, comma l, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011,
come convertiti, e dell'art. l, comma l, lettera a),  del  d.P.R.  n.
122 del 2013, nella parte in  cui,  per  il  dipendente  pubblico  in
favore del quale sia stata  disposta  una  progressione  di  carriera
negli anni dal 2011 al 2014 e che  sia  stato  altresi'  collocato  a
riposo  nell'arco  di  tale  quadriennio,  prevedono   che   per   il
trattamento pensionistico  gli  effetti  di  quella  progressione  di
carriera permangano siano limitati solo ai fini giuridici anche  dopo
la data del l° gennaio 2015. 
    Il giudice rimettente premette di aver accertato, con dispositivo
letto all'udienza del  22  gennaio  2018,  la  non  fondatezza  della
domanda con la quale P. C., ex  militare  della  Marina  collocato  a
riposo in data 1° giugno 2013, aveva chiesto che  fosse  riconosciuto
da tale  momento  il  proprio  diritto  ad  ottenere  il  trattamento
pensionistico commisurato  al  grado  di  ammiraglio  ispettore  capo
attribuitogli a decorrere dal 25 febbraio 2012, a  causa  del  blocco
degli effetti economici delle progressioni di carriera introdotto per
il personale cosiddetto non contrattualizzato dall'art. 9, comma  21,
terzo periodo, del d.l. n. 78  del  2010,  come  convertito,  per  il
triennio 2011-2013 e poi prorogato per tutto il 2014.  Il  giudice  a
quo evidenzia di essersi  invece  riservato  di  decidere,  all'esito
dell'incidente  di   legittimita'   costituzionale,   sulla   domanda
dell'interessato di corresponsione del trattamento  pensionistico  in
questione a partire dalla data del 1° gennaio 2015, di cessazione del
"blocco", non essendo possibile un'interpretazione costituzionalmente
conforme - volta, cioe', a evitare disparita' di  trattamento  con  i
militari collocati in quiescenza dopo  tale  data  -  in  virtu'  del
combinato disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092  del  1973,
secondo  cui  «[a]i  fini  della  determinazione  della  misura   del
trattamento di quiescenza [...] la base pensionabile» e'  «costituita
dall'ultimo  stipendio  o  dall'ultima   paga   [...]   integralmente
percepiti». 
    Cio' premesso, la Corte dei conti dubita della compatibilita' del
descritto assetto normativo con l'art. 3  Cost.,  con  argomentazioni
analoghe, sul  piano  della  non  manifesta  infondatezza,  a  quelle
dell'ordinanza iscritta al n. 65 reg. ord. del 2020. 
    Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si e' costituito P. C.
il quale ha dedotto l'illegittimita' ex art.  3  Cost.,  delle  norme
censurate che, per i militari, considerate le  modalita'  di  calcolo
del  trattamento  pensionistico  in  base   all'ultima   retribuzione
percepita, finiscono  per  l'assumere  carattere  permanente  (e  non
temporaneo,   secondo    le    indicazioni    della    giurisprudenza
costituzionale)  e  la  cui  applicazione  dipende  da  un   criterio
meramente casuale (ossia la cessazione  del  rapporto  di  lavoro  in
pendenza del "blocco"). 
    Con atto depositato in data 6  luglio  2020,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale, spiegando difese analoghe a  quelle  svolte
nei procedimenti di cui alle ordinanze iscritte al n. 63 e al  n.  65
reg. ord. del 2020. 
    4.- Con ordinanza del 20 agosto 2018 (reg. ord. n. 67 del  2020),
la  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  il  Lazio,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni di legittimita'
costituzionale del combinato disposto degli artt. 9, comma 21,  terzo
periodo, del d.l. n. 78 del 2010 e 16, comma l, lettera b), del  d.l.
n. 98 del 2011,  come  convertiti,  nonche'  dell'art.  l,  comma  l,
lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, nella parte in  cui,  per  il
dipendente pubblico in  favore  del  quale  sia  stata  disposta  una
progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia  stato
altresi' collocato a riposo nell'arco di  tale  quadriennio,  prevede
che  per  il  trattamento  pensionistico  gli   effetti   di   quella
progressione di carriera permangano limitati esclusivamente  ai  fini
giuridici anche oltre la data del l° gennaio 2015. 
    Il giudice rimettente premette di aver rigettato, con dispositivo
letto all'udienza del 22 gennaio 2018, la domanda con la quale C. M.,
ex militare dell'Aeronautica collocato a riposo  in  data  22  maggio
2014, aveva chiesto che fosse accertato da tale  momento  il  proprio
diritto ad ottenere il trattamento pensionistico commisurato al grado
di ammiraglio ispettore capo attribuitogli a decorrere dall'11  marzo
2013, a causa del blocco degli effetti economici  delle  progressioni
di   carriera   introdotto   per   il   personale   cosiddetto    non
contrattualizzato dall'art. 9, comma 21, terzo periodo, del  d.l.  n.
78 del 2010,  come  convertito,  per  il  triennio  2011-2013  e  poi
prorogato per tutto il 2014. 
    Tuttavia, nella medesima sentenza, il giudice rimettente  si  era
riservato  di  decidere,  all'esito  dell'incidente  di  legittimita'
costituzionale, sulla domanda dell'interessato di corresponsione  del
trattamento pensionistico in questione  dalla  data  del  1°  gennaio
2015,  di  cessazione   del   "blocco",   non   ritenendo   possibile
un'interpretazione costituzionalmente conforme - in  quanto  volta  a
evitare disparita' di trattamento  con  coloro  i  quali  sono  stati
collocati in quiescenza dopo tale data  -  in  virtu'  del  combinato
disposto degli artt. 43 e 53 del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo cui
«[a]i fini della  determinazione  della  misura  del  trattamento  di
quiescenza [...] la base  pensionabile»  e'  «costituita  dall'ultimo
stipendio o dall'ultima paga [...] integralmente percepiti». 
    Cio' premesso, la Corte dei conti dubita della compatibilita'  di
tale  assetto  normativo  con  l'art.  3  Cost.,  con  argomentazioni
analoghe, sul piano della non manifesta infondatezza, a quelle  delle
ordinanze iscritte al n. 65 e al n. 66 reg. ord. del 2020. 
    Con atto depositato in data 6 luglio 2020, si  e'  costituito  C.
M., il quale ha dedotto l'illegittimita'  costituzionale  ex  art.  3
Cost., delle norme censurate che,  per  i  militari,  considerate  le
modalita' di calcolo del trattamento pensionistico in base all'ultima
retribuzione percepita, finiscono per assumere  carattere  permanente
(e  non  temporaneo,  secondo  le  indicazioni  della  giurisprudenza
costituzionale)  e  la  cui  applicazione  dipende  da  un   criterio
meramente casuale (ossia la cessazione  del  rapporto  di  lavoro  in
pendenza del "blocco"). 
    Con atto depositato in data 7  luglio  2020,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale, svolgendo difese analoghe a quelle compiute
nei procedimenti di cui alle ordinanze iscritte al n. 63 e al  n.  65
reg. ord. del 2020. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con quattro ordinanze del 20 e 22 agosto  2018,  iscritte  le
prime tre ai numeri 63, 66, 67, e la quarta al  n.  65  del  registro
ordinanze del 2020, la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale  per
il Lazio, ha sollevato, in relazione all'art. 3  della  Costituzione,
questioni  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
dell'art. 9, comma 21, terzo periodo,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 30 luglio 2010, n. 122; dell'art. 16, comma l, lettera b),  del
decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge
15 luglio 2011, n. 111; e dell'art.  1,  comma  l,  lettera  a),  del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in  materia  di  proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2  e  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nella parte in cui prevede  che,
per il dipendente pubblico in favore del quale sia stata disposta una
progressione di carriera negli anni dal 2011 al 2014 e che sia  stato
altresi' collocato a riposo nell'arco di tale  quadriennio,  ai  fini
del trattamento pensionistico gli effetti di quella  progressione  di
carriera permangano limitati esclusivamente ai fini  giuridici  anche
oltre la data di cessazione del blocco. 
    La Corte rimettente dubita della legittimita'  costituzionale  di
tale assetto normativo per la disparita' di  trattamento  determinata
ai sensi dell'art. 3 Cost. tra coloro che rimangono in servizio  dopo
la cessazione del blocco, per i quali i relativi  effetti  sono  solo
temporanei, e quanti sono collocati a riposo "in costanza" del blocco
medesimo, nei confronti dei quali tali effetti diventano  permanenti,
perche' si riverberano sul trattamento pensionistico. 
    Nel giudizio iscritto al n. 63  reg.  ord.  del  2020,  la  Corte
rimettente ha sottolineato che  l'irragionevolezza  della  disciplina
applicabile  sarebbe  particolarmente  evidente  perche'  la   stessa
dovrebbe  trovare  applicazione  in  una  fattispecie   nella   quale
l'avanzamento  in  carriera  del  militare  era  avvenuto  in  virtu'
dell'istituto speciale della promozione cosiddetta "alla vigilia"  di
cui all'art. 1076 del  decreto  legislativo  15  marzo  2010,  n.  66
(Codice dell'ordinamento  militare),  all'epoca  vigente,  promozione
che, di conseguenza, sebbene di  carattere  doveroso,  finirebbe  con
l'assumere carattere meramente virtuale. 
    2.- I  giudizi  devono  essere  riuniti  in  ragione  della  loro
connessione oggettiva, per essere trattati  congiuntamente  e  decisi
con un'unica pronuncia. 
    3.- In tutti i procedimenti l'Avvocatura generale dello Stato  ha
eccepito   l'inammissibilita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale, per essere le ordinanze di  rimessione  motivate  per
relationem, in punto di non manifesta infondatezza,  alla  precedente
ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. del 2017 della stessa Corte dei
conti - sezione giurisdizionale per la Liguria, avente ad oggetto  le
medesime norme. 
    Sebbene sia consolidato nella giurisprudenza di questa  Corte  il
principio  per  il  quale  l'autonomia   di   ciascun   giudizio   di
legittimita' costituzionale in via incidentale, quanto  ai  requisiti
necessari per la sua valida instaurazione, e il conseguente carattere
autosufficiente della relativa ordinanza di rimessione, impongono  al
giudice a quo di rendere espliciti, facendoli propri, i motivi  della
non manifesta infondatezza, non potendo limitarsi ad un mero richiamo
a quelli evidenziati in altre ordinanze di rimessione  emanate  nello
stesso o in altri giudizi (ex plurimis, sentenze n. 88 e  n.  83  del
2018, n. 170 del 2015, n. 103 del 2007; ordinanze n. 85, n. 64  e  n.
19 del 2018, n. 156 del 2012 e n. 33 del 2006),  l'eccezione  non  e'
fondata. 
    Quanto all'ordinanza iscritta al n. 63 reg.  ord.  del  2020,  e'
sufficiente  evidenziare  che  la  stessa  solleva  la  questione  di
legittimita' costituzionale anche con riguardo ad un profilo che  non
veniva in rilievo nell'ordinanza di rimessione iscritta al n. 71 reg.
ord. del 2017, ossia quello delle conseguenze, assunte come  vieppiu'
irragionevoli, dell'applicazione delle norme  censurate  nell'ipotesi
di promozione cosiddetta alla vigilia, profilo che  e'  adeguatamente
argomentato dal giudice a quo. 
    Con riferimento  agli  altri  atti  di  promovimento,  che  hanno
contenuto analogo, l'eccezione dell'Avvocatura generale  deve  essere
parimenti respinta poiche' - se  e'  vero  che  la  Corte  dei  conti
effettua un espresso rinvio  alla  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza all'indicata ordinanza di rimessione, iscritta al n.  71
reg. ord. del 2017 - nel testo degli stessi sono comunque ripercorse,
seppur sinteticamente,  le  argomentazioni  poste  a  fondamento  del
dubbio di legittimita' costituzionale. 
    4.- Ancora in via preliminare, va considerato che, nei giudizi di
cui alle ordinanze di rimessione iscritte al n. 63 e al  n.  67  reg.
ord. del 2020, la Corte dei conti deve fare applicazione dell'art. 1,
comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. n. 122 del  2013,  che
proroga il blocco stipendiale per l'anno 2014, perche'  i  ricorrenti
sono cessati dal servizio rispettivamente a decorrere dal 31 dicembre
2014 e dal 22 maggio 2014, ossia proprio nel corso dell'anno  che  ha
visto prorogata - per quel che rileva in questa sede - la  disciplina
legale limitativa degli incrementi  retributivi  e,  dunque,  di  una
disposizione  di  rango  secondario  nella  gerarchia   delle   fonti
normative. 
    Il  predetto  art.  1  ha  infatti  natura  regolamentare,   come
espressamente previsto dalla disposizione di legge (art. 16, comma 1,
lettera b,  del  d.l.  n.  98  del  2011,  come  convertito)  che  ha
autorizzato il Governo a emanarla, e, quindi, costituisce  una  norma
subprimaria, priva di «forza di legge» ai sensi dell'art. 134 Cost. 
    Tale natura subprimaria della disciplina  posta  dal  regolamento
citato potrebbe  far  dubitare  dell'ammissibilita'  delle  questioni
sollevate dal giudice rimettente, in quanto verrebbe  in  rilievo  il
limite del sindacato accentrato di costituzionalita' posto  dall'art.
134 Cost. 
    Tuttavia, come e' stato gia' chiarito da  questa  Corte  rispetto
alla stessa disposizione, nella fattispecie  in  esame  sussiste  uno
stretto nesso  di  specificazione  qualificata,  che  lega  la  norma
primaria e quella subprimaria, sicche' puo' ben dirsi  che  la  norma
regolamentare   costituisce   il   «completamento    del    contenuto
prescrittivo» della norma primaria (sentenza n. 200 del 2018). 
    5.-  Le  questioni  sollevate  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale per il Lazio, con le ordinanze iscritte al n. 65,  al
n. 66 e al n. 67 reg. ord. del 2020 sono manifestamente infondate. 
    Questa Corte  (sentenza  n.  200  del  2018),  infatti,  ha  gia'
esaminato  e  dichiarato  non  fondate  le  analoghe   questioni   di
costituzionalita' sollevate con l'ordinanza iscritta al  n.  71  reg.
ord. del 2017, alla quale - come sopra osservato - ha fatto integrale
riferimento la Corte rimettente. 
    Nella richiamata pronuncia la Corte ha ritenuto  non  fondata  la
prospettata violazione dell'art. 3  Cost.  ponendo  in  evidenza  che
«[u]na volta sterilizzati ex lege,  per  effetto  della  disposizione
censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in  questione,
la retribuzione utile ai  fini  previdenziali  e'  quella  risultante
dall'applicazione di tale regola limitativa, senza  che  a  tal  fine
rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se  nel  corso  del
quadriennio o successivamente alla sua scadenza». 
    Anche le ordinanze di rimessione hanno  ad  oggetto  le  medesime
previsioni normative - le quali rinvengono  la  propria  ratio  nella
finalita' di contenimento e  razionalizzazione  della  spesa  per  il
pubblico impiego (ex multis, sentenze n. 178 del  2015,  n.  154  del
2014 e n.  310  del  2013)  -  e  la  dedotta  censura  fa  parimenti
riferimento alla asserita lesione del principio di eguaglianza. 
    In mancanza di argomentazioni nuove e diverse,  vanno  dichiarate
manifestamente infondate le  questioni  attualmente  sollevate  dalla
Corte rimettente. 
    6.-   Infondata   e'   anche   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   delle   medesime    norme    censurate,    sollevata
dall'ordinanza iscritta al n. 63 reg. ord. del 2020,  in  riferimento
all'art. 3 Cost., per la  disparita'  di  trattamento,  assunta  come
irragionevole rispetto alle ipotesi gia'  scrutinate,  a  carico  dei
militari  che  abbiano  beneficiato,   nel   periodo   del   "blocco"
retributivo, della speciale  promozione  cosiddetta  "alla  vigilia",
contemplata dall'art.  1076,  comma  1,  cod.  ordinamento  militare,
all'epoca vigente. 
    Quest'ultima previsione normativa, abrogata  dall'art.  1,  comma
258, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge
di  stabilita'  2015)»,  ma   applicabile   ratione   temporis   alla
fattispecie che e'  oggetto  dell'indicata  ordinanza  di  rimessione
iscritta al n. 63 reg. ord. del  2020,  stabiliva  -  riproducendo  a
propria volta l'art. 1 della legge 22 luglio 1971, n. 536  (Norme  in
materia di avanzamento di ufficiali e  sottufficiali  in  particolari
situazioni) - che «[g]li ufficiali delle  Forze  armate  iscritti  in
quadro di avanzamento o giudicati idonei una  o  piu'  volte  ma  non
iscritti in quadro, i quali, rispettivamente, non possono  conseguire
la promozione o essere ulteriormente valutati perche'  raggiunti  dai
limiti di eta' per la cessazione dal servizio  permanente  o  perche'
divenuti permanentemente inabili al servizio incondizionato o perche'
deceduti,  sono  promossi  al  grado  superiore,  in  aggiunta   alle
promozioni   previste,   dal   giorno   precedente   a   quello   del
raggiungimento dei limiti  di  eta'  o  del  giudizio  di  permanente
inabilita' o del decesso [...]. Nel primo caso gli ufficiali promossi
sono collocati in ausiliaria applicandosi i limiti di  eta'  previsti
per il grado rivestito prima della promozione; nei restanti casi  gli
ufficiali  promossi  sono  collocati  nella  riserva  o  in   congedo
assoluto, a seconda dell'idoneita'». 
    Dai lavori preparatori della legge n. 536 del 1971 si evince  che
l'istituto speciale della promozione  "alla  vigilia"  era  volto  ad
attenuare la rigidita' del  meccanismo  di  sviluppo  della  carriera
militare che si caratterizzava, stante la  struttura  piramidale  del
relativo apparato, per un numero particolarmente  limitato  di  posti
nelle qualifiche superiori della scala gerarchica. 
    Cio' comportava che alcuni ufficiali permanessero in  determinati
gradi  per  prolungati  periodi  di  tempo  e   che,   in   caso   di
raggiungimento dei limiti di eta' o di sopravvenuta inidoneita' o  di
decesso, non avessero la possibilita' di conseguire la promozione  al
grado superiore per mancanza di posti, pur essendo stati valutati con
giudizio favorevole. 
    La  promozione  "alla  vigilia"  era  dunque  volta  a  porre  un
correttivo alla rigidita' delle norme di avanzamento in carriera  dei
militari, al verificarsi di eventi che ponevano termine all'attivita'
di servizio. 
    Caratteristica di tale forma speciale di promozione  era  che  la
stessa non incideva sul numero degli ufficiali superiori o di  quelli
generali, poiche' gli interessati appena promossi, con efficacia  dal
giorno precedente all'attribuzione della qualifica  superiore,  erano
contemporaneamente  posti  in  congedo  per  limiti  di  eta'  o  per
inabilita' permanente o comunque cessava il servizio per decesso.  Il
provvedimento aveva quindi effetti stipendiali per un solo giorno si'
da fissare  ad  un  livello  piu'  elevato  l'"ultima  retribuzione",
rilevante per la quantificazione del trattamento pensionistico. 
    7.-  Queste  essendo  le  linee  essenziali  dell'istituto  della
promozione "alla vigilia", abrogato dalla  legge  di  stabilita'  per
l'anno 2015, la questione sollevata dall'ordinanza iscritta al n.  63
reg. ord. del 2020 non e' fondata. 
    Va osservato, infatti, che l'ampiezza  della  formula  utilizzata
dall'art. 9, comma 21, del d.l. n.  78  del  2010,  come  convertito,
laddove per delineare il perimetro di applicazione e la  portata  del
blocco retributivo fa  riferimento  alle  «progressioni  in  carriera
comunque denominate», comporta che rientra nella relativa  disciplina
anche quella contemplata  dall'abrogato  art.  1076,  comma  1,  cod.
ordinamento militare, in quanto non  e'  prevista  per  tale  ipotesi
alcuna deroga al meccanismo generale del blocco. 
    Anche la promozione "alla vigilia" rappresenta  una  progressione
in carriera ancorche' di efficacia  limitata  ad  un  solo  giorno  e
quindi, non essendo eccettuata dal generale regime  di  blocco  della
progressione  economica  in  tutto  il  pubblico   impiego,   rientra
anch'essa nell'ampia nozione di «progressioni  in  carriera  comunque
denominate»,  con   conseguente   assoggettamento   alla   disciplina
limitativa censurata nella parte in cui ha previsto  che  esse  hanno
effetto, per gli anni del blocco, «ai fini esclusivamente giuridici». 
    Le ricadute sul trattamento pensionistico in caso di collocamento
in quiescenza nel periodo del blocco sono  gia'  state  esaminate  da
questa Corte nella richiamata pronuncia (sentenza n. 200  del  2018),
secondo  cui  la  «circostanza  che,  superato  il  quadriennio,   al
dipendente "promosso"  sia  attribuita  una  retribuzione  superiore,
rilevante anche  sul  piano  (contributivo  e)  previdenziale  e  del
trattamento pensionistico, si giustifica - senza che percio' sia leso
il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del  tempo"
che  costituisce  sufficiente   elemento   idoneo   a   differenziare
situazioni non comparabili e a rendere applicabile  alle  stesse  una
disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53  del
2017, n. 254 del 2014)». 
    Investita  della  medesima  questione,  anche   con   riferimento
all'ulteriore prolungamento per un anno del blocco retributivo  (art.
1, comma 256, legge n. 190 del 2014), questa Corte (sentenza  n.  167
del 2020) ha dato continuita' a tale orientamento  ribadendo  che  la
ricaduta  sul  piano  del   rapporto   previdenziale   della   regola
dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di
progressione di carriera e' generalizzata e  non  consente  di  porre
utilmente a raffronto  il  trattamento  pensionistico,  spettante  ai
dipendenti collocati in  quiescenza  nel  corso  del  quinquennio  in
questione,  con  quello  riconosciuto  ai  dipendenti  collocati   in
quiescenza dopo la scadenza di tale periodo. 
    Non puo' quindi ritenersi  che  l'applicazione  della  disciplina
censurata concreti una violazione dell'art. 3 Cost. per disparita' di
trattamento con specifico riferimento alla promozione "alla vigilia".
E anzi il  fatto  che  il  legislatore  non  abbia  sottratto  questa
fattispecie  al  blocco  evita  che  possa  esservi  un   trattamento
differenziato tra  i  militari  che  nel  periodo  del  blocco  hanno
conseguito la promozione per merito, esercitando  le  mansioni  della
qualifica superiore fino al collocamento in quiescenza, avvenuto  nel
periodo del blocco, e quelli ai quali nello stesso periodo  e'  stata
attribuita la qualifica superiore senza  l'esercizio  delle  relative
mansioni,  come  trattamento  di  miglior  favore  al   momento   del
collocamento  in  quiescenza,  o  della  sopravvenuta  inabilita'  al
servizio, o del decesso, in applicazione  dell'art.  1076,  comma  1,
cod. ordinamento militare. 
    Pertanto, va dichiarata non fondata la questione di  legittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art. 9,  comma  21,  terzo
periodo, del d.l. n. 78 del  2010,  come  convertito,  dell'art.  16,
comma l, lettera b), del d.l. n. 98  del  2011,  come  convertito,  e
dell'art. l, comma l, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013.